Le tre correnti fondamentali di ogni evoluzione nel mondo come esse si palesano alla vista esteriore

O.O. 131 – Da Gesù a Cristo – 05.10.1911


 

Sommario: Padre, Figlio e Spirito Santo. Le tre correnti fondamentali di ogni evoluzione nel mondo come esse si palesano alla vista esteriore

 

Oggi, astraendo completamente dal significato più profondo e dalla caratterizzazione più profonda delle tre correnti fondamentali di ogni vita e di ogni evoluzione, vogliamo rappresentarcele come esse si palesano alla vista esteriore.

• Abbiamo in primo luogo ciò che si può chiamare la nostra vita animica,

in quanto essa è vita di conoscenza.

 

Per quanto l’uomo protesti contro l’astrazione di una conoscenza unilaterale, di un’aspirazione unilaterale verso la verità, per quanto possa ritenere estranee alla vita molte tendenze scientifiche, filosofiche e antroposofiche, egli, che nella sua anima si rende realmente conto di ciò che vuole e può volere, sa nondimeno che

la parola conoscenza abbraccia ciò che appartiene

alle aspirazioni più profondamente radicate della nostra vita animica

perché, tanto se cerchiamo la conoscenza attraverso il pensiero,

quanto se la cerchiamo piuttosto per la via del sentimento o della sensazione,

la conoscenza significa pur sempre un orientarsi su tutto ciò che ci circonda nel mondo, e anche sopra noi stessi.

 

Occorre così decidere

• se ci vogliamo accontentare delle esperienze più semplici dell’anima,

• o se ci vogliamo inoltrare nelle spiegazioni più complicate dei segreti dell’esistenza;

la conoscenza tuttavia rappresenta, per noi soprattutto, una questione vitale di somma importanza,

perché in ultima analisi per mezzo della conoscenza ci formiamo un’immagine del contenuto del mondo

di cui noi pur viviamo e da cui viene alimentata tutta l’essenza della nostra anima.

 

Dobbiamo includere nel campo della conoscenza

perfino ogni primissima impressione dei sensi e in generale ogni vita dei sensi,

così come le astrazioni più elevate dei concetti e delle idee,

ma dobbiamo includervi anche ciò che stimola la nostra anima, diciamo, a distinguere il bello dal brutto

perché, sebbene in un determinato senso sia vero che di gusti non si possa discutere,

è pur sempre una conoscenza se un uomo si è formato un giudizio sul gusto e può giudicare del bello e del brutto.

 

Dobbiamo sentire come idee morali, come conoscenze, o come stimoli del sentimento

che ci incitano a fare una cosa e a tralasciarne un’altra, anche i nostri impulsi morali,

quelli che ci spingono a fare il bene e a tralasciare il male.

• Sì, anche quella che chiamiamo nostra coscienza morale,

per quanto possa esplicare impulsi indeterminati, appartiene pure a quanto abbracciamo con la parola conoscenza.

 

In breve, possiamo abbracciare spiritualmente con le parole « vita della conoscenza »

il mondo di cui siamo anzitutto coscienti, si tratti di un mondo della maya o della realtà,

il mondo in cui viviamo coscientemente, tutto quello di cui siamo coscienti.

 

Tutti dovranno però ammettere

• che, sotto la superficie della vita spirituale che abbracciamo con la conoscenza, vi è ancora qualcosa d’altro;

• che la nostra vita animica ci palesa, anche nell’esistenza giornaliera,

molto che non appartiene alla nostra vita cosciente.

 

A questo proposito possiamo indicare prima di tutto la nostra vita animica,

quella che ogni mattina, quando ci destiamo, rinasce sempre rinvigorita e ristorata dal sonno;

dobbiamo allora dire che durante lo stato di sonno abbiamo acquistato

per la nostra vita animica, dunque nell’incosciente,

qualcosa che non può rientrare nel campo della nostra conoscenza, della nostra vita cosciente,

e di cui la nostra anima lavora piuttosto al di sotto del piano della coscienza.

 

Ma anche nei riguardi della vita desta diurna dobbiamo ammettere che ci spingono desideri, istinti e forze,

di cui le ondate si ripercuotono invero nel campo della coscienza,

ma che tuttavia lavorano e hanno esistenza al di sotto della coscienza.

• Ci accorgiamo che esse lavorano al di sotto della coscienza quando risalgono

a quella superficie che divide la nostra vita cosciente da quella subcosciente.

 

In ultima analisi anche la vita morale ci mostra l’esistenza di tale vita animica subcosciente,

perché nella vita morale vediamo nascere in noi diversi ideali,

e basta un poco di conoscenza di se stessi per costatare che tali ideali

sorgono in verità nella nostra vita animica, ma che non sappiamo sempre

come essi si ricolleghino con le questioni più profonde dell’esistenza;

non sappiamo cioè come questi nostri grandi ideali morali

esistano nella volontà di Dio nella quale, alla fine, essi pur devono aver radice.

 

È proprio come se il complesso della nostra vita animica potesse essere paragonato con ciò che si svolge nelle profondità del mare. Queste profondità della vita del mare animico lanciano le loro ondate verso la superficie, e si presenta alla coscienza, alla conoscenza, ciò che vien proiettato su nell’atmosfera alla quale si può paragonare la vita normale animica cosciente.

 

Ma ogni vita cosciente ha radice in una vita animica subcosciente.

In ultima analisi l’intera evoluzione dell’umanità si può comprendere

soltanto ammettendo una tale vita animica subcosciente,

perché tutti i progressi della vita dello spirito altro non significano se non che, dal subcosciente della vita animica,

ciò che già da lungo tempo viveva sotto la superficie, è stato tratto sopra di essa, e così soltanto ha preso forma.

• Così succede per esempio quando un’idea creativa assume forma di impulso verso una scoperta.

• Dobbiamo sempre ammettere quale secondo elemento della nostra vita animica

l’esistenza in noi di una vita animica subcosciente, pari a quella cosciente.

 

Se trasferiamo la nostra vita animica incosciente in ciò che in un primo momento è sconosciuto ma non inconoscibile, dobbiamo porgli di fronte anche un terzo elemento.

Questo terzo elemento risulta direttamente anche all’osservazione esteriore exoterica se ci si dice che, volgendo verso l’esteriore lo sguardo dei sensi e dell’intelletto, insomma della vita spirituale, si imparano a conoscere varie cose; se però si riflette con maggior precisione sopra qualsiasi conoscenza si dovrà pure ammettere che,

• dietro a ciò che si riconosce dell’assieme del mondo, vi è una parte nascosta che non è inconoscibile,

• ma che in ogni epoca si può chiamare la parte non ancora conosciuta.

 

Questa parte non ancora conosciuta che si trova sotto la superficie del conosciuto,

così nel regno minerale come nel regno vegetale e in quello animale,

appartiene tanto alla natura esteriore quanto a noi stessi.

• Appartiene a noi in quanto accogliamo ed elaboriamo nella nostra organizzazione fisica

le sostanze e le forze del mondo esteriore;

e in quanto in essa è compresa una parte della natura, vi è pure una parte dell’ignoto della natura.

 

Nel mondo in cui viviamo dobbiamo perciò distinguere tre elementi:

• la vita cosciente del nostro spirito, ossia ciò che penetra nella coscienza;

• poi ciò che risiede al di sotto della soglia della coscienza, e cioè la nostra vita animica subcosciente,

• e infine quanto vive in noi come vita ignota della natura

e al contempo come vita ignota dell’uomo stesso, quale parte della grande natura sconosciuta.

 

Questi tre elementi risultano direttamente a una sensata osservazione del mondo. Se facendo astrazione da tutte le affermazioni dogmatiche, da tutte le tradizioni filosofiche e teosofiche, in quanto queste si rivestono di definizioni concettuali o vengono espresse in schemi, si domanda come lo spirito umano abbia sempre espresso quei tre elementi che esistono non solo attorno ad esso, ma in tutto il mondo a cui esso stesso appartiene, allora bisogna dire che

• l’uomo li ha espressi chiamando Spirito ciò che si fa conoscere sull’orizzonte della coscienza;

• l’uomo ha invece indicato come Figlio o Logos ciò che lavora nella vita animica subcosciente

e da questa lancia in alto soltanto le sue ondate.

• Ciò che infine appartiene alla natura, per quel tanto che essa ancora è ignota,

come pure quella parte del nostro proprio essere che alla natura

è affine, fu sempre indicato dallo spirito umano come il principio-Padre

perché si sentiva che questo rappresenta il terzo principio di fronte agli altri due.

 

Assieme a tutto quello che ora è stato detto dei princìpi Spirito, Figlio e Padre valgono naturalmente e sono legittime tutte le altre distinzioni che sempre in tutti i tempi vennero fatte anche nelle diverse concezioni del mondo. Si può dire però che il concetto più popolare di queste distinzioni ci vien dato da quello che appunto abbiamo caratterizzato.

• Ora chiediamoci: quale è il miglior modo di caratterizzare il passaggio fra ciò che appartiene allo Spirito, ché si esplica dunque direttamente nella vita animica cosciente, e la vita animica subcosciente che appartiene al principio-Figlio?

Questo passaggio può venir meglio abbracciato dal nostro sguardo, se ci rendiamo chiaramente conto che appunto nella vita spirituale ordinaria dell’uomo, nella coscienza, agiscono chiaramente dalla subcoscienza quegli elementi che noi, rispetto all’elemento della rappresentazione e a quello del sentimento, dobbiamo indicare come elementi di volontà.

 

Basterebbe per questo interpretare giustamente le parole: « Lo spirito è pronto »,

perché con ciò è indicato che appartiene al campo dello spirito tutto quanto abbraccia la coscienza,

e poi: « ma la carne è debole », con cui viene indicato tutto quello che risiede piuttosto nel subcosciente.

 

In quanto alla natura della volontà, basta che l’uomo rifletta su ciò che risale ed agisce dal subcosciente e che rientra nella nostra vita animica cosciente soltanto allorché, dopo il risalire delle onde dal mare inferiore della vita animica, noi ce ne formiamo dei concetti coscienti.

 

Soltanto quando vien da noi trasformato in concetti e idee

ciò che, come oscura forza animica, ha radice negli elementi della vita animica,

esso diventa un contenuto dello Spirito;

altrimenti rimane nel campo del principio del Figlio.

E mentre la volontà esercita la sua azione per mezzo del sentimento nella vita delle rappresentazioni,

vediamo chiaramente dinanzi a noi il frangersi delle onde che dal mare del subcosciente si ripercuote nel cosciente.

 

Possiamo dire dunque che

• fra i tre elementi della vita animica, nella rappresentazione e nel sentimento

abbiamo qualcosa che appartiene alla vita animica cosciente;

ma il sentimento discende già nel campo della volontà,

e quanto più ci avviciniamo agli impulsi della volontà, alla vita volitiva,

tanto più ci immergiamo nel subcosciente,

in quei campi oscuri in cui discendiamo completamente,

quando la coscienza si spegne del tutto nella vita del sonno profondo senza sogni.

 

Il genio del linguaggio è spesso molto più profondo dello spirito umano cosciente, e indica perciò giustamente tante cose che probabilmente sarebbero indicate in modo assolutamente falso, se l’uomo potesse con la coscienza dominare completamente il linguaggio. Così, per esempio, alcuni sentimenti vengono espressi nel linguaggio in modo che la parola stessa già esprime l’affinità fra il sentimento e la volontà; così, mentre non intendiamo affatto un impulso volitivo ma soltanto un contenuto sentimentale, adoperiamo nondimeno nel linguaggio la parola « volontà »; appunto perché il genio del linguaggio, per determinati sentimenti più profondi di cui non ci si rende più chiaramente conto, adopera la parola volontà.

 

Questo si verifica per esempio quando parliamo di « contro voglia ».

Non occorre in tal caso affatto che si abbia lo stimolo a una qualsiasi azione,

non è affatto necessario che si verifichi il passaggio alla volontà.

Nella vita subcosciente dell’anima si esprime allora l’affinità di sentimenti più profondi,

dei quali non ci si rende più conto nel campo della volontà.

 

E poiché appunto succede che l’elemento volitivo discenda nel campo della vita subcosciente dell’anima,

dobbiamo persuaderci che il campo della volontà deve stare con l’uomo e la sua personale entità individuale

in un nesso del tutto diverso da quello in cui sta il campo della conoscenza, il campo dello spirito.

 

Quando poi adoperiamo le nostre parole specificative di Spirito e di Figlio, si può dire

che possiamo destare in noi il sentimento che l’uomo deve stare in due nessi diversi con lo Spirito e col Figlio.

Come va capita questa affermazione?

È facile capirla anche nella vita exoterica. Certamente, del campo della conoscenza si discute nei modi più diversi; ma bisogna pur dire che se gli uomini si intendessero sui concetti e le idee che essi formulano sulla conoscenza, la discussione su questo argomento andrebbe lentamente a finire.

 

Già spesso ho ripetuto che di questioni matematiche più non si discute,

perché sono state portate del tutto a coscienza,

mentre sempre si discute di quei problemi che non abbiamo ancora elevati completamente alla coscienza;

così permettiamo che in essi agiscano ancora i nostri impulsi, i nostri istinti e le nostre passioni subcoscienti.

• Questo già indica che il campo della conoscenza rappresenta

qualcosa di più generalmente umano di quello del subcosciente.

 

Se ci troviamo di fronte ad un altro uomo per una fra le più diverse ragioni pensabili,

dobbiamo dire che nel campo della vita spirituale cosciente deve essere possibile un accordo con lui.

Una vita sana dell’anima si esprime nel fatto

che essa nutre l’aspirazione, la speranza, di potersi accordare con gli altri

intorno alle cose della vita spirituale, della vita cosciente dell’anima.

 

La vita dell’anima diventerebbe malsana

se andasse perduta la speranza di potersi accordare con gli altri

intorno alle cose della conoscenza, della vita spirituale cosciente.

• Invece l’elemento volitivo e tutto ciò che vi è nel subcosciente,

quando ci viene incontro in un’altra persona, si manifesta come qualcosa in cui non dobbiamo affatto intrometterci,

qualcosa che dobbiamo considerare come l’intimo santuario dell’altro.

 

Basta riflettere quanto ad una vita sana dell’anima riesca sgradevole il sentimento

che la volontà di un’altra persona sia stata violentata;

ci si renda chiaramente conto che riesce non soltanto antiestetico, ma addirittura moralmente sgradevole

vedere la vita animica cosciente di una persona interrotta per mezzo dell’ipnosi o di altro mezzo coercitivo,

vedere insomma la volontà di una persona esercitare diretta influenza sulla volontà dell’altra.

 

L’unica via sana

è quella di acquistare influenza sulla volontà degli altri soltanto per la via della conoscenza.

La conoscenza deve essere qualcosa per mezzo di cui un’anima si accorda con l’altra.

• Ciò che una persona vuole deve prima trasferirsi nella conoscenza,

e poi deve esercitare la propria azione nella conoscenza dell’altro

e mettersi in contatto con la volontà dell’altro soltanto indirettamente, per la via della conoscenza.

 

Questo modo di agire è il solo che, nel senso ideale più alto,

possa riuscire soddisfacente per la vita sana dell’anima;

qualsiasi influenza coercitiva esercitata da una volontà su altre

deve necessariamente provocare un’impressione sgradevole.

 

In altre parole la natura umana, se è sana, tende a sviluppare nel campo dello spirito la vita in comune, a rispettare e a stimare il campo del subcosciente, in quanto si esprime nell’organizzazione umana come un santuario inviolabile che deve riposare nella persona, nell’individualità del singolo uomo, e alla quale ci si deve avvicinare soltanto attraverso la porta della conoscenza cosciente.

Così almeno deve sentire una coscienza moderna appartenente al nostro tempo, quando si sente sana.

 

Nelle prossime conferenze vedremo se questo era così anche in altri tempi dell’evoluzione dell’umanità. Quanto ora è stato detto ci può già dare subito un’idea chiara su quello che è al di fuori di noi e su quello che è in noi, almeno per il nostro presente. Questo è connesso da un lato col fatto che, in ultima analisi, il campo del Figlio, tutto ciò che indichiamo come Figlio o Logos, deve venir destato in ognuno di noi singolarmente, come una faccenda individuale del tutto personale; e dall’altro che il campo comune sul quale si può lavorare da uomo a uomo è il campo dello Spirito.

 

In modo significativo e grandioso vediamo espresso ciò che ora è stato detto in tutti i racconti che il Nuovo Testamento ci dà intorno alla figura del Cristo Gesù e dei suoi primi discepoli e seguaci. Vediamo, e lo possiamo assolutamente dedurre da tutto ciò che ci è dato indicare sull’evento del Cristo, come in sostanza i seguaci, che erano accorsi verso il Cristo durante la sua vita, diventassero titubanti quando egli finì con la morte sulla croce; con una morte cioè che, nel paese in cui si era svolto l’evento del Cristo, veniva considerata come l’unica espiazione possibile nella vita umana per i più grandi delitti.

 

Anche se la morte sulla croce non agì su tutti come su Saulo, che poi divenne Paolo, e che quando era ancora Saulo ne aveva dedotto in un primo tempo la conseguenza che chi muore di una tale morte non poteva essere il Messia o il Cristo; anche se la morte sulla croce fece sugli altri discepoli un’impressione per così dire più blanda, è evidente però che gli scrittori dei Vangeli cercarono perfino di provocare l’impressione che in certo modo il Cristo Gesù aveva perso tutta l’influenza che possedeva sui cuori delle persone che lo attorniavano, per il fatto di esser stato sottoposto alla morte ignominiosa sulla croce.

 

Ma con questo racconto è collegato anche qualcos’altro:

cioè che l’influenza che il Cristo Gesù aveva acquistato,

e che in queste conferenze dovremo caratterizzare con maggior precisione,

ritornò nuovamente dopo la risurrezione.

 

Si pensi pure oggi come si vuole sulla risurrezione; ne parleremo nei prossimi giorni nel senso della scienza occulta,

e allora una cosa ci riuscirà evidente, purché si lascino agire su di noi i racconti dei Vangeli;

e cioè che per coloro ai quali, come vien raccontato, il Cristo comparve dopo la risurrezione,

egli divenne, in modo del tutto speciale e diverso, molto più « presente » di quanto prima non fosse.

 

Quando parlai del Vangelo di Giovanni già dissi quanto fosse impossibile che dopo tre giorni una conoscente di Gesù di Nazareth non lo riconoscesse e lo potesse scambiare con un’altra persona, se egli non le fosse apparso in un aspetto trasformato. I Vangeli vogliono destare assolutamente l’impressione che il Cristo era apparso con un’altra figura.

I Vangeli vogliono anche indicare che nell’interiorità delle anime umane, perché il Cristo trasformato potesse agire su di esse, occorreva vi fosse una certa qual ricettività. Per agire su tale ricettività non bastava che agisse soltanto ciò che appartiene al campo dello spirito, ma doveva agire la visione diretta dell’esistenza dell’entità-Cristo.

 

Se ci domandiamo di che cosa qui si tratti, dobbiamo rispondere che, se un uomo ci sta dinanzi,

ciò che agisce su di noiè assai più di quello che si accoglie nella nostra coscienza.

• Quando un uomo o un altro essere agisce su di noi,

degli elementi subcoscienti agiscono tutto il tempo sulla nostra vita animica;

degli elementi subcoscienti che l’altra entità crea tramite la coscienza,

ma che può creare soltanto per il fatto che, come entità, essa si presenta a noi nella sua realtà.

• Quello che il Cristo operò da essere a essere subito dopo la cosiddetta risurrezione,

fu qualcosa che, salendo dalle forze animiche incoscienti dei discepoli,

diventò attivo nella vita della loro anima: la conoscenza con il Figlio.

 

Da questo proviene anche la diversità nella descrizione del Cristo risuscitato, le diverse caratteristiche del modo in cui il Cristo agì sull’uno o sull’altro, in cui egli apparve a questo o a quello secondo le diverse nature dell’uno o dell’altro. Sono influenze dell’entità-Cristo sul subcosciente delle anime dei suoi discepoli, e perciò esse sono anche del tutto individuali; non dobbiamo quindi urtarci se tali apparizioni non vi vengono descritte in modo uniforme, ma in modo vario.

 

Ma quando ciò che il Cristo doveva diventare per il mondo

dovette apportare a tutti gli uomini qualcosa che li accomunasse,

allora dal Cristo dovette emanare non soltanto questa azione individuale, questa azione del Figlio,

ma dovette venir rinnovato dal Cristo l’elemento dello Spirito,

cioè quello che può formare la comunanza nella vita umana.

 

Questo viene caratterizzato dal fatto che il Cristo, dopo aver agito sulla natura-Logos dell’uomo,

invia lo Spirito sotto forma di Spirito rinnovato o « santo ».

• Con ciò viene procurato l’elemento comunitario, e questo vien caratterizzato dal racconto che i discepoli,

quando ebbero ricevuto lo Spirito, cominciarono a parlare nelle più diverse lingue;

così è indicato il principio comunitario che risiede nella discesa dello Spirito Santo.

 

Viene inoltre indicato quanto ciò sia differente dalla semplice partecipazione alla forza del Figlio, perché vien raccontato negli Atti degli Apostoli come delle persone da essi avvicinate, già battezzate secondo Gesù, nondimeno (e negli Atti degli Apostoli ciò viene simbolicamente accennato con l’imposizione delle mani) dovessero ricevere ancora lo Spirito.

Dobbiamo quindi dire che la nostra attenzione viene in modo preciso richiamata appunto su questa caratteristica dell’evento del Cristo, cioè sulla differenza tra

• l’azione che va indicata come vera azione-Cristo,

che penetra nei momenti subcoscienti dell’anima e deve perciò avere un carattere intimo personale,

• e gli elementi-Spirito che rappresentano qualcosa di accomunante.

 

Questo motivo dell’evoluzione cristiana, per quanto la debolezza umana lo permette,

è stato osservato con massima cura da coloro che si sono battezzati col nome di «rosicruciani».

• Ovunque essi vollero accuratamente osservare che, perfino nelle regioni più elevate dell’iniziazione,

non deve venir esercitata azione alcuna se non su ciò che nell’evoluzione dell’umanità

è a disposizione comune di ogni uomo; che si poteva agire soltanto sullo spirito.

 

L’iniziazione dei rosicruciani era una iniziazione dello Spirito.

Essa non divenne perciò mai un’iniziazione della volontà,

perché la volontà dell’uomo veniva rispettata nell’interiorità dell’anima come qualcosa di sacro.

 

L’uomo veniva dunque guidato in alto verso le iniziazioni che dovevano condurlo ai gradini dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione, ma soltanto fino al punto in cui, nella sua propria interiorità, egli potesse riconoscere ciò che doveva venir provocato per mezzo dell’evoluzione dell’elemento-spirito.

• Non doveva verificarsi nessuna azione sull’elemento-volontà.

Questo non va scambiato però con l’indifferenza riguardo alla volontà; anzi, per mezzo dell’esclusione dell’azione diretta sulla volontà, veniva esercitata indirettamente la più pura azione spirituale attraverso lo spirito.

 

Mentre ci intendiamo con gli altri uomini sul modo di inoltrarci sul sentiero della conoscenza dello spirito,

dal sentiero dello spirito viene emanata la luce e il calore che possono allora infiammare anche la volontà;

ma sempre per il tramite dello spirito, mai per altra via.

Nel rosicrucianesimo troviamo perciò rispettato al massimo grado

quel motivo della essenza cristiana che si esprime in duplice modo:

• da una parte nell’elemento-Figlio, nell’azione-Cristo,

che penetra profondamente nell’esistenza subcosciente dell’uomo,

• e dall’altro nell’azione-Spirito, che si estende su tutto ciò che deve rientrare nell’orizzonte della nostra coscienza.

 

Dobbiamo indubbiamente portare il Cristo nella nostra volontà, ma il modo in cui gli uomini debbono accordarsi nella vita riguardo al Cristo, secondo il rosicrucianesimo, dovrebbe consistere soltanto nella capacità della vita cosciente dell’anima di approfondirsi e penetrare sempre maggiormente nell’occulto.