L’esperienza dell’io che diventa il mondo

O.O. 153 – Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita – 09.04.1914


 

Sappiamo che di notte, quando l’uomo dorme,

il nesso in cui stanno il suo io e il suo corpo astrale da un lato, e il suo corpo fisico e il suo corpo eterico dall’altro,

è diverso da quello della veglia diurna.

 

Nello stato diurno di veglia si potrebbe dire

che il corpo fisico, il corpo eterico, il corpo astrale e l’io sono accoppiati in modo normale.

• Questo nesso si allenta talmente nel sonno,

che il corpo astrale e l’io escono dalla sfera dei sensi e dalla sfera del pensiero;

sono dunque fuori dell’intera sfera degli strumenti della coscienza,

e perciò l’oscurità della notte si effonde sulla coscienza normale e subentra uno stato di incoscienza.

 

Se però l’uomo rafforza la sua anima con una disciplina esoterica

in modo da essere in grado di conoscere e di percepire

nell’entità animico-spirituale che si trova di notte fuori del corpo in stato di incoscienza,

se dunque diventa capace di conoscere e di percepire spiritualmente,

se fuori del corpo sperimenta davvero la realtà animico-spirituale quale suo elemento umano,

allora sorge per lui un nuovo mondo, un ambiente spirituale,

così come per l’uomo esiste un ambiente circostante fisico

quando si serve dei sensi e del cervello, che è lo strumento del pensare.

 

L’ambiente spirituale che allora si può osservare non è affatto sempre il medesimo.

• Nella condizione di investigatore spirituale l’uomo può trasferirsi in periodi e modi diversi.

• In realtà su ciò che vede spiritualmente influisce l’intenzione,

cioè quel che si vuole conoscere; non un’intenzione razionale,

ma piuttosto quella che risiede inconscia ed istintiva in tutta la vita dell’anima.

 

Se per esempio l’indagatore dello spirito esce dal proprio corpo per cercare un contatto con qualcuno già defunto, questa sua intenzione esercita un’azione sull’intero campo della coscienza spirituale; egli sorvola in certo modo tutto quanto non appartiene a quell’intenzione; se gli riesce, egli si dirige direttamente verso il defunto e verso la sua sorte, per conoscere quel che appunto desidera vedere in quel defunto. Sebbene il termine non sia adeguato, il resto del mondo spirituale rimane per così dire trascurato, non illuminato, e l’uomo sperimenta allora solo il nesso col defunto.

 

Quel che l’uomo vede nel mondo spirituale dipende dunque dalle sue intenzioni.

Si può quindi comprendere che quanto la coscienza chiaroveggente descrive di ciò che ha visto nel mondo spirituale può essere infinitamente diverso, secondo i diversi individui chiaroveggenti. Ognuno può aver veduto giustamente quello che appunto doveva vedere, secondo la tendenza che era in lui quando usciva dal fisico-corporeo col suo essere animico-spirituale.

 

Mi propongo di descrivere in queste conferenze ciò che la coscienza chiaroveggente vede quando si reca nel mondo spirituale con l’intenzione di conoscere la vita umana interiore, le quattro sfere del percepire, del pensare, del sentire e del volere, al fine di scorgere dietro di esse ciò che veramente fluttua nell’anima umana producendo gioia e dolore.

 

Supponiamo ora che una coscienza chiaroveggente sia arrivata al punto da poter veramente uscire con lo spirituale-animico dal fisico-corporeo, così come l’uomo, suole uscire di solito soltanto nel sonno in stato di incoscienza; supponiamo che il chiaroveggente compia tale uscita con la decisa intenzione, con l’impulso a conoscere la vita interiore dell’uomo, a porsi di fronte alla vita interiore dell’uomo.

 

Allora gli si presenterà ciò che ora cercherò di descrivere.

• Quel che si presenta anzitutto alla coscienza chiaroveggente è proprio

una completa inversione di ogni visione del mondo.

 

• Finché siamo dentro il corpo, noi guardiamo intorno a noi con i sensi e pensiamo con l’intelletto;

vediamo intorno a noi monti, fiumi, nuvole, stelle; in un punto del mondo scorgiamo noi stessi,

come qualcosa di infinitamente piccolo in confronto al grande mondo.

• Quando la coscienza chiaroveggente comincia ad agire fuori del corpo,

questa relazione è totalmente invertita.

 

Il mondo che di solito si estende davanti ai nostri sensi, e sul quale riflettiamo con l’intelletto connesso al cervello,

svanisce per la vista, svanisce per la percezione. Esso non ci fornisce più alcun pensiero, se così si vuol dire.

Ci si sente però come riversati nel mondo.

 

• Ci si sente proprio come quando si esce dal proprio corpo;

questo sentimento è espresso nel modo giusto dicendo:

nel mondo che prima hai guardato, tu ora ti sei riversato, ti trovi dentro di esso,

riempi fino a un determinato limite l’intero spazio e tu stesso lavori nel tempo.

 

• È una sensazione alla quale ci si deve prima abituare; è una sensazione che si può anche esprimere dicendo:

quello che prima era mondo esterno, ora è diventato mondo interiore.

• Non è come se ora si portasse dentro il mondo esterno, ma si sente che è diventato mondo interiore.

Ora si vive nello spazio in cui prima erano spiegate le percezioni dei nostri sensi;

si vive nelle cose e nei processi su cui prima si rifletteva.

 

Invece il piccolo essere, l’uomo, che prima era in certo modo nel centro dell’orizzonte sensibile,

sviluppandosi la coscienza chiaroveggente in un determinato modo, ora diviene effettivamente il mondo.

 

A lui ora guardiamo, come prima guardavamo al mondo esterno tutto effuso nello spazio e fluente nel tempo.

Per così dire siamo diventati il «mondo».