Le esperienze del sonno nell’uomo preannunziano le esperienze dopo la morte. Oggi il Cristo è la sola guida nel dopo-morte

O.O. 227 – Conoscenza iniziatica – 26.08.1923


 

Sommario: Veglia e sonno. Il ricordo dopo due o tre giorni. Sonno e morte. L’abbandono del corpo eterico dopo la morte. Il passaggio dei pensieri all’universo. I pensieri divini e l’uomo. Il mondo tri-, bi- e unidimensionale. I raggi unidimensionali del Sole. Giudizio sulle nostre azioni da parte del cosmo. Le esperienze del sonno rivissute dopo la morte. Precedente collegamento con l’ultimo bodhisatva; oggi il Cristo è la sola guida nel dopo-morte.

 

Esaminando da un canto il nesso fra sonno e veglia, e dall’altro la struttura umana,

si è potuto vedere che l’uomo sperimenta in effetti col sonno

una profonda scissione della sua esistenza terrestre.

Dalle varie considerazioni svolte negli ultimi giorni abbiamo visto

come nell’uomo si debba distinguere

• ciò che è in lui percepibile sensibilmente e fisicamente: il corpo fisico,

• e ciò che non è più percepibile per via sensibile fisica,

che può essere guardato soltanto con l’immaginazione:

il corpo eterico o corpo formativo di forze, come anche si può dire.

 

Quest’ultimo contiene le forze viventi che fanno crescere l’uomo, che stanno a base dei processi della nutrizione, dell’intera sua costruzione. Il corpo formativo di forze contiene pure, come abbiamo visto, l’intero sistema del pensiero umano. In esso e nel corpo fisico sono poi inserite le due parti costitutive superiori dell’entità umana che si possono indicare come corpo astrale e come la vera organizzazione dell’io, senza urtarsi per la terminologia.

 

• Quando dunque l’uomo percorre la sua vita diurna,

queste quattro parti costitutive della natura umana sono attive fra loro,

si trovano in scambievole rapporto, in un interiore collegamento.

• Quando passiamo nello stato di sonno,

dall’astrale e dall’io si staccano il corpo fisico e quello eterico;

essi restano per così dire nel letto, e l’organizzazione astrale e quella dell’io penetrano in un puro mondo spirituale.

 

Così l’uomo, dal momento in cui si addormenta fino a quello in cui si risveglia, è scisso nel suo essere: da una parte vi è l’organizzazione fisica e l’organizzazione eterica, che trattengono al contempo il complesso del mondo pensante dell’uomo, e dall’altra parte vi è l’organizzazione dell’io e l’organizzazione astrale.

 

Mi sembra che in questi giorni qualcuno abbia espresso l’idea che, se l’intero mondo dei pensieri rimane nell’organizzazione eterica durante il sonno, non si possa con i pensieri afferrati soltanto nello stato di veglia, esercitare un’azione sullo stato di sonno.

In certo qual modo, in chi lo ha detto si è così affacciato il timore che, quando per esempio noi rivestiamo in forme di pensieri i nostri voti per il bene dei nostri simili e tali pensieri si riferiscono a qualcuno che si trova nello stato di sonno, la forza di detti pensieri possa andare perduta, perché non li portiamo con noi durante il sonno. Risponderò con un’immagine a questa obiezione.

Non si è ancora mai sentito che qualcuno, volendo colpire un bersaglio con un fucile, debba lanciare il fucile. Egli spara la carica, e trattiene il fucile. Non si può ora esprimere il pensiero che nulla arrivi al bersaglio, perché egli trattiene il fucile. Altrettanto poco le azioni della vita di veglia, della vita di veglia pensante, rimangono escluse dalla vita del sonno perché si trattengono i pensieri nel corpo fisico e in quello eterico e non si lanciano nella vita del sonno.

 

In queste cose sottili occorre appunto pensare sempre con esattezza e con precisione, come in sostanza non è indispensabile nel mondo fisico, perché in questo le cose del mondo esterno immediatamente ci correggono. Ma da quanto è stato detto questi giorni, si vede che esiste un nesso molto più intimo fra il corpo fisico e il corpo eterico, che non per esempio fra il corpo eterico e l’organizzazione astrale, perché durante l’intera vita il corpo fisico e quello eterico rimangono insieme; essi non si separano mai, neanche durante lo stato di sonno. Il corpo eterico e quello astrale si devono invece separare durante il sonno.

 

Vi è a sua volta un intimo nesso fra l’io e l’organizzazione astrale, perché essi pure non si separano mai durante la vita terrena. Ma il legame fra il corpo eterico e quello astrale è meno stretto; qui può appunto verificarsi la separazione. Ciò ha un ben determinato effetto per la vita terrena dell’uomo e anche per quella extraterrena.

Quando siamo in stato di veglia vivifichiamo con l’io i nostri sensi, e col corpo astrale il nostro sistema nervoso, mandando poi ciò che in tal modo vien creato nel corpo eterico e nel corpo fisico; se si vuol vivere nel mondo fisico, si deve infatti inviare nel corpo eterico e in quello fisico tutto ciò che si sperimenta nell’io e nel corpo astrale; per questo il materialismo crede che il corpo fisico sia tutto nell’essere umano, perché in effetti tutto deve imprimersi nel corpo fisico nella vita fra la nascita o la concezione e la morte.

 

Ma questo lavoro d’inserimento delle esperienze dell’esistenza terrena nel corpo eterico e nel corpo fisico non si svolge senza difficoltà e ostacoli. Non siamo senz’altro veramente in condizione di trasmettere sempre quel che sperimentiamo attraverso i sensi, che inseriamo per mezzo del nostro pensare nel nostro sistema nervoso, di trasmetterlo direttamente anche agli organi che appartengono al corpo formativo di forze e al corpo fisico.

Ciò che accogliamo dal mondo fisico, in quanto lo accogliamo, è formato in modo simile all’esistenza sensibile. Se per esempio percepiamo qualcosa a spigoli, si forma allora subito nel nostro io e nel corpo astrale l’esperienza degli spigoli. Ma essa non può venir accolta direttamente nel corpo eterico. Il corpo eterico si oppone ad accogliere ciò che sperimentiamo nel mondo esterno sensibile. In queste connessioni soltanto la conoscenza immaginativa può esercitare un’azione chiarificatrice.

 

L’osservazione sensibile abituale, o l’esperimento sensibile sull’uomo, o anche la riflessione intellettualistica, non arrivano a vedere questo processo consistente nella necessaria modificazione e trasformazione di ciò che percepiamo sensibilmente, perché diventi adatto a vivere più oltre nel nostro corpo eterico e nel corpo fisico, in modo che ce ne possiamo anche separare nel sonno.

Soltanto potendo osservare il vero rapporto fra veglia e sonno nell’uomo terreno ci si accorge che nella vita vi è una lotta continua. Si accoglie un’impressione esterna, un’esperienza esterna. Questa non può però discendere subito nel corpo fisico e in quello eterico perché, mi servo di questo esempio grossolano, l’esperienza che si ha con una cosa spigolosa deve entrare nel corpo eterico e nel corpo fisico, ma deve prima venire arrotondata e assumere una forma a quelli adatta. Deve verificarsi una radicale trasformazione.

 

La trasformazione di ciò che ha vita tanto fuggevole, come l’io e il corpo astrale stessi, per assumere una figura plastica che poi possa vivere nel corpo eterico e un movimento plastico che prosegue ulteriormente la sua esistenza nel corpo fisico, questo trasformarsi produce una lotta interiore che l’attuale coscienza umana non rileva; ma chi ha la conoscenza immaginativa può vedere questa lotta che dura di solito due o tre giorni.

Occorre aver dormito due, spesso tre volte dopo un’esperienza, prima che essa si ricolleghi con le altre esperienze che già hanno lasciato la loro impronta nel corpo fisico e in quello eterico. Il mondo onirico esprime esteriormente questa lotta, ma appunto soltanto esteriormente.

 

Mentre sogniamo, come ho già detto, s’inseriscono l’io e il corpo astrale nel corpo eterico e in quello fisico, si accalcano. Questo accalcarsi è l’espressione della lotta che ora descrivo, e che dura a un dipresso due o tre giorni.

Quando si è dormito una sola volta sull’esperienza, questa non è ancora penetrata a sufficienza nel corpo eterico. Soltanto dopo avervi dormito sopra due o tre volte essa è penetrata nel corpo eterico. Così, quando nell’uomo è meno stretto il legame fra il suo corpo astrale e il suo corpo eterico, si vede un continuo vibrare di uno nell’altro.

 

Schematicamente si può dire: nel sonno fra il corpo eterico e il corpo astrale, al limite fra lo svegliarsi o l’addormentarsi, si verifica una continua lotta, una vivace agitazione che si esprime esteriormente nel sogno, ma che interiormente si manifesta nell’intessersi delle esperienze nel corpo eterico e in quello fisico.

Soltanto dopo aver dormito sopra una esperienza due o tre volte o anche di più, questa esperienza si ricollega, come ricordo, con ciò che già era collegato col corpo eterico e col corpo fisico; avviene infatti che l’esperienza deve trasformarsi in ricordo, il quale a sua volta rimane a giacere nel letto quando dormiamo, perché esso è essenzialmente l’espressione in pensieri del corpo fisico e di quello eterico. Dunque soltanto dopo due o tre giorni l’esperienza si è intessuta nel ricordo.

 

È un’esperienza interessantissima per la conoscenza immaginativa poter percepire questo fatto. Già la forma in cui si esprime è significativa. Noi attraversiamo le esperienze terrene sensibili in modo che diamo loro determinati contorni, conformi alle leggi naturali.

Sperimentiamo ciò che esiste nella nostra esistenza terrena in contorni determinati, si potrebbe dire con forma corrispondente alle leggi della natura. Esse però si dissolvono quando le esperienze si inseriscono nell’eterico. Tutto ciò che ha qui determinati contorni si trasforma, si potrebbe dire, in morbide immagini. Ciò che riposa, viene mosso, ciò che è spigoloso, viene arrotondato. Tutto quanto si sperimenta con l’intelletto si trasforma in ciò che si sperimenta da artisti.

 

Questa è la ragione interiore per cui in tempi più remoti, quando gli uomini, come ho descritto, vedevano ancora istintivamente, l’arte era molto diversamente radicata nella vita che non oggi. Ancora nel Rinascimento, osservando l’arte antica, in Raffaello, in altri artisti dell’epoca, vi erano almeno ancora delle tradizioni del trasformarsi dell’elemento intellettuale in elemento artistico. Infatti nel momento in cui si arriva nel soprasensibile, l’intellettualità va immediatamente perduta nella sua forma, e si modifica in elemento artistico. In quanto gli uomini oggi si dedicano tanto al naturalismo, vogliono fare tutto secondo il modello, mostrano di essersi allontanati dalla vera arte. L’umanità deve di nuovo familiarizzarsi con la vera arte.

Così, come ho detto, la vita umana si svolge in modo da poter sempre dire: io ho un’esperienza, ed entro tre giorni essa fluisce nel corpo eterico. Le diverse esperienze si aggiungono poi di giorno in giorno. Riguardo al corpo eterico noi veniamo a capo delle nostre esperienze in due, tre o anche quattro giorni.

 

Quando poi l’uomo varca la porta della morte, il corpo eterico si distacca dal corpo fisico, cosa che non si era mai verificata durante l’esistenza terrestre. Tutto ciò che attraverso due, tre o quattro giorni era stato intessuto nel corpo eterico viene di nuovo dissolto dal corpo eterico che sta liberandosi dal corpo fisico; il dissolversi dura a un dipresso altrettanto tempo quanto ne è occorso per l’intessersi. L’immaginazione, che può giudicare in giusto modo, mostra come il corpo fisico tenga unito con la sua opposizione ciò che gradualmente si è inserito nel corpo eterico; ora che il corpo fisico è abbandonato con la morte, nei primi giorni dopo la morte si vede che quanto si era intessuto nel corpo eterico passa di nuovo nell’etere cosmico universale e si dissolve.

 

Facciamo l’esperienza del dissolversi del complesso dei ricordi due, tre o quattro giorni dopo la morte. La si può chiamare la deposizione del corpo eterico. Ma questa deposizione è veramente un ingrandirsi sempre maggiore dei ricordi; essi perdono la terza dimensione, diventano bidimensionali, diventano immagini. L’intero panorama della nostra vita ci si dispiega dinanzi in vivaci immagini dopo che abbiamo varcato la porta della morte, durante circa due, tre o quattro giorni a seconda dei diversi individui.

 

Ma proprio come un botanico dal germe di una pianta vede quale pianta ne verrà, così chi è arrivato alla conoscenza immaginativa vede questo passaggio dell’eterico, cioè del complessivo sistema del ricordo nel cosmo, non soltanto dopo la morte, ma già quando esiste nell’immagine. E nell’immagine esiste sempre nell’uomo.

Sapendo comprendere nel giusto modo ciò che a un dipresso durante tre giorni si va ivi svolgendo, in questa inserzione delle esperienze nel corpo eterico, si vede la preparazione, in forma d’immagini, di ciò che viene sperimentato interiormente appunto dall’uomo due, tre o quattro giorni dopo aver varcato la porta della morte;

• mentre l’uomo, se non arriva alla conoscenza immaginativa, sperimenta nell’esistenza terrena più o meno incoscientemente questo involgersi delle esperienze nei ricordi tenuti assieme dal corpo fisico,

• egli sperimenta subito dopo la morte l’evolversi, il dipanarsi e il passaggio nel cosmo dei suoi ricordi.

 

Il patrimonio di pensieri che lasciamo indietro ogni volta da quando ci addormentiamo fino al risveglio va subito dopo la morte a unirsi col cosmo, e passa nell’intero universo. È questo che morendo dobbiamo trasmettere all’esistenza cosmica.

Queste cose non vanno accolte soltanto con l’intelletto, ma anche col cuore, perché da un processo come questo si sente che l’uomo non sta semplicemente nel mondo per considerare la propria esistenza egoistica, ma che egli è un essere pensante, e che i suoi pensieri non sono soltanto qualcosa che può conservare, ma qualcosa che dopo la sua morte dovrà passare nell’intero cosmo, e diventarvi forze che continuano ad agire.

 

Se pensiamo bene, trasmettiamo dopo la morte i nostri buoni pensieri al cosmo.

Se pensiamo male, trasmettiamo dopo la morte i nostri cattivi pensieri al cosmo.

• L’uomo non è infatti nell’esistenza terrena soltanto per potersi sviluppare come essere libero. Lo deve fare, e può farlo appunto su questa base di cui deve inoltre tenere conto.

• Egli vi è anche quale entità alla quale gli esseri spirituali stessi lavorano per guidare il cosmo da un’epoca all’altra.

Vorrei aggiungere che i pensieri che gli esseri spirituali hanno da contessere nel cosmo vanno preparati per mezzo di ciò che può venir pensato e riflettuto nella singola vita umana.

 

Questo è il luogo in cui gli esseri spirituali devono coltivare pensieri, che a loro occorrono di continuo per l’evoluzione del mondo, per poterli poi incorporare nel loro cosmo come veri impulsi di forze.

Quando è nello stato fra l’addormentarsi e lo svegliarsi, l’uomo vive col suo io e la sua organizzazione astrale al di fuori del corpo fisico e di quello eterico. In questo stato, quale essere animico spirituale, quale io e corpo astrale, egli è contessuto con le forze spirituali che pervadono l’intero cosmo, egli è nel mondo (se mi è permesso di esprimermi così) che è al di fuori della sua pelle, nel mondo del quale, dal momento del risveglio fino all’addormentarsi, egli accoglie soltanto le impressioni sensorie.

 

Egli penetra dunque nell’interno delle cose

che gli palesano la loro parte esterna durante la vita di veglia.

 

• Ma soltanto ciò che l’organizzazione astrale sperimenta al di fuori del corpo fisico e di quello eterico,

può venir riportato nei pensieri del corpo eterico.

Non può esservi inserito quello che l’io sperimenta fuori.

• Perciò durante tutta la vita terrena le esperienze dell’io che vengono sperimentate nel sonno

rimangono nel subcosciente per la coscienza abituale, e perfino per la coscienza immaginativa.

Esse diventano manifeste soltanto per la coscienza ispirata, come già ho descritto in questi giorni.

 

Possiamo così dire:

• per ciò che l’uomo sperimenta in modo da poterlo imprimere nei pensieri,

le forze da lui raccolte nel sonno sono sufficienti per imprimerlo nel corpo eterico.

• Ma egli non ha sufficiente forza, durante la sua vita terrena,

per i desideri e le brame che l’io sperimenta dall’addormentarsi fino al risveglio,

che si riferiscono alle esperienze terrene,

che appunto vengono attraversate anche dall’addormentarsi fino al risveglio.

 

Così in effetti nel nostro tempo soltanto la parte che deve trasformarsi in pensieri, o la parte della vita del sonno che deve imprimersi nei pensieri, passa nella vita cosciente di veglia dell’uomo terreno. Di contro si può dire che rimane nascosto dietro al velo dell’esistenza ciò che il vero io sperimenta durante il sonno.

A questo punto si rivelano molte cose alla coscienza immaginativa e a quella ispirata che, se siamo a sufficienza spregiudicati, sono assolutamente comprensibili per la sana ragione umana, ma alle quali nella civiltà attuale si oppongono appunto innumerevoli pregiudizi.

 

Già il comprendere che tutto quanto è tridimensionale qui nel mondo fisico (e in sostanza nel mondo fisico tutto viene sperimentato in tre dimensioni) quando viene impresso nel corpo eterico deve passare dalla forma plastica a quella figurata, dalla tridimensionalità, alla seconda dimensione, richiede una certa spregiudicatezza.

Nel momento in cui passiamo all’immaginazione non abbiamo più a che fare con le tre dimensioni e neppure, come crede una scienza deviata, con quattro dimensioni, bensì con due dimensioni.

 

La difficoltà di rappresentarci ciò che in tal caso viene sperimentato dipende dal fatto che siamo abituati a tener conto nelle esperienze terrestri delle tre dimensioni, di rappresentarci tutto secondo tre dimensioni; quando dobbiamo trovare il passaggio alle due dimensioni diciamo perciò che le due dimensioni sono già contenute nelle tre; le due dimensioni della superfice piana possono trovarsi in diverse posizioni, facendo così ritornare la terza dimensione.

Invece non la si ha: appena penetriamo nel mondo immaginativo la terza dimensione è completamente inutile; non ha importanza la posizione del piano; la terza dimensione cessa di avere importanza nel momento in cui entriamo nel mondo eterico immaginativo. Perciò tutte le equazioni debbono venir trasformate per l’etere in modo da adattarsi a un mondo di due dimensioni e non a quello di tre.

È un’osservazione che aggiungo per i matematici.

 

Se però vogliamo passare nel mondo che è accessibile all’ispirazione e nel quale ci troviamo col nostro io fra l’addormentarsi e il risvegliarsi, quel mondo diventa a una dimensione.

Allora abbiamo in genere a che fare con un mondo a una sola dimensione. Il passaggio nel mondo unidimensionale, passaggio preceduto dalla capacità dell’ispirazione, dalla capacità di vedere realmente la spiritualità in cui viviamo dal momento in cui ci addormentiamo fino al risveglio, la comprensione dunque del mondo unidimensionale fu presentata in ogni tempo dalla scienza iniziatica.

 

Ho descritto come nel tipo Jakob Bohme non è la luce solare fisica esteriore, ma sono le forze solari nascoste che diventano manifeste. Esse non sono tali da presentarsi in tre dimensioni, ma vengono percepite soltanto in una dimensione. Una conoscenza iniziatica più istintiva, più antica, poteva pervenire a questa ispirazione senza averne una conoscenza chiara, cosciente; pure vi arrivava.

Molto di quanto ancora viene trasmesso nelle tradizioni delle epoche più antiche dell’umanità si può comprendere soltanto, sapendo che si riferisce al mondo spirituale unidimensionale, al quale si arriva per mezzo dell’ispirazione; si riferisce dunque per la nostra vita terrestre alle forze nascoste solari e stellari. Durante il sonno però non viviamo nelle forze solari manifeste, ma nelle forze solari nascoste.

 

Le forze solari nascoste pervadono ad esempio determinate pietre, anche se le forze solari fisicamente manifeste non vi penetrano. Ma in quanto pervadono quelle pietre esse diventano unidimensionali. Chi arriva alla veggenza nell’ispirazione può vedere non la luce fisica, ma le forze solari nascoste attraverso le pietre di solito non trasparenti; le pietre diventano così permeabili per le forze solari nascoste, ma lo diventano anche per le forze dell’ispirazione.

 

In tempi antichissimi dell’evoluzione dell’umanità sulla Terra tali aiuti non occorrevano. Ma quando l’antica chiaroveggenza istintiva, che era a base dell’antica conoscenza iniziatica, già stava diminuendo, si ricorse a tali aiuti, in certo modo ad abbreviazioni, per poter continuare a vedere ciò che non si poteva più vedere per mezzo della conoscenza ispirata istintiva. Per esempio si poteva allora ricorrere ad accorgimenti del genere: si pensi di disporre un certo numero di pietre conficcate verticalmente nel terreno e di porvi sopra un’altra pietra, messa in modo che in determinate condizioni i raggi solari colpiscano la pietra di copertura: succede che i raggi solari fisici vengono trattenuti dalla pietra di copertura, e quelli occulti invece vi penetrano.

 

Se chi è educato allo scopo guarda la pietra di lato vede penetrare i raggi solari spirituali unidimensionali e sparire nella terra. Quando veniva applicato tale mezzo abbreviativo, all’epoca cioè in cui ciò non era più direttamente percepibile con le forze chiaroveggenti istintive, nel piccolo spazio di ombra che risultava guardando dal fianco si era in condizione di percepire il mondo dei raggi solari spirituali in cui l’uomo vive sempre fra l’addormentarsi e il risveglio. Così in tali cumuli di pietre, che si trovano appunto in questa regione, si può vedere ciò per mezzo di cui, in un’epoca di transizione che durò però a lungo, alcune sagge guide dell’umanità cercarono di penetrare nelle forze solari nascoste, di penetrare proprio in ciò, in cui a sua volta un uomo come Jakob Bòhme penetrò istintivamente per mezzo della semplice visione delle cose terrestri.

 

Guardando oggi tali cumuli di pietre in speciali località, il loro vero significato non si può spiegare che con la scienza dello spirito. Altrimenti si spiegheranno in modo esteriore, senza penetrare nel loro vero significato.

Si possono naturalmente anche disporre quelle pietre in modo che, formando un circolo, mostrino le speciali differenziazioni dei raggi solari spirituali, a seconda dei diversi segni zodiacali.

 

Ho cercato di spiegare in quale mondo il nostro io vive fra l’addormentarsi e il risveglio. È un mondo che non è tenuto assieme dalle forze del corpo fisico e di quello eterico. Però dal corpo fisico e da quello eterico, i quali da soli determinano la coscienza chiara umana, provengono i giudizi che, secondo il sentimento o la volontà, noi formiamo sulle nostre azioni, sulle nostre esperienze interiori e sui nostri pensieri.

Noi dunque, quando siamo desti giudichiamo per quanto ci è possibile della vita esteriore a seconda dei pensieri che siamo stati capaci d’imprimere nel nostro corpo fisico e in quello eterico. Ma ha qualcosa da dire su ciò che sperimentiamo e che operiamo non soltanto il nostro sé, ma l’intero cosmo spirituale. Il cosmo giudica e decide se un atto, un pensiero, un sentimento è buono o cattivo.

 

• Ciò che noi stessi giudichiamo fra il destarci e l’addormentarci, riguardo a quello che siamo come uomini,

è un giudizio nostro.

• Viene invece sperimentato dall’io durante il sonno ciò che il cosmo, il contenuto spirituale del cosmo,

che come già ho mostrato esaurientemente in queste conferenze, racchiude in sé la moralità come legge naturale,

dice a noi, alle nostre azioni umane.

 

L’ispirazione mostra che anche durante il più breve sonno l’io sperimenta tutto ciò che l’uomo ha attraversato dall’ultimo risveglio in poi, e per mezzo di cui appunto è arrivato al sonno più o meno breve in cui si trova. Se gli stati che si succedono sono: veglia, sonno, veglia, sonno, l’uomo sperimenta così sempre di nuovo nel sonno ciò che ha attraversato durante l’ultimo periodo di veglia, soprattutto quello che egli stesso ha sperimentato.

Queste esperienze, in quanto sono dell’io, rimangono del tutto incoscienti per la coscienza ordinaria. L’ispirazione le può far risorgere nella coscienza. Allora si palesa la speciale natura di quanto si è sperimentato, ci si avvede della natura delle nostre esperienze.

 

Orbene, questo sperimentare è tale che lo si sperimenta proprio in direzione opposta a quella in cui le esperienze si sono svolte di giorno. Se escludo ora le esperienze più brevi del sonno, di giorno abbiamo le nostre esperienze dalla mattina alla sera, e così, dormendo di notte, riviviamo le nostre esperienze a ritroso dalla sera fino alla mattina, proprio a ritroso. Vengono rivissute in modo che si sperimenta ciò che il cosmo, lo spirito del cosmo dice alle nostre esperienze diurne.

Durante la vita terrena tutto questo non può in genere essere richiamato nella nostra coscienza attuale. Deve tuttavia arrivare alla coscienza, altrimenti l’esistenza dell’uomo decadrebbe dall’esistenza cosmica.

 

La conoscenza ispirata ci mostra che, quando è terminato il periodo in cui dopo la morte l’uomo, come ho detto, rivede durante due, o tre o quattro giorni il quadro in cui i ricordi si svolgono nel cosmo, in cui dinanzi a lui si squadernano i ricordi (periodo che si chiama spesso liberazione del corpo eterico) subentra un periodo in cui l’uomo può guardare ancora a ritroso la propria vita terrena in modo diverso da come prima la guardava.

 

Se consideriamo questi due, tre o quattro giorni dopo la morte, ci si presenta un possente panorama della vita, ma in esso vi è soltanto ciò che si è sperimentato durante il periodo di veglia. Ma in realtà, non abbiamo sperimentato soltanto durante la veglia; abbiamo avuto anche esperienze durante il sonno. Osservando l’ordinaria vita terrena a ritroso, anche a seguito degli abituali ricordi, si omettono sempre i periodi del sonno. Si guarda indietro, per esempio, e si vede quel che si è sperimentato il 25 agosto 1923, ma non si vedono le esperienze interiori della notte. Non si aggiungono subito al 25 agosto le esperienze della notte, perché queste sfuggono alla coscienza, ma si aggiungono quelle del 24, del 23, e così a ritroso fino al momento dopo la nascita del quale non ci ricordiamo.

 

Questo in effetti succede anche durante i tre o quattro giorni che seguono la morte.

Poi subentra il periodo in cui la parte animico-spirituale dopo la morte è ormai abbastanza forte per sperimentare nel mondo spirituale ciò a cui poteva fino allora dar forma d’immagini soltanto incoscientemente fra l’addormentarsi e lo svegliarsi, e che sorge ora come esperienza.

 

L’uomo sperimenta ora a un dipresso soltanto un terzo della propria vita, quanto circa si dorme durante la normale vita terrena; l’uomo attraversa cioè un periodo in cui rivive a ritroso le proprie notti, durante circa un terzo del tempo corrispondente alla sua vita terrena. Così la vita terrena viene nuovamente rivissuta a ritroso, prima l’ultima notte, poi la penultima poi la terz’ultima, e così di seguito a ritroso, finché si arriva alla nascita, anzi alla concezione.

 

In altre prospettive ho già descritto nel mio libro Teosofia il passaggio dell’uomo a ritroso attraverso un mondo del tutto diverso dopo la morte; l’ho descritto come il passaggio dell’essere umano animico-spirituale attraverso il mondo delle anime.

Orbene, dopo che a questo modo l’uomo dopo la morte, se per esempio è morto a venti o a ventun anni, è passato per sette anni attraverso il mondo delle anime, e se invece è morto a sessant’anni è passato per venti anni attraverso il mondo delle anime (precisamente altrettanto tempo quanto ne ha passato nel sonno sulla Terra), egli si trova a dover sperimentare ciò che, per virtù del suo intero essere, è diventata quell’esistenza terrena, quell’esistenza, che gli dèi hanno creata per potere, con l’aiuto del genere umano, far progredire di un passo il mondo. Fino alla fine di questa esperienza a ritroso delle notti, l’uomo impara a conoscere dopo la morte ciò che egli è divenuto e ciò che egli significhi per il cosmo.

 

Ora deve anche sperimentare ciò che per virtù della sua vita è successo alla Terra stessa. Questo richiede lungo tempo, ne parleremo ancora in seguito, e riempie la metà del tempo fra una morte e una nuova vita terrena.

Risalendo a ritroso il corso delle notti arriviamo alla nascita.

 

Quando vi siamo arrivati, quando ci siamo aggirati per il mondo delle anime e siamo di nuovo arrivati a ritroso nel passato, fino alla nostra nascita (noi risaliamo indietro nel tempo dopo la nostra morte) abbiamo poi da percorrere la via fino alla nostra precedente vita terrena. L’uomo può così prendere seco la sua precedente vita terrena per formare un’altra vita, una terza vita terrena. Rivivendo dopo la morte, l’uomo deve dunque risalire non soltanto fino alla sua nascita, ma fino alla sua precedente vita terrena.

Penetriamo così in un campo dell’antica scienza iniziatica (che oggi deve venir rinnovata in modo adatto per le attuali capacità dell’uomo) in cui la conoscenza conduce all’esperienza religiosa, perché la scienza iniziatica è sempre vera conoscenza, ma tale da condurre dal mondo sensibile in quello spirituale; essa può stimolare la volontà umana in modo che questa si foggi religiosamente.

 

Vi fu per la scienza iniziatica di tutti i tempi un’esperienza molto importante che si manifesta al terzo grado di conoscenza che ho caratterizzato in questi giorni: la conoscenza intuitiva; l’esperienza cioè, di speciale importanza per l’uomo mentre erra a ritroso attraverso la vita fino alla precedente sua vita terrena, di incontrare lungo questa via qualche essere che possa essergli di guida dopo la morte.

In una determinata regione della Terra gli uomini si sono detti: io devo accogliere nella vita terrena gli insegnamenti dell’ultimo bodhisatva che è apparso sulla Terra. L’uomo ha per esempio vissuto forse trecento anni dopo la comparsa del bodhisatva. Ma dopo che in seguito alla morte egli ritorna indietro fino alla sua precedente vita terrena (perché questo passaggio all’indietro, questa vita fra la morte e la nuova nascita dura appunto più a lungo) egli arriva ancora all’epoca in cui l’ultimo bodhisatva era sulla Terra.

 

Nella antica scienza iniziatica all’incontro con l’ultimo bodhisatva si attribuiva la possibilità che l’uomo potesse veramente trovare il collegamento con la sua precedente vita terrena, vale a dire potesse trovare forza per la vita eterna, forza che può essere trovata soltanto ritrovando il collegamento con la vita terrena precedente.

La possibilità di incontrare i bodhisatva, i quali scendono sulla Terra da determinate regioni dello spirito, terminò in una determinata epoca dell’evoluzione dell’umanità, dell’evoluzione del mondo.

L’uomo sarebbe oggi nella condizione che, quando dopo la morte è risalito fino alla sua nascita o alla sua concezione, egli cercherebbe inutilmente di risalire fino alla precedente vita terrena, non riuscirebbe a trovare il ricollegamento con essa.

 

Si poteva trovare questo collegamento nei primi millenni dell’evoluzione terrestre, prima del mistero del Golgota, in quanto risalendo nel tempo si arrivava all’epoca in cui si incontrava il bodhisatva. Oggi questo ritorno all’indietro serve soltanto, se lo si fa con la guida di quell’Essere che si è unito alla Terra col mistero del Golgota, quando cioè si stabilisce un nesso dell’uomo col mistero del Golgota, tale che il Cristo possa divenire la guida degli uomini, perché il Cristo comprende in sé le forze di guida per la vita fra morte e nuova nascita, un tempo esistenti nei bodhisatva che comparivano sulla Terra.

Appunto per le esperienze fra morte e nuova nascita, il mistero del Golgota è così uno dei fatti più importanti dell’intera evoluzione terrestre. Se si vuole perciò conoscere l’evoluzione spirituale della Terra e il posto che essa occupa nella evoluzione spirituale del cosmo, e si vuole inoltre comprendere che cosa l’uomo sperimenti nella sua vita spirituale dopo la morte fino alla nuova nascita rispetto all’evoluzione spirituale della Terra e del cosmo, occorre collocare nell’intera evoluzione della Terra il mistero del Golgota.

 

Per l’uomo odierno occorre cioè trovare il passaggio dall’osservazione dell’evoluzione dell’uomo all’osservazione dell’evoluzione del mondo; per mezzo di tale passaggio si scorge il mistero del Golgota nel suo completo e fondamentale significato per gli eventi dell’evoluzione della Terra e dell’umanità nell’ambito terrestre.

Nella conferenza di domani parleremo di queste cose riguardanti l’evoluzione del mondo, in quanto esse possano essere svelate dalla moderna scienza iniziatica, delle cose che si svolgono in relazione con quello che l’uomo sperimenta ulteriormente dopo la morte, dopo aver visto a ritroso il ricordo delle sue esperienze notturne, delle esperienze cioè dell’uomo dopo la morte.