Le anime di gruppo della Luna erano dotate di grande saggezza

O.O. 102 – L’Agire di entità spirituali nell’uomo – 24.03.1908


 

Oggi ci sta innanzi un compito assai diverso e più grande: osservare di nuovo l’uomo stesso sulla Terra da un tutt’altro punto di vista, in modo che quest’essere umano possa presentarcisi davanti agli occhi in modo sempre più comprensibile.

Se noi, a tale scopo, guardiamo indietro ancora una volta all’incarnazione precedente della nostra Terra, l’antica Luna, allora quest’uomo dell’antica Luna, se ce lo poniamo di fronte all’anima, ci si presenta con il suo corpo fisico, il suo corpo eterico e il corpo astrale, ma ancora senza il suo io, come lo ha ora, per la prima volta, sulla Terra.

 

Se noi esaminiamo lo stato di coscienza di un tale uomo lunare,

vediamo che in realtà è radicalmente diverso dallo stato di coscienza dell’uomo terrestre.

Lo stato dell’uomo terrestre si imprime realmente in quella che si potrebbe chiamare la “personalità”;

con questa parola è detto molto della caratteristica dell’uomo terrestre,

poiché una “personalità” non c’era ancora sull’antica Luna.

 

Abbiamo visto che questa “personalità” si è foggiata a poco a poco soltanto sulla Terra,

e che nei tempi remoti l’uomo si sentiva assai più come un membro di tutta la comunità.

 

• Senza allontanarci molto dal luogo in cui ci troviamo, se risaliamo ai primi secoli post-cristiani troviamo ancora le ultime reminiscenze di una coscienza primordiale.

L’antico Cherusco, l’antico Sigambrio, Erulo o Bructero non si sentiva ancora un uomo personale nella stessa misura dell’uomo odierno, ma si sentiva come un membro della sua stirpe. E se diceva: “io”, quest’io significava ancora qualcosa di affatto diverso da quello che significa oggi.

 

Oggi l’uomo, quando esprime il suo io, intende l’essere della sua personalità,

quale è, per così dire, racchiuso nella sua pelle.

A quel tempo, l’uomo si sentiva entro la sua stirpe

come oggi una delle nostre membra sente di appartenere al nostro organismo.

Allora prima di tutto egli si sentiva Sigambrio, Erulo, Cherusco, Bructero,

e soltanto in seconda linea si sentiva come un io personale.

 

Molte condizioni di quell’antico tempo voi le potete afferrare meglio se abbracciate con lo sguardo questo mutamento radicale della personalità, se vi rendete conto ad esempio che alcune forme di vendetta di sangue, di famiglia o di stirpe trovano la loro piena spiegazione nella coscienza comune della stirpe, nella coscienza di una sorta di anima di gruppo. Gruppi di uomini si sentivano appunto parte di un sangue comune, per cui un’uccisione veniva vendicata sull’intera stirpe dell’uccisore come fosse lui stesso.

 

E se andiamo ancora più indietro, fino al tempo classico dell’Antico Testamento, al tempo del popolo ebreo,

allora sappiamo che il singolo si sentiva veramente come un membro dell’intero popolo,

e che egli, quando pronunciava “io”,non si sentiva affatto il rappresentante del suo io personale,

ma invece sentiva in sé il sangue di tutto il popolo ebreo,

così come esso fluiva dal Padre Abramo attraverso le generazioni: “Io e il padre Abramo siamo uno!”

 

Con questa consapevolezza l’appartenente al popolo si sentiva innalzato a un dato grado.

Egli sentiva nel sangue quest’anima di gruppo, su su fino al padre Abramo.

E se noi retrocediamo fino ai tempi primordiali della Terra,

allora troviamo l’elemento dell’anima di gruppo ancor più chiaramente espresso.

 

Allora il singolo ricordava a memoria quello che i suoi predecessori avevano fatto, fino al primo avo. Per secoli durava il ricordo nel discendente. Nel tempo nostro l’uomo non si ricorda più quello che ha fatto suo padre, se egli non vi ha assistito personalmente. Egli non ricorda quello che hanno vissuto i suoi avi.

 

Nei tempi antichi l’uomo ricordava profondamente, interiormente, nella sua memoria

non solo quello che egli stesso aveva vissuto, ma anche quello che avevano vissuto i suoi avi,

ai quali era unito dal sangue, non perché lo sapesse, ma perché la memoria si prolungava al di là della nascita.

E noi sappiamo che l’età degli antichi Patriarchi, di Adamo e dei successivi antenati del popolo ebreo,

originariamente non significava nient’altro che la durata della memoria,

cioè fino a che distanza ci si poteva ricordare, nella serie degli antenati.

 

Perché Adamo e gli altri Patriarchi vissero tanto a lungo? Perché non si indicavano le singole personalità, ma invece ci si ricordava fino a grandi distanze attraverso le generazioni, come oggi ci si ricorda della propria gioventù. Ciò veniva designato con un nome comune. La personalità non c’entrava affatto.

 

Non ci si ricordava soltanto di quello che si era vissuto nella propria infanzia, ma anche di quello che il padre e il nonno avevano vissuto, e così attraverso i secoli; e il contenuto di questo ricordo lo si concepiva come un’unità e lo si chiamava – per volontà comune – Adamo o Noè o con un altro nome equivalente.

La personalità isolata, nei tempi primordiali, non aveva ancora in alcun modo il valore che ha oggi; la memoria andava su fino al padre e alla madre, al nonno e così via; e fin dove arrivava, si usava un nome comune.

 

Questa è una cosa che, per la concezione materialistica del mondo, sembra grottesca e fantasiosa; è però una verità che una qualsiasi scienza dell’anima che voglia studiare le cose a fondo, e che sappia contare su fatti reali, deve constatare attingendola alle profondità della realtà. Ora, già sulla nostra Terra, arriviamo al punto in cui l’uomo aveva una specie di coscienza di gruppo che combaciava con la sua anima di gruppo.

 

Se retrocedessimo fino all’antica Luna, dove l’uomo non aveva un io così delimitato, immerso nella coscienza di gruppo, bensì non aveva affatto un io, cioè quando ancora egli consisteva di corpo fisico, corpo eterico e corpo astrale, allora troveremmo che la coscienza su quell’antica Luna non abbracciava un piccolo gruppo, ma grandi, poderosi gruppi, poiché in realtà vasti gruppi di anime stanno a base della stirpe umana della Luna.

 

Queste anime di gruppo della Luna,

rispetto alle quali i singoli uomini lunari costituivano per così dire soltanto gli arti,

erano dotate di grande saggezza.

 

Noi abbiamo descritto anche le anime di gruppo degli animali sulla Terra, e anche lì abbiamo trovato la saggezza come un segno distintivo.

 

Queste anime di gruppo della Luna

hanno trapiantato nel nostro pianeta, durante la sua incarnazione precedente,

quella saggezza che oggi noi conosciamo ed ammiriamo.

 

E se noi oggi ammiriamo il modo in cui ogni frammento d’ossatura, il cuore e il cervello, ogni foglia di pianta sia compenetrata e imbevuta di saggezza, allora sappiamo che quella saggezza è stillata giù dalle anime di gruppo che si trovavano nell’atmosfera dell’antica Luna – così come oggi le nubi lasciano stillare giù la pioggia — e si è incorporata in ogni essere che l’ha accolta come disposizione e che l’ha poi a sua volta manifestata quando è risorto sulla Terra, dopo il pralaya.

 

Dunque esistevano vaste anime di gruppo, ricolme di saggezza.