L’essenza di ispirazione e intuizione.

O.O. 234 – Antroposofia – Alcuni aspetti della vita soprasensibile – 03.02.1924


 

Sommario: Io e corpo astrale nella veglia e nel sonno. Essenza di ispirazione e intuizione. Nel sonno si ritorna alla vita prenatale o all’incarnazione precedente. Metamorfosi del concetto di tempo. La morte. Il ricordo. I ricordi nel cosmo dopo la morte.

 

Se si considera il decorso della vita umana terrena, lo si trova in un andamento ritmico che si esprime nella condizione alternata di veglia e di sonno. Dobbiamo accostarci, sotto il punto di vista di veglia e sonno, a ciò che è stato esposto nelle ultime conferenze sulla suddivisione dell’uomo nelle sue parti costitutive.

 

Consideriamo una volta ciò che si presenta alla coscienza ordinaria in forma puramente esteriore.

• Nell’uomo desto abbiamo il decorso dei suoi processi vitali,

che rimangono però nel subconscio o nell’inconscio.

• Nell’uomo desto abbiamo presenti quelle che conosciamo come impressioni dei sensi,

quel rapporto fra il nostro ambiente terreno e quello extraterreno che è mediato dalle impressioni dei sensi,

• e infine abbiamo nell’uomo desto la manifestazione della sua natura volitiva;

abbiamo la sua capacità di movimento come espressione dei suoi impulsi volitivi.

 

Osservando l’uomo esteriormente, vediamo che

• il processo vitale interno si svolge nell’inconscio per l’uomo desto, continua pure durante il sonno,

• mentre l’attività dei sensi e il pensiero costruito su di essa vi sono soppressi;

• troviamo pure soppressa la manifestazione della volontà

• e ciò che unisce entrambi, stando in mezzo, cioè la vita attiva del sentimento.

 

Se ora consideriamo con imparzialità ciò che produce la coscienza ordinaria, senza permetterci alcun preconcetto, dobbiamo pur convenire che i processi che si possono definire animici e quelli che avvengono tra l’animico ed il mondo esterno cessano nel sonno, e che tutt’al più dal sonno risuona la vita di sogno.

Né possiamo ammettere che ad ogni risveglio questi processi animici si creino di nuovo dal nulla: questo sarebbe un pensiero assurdo anche per la coscienza ordinaria.

 

A un osservatore imparziale non rimane altro che presupporre

• che quanto nell’uomo è portatore di processi animici sia presente anche durante il sonno;

• dobbiamo però convenire che questo portatore dei processi animici

non si inserisca nell’uomo durante il sonno,

che durante il sonno non abbia presa nell’uomo

ciò che suscita nei suoi sensi una coscienza del mondo esteriore,

e che incita questa coscienza del mondo esteriore all’attività di pensiero;

• che parimenti non abbia presa ciò che, partendo dalla volontà, mette il corpo in movimento,

• e pure non abbia presa ciò che risveglia al sentimento i soliti processi organici.

 

Durante la vita di veglia siamo ben coscienti che i pensieri penetrano nel nostro organismo, anche se con la coscienza ordinaria non arriviamo a vedere come il pensiero, la rappresentazione scorrano dentro al sistema muscolare e al sistema osseo per trasmettere la volontà. Ma siamo coscienti di questo inserimento degli impulsi animici nella corporeità, e dobbiamo aver chiaro che questo inserimento degli impulsi animici manca mentre siamo nel sonno.

Ne deduciamo, anche da un punto di vista esteriore, che il sonno toglie qualcosa all’essere umano; si tratta solo di chiedersi che cosa il sonno tolga a questo essere umano.

 

Consideriamo anzitutto quello che abbiamo designato come corpo fisico umano:

esso continua nel sonno a essere altrettanto attivo come lo è durante la veglia.

• Ma anche quei processi che abbiamo indicati come tipici dell’organismo eterico

proseguono durante il sonno.

 

L’uomo cresce, durante il sonno;

l’uomo esegue internamente quelle attività che appartengono alla nutrizione,

all’elaborazione degli alimenti, egli continua a respirare e così via.

• Tutte queste sono attività che non possono appartenere al corpo fisico,

poiché cessano quando il corpo fisico diventa cadavere;

allora il corpo fisico viene assunto dalla natura esterna, dalla natura terrestre, la quale agisce distruggendolo.

• Questa azione distruggitrice non sorprende ancora l’uomo nel sonno,

in questa condizione sono quindi presenti delle azioni contrarie alla distruzione del corpo fisico umano:

ne dobbiamo dedurre in modo del tutto esteriore che durante il sonno è presente l’organismo eterico.

 

Sappiamo dalle precedenti conferenze che si può arrivare ad una vera conoscenza dell’organismo eterico mediante l’immaginazione; lo si può sperimentare in immagini proprio come si sperimenta il corpo fisico mediante impressioni sensorie. Sappiamo pure che quello che chiamiamo organismo astrale viene sperimentato mediante l’ispirazione.

Non vogliamo arrestarci a delle deduzioni conclusive – lo potremmo anche – ma preferiamo trarre delle conclusioni, in rapporto al corpo astrale e all’organizzazione dell’io, solamente dopo che avremo rilevato come si svolga la vera osservazione per la coscienza sviluppata.

Prospettiamoci anzitutto il modo in cui abbiamo detto che agisce il corpo astrale umano: agisce cioè per mezzo dell’aeriforme, del gassoso nell’organismo umano.

Cosicché, in tutto quello che nell’uomo procede come azione, come impulso dell’aeriforme, dobbiamo anzitutto riconoscere il corpo astrale.

 

Sappiamo che l’attività più essenziale del corpo astrale nell’aeriforme è, prima di tutto, la respirazione, della quale sappiamo pure, per esperienza ordinaria, che vi si distingue una inspirazione e una espirazione.

Sappiamo già che l’inspirazione è quella che ci vivifica: nell’inspirare preleviamo dall’aria esterna l’elemento vivificante, mentre consegniamo all’aria esterna – sappiamo anche questo – ciò che non è vivificante, ma mortifero. In termini fisici preleviamo ossigeno e consegniamo anidride carbonica, ma questo ci interessa meno adesso; ci interessa invece il risultato dell’esperienza ordinaria per cui inspiriamo l’elemento vivificante ed espiriamo l’elemento letale.

Ora si tratta di applicare alla vita di sonno la conoscenza superiore che, come abbiamo già esposto nei giorni passati, si svolge in immaginazione, ispirazione e intuizione, ed esaminare se in essa vi sia qualcosa che corrisponde alla conclusione che noi dobbiamo trarre, e cioè che venga estratto dall’uomo alcunché durante il sonno.

 

Si può rispondere a questo interrogativo ponendone un altro: se, in questa condizione, vi è qualcosa che è al di fuori dell’uomo, come si comporta questo elemento che si trova appunto al di fuori dell’uomo?

Supponete che un uomo, mediante quegli esercizi animici interiori che ho caratterizzato, sia portato ad avere realmente l’ispirazione, cioè riceva qualcosa nella coscienza vuota: egli vive nella possibilità di avere conoscenza ispirata. In questo istante gli è pure possibile creare artificialmente lo stato di sonno, ma in modo che non sia una condizione di sonno, bensì una condizione cosciente, proprio la condizione di ispirazione nella quale scorre il mondo spirituale.

 

Ora vorrei descrivere la cosa in forma del tutto elementare. Ammettete che chi abbia raggiunto una simile coscienza ispirata sia in condizioni di sentire fluire in sé la parola degli esseri spirituali cosmici, in una specie di musica spirituale; egli, in questa condizione di conoscenza ispirata, sarà in grado di fare determinate esperienze, ma avrà modo di affermare a se stesso: “sicuro, le esperienze che faccio portano ad un risultato affatto peculiare, esse operano così che quello che si è presupposto trovarsi fuori dell’uomo durante il sonno, non è più qualcosa di sconosciuto”. Questo elemento nuovo lo si può paragonare a quanto segue.

Supponete di aver avuto un’esperienza dieci anni fa, l’avete poi dimenticata e, per una occasione qualsiasi, venite a ricordarvi di questa esperienza di dieci anni fa; è così, essa era fuori della vostra coscienza e voi, applicando un certo mezzo mnemonico o qualcosa di simile, riportate nella vostra coscienza questa esperienza di dieci anni prima: essa è ora dentro di voi. Ecco cioè qualcosa che era fuori della vostra coscienza, pur essendo legato a voi, e che ora è riportato nella coscienza.

 

Così succede a chi ha una coscienza più approfondita e giunge all’ispirazione: gli comincia ad emergere quel che finora era avvenuto nel sonno, così come di solito emergono le esperienze mnemoniche, con la differenza che queste sono state una volta nella coscienza, mentre le esperienze di sonno non erano state precedentemente nella coscienza, ma vi entrano in modo che egli ha propriamente il sentimento di ricordarsi qualcosa che in questa vita non ha mai sperimentato del tutto coscientemente, ma che pure giunge come un ricordo; e si comincia a comprendere ciò che avviene durante il sonno, così come si può riapprendere dalla memoria un’esperienza già avuta.

 

Dunque, nella coscienza ispirata emerge semplicemente l’esperienza di quello che è fuori dall’uomo durante il sonno, e ciò che era sconosciuto diventa conosciuto. E si impara ora a riconoscere che cosa fa durante il sonno quella parte dell’uomo che, durante il sonno, se ne sguscia via.

Se voleste tradurre in parole quello che sperimentate nel respiro durante la veglia, direste: “rendo grazie all’elemento che io inspiro, per il quale io vengo permeato di vita, mentre non potrei giammai riconoscermi debitore di vita verso l’elemento che io espiro, poiché esso è apportatore di morte”.

 

Mentre però siete fuori del vostro corpo durante il sonno, come abbiamo dianzi determinato, allora l’aria da voi espirata diventa un elemento straordinariamente simpatico. Mentre eravate svegli non avete fatto attenzione all’esperienza che si può fare con l’aria espirata, essendo attenti solo, mentre state appunto con l’anima nel vostro fisico, all’aria inspirata ad azione vivificante. Un sentimento simile, anzi ancora più spiccato, avete verso l’aria che voi di solito schivate, quando la trovate raccolta in un luogo chiuso. Dite che voi non la sopportate, quest’aria. Il corpo fisico non la sopporta neppure durante il sonno, ma lo può l’animico-spirituale quando è fuori del corpo, il quale (usando un termine fisico) respira l’anidride carbonica espirata.

Si tratta però di un fatto spirituale, non di un processo respiratorio. È un accogliere l’impressione che fa l’aria espirata. E non solo questo. È solamente entro quest’aria espirata che voi restate congiunti col vostro corpo fisico anche durante il sonno. Sentite di appartenergli ,in quanto dite: “esso espira quest’aria letale, quindi è il mio corpo”; lo si dice inconsciamente. Vi sentite congiunti col vostro corpo in quanto esso restituisce l’aria in questa condizione mortifera. Vi sentite proprio nell’atmosfera che espirate.

Ma quello che voi espirate vi porta continuamente incontro i misteri della vostra vita interiore; voi li percepite secondo quella ch’è la vostra vita interiore, ma inconsciamente per la coscienza solita, che è immersa nel sonno.

 

L’aria espirata sprizza fuori da voi, e quest’aria espirata vi appare così da farvi dire:

“questo sono io stesso, questa è la mia umanità interiore che si riversa nell’universo”.

• Ciò che scorre incontro a voi come vostro proprio spirito nell’aria espirata,

vi appare come qualcosa di solare.

 

Ora dunque sapete che il corpo astrale dell’uomo, quando è nel corpo umano,

• trova piacere, se così posso esprimermi, nell’aria inspirata, e nell’inconscio impiega quest’aria inspirata

a porre in movimento i processi organici, a permearli di attività interiore.

• Sapete pure che, mentre dormite, il corpo astrale è fuori del corpo fisico

e accoglie, in forma di sentimenti, i segreti della propria entità umana nell’aria espirata.

 

Mentre vi muovete riversandovi nel cosmo, l’anima contempla inconsciamente quello che là è un processo interiore, e solo nella coscienza ispirativa ciò avviene coscientemente.

Sorge poi un’impressione mirabile: è come se da un’oscurità si stagliasse ciò che si fa incontro all’uomo dormiente, come se vi fosse del buio nel quale apparisse luminosamente (non si può dirlo altrimenti) questa corrente di aria espirata.

Si riconosce l’entità di ciò che sorge nel buio dal fatto che si viene abbandonati dai pensieri quotidiani e nello stesso tempo ci vengono incontro, scorrenti fuori dall’uomo, quei pensieri che si possono chiamare i possenti pensieri universali, i pensieri obiettivi che sono creatori: abbiamo dunque il buio, poi il chiarore sgorgante, e in esso compaiono, a poco a poco, i pensieri creatori. Questo buio è determinato da una oscurità che si estende sopra i pensieri quotidiani, quelli del cervello.

Qui si riceve molto chiaramente l’impressione che ciò che è ritenuto importantissimo per la vita fisica terrena, si oscuri non appena si esce dal corpo fisico, e si osserva qui, assai più intensamente di quanto lo si sarebbe potuto supporre nella coscienza ordinaria, come questi pensieri dipendano dallo strumento fisico del cervello. Il cervello trattiene, per così dire appiccicati, i pensieri ordinari quotidiani.

Là fuori non si ha più da pensare nello stesso senso in cui si pensa nella vita di tutti i giorni. Perché là si contemplano i pensieri che defluiscono da ciò che ci si rivela di noi stessi nell’aria espirata.

 

Così la conoscenza ispirata osserva

• come il corpo astrale stia entro il corpo fisico durante la veglia,

e come si adoperi a condurre le funzioni che deve compiere nel corpo fisico, con l’aiuto dell’aria inspirata;

• come questo corpo astrale, mentre è fuori durante il sonno, accolga le impressioni del proprio essere umano.

 

Durante la veglia questo mondo, quello che costituisce l’orizzonte terreno sul quale stiamo

e quello che si incurva sopra di noi come volta celeste, tutto ciò è il nostro mondo esterno;

• durante il sonno diventa nostro mondo esterno

quello che sta dentro la nostra pelle, e che è di solito il nostro mondo interno.

Solo che noi sentiamo per prima cosa quello che ci si fa incontro nella respirazione;

abbiamo all’inizio un mondo esterno sentito.

 

Ma vi si aggiunge dell’altro.

Durante la veglia, il processo della circolazione sanguigna

che si accompagna al processo della respirazione rimane nell’inconscio.

Esso rimane sconosciuto durante la veglia, ma comincia ad essere ben conosciuto durante il sonno.

 

Comincia a sorgere come un mondo affatto nuovo, e invero un mondo che non è semplicemente sentito, ma che si comincia a comprendere da un punto di vista diverso da quello dal quale si comprendono con la coscienza ordinaria le cose esteriori.

 

Come durante la vita terrena si contemplano i processi esteriori della natura,

così con la coscienza ispirata  (ma la volontà come processo vitale è presente nell’inconscio per ogni dormiente)

si contempla questo processo circolatorio.

Si riconosce ora che tutto quello che nella coscienza ordinaria sviluppiamo come volontà inconscia,

ha sempre un controprocesso nell’interiorità.

 

Quando voi movete un passo qualunque, non avviene solamente che voi trasportiate consapevolmente il vostro corpo in un altro luogo, ma succede pure che nel vostro interno si svolga un processo calorico che agisce nell’aeriforme: esso è la manifestazione più esterna di quel processo analogo che avviene internamente come processo del ricambio, in rapporto precipuo con la circolazione sanguigna.

 

Mentre con la coscienza ordinaria osservate al di fuori

il mutamento di luogo dell’uomo come manifestazione della sua volontà,

guardate ora a voi stessi e trovate ulteriori processi

che avvengono in quella interiorità dell’uomo che è adesso il vostro mondo.

 

Questo processo, al quale ora guardate, non è come quello che l’odierno naturalista o medico può constatare partendo dall’anatomia corrente, bensì è un grandioso processo spirituale, un processo che copre innumerevoli enigmi, un processo che per se stesso dimostra come il vero motore portante che agisce qui nell’interno dell’uomo, non è l’io attuale.

 

Quello che l’uomo nella vita ordinaria chiama io è un mero pensiero,

mentre quello che qui agisce nell’uomo è l’io della precedente vita terrena.

• Voi scorgerete in tutto questo processo interno, che è fatto soprattutto di calore,

come da tempi di un passato assai remoto vi agisca l’io reale

che nell’evoluzione dei tempi ha attraversato morte e nuova nascita;

come vi agisca un principio del tutto spirituale;

come tanto il minimo quanto il più grande processo di ricambio di materia

siano sempre proprio l’espressione di ciò che appunto è la più alta entità dell’uomo.

 

Così giungete alla constatazione che l’io ha mutato il suo campo di azione.

Esso agiva internamente nell’elaborazione del respiro dai puri sviluppi respiratorii.

Ma ora, dal di fuori, voi osservate ciò che, come sviluppi calorici, si svolge dalla respirazione,

e scorgete l’io nella sua totale attività; vedete come ciò agisca dai tempi primordiali quale io reale dell’uomo,

come veramente organizzi l’uomo stesso.

 

Ora cominciate a sapere che effettivamente durante il sonno

l’io ed il corpo astrale hanno abbandonato il corpo fisico ed il corpo eterico, stanno fuori di questi,

vivendo ed esercitando da fuori quello che altrimenti vivono ed esercitano da dentro.

Ma il fatto è che per la coscienza ordinaria

queste organizzazioni dell’io e del corpo astrale sono ancora troppo deboli,

troppo poco evolute per sperimentare questo coscientemente.

 

In ciò soltanto consiste l’ispirazionenell’organizzare intimamente l’io ed il corpo astrale

così che essi possano percepire ciò che di solito non è percepibile.

Così che di fatto si deve dire:

• con l’ispirazione veniamo riportati a quello che nell’uomo è il corpo astrale,

• con l’intuizione a quello che nell’uomo è l’io.

 

Durante il sonno, intuizione e ispirazione vengono represse nell’io e nel corpo astrale,

ma se vengono risvegliate, allora l’uomo per mezzo di esse scorge sé stesso dal di fuori.

Che cosa è, in fine, questo vedersi dal di fuori?

 

Ricordatevi di quello che ho già detto: rappresentiamoci l’uomo nella sua attuale incarnazione.

• Se sviluppa l’immaginazione, egli scorge il proprio corpo eterico

fino a poco prima di nascita o concepimento (giallo a destra);

• ma il suo corpo astrale, mediante l’ispirazione, lo conduce addentro

all’intero periodo di tempo decorso tra l’ultima morte e questa nascita (rosso),

• e l’intuizione lo riconduce alla precedente incarnazione (giallo a sinistra).

 

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Dormire non significa altro che retrocedere con la coscienza, che di solito è nel corpo fisico,

riportandola indietro, tornando con essa indietro.

Il sonno è perciò proprio una corsa a ritroso nel tempo,

che, come vi ho già detto, alla coscienza ordinaria pare trascorso, ma che invece è presente.

 

Vedete, quando si vuole arrivare alla comprensione dello spirituale,

si devono mutare i concetti rispetto a quelli che si è abituati ad applicare nella vita fisica.

Bisogna insomma diventare coscienti del fatto che il sonno è ogni volta

un retrocedere nelle zone che si sono percorse nell’esistenza preterrena,

o persino un retrocedere in precedenti incarnazioni.

Durante il sonno, l’uomo veramente sperimenta (soltanto che non può comprenderlo)

ciò che appartiene a incarnazioni precedenti, ciò che egli ha attraversato anche nell’esistenza preterrena.

 

Si deve applicare una completa metamorfosi alla comprensione del concetto di tempo, che deve divenire assolutamente un altro. Se si pone a qualcuno il quesito: “dove si trova uno quando dorme?”, si deve rispondere che egli è propriamente nell’esistenza prenatale, oppure che è persino ritornato a vite terrene precedenti. Con espressione più alla buona si dice che l’uomo è fuori del suo corpo fisico ed eterico, ma la realtà è quella che vi ho descritta. Così si manifesta lo stato di ritmico scambio tra veglia e sonno.

 

Condizioni del tutto differenti subentrano con la morte dell’uomo.

Il fatto più immediatamente caratteristico è che l’uomo lascia entro la vita della Terra il suo corpo fisico, che ora viene accolto anche dalle forze del mondo fisico e quindi polverizzato e distrutto. Il corpo fisico non può perciò più suscitare impressioni come quelle che vi ho descritto, sorgenti dall’uomo dormiente per mezzo dell’aria espirata, perché ormai egli non respira più. Adesso il corpo fisico è, per così dire, perduto anche nelle sue funzioni, per l’uomo vero e proprio, ma c’è qualcosa che non è perduto, e questo suo non perdersi può essere avvertito anche dalla coscienza ordinaria.

 

• Abbiamo nella nostra vita animica pensiero, sentimento e volontà,

ma oltre a queste attività abbiamo qualcosa di speciale: è la memoria.

• Noi non pensiamo solo su quanto è presente in noi o attorno a noi.

• La nostra interiorità serba i resti di quel che abbiamo vissuto,

e in pensieri risorge quel che abbiamo sperimentato.

 

Anche quei talvolta strani signori che si chiamano gli psicologi

hanno sviluppato pensieri curiosissimi sulla memoria.

Questi ricercatori dell’anima dicono all’incirca quanto segue:

• “L’uomo adopera i propri sensi, percepisce questo o quello, e vi applica il pensiero.

Così ha ora i pensieri. Se ne va e dimentica il tutto. Dopo un certo tempo lo trae fuori dalla sua memoria.

E subentra il ricordo di quello che fu una volta.

Ci si può di nuovo rappresentare ciò che nel frattempo non ci si era rappresentato,

ciò che non è più presente, che è trascorso”.

 

Perciò, così intendono quelli, l’uomo ha formato un pensiero, una rappresentazione dall’esperienza; il pensiero è sprofondato in qualche posto, è in qualche stipo o cassa, e quando ci si ricorda, esso vien fuori da questo stipo (ne vien fuori spontaneamente, oppure ne vien tirato fuori).

Questo genere di rappresentazione è proprio un modello di pensiero confusionario, poiché credere che il pensiero-ricordo giaccia in qualche luogo da cui possa venir tratto fuori non corrisponde per nulla al fatto che realmente accade.

 

Provate a paragonare una vostra rappresentazione immediata alla quale annodate un pensiero, col modo in cui sorge una rappresentazione mnemonica, un pensiero mnemonico. Non riuscite a distinguerli. Avete là fuori un’impressione dei sensi, a cui si collega un pensiero; ciò che sta dietro l’impressione sensoriale, ciò che suscita il pensiero, lo chiamate di solito un quid ignoto.

Il pensiero che sale dall’interiorità come pensiero mnemonico

non differisce dal pensiero che sorge fuori dalla percezione.

 

Se disegnate schematicamente l’uomo, in un caso avete qui il suo ambiente (giallo); il pensiero sorge da fuori, nell’ambiente (rosso). Nell’altro caso sorge da dentro, e allora è un pensiero mnemonico (freccia dal basso). La direzione di provenienza è un’altra.

 

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Mentre noi percepiamo o sperimentiamo qualcosa, continuamente si svolge un processo sotto la rappresentazione, sotto il pensiero.

È proprio così: noi percepiamo pensando. Ma la percezione va anche dentro al nostro corpo. Solo il pensiero affiora; ma qualcosa va dentro al nostro corpo, qualcosa che noi non percepiamo. Ciò succede mentre vi ripensiamo e produce un’impressione. Non è il pensiero che qui si sommerge, ma tutt’altra cosa; e quest’altra cosa suscita poi un processo che noi più tardi percepiremo e sul quale formeremo il pensiero mnemonico, così come noi formiamo il pensiero sul mondo esteriore.

 

Il pensiero è sempre nel presente.

Questo è quanto dimostra un’osservazione spregiudicata:

non è vero che sia il pensiero a venir conservato in un qualche cassetto,

ma si tratta di un processo che si svolge e che noi poi, col ricordo, trasformiamo in pensiero,

così come trasformiamo in pensiero la percezione esteriore.

 

Debbo insistere su tutte queste considerazioni, perché altrimenti non potreste giungere alla comprensione della memoria. I bambini lo sanno, seppure semicoscientemente, e a volte anche gli adulti in casi speciali, che il pensiero non vuole appunto immergersi; quando si vuol mandare a memoria qualcosa, ci si aiuta con le cose più disparate: rifletteteci solo un istante, troverete che qualcuno si aiuta con il parlare ad alta voce, altri facendo strani gesti, quando vuole inculcarsi qualcosa. Il fatto è che con un decorso parallelo al puro processo rappresentativo si svolge pure un processo del tutto diverso, e quanto noi ricordiamo è una minima parte di quanto qui entra in considerazione.

State attenti: dal risveglio all’addormentarsi percorriamo continuamente il mondo e da ogni parte ci arrivano impressioni: anche se in principio facciamo attenzione a poche di esse, sono esse a fare attenzione a noi, e se ne imprimono in noi molte e molte di cui non si ha ricordo.

Nel profondo del nostro essere sta un mondo ricco, di cui solo singoli brani affiorano nei pensieri: questo mondo, che è proprio imprigionato in noi, è come un profondo mare, e le rappresentazioni mnemoniche battono come singoli colpi d’onda: ciò è in noi.

 

Ora, vedete, ciò che in questo modo è in noi,

non è stato il mondo fisico a darcelo, e quindi esso neppure può togliercelo.

E quando viene meno il corpo fisico dell’uomo, allora tutto questo mondo è ancora lì, unito al suo corpo eterico.

 

• Immediatamente dopo la morte l’uomo porta impresse, nel proprio corpo eterico, tutte le sue esperienze, le porta come arrotolate in sé.

• – Immediatamente dopo la morte l’uomo ha davanti a sé non solo qualcosa dei soliti brani mnemonici che affiorano anche durante la coscienza terrena, ma l’intera vita terrena, con tutto ciò che ha fatto impressione su di lui nel corso di essa.

E l’uomo dovrebbe rimanere in eterna contemplazione di questa sua vita terrena, se non intervenisse qualcos’altro, riguardo al corpo eterico, così come qualcosa interviene, per mezzo della Terra e delle sue forze, riguardo al corpo fisico.

 

Gli elementi della Terra accolgono il corpo fisico e lo distruggono.

L’etere universale, di cui vi ho parlato, agisce dalla periferia;

da ogni parte del cosmo esso irraggia, e irraggiando pervade ciò che qui si è impresso.

 

Cosicché la successiva esperienza dell’uomo è la seguente: durante la vita terrena moltissime sono state le impressioni esercitate su di me; e tutte sono entrate nel mio corpo eterico. Io adesso le contemplo, ma le scorgo sempre più indistintamente. Se io vedo un albero che ha esercitato una energica impressione in me durante la vita, lo scorgo dapprima nella stessa grandezza secondo la quale esso mi ha impressionato nel mondo fisico, ma poi cresce, ingigantisce, si fa simile ad un’ombra; cresce sempre, si ingigantisce, ma si dilegua sempre più. Analogamente, ho conosciuto un uomo fisico nella sua figura e l’ho dinanzi, subito dopo la mia morte, come egli si è impresso nel mio corpo eterico; poi cresce e si fa sempre più indistinto: tutto aumenta e diventa sempre più e più indistinto ed evanescente, finché raggiunge la misura del cosmo, si fa del tutto indistinto, scompare.

 

Durante questo processo trascorrono alcuni giorni. Tutto è diventato gigantesco e si è fatto nebuloso, e nel farsi gigantesco ha perso in intensità, staccandosi dall’uomo come un secondo cadavere. Ma ci si esprimerà più esattamente dicendo che tutto ciò è stato tolto all’uomo dal cosmo. A questo punto l’uomo consiste del suo io e del suo corpo astrale, mentre quanto si era impresso nel corpo eterico è adesso dentro al cosmo, è fluito nel cosmo. E noi vediamo l’azione dell’universo dietro le quinte della nostra stessa esistenza.

 

Siamo, in quanto uomini, collocati nell’universo.

Mentre scorre la nostra vita terrena, l’universo intero agisce su di noi,

e noi raccogliamo e conserviamo l’effetto di questa azione.

Molto ci dà l’universo, e noi lo conserviamo;

nell’ora della nostra morte l’universo ci riprende quel che ci ha dato.

Ma con ciò esso riceve qualcosa di nuovo.

 

Noi abbiamo vissuto tutto ciò in una maniera particolare,

perciò quel che l’universo riceve è diverso da quel che ci ha dato,

perché esso assume tutte le nostre esperienze

e imprime in se stesso, nel proprio etere, l’intera nostra vita.

 

A questo punto noi, stando nell’universo, da questa esperienza col nostro corpo eterico deduciamo di non essere nell’universo soltanto per noi stessi, ma che l’universo persegue un suo preciso scopo per mezzo nostro; l’universo ci ha posti qui per poter far fluire in noi quanto è in esso e per riaccoglierlo da noi trasformato.

 

Come uomini, non siamo quaggiù solamente per noi,

ma, per esempio riguardo al nostro corpo eterico, siamo qua per l’universo.

L’universo ha bisogno degli uomini perché per loro mezzo

si ricolma sempre di nuovo del suo proprio contenuto.

• È un ricambio, non di materia, ma di pensieri tra l’universo e l’uomo.

• L’universo fornisce al corpo eterico umano i suoi pensieri universali,

e l’universo li riaccoglie allo stato umanizzato.

L’uomo non esiste soltanto per se stesso, ma a cagione dei mondi.

 

Ebbene, questo concetto non deve restare un pensiero astratto e teorico, e neanche lo può. Se questo pensiero restasse soltanto tale, è segno che non saremmo uomini, ma esseri di cartapesta; col che non voglio dire che la nostra civiltà sia davvero portata a rendere l’uomo talmente privo di sentimento di fronte a tali cose, come se egli fosse di cartapesta. Malgrado a volte gli uomini civili del presente possano proprio apparire come fatti di cartapesta. Un pensiero come quello, invece, non perde il sentimento e la sensibilità umani verso il mondo, ma conduce direttamente a ciò da cui siamo partiti.

 

Abbiamo iniziato col dire che l’uomo si sente doppiamente estraneo all’universo:

• prima in rapporto alla natura esteriore,

della quale egli può solo dire che essa distrugge il suo corpo fisico,

• in secondo luogo interiormente, in rapporto alla propria vita animica che si accende,

scintilla, si disperde e così via, ciò che è proprio un altro enigma cosmico per lui.

• Adesso l’uomo comincia a derivare da una considerazione spirituale

il sentimento che l’universo non gli è del tutto estraneo,

bensì che l’universo qualcosa gli dà e qualcosa gli prende.

 

L’uomo comincia a sentirsi intimamente congiunto con l’universo.

I due pensieri, che vi ho citati, sono propriamente pensieri universali:

• “O natura, tu distruggi il mio corpo fisico. Io non ho con te alcuna affinità, nonostante il pensare, il sentire e il volere nella mia interiorità. Tu ti accendi e poi ti disperdi. Io non ho dunque con te nessuna affinità in rapporto al mio vero essere”.

Questi due pensieri evocati in noi dagli enigmi cosmici acquistano un nuovo aspetto, se noi cominciamo ora a sentirci affini all’universo, organicamente inseriti nel processo cosmico.

 

Ecco l’inizio della pratica antroposofica:

aprirsi all’amicizia con l’universo, aprirsi alla conoscenza dell’universo

che, nell’osservazione esteriore, ci ha dapprima respinti.

 

La conoscenza antroposofica è un divenir più umani, e chi non può assumere nella conoscenza antroposofica questa sfumatura di sentimento, di cuore, costui non ha dell’antroposofia quel che è giusto. Poiché l’antroposofia che rimane teorica è tale, che la si può paragonare al caso di uno che desideri fortemente di conoscere una persona che una volta ha notato o alla quale è andato vicino in qualche occasione, e gliene viene data una fotografia. La fotografia gli può forse dare una certa gioia, ma non gli arreca alcun calore, perché non gli porta l’elemento vivente di quella persona.

 

L’antroposofìa rimasta teorica è la fotografia di ciò che l’antroposofìa vuol essere realmente, e cioè un elemento vivente. Essa vuol servirsi di parole, di concetti, di idee, per fare risplendere dal mondo spirituale nel mondo fisico un elemento vivente.

L’antroposofia non vuol essere solo mediatrice di conoscenze, ma risvegliatrice di vita. E ne ha la capacità. Ad ogni modo, per avere sentimento di vita bisogna saper dare contributo di vita.