Le correnti migratorie di Atlantide

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 01.09.1910


 

La catastrofe atlantica.

Quando questa si abbatte gradatamente su territori sempre più estesi, gli abitanti dell’antico continente atlantico migrarono da ponente verso levante. In quella migrazione si possono distinguere essenzialmente due correnti: una più settentrionale, l’altra che si diresse più a sud. Abbiamo quindi una vasta corrente della popolazione atlantica che giunse fino all’Asia, attraverso l’Europa, espandendosi poi nelle regioni circostanti al Mar Caspio. Un’altra corrente invece attraversò quella che oggi è l’Africa. Le due migrazioni si ricongiunsero poi in certo senso nel cuore dell’Asia, come due correnti che formano un vortice.

 

A questo punto dovremo interessarci soprattutto del modo di vedere le cose, dell’atteggiamento generale delle anime di quei popoli, o almeno delle loro masse principali che dall’antica Atlantide si spinsero verso oriente.

In realtà nei primi tempi dell’epoca postatlantica l’atteggiamento psichico era ben diverso da quello dei tempi successivi, e soprattutto dal nostro.

 

In tutti quei popoli era ancora presente una facoltà di percezione più o meno chiaroveggente.

Gli uomini di allora potevano ancora per così dire vedere il mondo spirituale, e perfino ciò che oggi viene percepito fisicamente veniva veduto in modo più spirituale.

Esistevano dunque forme di vita e di esperienza piuttosto chiaroveggenti.

 

Particolarmente importante è però il fatto che quella chiaroveggenza dei più antichi popoli postatlantici era sotto certi aspetti diversa dalla chiaroveggenza della popolazione atlantica stessa, all’apogeo della sua civiltà.

In questo periodo la facoltà chiaroveggente era talmente sviluppata che gli uomini percepivano limpidamente il mondo spirituale, le cui rivelazioni suscitavano nelle anime umane degli impulsi verso il bene.

Si potrebbe anzi affermare che nel tempo della massima fioritura della civiltà atlantica, chi era capace di percepire di più del mondo spirituale riceveva un maggiore impulso verso il bene, e uno minore chi vedeva meno.

 

Le condizioni della Terra si trasformarono però in modo che già verso la fine dell’epoca atlantica, e ancor più in quella postatlantica, proprio gli aspetti migliori dell’antica chiaroveggenza andarono sempre più sparendo.

• Avevano conservato i lati migliori della chiaroveggenza atlantica solo coloro che seguivano una particolare disciplina nelle sedi dell’iniziazione.

Invece i residui spontanei della chiaroveggenza atlantica assunsero nel corso dei tempi un carattere deteriore.

 

Si può affermare che chi era dotato di tali residui percepiva molto facilmente le potenze malefiche, tentatrici; lo sguardo umano chiaroveggente era divenuto gradualmente incapace, troppo debole per percepire le forze buone, mentre l’umanità aveva conservato la facoltà di vedere ciò che può essere agente di tentazione, di seduzione.

E in certe regioni la popolazione postatlantica era in possesso di forme davvero dannose di chiaroveggenza, forme che di per se stesse rappresentavano già una seduzione.

 

A questo declino della forza chiaroveggente andava congiunta una fioritura, uno sviluppo graduale della percezione sensoriale, quale noi la consideriamo normale per l’umanità di oggi.

Le cose che gli uomini dell’età postatlantica più antica vedevano con gli occhi, e che con gli occhi scorge anche l’uomo d’oggi, a quei tempi non erano affatto seducenti, in quanto non esistevano ancora le corrispettive forze seduttrici nell’anima.

 

L’uomo postatlantico non si sentiva particolarmente attratto, o sedotto, da oggetti esterni, neppure da quelli che oggi tenterebbero grandemente l’uomo alla ricerca del piacere.

Si sentiva invece tentato quando metteva in funzione i residui dell’antica chiaroveggenza.

Egli stentava ormai a percepire gli aspetti migliori del mondo spirituale, mentre agivano potentemente su di lui l’elemento luciferico e quello arimanico, ed egli poteva scorgere le forze e le potenze capaci di tentarlo e d’ingannarlo.

 

Con le sue antiche forze ereditarie di chiaroveggenza l’uomo percepiva dunque le forze luciferiche e arimaniche.

Era quindi importante che le guide dell’evoluzione umana, che traevano dai misteri la saggezza necessaria per dirigere l’umanità, provvedessero a che gli uomini, malgrado quello stato di cose, potessero ugualmente progredire sempre più verso il bene e la chiarezza.

 

Ora, gli uomini che dopo la catastrofe atlantica si erano spinti verso oriente si trovavano a gradi molto diversi di evoluzione.

Si può dire che quanto più avanti ci si spostava verso oriente, tanto più elevato era il livello morale e spirituale delle popolazioni.

In certo senso, la nuova percezione esteriore veniva creando come un mondo nuovo che si mostrava con sempre maggiore chiarezza; in misura sempre maggiore agiva sugli uomini la grandezza e la magnificenza del mondo sensibile esterno.

Questo soprattutto quando si prendano in considerazione i popoli che si erano spinti più avanti, verso oriente.

 

Forti disposizioni in questo senso possedevano soprattutto i popoli che si erano stabiliti a nord dell’attuale India, fino al Mar Caspio, e lungo i fiumi Oxus ed Axiartes.

In quelle regioni dell’Asia centrale si era stabilita una mescolanza di popoli, capaci di fornire il materiale per diverse correnti etniche che più tardi si sparsero in diverse direzioni; fra queste, anche il popolo paleoindiano della cui concezione spirituale del mondo abbiamo spesso parlato.

 

Là nel centro dell’Asia, in quel miscuglio di popoli, il senso per la realtà esteriore era già molto sviluppato poco dopo la catastrofe atlantica e in parte già durante quel periodo.

D’altra parte gli uomini incarnati in quella regione possedevano ancora un ricordo vivace, una specie di conoscenza mnemonica delle esperienze fatte nel mondo atlantico; questa caratteristica fu più che altrove spiccata presso le popolazioni che si spinsero giù verso l’India.

 

Queste apprezzavano bensì grandemente lo splendore del mondo esterno, ed erano più progredite delle altre nell’osservare le percezioni sensoriali, ma al tempo stesso era in loro più sviluppato il ricordo delle antiche percezioni spirituali dell’epoca atlantica.

Per questa ragione in quel popolo si sviluppò una grande attrazione per il mondo spirituale, del quale ci si ricordava, e una facilità di gettarvi nuovamente lo sguardo; contemporaneamente si acquistò il sentimento che quanto percepivano i sensi esteriori fosse maya o illusione.

 

Appunto perciò il popolo indiano antico non prestava tanta attenzione al mondo esterno, faceva di tutto (mediante uno sviluppo artificiale, lo yoga) per risollevarsi fino ai contenuti che l’uomo dell’epoca atlantica poteva ricevere direttamente dal mondo spirituale.

Questa caratteristica di sottovalutare il mondo esterno, considerandolo illusorio, e di sviluppare invece la tendenza verso lo spirituale, era meno spiccata presso i popoli che rimasero stabiliti a nord dell’India; si trattava però di un miscuglio di popolazioni in una situazione tragica.

 

• Il popolo paleo-indiano era predisposto per natura a saper compiere con facilità una certa disciplina yoga, grazie alla quale poteva risalire alle regioni spirituali da lui conosciute durante l’epoca atlantica. Era facile per lui superare quello che credeva di dover considerare illusione: lo superava con la conoscenza.

Per lui, conoscenza suprema era questa: il mondo dei sensi è un’illusione, è maya; se però ti sforzi di sviluppare la tua anima, puoi raggiungere il mondo che sta dietro a quello dei sensi. L’indiano superava dunque mediante un processo interiore ciò che considerava maya, cioè l’illusione che appunto si proponeva di superare.

 

Le cose stavano in modo diverso presso i popoli stabiliti più a nord, che nella storia vengono poi chiamati gli Arii in senso più stretto, cioè i Persiani, i Medi, i Battriani, ecc. Anche fra loro era fortemente sviluppato il senso dell’osservazione esteriore, la tendenza verso l’intelletto rivolto al mondo esterno.

Era invece scarsamente presente l’impulso a raggiungere mediante una disciplina interiore del tipo dello yoga ciò che l’uomo atlantico aveva posseduto in modo naturale.

Presso quei popoli nordici il ricordo vivo dell’esperienza atlantica non era tanto forte da spingerli a voler superare con la conoscenza l’illusione del mondo esterno; il loro stato d’animo era diverso da quello dei paleo-indiani.

 

Si potrebbe esprimere così, nel nostro linguaggio odierno, lo stato d’animo proprio di ogni singolo membro del popolo iraniano, persiano o medo: se in passato noi uomini ci trovammo all’interno del mondo spirituale, sperimentando le vicende animiche o spirituali, mentre adesso ci troviamo trasposti nel mondo fisico che percepiamo con gli occhi, che comprendiamo con l’intelletto legato al cervello, la ragione di tutto questo non si trova solo nell’uomo; e non si ottiene gran che, superandola solo nell’interiorità umana.

L’uomo dell’Iran avrebbe detto: se gli uomini sono discesi nel mondo fisico,deve essere cambiato qualcosa nella natura e in tutto quel che si trova sulla Terra, e non solo nell’uomo; perciò non può bastare che noi uomini lasciamo tale e quale tutto quanto ci circonda, limitandoci a chiamarlo maya o illusione, e rifugiandoci su nel mondo spirituale.

Così facendo, cambiamo bensì noi stessi, ma non tutto quello che si è cambiato nel mondo circostante.

 

Non diceva dunque: là fuori si stende la maya, ma io la supererò, e superandola in me raggiungerò il mondo spirituale.

Il suo atteggiamento si potrebbe esprimere piuttosto in questo modo: l’uomo non è che una parte di tutto il mondo ambiente.

Se si vuol trasformare ciò che nell’uomo è divino ed è disceso da altezze divino-spirituali, non basterà il cercare di riportare indietro quel che sta entro l’uomo, ma occorrerà riportare indietro anche ciò che si trova nel nostro ambiente.

Era un atteggiamento che conferiva a quei popoli l’impulso a intervenire con particolare energia nella trasformazione ed elaborazione del mondo.

 

• Mentre in India si diceva che il mondo è decaduto e quello che esso offre ora non è che maya, più a nord si precisava: certo, il mondo è decaduto, ma noi dobbiamo trasformarlo in modo che ridiventi spirituale.

Il carattere fondamentale del popolo indiano era la meditazione, era il meditare sulla conoscenza; quanto al mondo, quel popolo se la sbrigava chiamando maya o illusione la percezione dei sensi.

Il carattere fondamentale del popolo iraniano e degli altri popoli nordici era invece quello dell’attività, dell’energia, della volontà di trasformare la natura esterna.

Essi dicevano: quel che ci circonda è disceso dal divino, e l’uomo è chiamato a ricondurlo al divino.

 

Questo tratto fondamentale del carattere degli iraniani fu portato alla sua espressione più alta e sviluppato con la massima energia dalle guide spirituali provenienti dai misteri.