Le conoscenze scientifico-spirituali e il linguaggio del pensare logico

O.O. 119 – Macrocosmo e microcosmo – 29.03.1910


 

Chi vuole attraversare uno sviluppo superiore

deve impegnare un certo tempo all’addestramento del pensare logico;

ma poi deve poter abbandonare di nuovo tutto questo per giungere quindi al pensare del cuore.

 

Della sua disciplina logica gli resta un’attitudine alla coscienziosità riguardo a ciò che deve ritenere come verità nei mondi superiori. Chi è passato per questo addestramento non riterrà per vera ogni illusione o interpreterà in qualche modo un qualsiasi simbolo come una reale immaginazione, ma avrà la forza interiore di avvicinarsi alla realtà e di vederla e spiegarla in senso corretto. Proprio per questo è necessaria una preparazione così sottile e accurata, perché si deve arrivare di nuovo a un sentire immediato; perciò si deve avere un sentimento se una cosa sia vera o falsa. Per l’esattezza deve accadere quanto segue.

 

Mentre nella vita ordinaria si fanno delle riflessioni, nei confronti delle cose superiori si deve aver esercitato la propria anima in modo da poter decidere direttamente davanti ad esse ciò che è vero o falso.

 

Inoltre è una buona preparazione per una tale diretta decisione se si acquisisce un po’ di ciò che nella vita abituale è presente solo in misura ben modesta. Nella vita ordinaria la maggior parte delle persone proverà parecchio dolore, magari lanciando anche un urlo, se la si punge con uno spillo o se si rovescia dell’acqua molto calda sulla testa o in casi analoghi. Ma chiediamoci un po’ quanti sono quelli che provano qualcosa di simile al dolore, quando qualcuno sostiene qualcosa di stolto, di assurdo. Per molti è una cosa ben sopportabile. Chi però si vuole sviluppare fino a quel sentimento immediato di cui abbiamo appena parlato – così che di fronte al mondo immaginativo possa avere l’esperienza diretta: questo è vero e questo è falso –, deve esercitarsi in modo tale che un errore gli faccia veramente male, arrechi dolore, e la verità che gli viene incontro gli procuri piacere e gioia già qui nella vita fisica.

Tuttavia imparare questo è stancante e faticoso a prescindere da tutto il resto; a ciò è collegato, in certo modo, la fatica estenuante della preparazione per entrare nei mondi superiori. Certamente è qualcosa di più comodo per la nostra salute passare indifferenti davanti ad errore o verità, piuttosto che provare dolore con l’errore e piacere con la verità. Oggi si hanno molte occasioni, se si prende in mano questo o quel libro o qualche pagina di giornale, di sentire dolore per le sciocchezze che vi si trovano. Fa parte dell’allenamento di colui che vuole imparare da sé il pensare del cuore, che vuole poi alzarsi al gradino su cui ha un tale immediato sentimento di fronte a un’immaginazione, come è stato descritto, sentire sofferenza e dolore davanti al non vero, al brutto, al male, anche se non viene inflitto a noi stessi, e di provare piacere di fronte al bello, al vero, al buono, anche se non ci riguarda affatto di persona.

 

Rientra però nella preparazione ancora qualcos’altro, quando si sale nel mondo immaginativo. Se si sente in immagini ciò che fa parte di un mondo superiore, si deve acquisire ancora qualcosa che normalmente nella vita non si ha: si deve imparare a pensare in modo nuovo su ciò che nella vita ordinaria si chiama contraddizione o su qualcosa di concordante.

 

Alcuni, nella vita abituale, quando viene sostenuto questo o quell’argomento, sentiranno che due affermazioni si contraddicono l’un l’altra. Anche se non riflettiamo al detto banale: «Se due dicono la stessa cosa, la cosa non è la stessa», tuttavia già nella vita ordinaria ci può venire incontro il fatto che due persone nelle stesse condizioni sperimentino qualcosa di completamente diverso. L’esperienza che uno descrive può essere del tutto diversa da quanto l’altro sostiene, anche se è avvenuta con le stesse condizioni; eppure entrambi possono avere ragione dal loro punto di vista. Supponiamo che uno ci racconti: «Sono stato in un luogo in cui l’aria era salubre; lì ho ripreso vigore, ora sono di nuovo in forma». Noi lo ascoltiamo e dobbiamo innanzitutto credergli. Poi arriva un altro che giunge dallo stesso luogo e dice: «Sì, questo luogo non vale proprio nulla, vi ho perso completamente le forze, mi sono molto indebolito; è un luogo assai malsano». Gli possiamo solo di nuovo credere. In fondo, possono aver ragione entrambi. Ammettiamo che il primo sia un uomo robusto, soltanto spossato e stanco; egli può sentire l’aria pungente come particolarmente rinfrescante. Ma supponiamo che in quel luogo giunga un uomo malaticcio, un uomo che non può sopportare proprio l’aria fresca. Egli deperisce più che mai, sta male con ciò che per l’altro è salutare. Tutt’e due hanno ragione, poiché entrambi sono giunti in quel luogo con differenti condizioni preliminari. Queste affermazioni contrapposte si possono conciliare, se si tiene conto di tutte le cose già nella vita abituale.

 

Ma se si sale nei mondi superiori le cose diventano molto più complicate. Qui succede, ad esempio, che qualcuno senta una qualche asserzione, diciamo, in una conferenza, riguardo a questa o a quella cosa, e in un’altra ne senta qualcosa di apparentemente diverso, e a tale questione addotti il criterio che normalmente si applica nella vita e dica: «Sì, una di queste cose non può essere vera, perché un’affermazione contraddice l’altra». Vorrei riallacciarmi direttamente a qualcosa di molto vicino: qualcuno ha udito in uno dei miei precedenti cicli di conferenze l’affermazione che, quando l’uomo discende verso una nuova nascita, sia da osservare come egli, per così dire, percorra a grande velocità lo spazio astrale cercando il luogo dove vuole incarnarsi.

 

Questa osservazione che si può senz’altro fare, è stata citata una volta nel corso di un ciclo di conferenze. Nell’attuale ciclo è stato detto che l’uomo partecipa già da molto, molto tempo a ciò che riceve poi, nella nascita, come sue caratteristiche ereditarie, egli collabora alle qualità che alla fine trova nella famiglia e nel popolo in cui viene a nascere. Se si vuole esprimere un giudizio su qualcosa nel modo consueto, ovviamente in queste esposizioni si può trovare con facilità qualcosa di contradditorio. Tuttavia sia l’una che l’altra affermazione sono esperienze reali. Dato che non è sempre possibile raccontare tutto, naturalmente, descrivendo un’esperienza, non si può descrivere sempre anche ciò che vi corrisponde dall’altro lato. Entrambe le affermazioni sono giuste. Volendo fare un paragone, si può risolvere la contraddizione nel modo seguente. Avrete forse fatto esperienza del fatto che qualcuno, ad esempio, si sia accuratamente dedicato a una cosa per cinque o sei giorni e al settimo giorno non riesca più a trovarla. Allora deve cercare in giro per la stanza dove l’abbia messa. Qui possiamo effettivamente vedere come per cinque o sei giorni egli si prepari quella cosa con molta precisione e come al settimo ricerchi la stessa cosa che aveva preparato. Qualcosa di simile avviene nei mondi superiori. Si svolge proprio una simile preparazione dell’incarnazione; ma poiché le esperienze sono molto complicate, è possibile che l’uomo, direttamente nel momento in cui discende dai mondi superiori e si vuole unire con il corpo fisico e il corpo eterico, li debba cercare, poiché subentra una specie di oscuramento della coscienza. E per questo l’uomo con un grado inferiore di coscienza deve cercare ciò che si è preparato con un grado più elevato di coscienza.

 

Con un esempio di questo genere vediamo che può essere necessario qualcosa quando si sale in questi mondi superiori: si deve sempre metter in conto il fatto che nel mondo delle immaginazioni questa o quella cosa si presenta in una determinata immagine. Se si è acquisito un sentimento abbastanza forte da poter concordare con la verità dell’immagine a partire dal pensare del cuore, può avvenire, se in un momento diverso si persegue un’altra via, che si giunga poi a un’altra immaginazione che sembra del tutto diversa; e di nuovo parla il sentimento immediato che dice: «Questo è vero». Ciò ovviamente, per chi entra nel mondo superiore, nel mondo dell’immaginazione, rappresenta in un primo momento qualcosa che confonde. Ma tale confusione si dissolve per il fatto che se ne è richiamata l’attenzione al momento necessario.

 

Si otterrà la giusta posizione, il giusto rapporto con tutta questa faccenda, se si cerca il proprio stesso Io nel mondo immaginativo. Abbiamo descritto come stando al di fuori del proprio Io si guardi indietro allo stesso. Nel passaggio davanti al Guardiano della soglia lo si ha obiettivamente davanti a sé; ma si può cercare una volta questo Io, lo si può ricercare una seconda, una terza volta, e si arriva sempre a differenti immagini. Se ci si avvicinasse a questa cosa con le pretese a cui siamo abituati nel mondo fisico, si potrebbe arrivare a un’estrema confusione e dire: «Mi sono reso conto di come sono nel mondo superiore; una seconda volta mi sono ritrovato e sono qualcosa di completamente diverso, e una terza volta ancora qualcosa di diverso». È proprio così. Le cose stanno in questo modo: nel momento in cui si entra nel mondo immaginativo grazie a quell’addestramento che abbiamo descritto e si vede in immagine il proprio Io, ci si deve render conto del fatto che si possono vedere dodici immagini diverse del proprio Io.

 

Vi sono dodici differenti immagini del singolo Io.

E in fondo, soltanto quando si è guardato indietro a se stessi da dodici punti di vista diversi assunti stando al di fuori del proprio Io, si è compreso il proprio Io pieno. Con questa visione dell’Io dall’esterno le cose stanno esattamente come qualcosa che si riflette nel rapporto delle dodici costellazioni dello zodiaco con il Sole. Come il Sole passa attraverso le dodici costellazioni e in ognuna possiede una forza diversa, come in primavera appare in una determinata costellazione e poi continua a spostarsi percorrendo nel corso di un anno le dodici costellazioni e illuminando la nostra Terra da dodici posizioni differenti, così anche l’Io umano irraggia da dodici diversi punti di vista, si illumina da dodici prospettive diverse, quando guarda indietro dal mondo superiore.

 

Per questo dobbiamo dirci: nell’ascesa verso i mondi superiori è necessario non accontentarsi di un unico punto di vista. A tal fine occorre esercitarsi per essere in grado di evitare l’imbroglio. E lo si può fare solo se ci si abitua già nel mondo fisico al fatto che il considerare unilateralmente da un solo punto di vista non rappresenta l’unico salvataggio della vita umana. Fra gli uomini del nostro tempo attuale ve ne sono di quelli che sono materialisti, altri che sono spiritualisti, altri monisti e altri ancora monadisti. I materialisti sostengono che tutto sia materia con le relative leggi. Gli spiritualisti affermano che tutto sia spirito e danno importanza solo allo spirito. I monisti asseriscono che si debba spiegare tutto a partire dall’unità. E i monadisti cercano di spiegare la molteplicità dei fenomeni dalla collaborazione di molti elementi singoli. Gli uomini continuano a litigare e intavolano discussioni nel mondo esteriore, i materialisti contro gli spiritualisti, i monisti contro i monadisti o contro i dualisti. Litigano e magari si azzuffano.

 

Chi però si vuole preparare a una vera conoscenza dei mondi superiori deve dirsi: il materialismo ha una certa giustificazione. Dobbiamo acquisire questo pensare in leggi materiali, ma applicandolo solo al mondo materiale; con queste leggi comprendiamo quest’ultimo, ma non il mondo spirituale. Dobbiamo comprendere il mondo materiale con leggi materiali, altrimenti non possiamo venirne a capo; e chi vuole spiegare in modo diverso il mondo materiale non andrà lontano. Se ad esempio qualcuno vuole spiegare un orologio dicendo che dentro vi siano due piccoli demoni che fan muovere le lancette in avanti e di non credere al meccanismo interno, noi lo derideremmo. Così è anche pienamente legittima la spiegazione che i movimenti esteriori delle stelle procedono secondo leggi meccaniche. L’errore dei materialisti non sta nel fatto che tale spiegazione sia falsa, ma nel fatto che essi ritengano di poter spiegare tutto il mondo in questo modo. Haeckel, ad esempio, non fa un errore per il fatto di spiegare la morfologia con leggi materialistiche; con ciò ha fatto cose grandi e preziose per l’umanità. L’errore del modo di pensare materialistico consiste nel trasferirlo a tutto, anche allo spirituale.

 

Dobbiamo quindi dire: è utile acquisire il pensare materialistico, ma è necessario sapere che esso ha giustificazione solo per un determinato ambito. Tanto quanto il modo di pensare materialistico è legittimo per il campo materiale, lo è però anche l’acquisizione di un pensare spirituale per la sfera spirituale. Ciò che procede secondo leggi della spiritualità, non può essere spiegato con leggi meccaniche. Se qualcuno dice: «Tu arrivi qui con una particolare psicologia che dovrebbe avere le sue proprie leggi; io però so che nel cervello vengono attuati certi processi che spiegano il pensare!», allora dobbiamo dire che egli nella spiegazione del pensare frammischia elementi di natura diversa che sono validi per un altro campo.

 

Egli fa lo stesso errore di colui che vuole spiegare lo spostarsi in avanti delle lancette dell’orologio con l’agire di due demoni. Come non lo si può fare, così anche il pensare non si può spiegare con dei processi nel cervello. Oppure chi vuole spiegare la stanchezza che insorge la sera dicendo che si accumulano delle sostanze tossiche, vuol dare una spiegazione che è corretta per l’ambito esteriore; per l’interiorità non spiega proprio nulla, poiché dobbiamo illuminare la questione dall’altro lato, dal lato delle esperienze animiche. È così anche con il monismo. È senz’altro giusto, se si cerca di spiegare il mondo dal lato dell’armonia, dover arrivare a un’unità; però è un’unità astratta e ci si impoverisce, poiché se si vuole ricondurre tutto a un’unità astratta, come fanno diversi filosofi, alla fine non si ha proprio più nulla.

 

Ho conosciuto un signore intelligente che si prefiggeva solo di spiegare tutto il mondo, in modo logicamente monistico, con un paio di frasi. Un giorno venne da me estremamente felice, dicendo: «Ho due semplici affermazioni con cui spiego tutta la faccenda». Con “faccenda” intendeva il mondo intero. Era molto contento di poter riassumere con due astratte proposizioni di pensieri i fenomeni di tutto il mondo. Questo è qualcosa che mostra l’unilateralità di una spiegazione monistica. Il monismo dev’essere qualcosa che ci aleggia davanti come una grande meta, in modo che tutti i pensieri relativi alla spiegazione del mondo si accordino alla fine tra loro in una grande armonia. Il monismo va integrato con il pensiero monadistico, in quanto si prendono le mosse dai diversi punti per arrivare infine all’unità.

 

Strisciando, per così dire, dentro ai più diversi punti di vista, ci si abitua a scoprire l’elemento oggettivamente legittimo di ogni prospettiva. Grazie alla visione delle cose dai più differenti punti di vista, ci si educa a raggiungere quanto è necessario per osservare nei mondi superiori anche il proprio Io sotto i profili più diversi. Non è mai abbastanza, quando ci si vuole preparare. Ma nel tempo attuale vi è realmente poca comprensione per un simile inserimento nell’elemento obiettivo e spassionato dei diversi punti di vista. Chi ha provato oggettivamente a penetrarvi, proprio oggi può saperne qualcosa di come il mondo si comporti in modo strano se si tenta di rinnegare la prospettiva della mera opinione personale, penetrando nel modo di pensare di un’altra.

 

Io stesso ho per esempio cercato di descrivere Nietzsche, non come corrisponde alla mia opinione – che cosa mai interessa al mondo la mia opinione personale su di lui –, ma come lo si deve descrivere se, per così dire, si fuoriesce da se stessi e si entra in lui. Le persone che hanno letto questo, quando apparve il mio successivo libro, se la sono presa con me dicendo che ero incostante. Non potevano comprendere che non occorre essere seguace di Nietzsche, quando si descrive il suo punto di vista in modo positivo a partire dalla sua interiorità. La stessa cosa successe quando scrissi su Haeckel; ognuno deduceva: «Chi ha scritto questo libro è un haeckeliano».

 

È qualcosa che si deve necessariamente acquisire: poter uscir fuori da se stessi, descrivere obiettivamente e vedere, per così dire, con gli occhi di un altro, da un punto di vista differente. Allora soltanto emerge quanto conduce realmente alla piena verità. È come quando non si guarda un cespuglio di rose soltanto da un lato, ma una volta ci si mette qui, una volta da un’altra parte e lo si guarda o fotografa da tutti i lati.

In tal modo ci si esercita per giungere alla possibilità di avere realmente anche ciò che si deve avere, non appena si entra nei mondi superiori. Ci si può abituare un po’ nel mondo fisico. Se si entra nei mondi superiori con un punto di vista personale, questo agisce in modo sconcertante. Si ha allora immediatamente davanti a sé un’illusione invece della verità, poiché si porta dentro la propria opinione personale.

 

Per arrivare al pensare del cuore dobbiamo avere la forza di uscire da noi stessi,

di divenire realmente del tutto estranei a noi stessi e di guardare indietro a noi stessi da fuori.

 

Chi è nella coscienza normale sta in un determinato posto e sa che quando dice: «Questo sono io!», intende la somma di ciò che crede, di ciò che sostiene. Chi però sale nei mondi superiori deve essere in grado di lasciare al suo posto la propria personalità ordinaria, deve poter uscire da se stesso, guardare indietro a sé e con lo stesso sentimento poter dire: «Questo sei tu!». L’io di prima deve diventare del tutto giustamente un tu.

 

Come a un altro si dice “tu”, così si deve poter dire “tu” a se stessi.

Questa non può essere una teoria, ma deve diventare un’esperienza. Abbiamo già visto che questa esperienza si ha da raggiungere grazie a una determinata disciplina. Non ci vuole molto, si devono fare cose relativamente semplici; allora si acquisisce il diritto di poter pensare con il cuore. Le vere descrizioni dei mondi superiori scaturiscono da un simile pensare del cuore. Anche se spesso esteriormente sembrano come delle considerazioni logiche, nelle esposizioni che vengono realmente portate giù dai mondi superiori non vi è nulla che non sia pensato con il cuore. Quanto viene qui descritto dal punto di vista della scienza dello spirito è un’esperienza vissuta con il cuore. Colui che deve descrivere quanto sperimenta con il cuore deve tuttavia riversarlo in forme di pensiero tali che siano comprensibili agli altri.

 

Questa è la differenza tra la vera scienza dello spirito e ciò che è mistica sperimentata soggettivamente. Ognuno può avere per se stesso una mistica sperimentata soggettivamente; questa si isola nell’ambito della personalità, non si lascia comunicare ad altri, in fondo non riguarda l’altro. Quanto invece è vera, autentica mistica, è sorta dalla possibilità di avere immaginazioni, di avere impressioni nei mondi superiori e di poter classificare, ordinare tali impressioni con il pensare del cuore, così come nel mondo fisico si ordinano le cose con l’intelligenza.

 

A ciò tuttavia è connesso dell’altro, ossia il fatto che a quelle verità che sono date dai mondi superiori, in effetti, qualcosa è attaccato come sangue del cuore, ed esse hanno la colorazione del pensare del cuore. Per quanto si presentino astratte e siano così tanto riversate in forme di pensiero, dipende dal sangue del cuore, poiché sono direttamente sperimentate partendo dall’anima. Dal momento in cui il pensare del cuore è sviluppato, l’uomo che giunge nel mondo immaginativo sa che quanto ha davanti a sé e sembra una visione, non è una visione, ma è espressione di un animico-spirituale che vi sta dietro, allo stesso modo in cui il colore rosso della rosa qui è l’espressione esteriore della rosa materiale.

Chi guarda spiritualmente rivolge l’occhio spirituale al mondo immaginativo, ha l’impressione del blu o del violetto, o gli risuona dall’oscurità del mondo immaginativo un suono qualsiasi, oppure ha una sensazione di caldo o freddo, e sa grazie al proprio pensare del cuore che ciò non è mera immaginazione, non è mera visione, bensì espressione di un essere animico-spirituale, come il rosso della rosa è l’espressione della rosa materiale. Così ci si familiarizza con le entità; si deve uscire da sé e unirsi alle entità stesse.

 

Perciò ogni ricerca nel mondo spirituale

è allo stesso tempo legata con l’abbandono della propria personalità,

in grado molto più elevato rispetto a quanto avviene nelle esperienze esteriori.

Si viene portati a partecipare in modo più intenso, si sta entro le cose stesse.

 

Ciò che esse hanno di buono o di cattivo, di bello o di brutto, di vero o di falso, va sperimentato nelle entità. Dove un’altra persona reputa un insignificante errore nel mondo fisico, il ricercatore dello spirito deve non solo ritenerlo errore nel mondo immaginativo, ma sperimentarlo con dolore. Egli non deve solo guardare il brutto, il ripugnante come se non gli facesse nulla, ma deve sperimentarlo interiormente. Grazie alla formazione descritta, particolarmente adeguata all’umanità attuale, egli arriva ad essere partecipe del buono, del vero e del bello, ma anche del cattivo, dell’errato e del brutto, senza venirne imprigionato o smarrirsi, poiché il pensare del cuore acquisito tramite giusta preparazione lo porta a poter distinguere grazie al sentimento immediato.

 

Chi descrive a partire da questo mondo spirituale, deve utilizzare il linguaggio del pensare logico. Se si vuole riversare in pensieri logici ciò che viene sperimentato nel mondo spirituale, si avverte grossomodo come se ci si avvicini a un’altura che mostra una meravigliosa configurazione di formazione rocciosa e si debba spaccarne delle rocce poiché occorrono per costruire delle case per le persone. Si sente in questo modo, quando si deve trasformare le esperienze fatte nel mondo spirituale in pensieri logici dell’intelletto. Come un uomo nel mondo abituale deve esprimere con parole quanto sperimenta nell’anima, se vuole comunicarlo ad altre persone – e come le parole non possono essere scambiate per i pensieri –, così il ricercatore spirituale, se vuole comunicare quanto ha sperimentato con il cuore, deve rivestirlo col linguaggio del pensare logico.

 

Il pensare logico non è la cosa stessa, il pensare logico è solo il linguaggio con cui il ricercatore dello spirito comunica ciò che ha sperimentato nei mondi spirituali. Chi si urta per la forma dei pensieri logici e non sente che c’è di più dietro, è nella stessa situazione di un ascoltatore che sente solo le parole di un relatore e non accoglie i pensieri riversati dentro. Quando qualcuno riveste presunte verità scientifico-spirituali con tali pensieri, può essere colpa di colui che parla il fatto che l’ascoltatore non vi trovi dentro alcuna verità, né conoscenze del cuore. Ma non è necessariamente così, può anche essere colpa di chi ascolta, se costui coglie solo il suono delle parole e non è in grado di arrivare ai pensieri che vi stanno dietro.

 

A partire da questa ricerca del cuore può venir comunicato all’umanità soltanto ciò che può essere riversato in pensieri logici chiaramente formulati. Quanto non può essere riversato in pensieri logici, non è ancora maturo per essere comunicato all’umanità. Questa è la pietra di paragone: che possa essere riversato in parole chiare, in pensieri chiaramente formulabili, che hanno contorni nitidi. Così, anche quando udiamo le più profonde verità del cuore, dobbiamo abituarci a percepirle in forme di pensiero, e dietro tali forme badare al contenuto.

 

Lo scienziato dello spirito deve abituarsi a questo, se vuole realmente contribuire alla diffusione nell’umanità di ciò che può essere rivelato a partire dallo spirito. Sarebbe un egoismo se qualcuno volesse avere delle personali esperienze mistiche valide solo per lui. I risultati della vera ricerca mistica devono diventare patrimonio comune dell’umanità ed essere divulgati sempre più nel futuro, esattamente come quelli della ricerca intellettuale. Solo se saremo in grado di accogliere in questo senso le rivelazioni della vera ricerca mistica, possiamo comprendere la missione della scienza dello spirito per l’umanità.