Le armonie delle sfere compenetrano il corpo astrale durante lo stato di sonno

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 03.09.1910


 

Durante lo stato di sonno sappiamo già

che il corpo astrale e l’io dell’uomo si trovano fuori del suo corpo fisico e di quello eterico.

 

Ho avuto spesso occasione di far rilevare, a tale proposito, che il corpo astrale e l’io, che di notte sono usciti dai corpi fisico ed eterico, non aleggiano, come taluno crede, nelle vicinanze del corpo fisico, quasi come una nuvoletta. Una tale nuvoletta, che una chiaroveggenza astrale rudimentale può di fatto percepire, e che chiamiamo corpo astrale, in realtà non è che una prima e grossolana parte di quanto l’uomo può manifestare alla conoscenza chiaroveggente durante il sonno. Se si tenesse conto soltanto di questa nube astrale che sta nelle vicinanze del corpo fisico ed eterico, si proverebbe in tal modo di fondarsi solo sulle forme inferiori della chiaroveggenza astrale.

 

In realtà l’interiorità umana si espande assai lontano, durante il sonno;

nel momento stesso in cui ci si addormenta,

le forze interiori del corpo astrale e dell’io cominciano ad espandersi entro l’intero sistema solare di cui divengono parte.

 

Durante il sonno l’uomo assorbe nel suo corpo astrale e nel suo io, da ogni lato,

le forze necessarie per rinvigorirlo per la vita;

e al risveglio egli si rinchiude poi di nuovo negli angusti confini della sua pelle,

inserendovi tutto quanto ha aspirato durante la notte dalla sfera immensa del sistema solare.

 

Proprio per tale ragione gli occultisti del medioevo chiamarono questo corpo spirituale dell’uomo il corpo «astrale»,

in quanto è connesso coi mondi stellari dai quali trae le sue forze.

 

Possiamo dunque affermare che nel sonno notturno l’uomo è realmente esteso su tutto il sistema solare.

E che cosa durante il sonno compenetra il nostro corpo astrale?

 

Mentre di notte ci troviamo fuori del nostro corpo fisico, l’astrale è compenetrato e ravvivato dalle armonie delle sfere, cioè da quanto abitualmente può diffondersi solo nell’etere, nell’etere del suono. Se si sparge sopra una lastra di metallo una certa polvere, e poi si sfiora la lastra con un archetto di violino, le vibrazioni dell’aria si propagano alla polvere, creando le ben note «figure di Chladni».

 

Analogamente durante la notte le armonie delle sfere vibrano attraverso l’essere umano,

ristabilendo l’ordine là dov’egli lo ha turbato durante il giorno mediante l’attività sensoriale rivolta al mondo esterno.

Anche quanto vibra e agisce attraverso l’etere della vita, agisce e vibra in noi durante lo stato di sonno;

soltanto che l’uomo, quando è separato dal corpo fisico e dall’eterico,

non percepisce questa sottile attività esercitata sui suoi involucri.

 

In condizioni normali si è in grado di avere percezioni soltanto quando ci si è riimmersi nei corpi fisico ed eterico

e si usano per pensare gli organi esterni del corpo eterico e per percepire quelli del corpo fisico.

 

Sennonché in tempi antichi esistevano stati intermedi fra la veglia e il sonno che oggi possono essere prodotti soltanto in modo abnorme, e che, per il pericolo da essi rappresentato, non si debbono neppure cercar di provocare. Nell’epoca atlantica però tali facoltà di percezione erano sviluppate in modo normale, e rappresentavano appunto degli stati intermedi fra veglia e sonno.

 

Grazie ad essi gli uomini erano in grado di sperimentare

ciò che viveva e agiva nelle armonie delle sfere e nell’etere vitale.

 

In altre parole: anche se nei loro effetti terrestri

l’armonia delle sfere e la vita  si manifestano solo negli esseri viventi esteriormente percepibili,

l’uomo di quei tempi antichi era in grado di percepire chiaroveggentemente

l’armonia delle sfere irradiata dal Sole e la vita che vibrava sostanzialmente attraverso lo spazio.

 

• A poco a poco la possibilità di tale esperienza cessò;

con la perdita dell’antica chiaroveggenza umana si chiuse l’adito a tali percezioni.

• In cambio ebbe inizio qualcosa d’altro: la forza della conoscenza interiore.

• Solo così l’uomo apprese a riflettere interiormente.

 

Tutto quanto noi sperimentiamo come nostra capacità di pensare sulle cose,

durante lo stato di veglia, cioè in fondo tutta la nostra vita interiore,

potè svilupparsi solo dopo la scomparsa dell’antica chiaroveggenza.

 

L’uomo dei più antichi tempi atlantici non possedeva ancora una vita interiore come quella che esiste oggi,

con i suoi sentimenti, le sensazioni, i pensieri e le rappresentazioni, cioè il nucleo creativo della nostra civiltà.

L’uomo di allora viveva effuso in un mondo spirituale, in quegli stati intermedi fra veglia e sonno,

e il mondo materiale veniva percepito come avvolto in una nebbia,

ed era comunque del tutto sottratto alla comprensione, legata alle immagini interne riflesse della realtà esteriore.

 

La vita esteriore andò dunque emergendo, mentre svaniva a poco a poco l’antica chiaroveggenza.

Possiamo dire che nell’interiorità umana venne sviluppandosi un debole riflesso

di ciò che chiamiamo l’armonia delle sfere e l’effetto dell’etere vitale.

 

Nella stessa misura in cui l’uomo andò riempiendosi di sentimenti, di percezioni che gli riproducevano il mondo esterno,

elaborando la sua attuale vita interiore, nella stessa misura svanì per lui la musica delle sfere.

E nella stessa misura in cui l’uomo cominciava a sentire se stesso come un io,

andò per lui scomparendo la percezione del divino etere vitale che ravviva il mondo.

Si dovette acquistare lo stato di coscienza attuale al prezzo della perdita di certe possibilità di percezione esteriore.

 

Così l’uomo in quanto essere terrestre finì per sentire la vita come racchiusa in lui stesso,

mentre prima la percepiva come irraggiata dal Sole;

e oggi egli conserva nella sua vita interiore solo un pallido riflesso

della poderosa vita cosmica, del suono delle sfere e dell’etere vitale.