Le condizioni spirituali fondamentali della nostra vita universale cambiano di epoca in epoca.

O.O. 119 – Macrocosmo e microcosmo – 23.03.1910


 

Quelle potenze cosmiche a cui siamo abbandonati ogni notte, fin dall’inizio,

poiché vi era un essere umano che si evolveva, hanno fatto assegnamento su questo essere umano;

si aspettavano che anche a partire dagli uomini dovesse affluire della luce verso l’alto.

 

Esse non hanno una riserva inesauribile di luce, ma una che diminuisce gradualmente,

che sprigionerebbe forze sempre più esigue

se non scorresse, verso il sentire universale e la luce universale generale, nuova forza,

nuova luce dalla vita umana stessa, grazie al lavoro

sull’umano pensare, sentire e volere e allo sforzo per salire ai mondi superiori.

 

E ora viviamo nell’epoca in cui è necessario che davvero gli uomini

diventino consapevoli che non conviene solo abbandonarsi a quello che affluisce loro,

ma che, da parte loro, devono cooperare al divenire del mondo.

Non è affatto un qualche ideale ordinario che si pone la scienza dello spirito.

 

Essa davvero non lavora come altre correnti spirituali e concezioni del mondo che si entusiasmano per questo o quell’ideale e non possono addirittura far altro che predicarne agli altri uomini. Un tale impulso non c’è in coloro che oggi annunciano la scienza dello spirito a partire dalla vera missione del mondo.

 

Ma vi è la conoscenza del fatto che

• certe forze che sono nel macrocosmo cominciano ad esaurirsi

e noi andiamo incontro a un avvenire in cui,

se l’uomo non lavorasse all’evoluzione della propria anima,

esse affluirebbero in modo insufficiente da quei mondi superiori,

poiché la loro quantità che scorre giù inizia a poco a poco a venir meno.

 

Noi viviamo in quest’epoca.

Perciò la scienza dello spirito deve trovare il suo accesso nel mondo;

deve penetrare nell’esistenza non a partire da un impulso arbitrario, ma dalla necessità del nostro tempo,

affinché possa portare gli uomini a rimpiazzare di nuovo quanto s’è esaurito di quelle forze affluenti.

 

Da questa conoscenza, la scienza dello spirito trae i suoi impulsi dal presente,

ed essa oggi non agirebbe ancora se tale fatto non ci fosse,

ma verrebbe tranquillamente lasciata a se stessa come l’evoluzione dell’umanità finora.

 

Essa però prevede che, se nei prossimi secoli non vi sarà un numero sufficiente di uomini

capaci di elevarsi col loro lavoro nei mondi spirituali, il genere umano ne porterà giù sempre meno forze

e la conseguenza sarà un impoverimento degli uomini in quanto a forza spirituale,

un generale inaridimento della vita umana.

 

Gli uomini diventerebbero deboli riguardo a quanto hanno da compiere nel mondo.

Avrebbe luogo un disseccarsi della vita umana,

come un albero che dissecca, non ricevendo più linfa vitale.

Fino ad oggi le forze sono state portate dall’esterno all’umanità,

e chi considera solamente la vita esteriore,

vive spensierato e crede che esiste soltanto il mondo sensibile esterno,

non sa proprio nulla dei cambiamenti che avvengono dietro ad esso.

 

E appartiene a questi importanti cambiamenti l’esaurirsi delle forze superiori

e la necessità che tali forze vengano generate dagli uomini stessi.

Se l’evoluzione ulteriore dell’umanità venisse lasciata in mano

a degli uomini superficiali che si attengono solo al mondo fisico esteriore,

insorgerebbe un disseccamento, un inaridimento di tutto il genere umano sulla Terra.

 

Qui abbiamo toccato il punto più profondo a partire dal quale lo scienziato dello spirito riceve la consapevolezza che questa scienza dello spirito va annunciata affinché gli uomini prendano la loro propria decisione se voler collaborare o no a questo lavoro necessario.

 

Su questo punto di svolta nell’evoluzione dell’umanità avremo ancora da parlare nelle successive conferenze. Ma ora vogliamo ancora una volta rivolgere lo sguardo spirituale su quanto abbiamo appena toccato.

Rivolgiamolo su tutto ciò che vi è nella nostra anima in quanto peccati di omissione e che si mostra come intralcio per quelle forze che ci affluiscono dall’alto.

 

• Tutti i peccati di omissione del pensare penetrano come tenebre nella luce che arriva dal sentire universale.

• E, in modo simile, i nostri peccati di omissione che riguardano il sentire penetrano nelle forze dei nostri movimenti,

• e quelli che riguardano il volere inibiscono l’attività coordinante del pensare cosmico.

 

Ci si pone davanti in modo vivente ciò che la nostra anima ha tralasciato attraverso la sua precedente evoluzione e quanto si inserisce come un possente ostacolo in tutto il progresso della vita. In quello che le potenze superiori ci danno, in ciò che in tal modo lavora su di noi, in ciò che sviluppa forza dal volere cosmico, luce dal sentire cosmico e ordine e armonia dal pensare cosmico, in tutto questo si inserisce quanto noi stessi siamo con tutta la nostra debolezza, per il fatto che finora, appunto, ci siamo sviluppati soltanto nella misura in cui ci siamo evoluti.

 

Qui siamo di fronte alla giusta conoscenza di noi stessi. E appare quale tenebra, quale figura oscura come davanti a un’immagine luminosa, quello che noi siamo diventati con i nostri peccati di omissione, ciò che noi abbiamo da riparare di noi stessi attraverso lo sviluppo corretto delle nostre forze animiche. Ci si pone davanti all’anima quello che non siamo divenuti, ciò che di ostacolo abbiamo frapposto al divenire cosmico, e ci si manifesta in modo molto chiaro inviando i suoi raggi da tre lati.

• Ciò che non siamo diventati manda i suoi raggi verso tre lati.

 

Così vediamo dapprima quali ostacoli procuriamo al divenire cosmico per aver omesso riguardo alla nostra volontà, poi quelli che gli abbiamo arrecato per le omissioni in rapporto al nostro pensare e alla fine quelli procurati riguardo al nostro sentire. L’imperfezione del nostro essere irradia verso queste tre direzioni. Ognuna ci dice qualcosa di molto preciso.

Così dapprima abbiamo quanto di ostacolante irraggia da noi stessi, dalla nostra propria volontà, in ciò che ci pervade provenendo dalla volontà cosmica.

 

Si presenta inibente, arrestante, ciò che intacca la nostra propria natura di volontà

in quanto a peccati di omissione. E questo ci dice:

• «Con tutto ciò che qui hai omesso, sarai incatenato alle forze tramontanti della Terra;

questo ti legherà come con catene di ferro

a tutto ciò che trascina la Terra alla sua distruzione».

 

Quanto abbiamo di omissioni riguardo al nostro pensare ci dice:

• «Poiché tu hai tali peccati di omissione in rapporto al tuo pensare,

non troverai la possibilità di creare un’armonia tra la tua volontà e il tuo sentire».

 

E ciò che abbiamo tralasciato riguardo al nostro sentire ci dice:

• «Il divenire cosmico procederà oltre te.

Non hai fatto nulla per aggiungervi qualcosa per conto tuo;

perciò quello che il divenire cosmico ti ha dato sarà da lui preso,

ed esso passerà al di là di te, come se tu comunque non ci fossi stato».

 

Vediamo così separate, dinanzi a noi, tutte quelle forze che ci tengono incatenati alla Terra; e vediamo il divenire cosmico passare oltre noi, perché noi stessi non abbiamo fatto nulla col nostro proprio lavoro. Allora sentiamo, a questo limite, come le forze che ci incatenano alla Terra e quelle che ci passano oltre lacerino quello che è il nostro vero essere.

 

Le omissioni fatte da noi stessi nella nostra anima diventano forze distruttive della stessa.

Noi sentiamo i nostri peccati di omissione,

a questo momento del passaggio davanti al piccolo Guardiano della soglia,

come distruttori della nostra esistenza animica.

In quel terribile momento, soltanto una cosa ci può render capaci di esistere,

ed è la promessa a noi stessi di non ometter più nulla nel futuro.

 

Abbiamo trovato degli appigli che sono abbastanza chiari.

Questi, nel momento del nostro passaggio davanti al piccolo Guardiano della soglia, ci dicono:

• «Quelle forze ti trascinano in basso,

quindi devi lavorare alla tua volontà, al tuo pensare e al tuo sentire».

 

Possiamo persino essere anche grati a quell’orribile vista che ci capita a quel punto,

poiché ci rende possibile questo voto che possiamo fare a noi stessi.

È qualcosa di ulteriore che appartiene alle esperienze mistiche.

 

Se prima abbiamo potuto caratterizzare come necessario

il sentimento di gratitudine e quello del dovere,

ora dobbiamo anche chiamare “voto mistico” ciò che, in fondo, ognuno fa,

ovviamente, di fronte alla vista delle proprie insufficienze,

la promessa di lavorare, nel futuro, il più possibile alla propria anima,

per riparare a ciò che è successo a causa dei propri peccati di omissione.

 

Allora la vita, grazie a questa solenne promessa, acquista un nuovo senso particolare,

un contenuto che corrisponde, innanzitutto, alla vera conoscenza di sé,

alla concreta autoconoscenza che non solo rimugina in sé, ma lavora al proprio sé.

 

Questa esperienza si può avere in duplice modo. La si ha inizialmente attraverso il fatto di provare tutto ciò che è stato descritto fino adesso. Finché la si vive solo come senso di gratitudine e senso del dovere, si ha il sentimento: «Ti manca qualcosa, ti lega ancora qualcosa all’esistenza dell’effimero, vi è ancora motivo che il divenire del mondo ti passi oltre».

Quando si sente questo, lo si è sperimentato nel proprio corpo astrale.

 

Ma se si prova sempre di continuo un sentimento di gratitudine e un sentimento del dovere, allora essi si trasformano alla fine in una ben determinata visione che ora diventa un’esperienza interiore derivante dal fatto che abbiamo raccolto tanta forza interiore grazie al nostro pensare, sentire e volere mistico, e che il nostro sperimentare astrale si riflette nel nostro corpo eterico o vitale e ci viene riverberato.

 

Abbiamo allora dinanzi a noi, come una realtà esteriore, la nostra propria controimmagine che si stacca, per così dire, da uno sfondo. Lo sfondo ci mostra quanto quelle forze cosmiche esteriori in cui siamo riversati durante il sonno elaborano di luce e di forza nei nostri involucri. Da questo sfondo spicca ciò che noi stessi abbiamo fatto da noi.

 

Come in genere ci si fanno incontro animali, piante e minerali nella realtà esteriore, così ora ci si presenta il nostro proprio sé in forma reale. Ci diventa evidente la nostra interiorità nel mondo esteriore. Prima il nostro sguardo, quando ci immergevamo negli involucri esteriori, veniva distratto dal mondo esteriore. Le impressioni esteriori del mondo dei sensi affluivano su di noi, affinché non potessimo vedere quanto adesso, però, possiamo e dobbiamo vedere, se decidiamo di collaborare al progresso dell’evoluzione dell’umanità.

 

Del tutto simile a come noi di solito vediamo il mondo esteriore,

scorgiamo ora il nostro proprio interno. È ritratto, per così dire, su uno sfondo.

Tutto ciò che ci incatena alla Terra, quanto ci unisce all’effimero,

in modo da doverlo lasciare persino indietro come effimero,

ci si mostra qui in un’immagine ben precisa, nell’immagine deformata di un toro.

 

Questa immagine che, a questo punto, la visione astrale ha,

non possiamo paragonarla con nient’altro che con quella di un toro distorto che ci attira verso il basso.

Tutto quello che in genere crea armonia

tra la nostra volontà e il nostro sentire, nella nostra anima,

ci si presenta, per quel che riguarda i peccati di omissione, nella caricatura di un leone.

 

E tutto ciò che ci passa oltre, quando abbiamo delle omissioni nel nostro pensare,

ci si mostra nell’immagine di un’aquila deforme.

Queste tre immagini sono fuse insieme alla nostra propria immagine deformata.

 

Ci si presenta in immagine quanto abbiamo fatto a partire da noi e ciò che abbiamo da sistemare nel futuro,

affinché vi aggiungiamo tutto ciò che è necessario al divenire universale.

Tre caricature di animali e una di noi stessi.

Dal modo come queste immagini sono in rapporto l’una con l’altra,

emerge la misura di quello che abbiamo ancora da elaborare su di noi.

 

Così il nostro pensare, sentire e volere, quando passiamo davanti al piccolo Guardiano della soglia, sono scissi in tre immagini deformate. Qui abbiamo vera autoconoscenza, poiché ciò che siamo divenuti sta raffigurato di fronte a noi. È una conoscenza di sé spronante per tutta la nostra vita futura. Si potrebbe facilmente indietreggiare di fronte ad essa.

Ma si arretrerà soltanto se si crede che quanto non si vede non esista.

 

Possono esserci tali persone: assomigliano a un uomo che chiude gli occhi davanti a un mattone che gli cade addosso, invece di evitarlo. Per il fatto che l’uomo non abbia la vista, non cambia nulla alle cose; tutt’al più cambia, col fatto che l’uomo fa sì che questo devastatore, non rendendosene egli conto, sia veramente il suo distruttore. Questi uomini non vogliono vederlo.

 

L’unico aiuto, a questo punto, per proseguire è la conoscenza di sé.

Finora sono bastate le forze cosmiche per arginare la deformazione più esteriore della nostra immagine umana.

Nel futuro non saranno più sufficienti. Noi stessi dovremo lavorare su di noi.

Noi stessi siamo il Guardiano della soglia.

 

Noi stessi ci appariamo in immagine deformata come piccolo Guardiano della soglia.

Siamo noi stessi a impedire di poter entrare in noi.

Soltanto questa conoscenza rende possibile che nel futuro,

quando non ci affluirà più la forza necessaria dall’alto,

l’umanità non venga meno nelle sue forze, non diventi sempre più debole,

cioè non adempi la sua missione sulla Terra.

 

Con questo, da un certo lato, siamo giunti attraverso la regione che possiamo chiamare regione della nostra propria vita senziente, in cui ci immergiamo al risveglio.

Ma nella vita ordinaria non ce ne rendiamo conto, poiché la nostra coscienza viene distolta dal fatto che le impressioni del mondo esteriore ci assillano.

 

Ora però abbiam visto ciò che possiamo sperimentare in noi stessi, se al risveglio non le facciamo entrare. Abbiamo caratterizzato dall’interno un pezzo del nostro corpo astrale, una parte del nostro essere umano, il corpo senziente; lo abbiamo caratterizzato in modo che adesso possiamo farci una rappresentazione di come siamo.

Siamo arrivati al confine dove la nostra vita senziente cozza contro il corpo eterico.

Lì ci si è mostrato qualcosa come un’immagine riflessa.

 

La figura deformata che ci si mostra è solo un’immagine, ma non abbiamo più bisogno di sapere come veramente siamo. Se l’uomo vuol sapere come appare la sua faccia, non gli serve proprio a niente la discussione riguardo al fatto se l’immagine che vede allo specchio sia un’illusione o una realtà.

 

Per chi vuol vedere il suo volto, gli basta e avanza l’immagine; essa serve al suo scopo, ha un reale valore. Se arrivasse un filosofo e dicesse: «Sappiamo che quanto qui ci racconti dell’animale a tre teste con l’uomo al centro è soltanto un’immaginazione», allora noi risponderemmo: «È, nel medesimo senso, solo un’immagine riflessa che viene mandata di qua dal corpo eterico o vitale, come l’immagine che riflette lo specchio esteriore, ma ci è utile all’autoconoscenza, e lì c’è la sua realtà».

 

I motivi che una filosofia esteriore può addurre per controbattere la realtà di quanto sperimenta la coscienza chiaroveggente, il chiaroveggente li conosce già da sé. L’errore comincerebbe solo se il chiaroveggente ritenesse l’immagine riflessa una realtà, se egli non sapesse che tale immagine mostra la propria interiorità e credesse che lì gli si avvicina davvero un essere a quattro teste. Se egli pensasse che l’immagine riempia lo spazio allo stesso modo di un essere fisico, assomiglierebbe a un uomo che vede il suo naso allo specchio e, poiché non gli piace, comincia a colpire l’immagine speculare credendo di colpire qualcosa di reale.

 

Questo è quanto si deve far proprio se si vuole ascendere ai mondi superiori: le cose non sono da considerare come qualcosa di diverso da quello che sono realmente. Non appena si ritiene l’immagine riflessa come qualcosa che riempie lo spazio e non come ciò che è, si ricade nell’illusione. Ma non si è nemmeno una persona che si abbandona ad allucinazioni, se si comprende giustamente l’immagine, se si sa che vien incontro il proprio sé in tale immagine riflessa.

 

Perciò è molto importante che l’uomo,

prima di iniziare a penetrare il mondo spirituale attraverso la visione,

acquisisca la possibilità di riconoscere e comprendere con assennatezza le cose nel loro reale valore.

 

Per questo motivo, non si deve rendere chiaroveggente nessuno che prende per una realtà dello spazio fisico qualcosa che è soltanto un riflesso e che potrebbe scambiare delle immagini riflesse dell’anima per entità spirituali. Perciò viene attribuita grande importanza che in un vero e autentico addestramento spirituale nessun altro debba entrare se non chi abbia un pensare sano e assennato, affinché sia in grado di valutare sempre il significato di ciò che vede.

 

Non è soltanto la visione che conta, bensì l’imparare a valutare quello che si vede,

in modo da poterlo distinguere e riferirlo giustamente alla realtà che rappresenta.

 

Noi arriveremo anche a entità che stanno veramente fuori di noi, ma quanto oggi abbiamo descritto – ce ne dobbiamo rendere conto – sono esperienze della nostra propria interiorità che ci appaiono come immagini riflesse; vale a dire, il nostro proprio elemento interiore ci si presenta come un mondo esteriore.

 

La via dell’autoconoscenza e dell’approfondimento mistico conduce a reali esperienze; ma queste diventano allucinazioni non appena l’uomo ricerca la contemplazione mistica e si immagina che le figure che gli appaiono siano al di fuori di lui stesso, nello spazio, e non vede che sono immagini riflesse della propria interiorità.

 

Entità che riempiono davvero lo spazio e stanno fuori di noi,

l’uomo le incontra solo se scende fin dentro il suo corpo eterico o vitale,

sulla via che conduce davanti al grande Guardiano della soglia.