Le prove dell’anima

O.O. 129 – Meraviglie del creato – 27.08.1911


 

Chi oggi sulla base dell’erudizione o di altre fedi nell’autorità del nostro tempo, è educato alla scientificità che vive solo nelle astrazioni, non arriverà comunque fino a sentire l’infinito impoverimento rispetto alla vera realtà. Chi invece sente in sé la sete di unirsi alla realtà del mondo, sa che a un certo punto della sua vita ha il sentimento di come in tutte le idee odierne ci si senta lontani dalla vera realtà, ci si senta in schemi soltanto esteriori, in immagini d’ombra.

 

Lo si potrebbe esprimere anche in forme scientifiche, come lo si trova espresso nella mia opera apparsa molti anni fa, Verità e scienza. Vi viene mostrato che, giunto all’abituale sapere razionale, l’uomo perviene solo a una parte del sapere, della verità, e procede a un’altra forma del mondo rispetto a quella che gli si offre. È la via scientifica che si può ben percorrere, anche se per la filosofia odierna suona incomprensibile. D’altra parte vi è però la tendenza a penetrare per vie esoteriche in una realtà più rigogliosa di quella che possono dare solo le astratte leggi razionali.

 

Quando l’anima sente che con la normale coscienza odierna può generare solo idee che sono maya di fronte a una realtà rigogliosa, quando non sia un limone spremuto che riconosce unicamente le scienze attuali, allora si sente come vuota di fronte alla realtà del mondo. Sente così di poter giungere con le sue idee fino alla fine del mondo, fino alle lontananze del mondo, ma non considera quanto è detto del secondo dramma La prova dell’anima: «Non finire nelle lontananze dell’universo».

 

Chi infatti volesse seriamente finire nelle lontananze dell’universo dovrebbe essere sopraffatto da un sentimento come se si diffondesse con le sue idee, già deboli in sé, su un ampio spazio infinito. Allora le idee diventano ancora più inconsistenti, e quanto più giungiamo nelle lontananze del mondo tanto più esse si fanno inconsistenti e con esse siamo davanti a un infinito abisso vuoto. Questa è la prova dell’anima che si presenta.

 

Chi ha sete di realtà e intende chiarire gli enigmi e le meraviglie del creato nel senso della scientificità astratta,

sta infine davanti al vuoto universale con le idee che si dissolvono del tutto in nebbia spirituale.

L’anima deve allora avvertire una paura infinita davanti al vuoto.

Chi non è in grado di sentirla,

non è semplicemente ancora tanto avanti da sentire la verità in merito alla coscienza attuale.

 

Se intendiamo estendere tale coscienza nelle lontananze dell’universo, ci attende come una terribile immagine spaventosa

la paura del vuoto universale che non può venir risparmiata a nessuno che prenda sul serio la normale coscienza attuale.

L’anima deve attraversare questa prova se vuole sperimentare il senso e lo spirito del nostro tempo.

Sull’abisso che si apre da ogni lato quando vogliamo compenetrare le ampiezze dello spazio con le nostre idee,

l’anima deve avvertire l’infinita paura del vuoto, del perdersi nello spazio cosmico, nelle ampiezze del mondo.

 

Se dalla concezione goethiana del mondo è per noi familiare l’espressione: «Divenire una cosa sola con l’universo, ampliare il proprio sé a un mondo…», dobbiamo dire che quando con i mezzi della conoscenza odierna si è andati fino alle lontananze dell’universo e si cerca di comprenderlo con i principi filosofici odierni, che devono pur sempre essere astratti perché sono presi dalla coscienza attuale, un’anima sana deve attraversare la prova del porsi davanti al vuoto, davanti all’abisso che si apre da ogni parte; deve sentire la paura di consumarsi nell’infinito nulla con la parte migliore del proprio essere, con ciò che costituisce la coscienza.

 

Questo è il sentimento generale, e tutti gli altri sentimenti delle prove animiche sono solo sentimenti particolari della paura del vuoto, dell’horror vacui. Sarebbe insano se in una limitata vita animica non si fosse in grado di avvertire come la coscienza attuale sfugga da ogni parte e vada in frantumi di fronte all’infinito universo non appena vuole allargarsi alle sue ampiezze. Questo è il destino dell’anima, se vuole penetrare con la sua odierna coscienza nelle lontananze, nelle ampiezze dell’universo.

 

• Vi è un’altra via che l’anima può percorrere. È quella per cui, scendendo nelle sue profondità, sperimenta nella discesa la sua organizzazione. L’anima, con la sua coscienza nella vita di oggi, in effetti sperimenta solo quanto aggiunse sulla terra alla propria organizzazione.

 

Il corpo astrale acquisito sull’antica Luna è la subcoscienza che risplende nel corpo eterico,

ma non viene sperimentata nella coscienza normale.

• Ancor meno si sperimenta il corpo eterico acquisito durante il periodo solare

e non si sperimenta affatto ciò che nel corpo fisico fu conquistato

attraverso i periodi di Saturno, Sole e Luna, e nel nostro periodo terrestre.

Sono sfere chiuse cui però lavorarono innumerevoli generazioni di dèi, di gerarchie spirituali.

 

• Certo, quando vi si scende con la conoscenza chiaroveggente grazie alla disciplina esoterica,

e si arriva dietro la coscienza dell’io nella propria entità,

incontrando i corpi astrale, eterico e fisico che sono in noi

non si giunge a un vuoto, ma a una sostanzialità del mondo più densificata.

• Vi incontriamo tutto quello che innumerevoli gerarchie spirituali

posero in noi uomini lavorando per milioni e milioni di anni.

 

• Tuttavia, quando ci si vuole immedesimare con una seria autoconoscenza quale dà la disciplina occulta, quando si impara ad immergersi nelle azioni di innumerevoli generazioni di dèi in milioni di anni, non si incontra in forma pura quel che fecero gli dèi. In tutto questo abbiamo infatti inserito istinti, brame, passioni, moti animici e impulsi da noi stessi vissuti nel corso delle generazioni. Quanto così sviluppammo, durante le incarnazioni terrene si unì a ciò che vi è fin nei corpi astrale, eterico e fisico. Tutto questo forma una massa densa, e in essa in un primo tempo entriamo.

 

• Quanto solo noi stessi inserimmo nel nostro essere ci vela la nostra stessa entità divina,

e scendendo quindi in noi stessi troviamo il contrario di quel che troviamo uscendo nelle ampiezze del mondo.

Nelle ampiezze del cosmo vi è il pericolo di trovarsi alla fine davanti al nulla.

Penetrando in noi stessi vi è il pericolo di giungere in regioni sempre più dense

che noi stessi abbiamo densificato con i nostri istinti, le brame e le passioni.

 

• Come sentiamo frantumarsi e distruggersi la sostanza della nostra coscienza uscendo nelle lontananze del mondo,

così immergendoci nelle profondità della nostra anima

sentiamo sempre più di venir respinti come da una palla di gomma.

• Veniamo sempre respinti da noi stessi, volendo immergerci nella nostra interiorità. Lo possiamo notare molto bene.

 

• Non sono solo i nostri istinti, le brame e le passioni

che incontriamo anzitutto entrando in noi stessi

che ci appaiono orribili quando ce li troviamo di fronte direttamente;

si aggiunge anche che essi sembrano volerci afferrare in ogni momento.

• Diventano forti, potenti, la loro natura volitiva si manifesta in modo particolare.

 

Mentre, quando siamo nella vita con la coscienza abituale, non seguiamo i diversi istinti,

gli stessi impulsi e istinti sviluppano subito tutta la loro potenza

non appena ci immergiamo un poco in noi stessi e non possiamo far altro che cedere loro.

 

Di continuo veniamo afferrati da una volontà di natura inferiore che sorge in noi

e veniamo respinti in noi stessi peggiori di come eravamo prima.

Immergendoci in noi stessi, siamo di fronte alla densità degli impulsi e degli istinti. È questo l’altro pericolo.

 

Siamo così di fronte a pericoli possenti:

• uscendo nelle ampiezze del mondo, quello di scioglierci nel nulla con la nostra coscienza,

• e immergendoci in noi stessi

quello di subordinare la coscienza agli impulsi e agli istinti che sono presenti nel nostro essere,

di divenire schiavi del più grande egoismo pensabile.

 

Sono questi i due poli tra i quali vi sono tutte le prove dell’anima:

• la paura di fronte al nulla       • e la caduta nell’egoismo.

 

Tutte le altre prove dell’anima sono aspetti particolari di fronte a quelli che possiamo chiamare

• da una parte il polo del dissolvimento nel nulla

• e l’altro la caduta nell’egoismo, nell’egoità.

Sotto questo aspetto persino la conoscenza superiore è pericolosa.

 

Che cosa impariamo infatti attraverso di essa? Impariamo che innumerevoli gerarchie si occuparono di noi, che la nostra corporeità fisica, eterica e astrale venne formata in tutte le sue parti dalle gerarchie, che gli spiriti del mondo lavorarono perché alla fine potesse realizzarsi l’essere umano. Avviene perciò che quando scendiamo esotericamente nella nostra interiorità, ci si dica: tu sei in realtà il fine e lo scopo degli dèi; essi lavorarono per formarti.

• Il grande pericolo è di esser preda di un’enorme superbia.

 

Capesio si spaventa davanti a tale superbia quando ode dalla bocca di Felice Balde come le gerarchie spirituali lavorarono e che il fine di ogni azione degli dèi è l’uomo. È questo il significato dello spavento di Capesio, ed è una sua prova animica che ne diventi consapevole. Per questo è così necessario che ci si avvicini con umiltà alla conoscenza di essere lo scopo degli dèi e lo si comprenda in umiltà, altrimenti si è portati alla superbia. Nel mondo vi sono infatti molte occasioni per essere superbi, presuntuosi, se ci riconosciamo come scopo divino.

 

Nel macrocosmo vi sono molte occasioni per questo, quando vediamo gli dèi di continuo sforzarsi di sviluppare l’entità umana. È bene farsi idee un po’ più concrete su come gli dèi lavorarono alla formazione e al generale sviluppo dell’uomo: i Troni insieme agli Spiriti della personalità durante l’antico Saturno; i Cherubini con gli Spiriti della saggezza e gli Arcangeli sull’antico Sole; i Serafini con gli Spiriti del movimento e gli Angeli sull’antica Luna. Oggi sulla Terra notiamo ancora qualcosa del lavoro alla creazione dell’uomo dall’esterno verso l’interno?

Qui tocchiamo di nuovo un fenomeno particolare della vita spirituale dell’età moderna, fenomeno che già spesso menzionammo in queste conferenze.

 

In sostanza non vi è niente che potrebbe portare tante prove di tipo exoterico per i contenuti annunciati nella scienza dello spirito quanto i fatti della scienza moderna. L’evolversi della scienza negli ultimi decenni fornisce ovunque una prova per tutto quanto viene qui annunciato. Solo che i fatti vengono spesso capiti meno di tutto da parte di coloro che li scoprono. La loro spiegazione ad opera della filosofia e della scienza corrente è a sua volta il più grande ostacolo per la comprensione della scienza dello spirito. I fatti sono ovunque una prova, ma le attuali loro spiegazioni sono sempre un ostacolo: questo è lo strano fenomeno.

 

In più occasioni già accennai ad alcuni di tali fatti. Dal contenuto delle mie conferenze si può desumere che il cervello fu per così dire l’ultimo a venir elaborato nell’essere umano. La restante organizzazione fu inserita in precedenza da spiriti delle varie gerarchie, ma ancor oggi la parte per metà subconscia continua a lavorare all’organizzazione del cervello e lo si può osservare, solo che non si interpretano nel giusto modo i fatti tanto belli e meravigliosi forniti dalla scienza moderna. Vediamone un esempio.

 

Nell’aprile di quest’anno avrebbe potuto venir festeggiato il giubileo dei cinquant’anni di una scoperta molto significativa della scienza moderna che, se compresa nel giusto modo, è una vera testimonianza, un’attestazione per la dottrina dell’evoluzione secondo la scienza dello spirito. I risultati della scienza dello spirito vengono trovati solo con la chiaroveggenza, ma possono venir confermati dai fatti che scopre la scienza. Avrebbero potuto essere festeggiati i cinquant’anni del significativo discorso che Broca, grande medico e filosofo, tenne sul centro del linguaggio alla Società Antropologica di Parigi nell’aprile del 1861.

Broca fornì infatti una prova completa che nelle leggi interne del cervello fisico vi sono le disposizioni per la configurazione, la formazione di una determinata parte del cervello che conduce alla coscienza dell’arte del linguaggio e alla comprensione dei relativi suoni.

 

Quando nell’aprile del 1861 Broca scoprì che lo strumento del linguaggio risiede nella terza circonvoluzione frontale del cervello e che tale strumento deve essere in ordine per capire i suoni del linguaggio, e altrettanto lo deve essere un’altra parte per poter emettere quei suoni, fu compiuto un progresso importante che può essere valorizzato dalla scienza dello spirito e che è una prova per i fatti scientifico-spirituali. Perché?

Perché proprio dal modo in cui si forma questo centro del linguaggio, si vede che i movimenti umani, quelli delle mani, dunque ciò che si compie con semi-coscienza nella vita, coopera alla configurazione del centro del linguaggio.

 

Perché nell’organismo esso è sviluppato in modo particolare nella parte sinistra?

Perché nelle condizioni della vita fino ad oggi si è utilizzata soprattutto la mano destra.

 

Così sono il corpo eterico e quello astrale

che nel subconscio compiono i gesti delle mani, agiscono sul cervello e lo formano.

 

Oggi gli antropologi insegnano con chiarezza che il cervello viene formato dall’esterno grazie all’attività macro-cosmica. Quando la parte suddetta viene ferita o paralizzata, non si ha alcuna capacità di linguaggio. Se ci si avvede che una parte del cervello, che di solito è fortemente determinata dall’attività della mano destra, viene stimolata dalla parte sinistra, cosa che ad esempio è ancora possibile nell’infanzia e non più in seguito, ciò significa che davvero il cervello può venir formato dall’esterno a seguito dell’attività sistematizzata, in modo che si abbia il centro del linguaggio nella terza circonvoluzione cerebrale corrispondente, però della parte destra.

 

Non è forse del tutto sbagliato credere che la capacità del linguaggio sia formata dalla disposizione del cervello? No, non sono le disposizioni cerebrali a farla, ma nella sua attività è l’uomo a svilupparla.

La capacità del linguaggio si forma nel cervello movendo dal macrocosmo.

L’organo del linguaggio viene dal linguaggio, non il linguaggio dall’organo.

Questo era stato trovato dall’importante scoperta fisiologica di Broca.

 

Il centro del linguaggio venne formato dall’esterno grazie agli dèi o spiriti delle gerarchie che resero possibile agli uomini svolgere le attività che creano i centri del linguaggio. Il centro sorge dal linguaggio e non viceversa.

Comprese correttamente, tutte le scoperte moderne sono una prova completa per la scienza dello spirito, ed è un peccato che io possa accennarvi sempre e soltanto in breve. Se si potesse entrare nei particolari in merito a queste cose caratteristiche si vedrebbe come è miope dire che la scienza dello spirito contraddice la scienza moderna. Al contrario! Essa contraddice solo le spiegazioni oggi fornite dalla moderna erudizione, ma non i fatti che la scienza fornisce.

 

Quali esseri umani durante la nostra esistenza terrena, risultanti dal macrocosmo,

deriviamo dall’attività delle gerarchie che ci hanno formati dall’esterno verso l’interno.

Siamo davvero un risultato del macrocosmo.

 

• Così siamo oggi il risultato dei nostri movimenti delle membra,

dei nostri gesti che eseguono un linguaggio muto

e si imprimono nel cervello che non aveva la disposizione al linguaggio.

• In origine l’uomo non aveva in sé alcuna disposizione,

ma tutto gli venne formato, sviluppato, dato dall’attività macrocosmica delle gerarchie spirituali.

• Da ciò vediamo come in effetti con la nostra attuale coscienza siamo deboli.

 

• Se intendiamo uscire nel mondo, siamo davanti al vuoto;

• se intendiamo scendere in noi, cadiamo nella trappola della nostra natura volitiva.

 

Sorgono così le difficili prove dell’anima che devono subentrare

se, dalla prospettiva attuale della nostra coscienza,

intendiamo avvicinarci nell’una o nell’altra direzione ai segreti del mondo;

di essi dobbiamo prima meravigliarci perché ci vengono incontro come meraviglie del creato.

 

• Perché avviene quanto si è detto proprio ora?

Perché, se usciamo nelle ampiezze del mondo, arriviamo a una regione

che nelle ultime due conferenze abbiamo indicato precisamente

come quella degli dèi o spiriti che sono in alto e che sono soltanto i pensieri degli dèi o spiriti reali.

Giungiamo cioè in un mondo che non ha alcuna indipendenza.

Nessuna meraviglia che quanto ci dà quel mondo ci conduca in definitiva al vuoto.

 

• Per quanto l’uomo aspiri ad avanzare nella conoscenza,

quando sale dove il suo pensare e le sue idee possono anzitutto penetrare,

giunge solo ai pensieri degli dèi e non può entrare in una realtà vera.

• Se scende invece in se stesso, in ciò che in lui si formò in milioni e milioni di anni,

perviene alle azioni, ai risultati degli altri mondi divino-spirituali

che nel corso delle ultime conferenze abbiamo chiamato  degli dèi che sono in basso, degli dèi veri.

• Per farci strada fino a loro, dobbiamo tuttavia passare prima

attraverso i nostri istinti, le nostre brame e passioni,

attraverso tutto quanto ci cattura, ci prende e ci modifica tanto da doverlo seguire.

 

Questo ci porta nell’egoità, nell’egoismo e ci separa dagli dèi che sono in basso.

Si ha così l’altro polo delle prove dell’anima.

 

• Se intendiamo avvicinarci agli dèi che sono in alto giungiamo al vuoto, nel mondo delle sole rappresentazioni;

se intendiamo avvicinarci agli dèi che sono in basso ogni attività di pensiero ci abbandona,

perché veniamo afferrati dagli istinti che infuriano ciecamente nella nostra interiorità e ardiamo in essi.

• Per questo le prove dell’anima sono così difficili.

Esiste tuttavia qualcosa che ci apre una prospettiva anche solo teorica.

 

• Ci si deve dire che per quanto inconsistenti siano le idee, per quanto sia sottile tutto quanto l’egoità, l’egoismo ci può dare, è comunque qualcosa che proviene dall’universo. Se solo ci possiamo adattare nel giusto modo nella nostra coscienza, così da osservarla nella sua indipendenza, com’essa è in se stessa, se poi diviene sempre più forte, forse per una via o per l’altra avanziamo in modo che possa venir superata la prova dell’anima. Qui si intende soltanto caratterizzare come si possa procedere in modo diverso che con la normale coscienza ordinaria.

 

Supponiamo di compenetrarci con quanto nei modi più diversi abbiamo chiamato l’impulso del Cristo, di imparare a comprendere nel loro più profondo significato le parole di Paolo: «Non io, ma il Cristo in me». A quel punto siamo anzitutto nella nostra normale coscienza e ci diciamo che non vogliamo lasciarla agire da sola, che non intendiamo limitarci a rimanere in questa nostra personalità, ma vogliamo invece compenetrarci con la sostanzialità che dal mistero del Golgota è contenuta nell’atmosfera terrestre, con la sostanza del Cristo.

Compenetrandocene non prendiamo così con noi solo le nostre deboli idee nelle ampiezze del mondo, ma anche la sostanzialità del Cristo, per quanto lontano si vada nelle vastità dello spazio. Tutte le nostre idee sono allora pervase dalla sostanza del Cristo e in ciò si rivela qualcosa di molto particolare che vorrei chiarire alla luce dello sviluppo scientifico dell’età moderna.

 

In esso si partì all’inizio dai fenomeni della natura e li si ricondusse a forze di ogni specie e ad altro di simile. Poi si giunse a ricondurre quanto si svolge nel mondo esterno, luci, suoni e altro, a oscillazioni di particelle eteriche mosse o di parti di sostanze mosse, persino ponderabili; e si era contenti di poter ricondurre tutto l’universo a un mondo di atomi di etere o simili, oscillanti, in movimento. Questa teoria è ora in gran parte abbandonata, perché non conduce proprio a nulla, come la gente ha visto, ma sotto questo aspetto è ancora rimasta la generale coscienza pubblica che è sempre alcuni passi indietro rispetto al progresso scientifico.

Qui è ancora presente in varie forme la nostalgia di spiegare il mondo con l’astrazione di atomi oscillanti, come se lo spazio fosse riempito di oscillazioni. Se con le nostre idee e con le esperienze empiriche che si possono fare sulle realtà si perviene a questi risultati, subito si sente davvero il vuoto, quando ci si avvicina al cosiddetto mondo atomistico, perché gli atomi, che sono solo pensati, non esistono affatto.

 

• Ci sono atomi fintanto che hanno una realtà empirica, fin dove arriva il microscopio, fin dove giunge la materialità e fin dove essa è dotata di luce e di calore, ma per spiegare la stessa luce e il calore, non ci si può basare su atomi o oscillazioni, perché così si inventa un sistema del mondo, ed esso porta a qualcosa che non ha più alcun contenuto reale.

Per questo la vecchia teoria atomistica non ha più contenuto. La si inventa, ma si sente che non fa mai presa sulla realtà.

 

È diverso se compenetriamo le nostre idee, le nostre leggi astratte con quello che in verità è l’impulso del Cristo, e sappiamo che con esso non si intende qualcosa legato a una confessione ortodossa, ma il grande impulso del Cristo macrocosmico, e noi dobbiamo compenetrarcene nel senso paolino.

Fuori nel mondo non portiamo le nostre idee e i nostri concetti astratti, ma ciò che essi sono come nostra attuale forma di coscienza compenetrata dall’impulso del Cristo.

 

E qui l’esperienza ci offre qualcosa di molto particolare. Come diventiamo sempre più vuoti e più poveri, e la nostra coscienza alla fine va in frantumi e si polverizza nel vuoto del mondo, se usciamo con la coscienza priva del Cristo, così non appena ne abbiamo accolto l’impulso, per quanto lontano arriviamo nelle lontananze e nelle ampiezze del mondo, tanto più ricca, tanto più piena diventa la nostra coscienza.

• Se arriviamo fino alla chiaroveggenza, nell’anima ricolma dal Cristo abbiamo una sostanza animica ricca, così che alla fine le vere cause della realtà ci stanno davanti in modo possente e grandioso come realtà soprasensibili.

 

• Mentre la nostra coscienza priva del Cristo

ci porta davanti al vuoto nelle ampiezze del mondo,

• la nostra coscienza ricolma dal Cristo

ci conduce alle vere cause dei fenomeni e delle meraviglie del creato.

 

Per questo nel libretto La direzione spirituale dell’uomo e dell’umanità potei dire che, per quanto oggi appaia stolto, in futuro la chimica, la fisica, la fisiologia e la biologia verranno compenetrate dall’impulso cristico, e la scienza autentica sarà compenetrata da tale impulso in alcune cose di cui oggi non è consentito neppure sognare.

 

Chi non voglia crederlo basta soltanto che riguardi la storia per convincersi di come quanto è giusto nei tempi successivi sia stato considerato pazzia in quelli precedenti. Se anche ora egli ci compatisce, si metta tranquillo perché quanto viene stimato pazzia nel nostro tempo sarà ragionevole nel tempo successivo! Per quanto possa apparire stolto all’odierna umanità pensare a una chimica cristica, ciò apparirà ragionevole ai posteri. Se portiamo il Cristo nella nostra visione del mondo, Egli ci darà pienezza al posto di vuoto.

Che cosa accade se percorriamo l’altra via, se nel senso paolino di quanto è stato detto qui finora riempiamo la nostra anima con l’impulso del Cristo e ci immergiamo poi in noi stessi?

L’impulso del Cristo ha la caratteristica di agire come dissolvendo,

distruggendo la nostra egoità, il nostro egoismo.

 

• È singolare che quanto più scendiamo in noi stessi con l’impulso del Cristo, tanto meno l’egoismo può nuocerci. Penetrando dunque sempre più in noi stessi, attraversando con l’impulso del Cristo i nostri istinti e le nostre passioni egoistiche, impariamo a conoscere l’entità umana, impariamo a conoscere tutti i segreti delle meraviglie cosmiche dell’essere umano.

L’impulso del Cristo ci fa andare anche più avanti.

 

Mentre altrimenti veniamo respinti come una palla di gomma e non scendiamo in noi stessi, nella sfera della nostra organizzazione umana, grazie al Cristo penetriamo sempre più profondamente in noi, penetriamo in noi stessi e giungiamo per così dire di nuovo fuori da noi stessi, dall’altra parte.

 

Se dunque

• da una parte usciamo nelle ampiezze del mondo

e ovunque nelle lontananze dello spazio troviamo il principio del Cristo,

• dall’altra parte, scendendo, troviamo nella sfera dei mondi sotterranei

anche tutto ciò che è impersonale, libero da noi.

• Nelle due direzioni troviamo ciò che ci trascende.

 

Non ci disperdiamo, non ci frantumiamo nelle ampiezze del mondo:

• troviamo il mondo degli dèi che sono in alto;

• verso il basso penetriamo nel mondo dei veri dèi.

 

• Potremmo disegnare come un cerchio quanto ci conduce sia in noi stessi, sia nelle ampiezze del mondo e alla fine ci uniremmo al di fuori di noi stessi. Si uniscono ciò che è di natura volitiva e in cui in genere ci immergiamo come in una regione in cui bruciamo e ciò che sono le ampiezze dello spazio, in cui ci disperdiamo come in un nulla.

• I nostri pensieri sul mondo si uniscono con la volontà che ci viene incontro dal mondo quando scendiamo in noi. Pensieri ricolmi di volontà, pensieri volitivi! Con un tale processo non siamo più di fronte a pensieri astratti, ma a pensieri del mondo che sono creativi in se stessi, che possono volere.

 

Pensieri volitivi: vale a dire esseri divini, entità spirituali, perché pensieri ricolmi di volontà sono entità spirituali.

Così il cerchio si chiude.

 

Così ci facciamo strada attraverso le prove dell’anima che incontriamo, mentre altrimenti andremmo nel nulla a causa della debolezza della nostra anima. Quando scendiamo in noi stessi attraverso l’enorme egoità (vale a dire tramite l’anima forte nell’egoità, nell’egoismo) giungiamo così da entrambi i lati a quanto ci può certo condurre a prove dell’anima, senza tuttavia mai dirci qualcosa sul mondo.

 

• Dobbiamo percorrere entrambe le vie, avvertire entrambe le resistenze,

tanto la paura davanti al vuoto, quanto la resistenza della propria egoità.

• Penetrando così in noi stessi, avvicinandoci al mondo dalla parte della natura volitiva,

non appena in questo modo usciamo da noi stessi veniamo afferrati dalla infinita compassione,

dalla pietà infinita per tutti gli esseri.

 

La compassione, il soffrire con altri è ciò che, quando il ciclo è chiuso, si unisce ai pensieri del mondo

che altrimenti si dileguano e che ora ricevono contenuto sostanziale.

L’impulso del Cristo ci conduce a poco a poco a chiudere il cerchio

e a riconoscere nelle ampiezze dello spazio i pensieri ricolmi di volontà e pervasi di vita.

 

• Quando le prove dell’anima ci hanno fatto progredire in tal modo,

siamo purificati nella nostra anima, compenetrati dal processo di purificazione che abbiamo dovuto attraversare.

• Mentre verso il basso passiamo attraverso tutto quanto il Guardiano della soglia ci mostra,

vale a dire le occasioni all’egoismo,

siamo anche immuni da tutto quanto ci farebbe disperdere nelle ampiezze dello spazio e sentire la paura del vuoto.

 

Negli antichi misteri greci dominava una tale sapienza che ci conduce in fondo al mistero più profondo delle prove dell’anima. Per questo gli antichi misti, i discepoli dei misteri, venivano condotti da una parte alla paura davanti all’abisso infinito e alla conoscenza, e dall’altra alla tentazione per opera dell’egoità e al superamento di essa nell’infinita pietà e compassione per tutti gli esseri.

 

Nell’unione di compassione e pietà con i pensieri, essi sperimentavano la purificazione da tutte le prove dell’anima. La tragedia originaria, il dramma originario, ne creò in Grecia un’immagine molto debole.

 

I primi drammi di Eschilo e se pur meno ancora quelli di Sofocle ci mostrano a che scopo erano stati scritti. Esistevano per suscitare paura e pietà, nel modo in cui un’azione viene progressivamente rappresentata sul palcoscenico, e condurre alla purificazione, alla catarsi.

 

Aristotele sapeva dalla tradizione

che il dramma greco rispecchiava in piccolo la colossale e grandiosa sensazione di paura e di egoità,

del superamento della paura grazie al coraggio e dell’egoità nella infinita compassione;

egli sapeva che il dramma era in piccolo uno strumento di educazione

e definì la tragedia dicendo che doveva essere una rappresentazione di eventi tra loro collegati,

adatti a suscitare paura e pietà nell’anima umana e a purificarla grazie a tali caratteristiche.

 

Queste verità grandiose sono andate smarrite per l’anima umana, dimenticate nel corso del tempo. Quando poi fra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo si cominciò a studiare di nuovo Aristotele, si formò un’intera biblioteca con spiegazioni su che cosa egli avesse realmente voluto dire in proposito. Quel che egli intese lo si capirà solo se si comprenderà di nuovo la derivazione del dramma dai misteri antichi. Altrimenti l’erudizione rimarrà a battere alla superficie più esterna, perché con la spiegazione del concetto di dramma a seguito del lavoro in quelle biblioteche non si è acquisito molto per la definizione aristotelica di paura e pietà. Vediamo cioè come le prove dell’anima debbano scaturire dal divenire del mondo e dell’umanità.

 

Vediamo anche che le prove dell’anima sorgono

perché l’anima si sente indotta a percorrere due vie,

una nelle lontananze del mondo, l’altra nelle profondità del proprio essere.

 

Deve infatti superare prove non potendo avere prospettive da ambo le parti;

può però sperare di chiudere il cerchio e trovare da una parte la volontà, dall’altra il pensiero

e di conseguenza le vere realtà per il cui tramite

il mondo si manifesta come spirito volente, come volere spirituale.

 

Alla fine giungiamo al punto che il mondo intero ci si dissolve in spirito, vediamo ovunque spirito

e dobbiamo riconoscere tutto quanto è sostanza materiale

solo come la manifestazione esteriore dello spirito, come l’immagine ingannevole dello spirito.

• Dobbiamo attraversare queste prove perché non sappiamo di essere nello spirito, anche se viviamo in esso.

• Vediamo lo spirito in una forma ingannevole, e dall’inganno che siamo noi stessi, dal sogno con cui ci sogniamo,

dobbiamo arrivare alla realtà, liberandoci di tutto quanto ricorda ancora la realtà materiale o le sue leggi.

 

È una via di cui possiamo intuire la fine;

da quelle intuizioni ci viene la forza che ci fa dire

di poter infine chiudere il cerchio e trovare nella manifestazione dello spirito

le soluzioni delle meraviglie del creato, le soddisfazioni per le prove dell’anima.

 

Un vero studio della scienza dello spirito non deve quindi mai scoraggiarci,

e se anche ci viene mostrato quanto siano difficili le prove dell’anima che sempre di nuovo ci si presentano,

dobbiamo tuttavia dirci che vanno conosciute e anche attraversate, perché il saperle in modo astratto non ci è d’aiuto.

Dobbiamo tuttavia anche avere la fiducia che attraverso le prove dell’anima arriveremo alle manifestazioni dello spirito.

 

Di certo chi si volesse tranquillizzare, pensando che le manifestazioni spirituali finiranno per arrivare e che perciò è inutile cercare le prove dell’anima, cadrà proprio in tali prove. Chi per esempio volesse dire: tu hai presentato il primo dramma rosicruciano nel quale troviamo un’evoluzione dell’anima che sembra mostrare che Giovanni Tomasio ha raggiunto già una certa altezza, e su quella base potremmo prescindere dal secondo dramma, La prova dell’anima, e sperare semplicemente che seguirà una rivelazione dello spirito. A che scopo occorre occuparci di prove dell’anima?

 

Chi pensasse così, andrebbe incontro alle peggiori prove dell’anima, perché

con la nostra coscienza normale, con la nostra intellettualità,

non riusciamo a sfuggire alle prove dell’anima che ci attendono.

 

Per questo è meglio porci davanti all’anima tutte le prove che l’anima deve sperimentare, conoscerle tutte e non stancarsi al fine di capire che anche un uomo come Giovanni Tomasio può cadere nell’errore e nell’illusione e che deve proseguire per vie molto diverse da quelle che in un primo tempo si pensava. Mai ci è però permesso perdere la fiducia che l’anima umana è destinata a innalzare il suo sé divino alle manifestazioni dello spirito.

 

Il cammino dell’anima umana

è di stare di fronte al mondo, vederlo come maya o illusione,

sentire che all’interno di maya o illusione sono celate le meraviglie del creato,

che la meraviglia si presenta come la prima prova e che le prove diventano poi sempre più difficili;

l’anima può tuttavia conservare la sua forza, giungere a chiudere il cerchio

e infine trovare nella manifestazione dello spirito

la soluzione delle meraviglie del creato, la purificazione delle prove dell’anima.

 

Questo è il cammino che l’anima umana compie, e non solo essa,

il percorso cui tendono tutte le gerarchie divine, facendolo nell’anima umana.

 

• Abbiamo così abbozzato quello che in sostanza ci eravamo posti come compito per le conferenze di quest’anno:

dare un’idea del nesso tra meraviglie del creato, prove dell’anima e manifestazioni dello spirito.