L’Essere dell’antroposofia

O.O. 250 – L’Essere dell’Antroposofia –  03.02.1913


 

Chi voglia servire effettivamente la progressiva evoluzione dell’umanità, deve attingere ciò che vuole donare alle stesse sorgenti dalle quali scaturisce la progrediente vita dell’umanità. Egli non può seguire un ideale fissato arbitrariamente ed al quale fare riferimento in quanto gli piace; al contrario, in ogni epoca, deve uniformarsi a ciò di cui possa dirsi: questo appartiene strettamente all’epoca presente.

 

L’Essere dell’antroposofia

è intimamente collegato con l’Essere del nostro Tempo;

naturalmente non solo con il nostro ristretto presente attuale,

bensì con l’intera epoca di cultura nella quale ci troviamo inseriti.

 

Nelle prossime quattro conferenze, ed in tutte quelle che terrò nei prossimi giorni, parlerò dell’Essere dell’Antroposofia. E tutto ciò che dirò sull’Essenza dei Misteri orientali rappresenterà un ulteriore perfezionamento dell’Essere dell’Antroposofia. E nel momento in cui vi parlo della necessità che l’Antroposofia si affermi nell’epoca presente, voglio accennare a questo Essere in modo da caratterizzarlo. Ma non vorrei assolutamente prendere le mosse da definizioni od astrazioni bensì da fatti reali e, a tutta prima, da un fatto molto particolare. Vorrei prendere le mosse dalla realtà di una poesia che una volta – per ora voglio dire “una volta” – un poeta ha composto.

 

Vi leggerò ora un brano di questa poesia, dapprima alcuni passi,

mediante i quali poter mettere in risalto quanto mi si è presentato:

 

Con parole profonde, ardenti,

lo Spirito d’Amore parla sommessamente,

nelle profondità del mio cuore,

di cose meravigliose che turbano i pensieri

tant’è lusinghiero ciò ch’Egli dice.

 

E quand’io ascoltando resto affascinato,

provo a ripetere ciò che ho udito:

Fatica vana! Io questo non lo posso.

 

E dopo aver parlato ancora un po’ della difficoltà di portare ad espressione quanto il Dio dell’Amore gli dice,

il Poeta caratterizza L’Essere amato con le seguenti parole:

 

Alla sua vista sembrano sospiri

del Paradiso lievemente alitarmi intorno.

Amore stesso le dona questo sorriso

e ciò che il suo occhio dice non è menzogna.

 

Un poeta, come appare assolutamente chiaro, ha scritto una poesia d’amore. Ed è anche assolutamente fuor di dubbio che se oggi, da qualche parte, qualcuno volesse pubblicarla senza nome, anonima (potrebbe ben essere una poesia contemporanea di un valente poeta), si direbbe: quale buona stella lo ha guidato a descrivere la sua Amata con versi così meravigliosi? Poiché veramente l’Amata dovrebbe essere grata di venir descritta con le parole:

 

Alla sua vista sembrano sospiri

del Paradiso lievemente alitarmi intorno.

Amore stesso le dona questo sorriso

e ciò che il suo occhio dice non è menzogna.

 

La poesia non è stata scritta ai nostri giorni.

Se così fosse, un critico ne direbbe: come viene sentita profondamente una circostanza di vita diretta e concreta!

Come ivi sa un Uomo – che può poetare come solo sanno poetare i più moderni Poeti, allorché ne attingono “l’oggetto” dalle profondità della propria anima – esprimere qualcosa in cui non ci parla di astrazione bensì di una visione dell’Essere amato diretta e concreta fino a renderlo palpabile!” Così si esprimerebbe forse un critico moderno.

 

Ma la poesia non è stata scritta ai giorni nostri; essa è stata bensì scritta da Dante. Ed allorché questa gli capiterà fra le mani, il moderno critico dirà: “Dante ha proprio scritto questa poesia allorché fu afferrato da profonda passione per Beatrice (o via dicendo); ed ivi, ancora una volta, viene a manifestarsi il modo in cui una grossa Personalità si pone nella vita, movendo da un “sentire” diretto, lontano da ogni concetto ed idea.”

 

Forse si potrebbe trovare persino un critico contemporaneo che dica: “La gente dovrebbe imparare da Dante il modo in cui, come è nella Divina Commedia, ci si può innalzare fino alle più sublimi sfere celesti, e come si possa sentire un rapporto così direttamente vivente tra Uomo e Uomo.” Peccato solo che la spiegazione di questa poesia sia stata fornita dallo stesso Dante, il quale spiega chiaramente chi è l’Essere femminile del quale scrisse con belle parole:

 

Alla sua vista sembrano sospiri del Paradiso

lievemente alitarmi intorno

Amore stesso le dona questo sorriso

e ciò che il suo occhi dice non è menzogna.

 

Dante stesso ci ha detto – e penso che nessun critico moderno possa mettere in dubbio che egli sapesse ciò che voleva dire – che l’Amata, con la quale aveva un così diretto rapporto personale, altri non era che “la Filosofia”.

 

Quando parla degli “occhi”, Dante stesso ci dice che ciò che essi dicono non è una menzogna; laddove con “occhi” vuole significare le basi dimostrative della Verità; con “sorriso” l’Arte di manifestare ciò che la Verità comunica all’Anima; ed infine con “l’Amore”, “Amor”: lo studio scientifico, l’amore per la Verità.

 

Ed egli dice manifestamente che quando la persona amata, Beatrice, gli fu sottratta ed egli dovette rinunciare ad un rapporto diretto, allora gli si appressò all’anima la “Donna Filosofia”, piena di compassione e più umana di qualsiasi cosa umana. E per questa “Donna Filosofia”, sentendola fin nelle profondità dell’anima, egli potè adoperare proprio queste parole; laddove con l’espressione “gli occhi” vuole significare: le basi dimostrative della Verità; con “il sorriso”: ciò che la verità comunica all’anima e con “l’Amore”: lo studio di quanto è scientifico. Cosicché egli potè dire:

 

Alla sua vista sembrano sospiri

del Paradiso lievemente alitarmi intorno.

Amore stesso le dona questo sorriso

e ciò che il suo occhio dice non è menzogna.

 

Una cosa è impossibile ai nostri giorni: non è possibile che un poeta moderno, in modo completamente onesto e sincero, descriva senz’altro la Filosofia con parole così direttamente umane; poiché se lo facesse immediatamente un critico lo prenderebbe per il colletto e gli direbbe: “tu ci fornisci rigorose allegorie!” Perfino Goethe dovette sopportare che, da parte di alcuni ambienti, le allegorie della seconda parte del Faust venissero accolte molto male!

 

Gli uomini che non sanno come mutano i tempi nei quali, con la nostra anima, progrediamo con vita sempre nuova, non sospettano affatto che proprio Dante era uno di quegli uomini che potevano avere con “Madonna Filosofia” proprio lo stesso rapporto concreto, appassionato, individuale ed intimamente animico che l’uomo moderno prova per una donna in carne ed ossa.

 

Ma a questo riguardo i tempi di Dante sono finiti. Giacché la “Donna Filosofia” non si avvicina più all’anima moderna nel modo in cui Dante si avvicinava a “Madonna Filosofia”: come fosse un Essere simile a lui, un Essere in carne ed ossa. Oppure da qualche parte si esprime ancora la verità pura e semplice (a parte le dovute eccezioni) che la filosofia sia “qualcosa” che va in giro come un essere in carne ed ossa, e con il quale possa essere instaurato un rapporto tale la cui manifestazione non differisce, in realtà, dalle intime parole d’amore che qualcuno usa nei confronti di un Essere in carne ed ossa? Chi approfondisca per intero il rapporto di Dante nei riguardi della “Filosofìa”, riconoscerà che questo rapporto era concreto, simile ad una qualsiasi relazione che, nell’umanità odierna, venga ad instaurarsi fra uomo e donna.

 

Nell’epoca dantesca,

la Filosofia appare come l’Essere del quale Dante dice che “egli lo ama”.

Facciamo un piccolo giro d’orizzonte ed invero vediamo il termine “Filosofia”

emergere dal seno della vita spirituale greca nella quale, però, non troviamo

quella che oggi si è soliti chiamare “la definizione o rappresentazione” della Filosofìa.

 

Quando rappresentano qualcosa, i greci non rappresentano la “Filosofia” bensì la “Sofia”.

E lo fanno in modo che anche noi la sperimentiamo come un Essere assolutamente vivente.

 

Ebbene, noi percepiamo questa “Sofia”, la “Sofia” dei greci, come un Essere assolutamente vivente;

vivente allo stesso modo in cui Dante percepisce la Filosofia.

Ma la percepiamo dappertutto

(e Vi prego di andare al di là delle descrizioni che eventualmente si possono trovare)

di modo che la sentiamo come una forza elementare, come un Essere operante:

un Essere che agisce intervenendo nell’esistenza.

 

Poi, a partire dal V secolo circa dopo la fondazione del Cristianesimo, troviamo che la Filosofia comincia a venire rappresentata, dapprima nelle descrizioni dei poeti, sotto vesti diverse: nutrice, benefattrice, guida ed altre simili. Ed un poco più tardi anche i pittori iniziano a raffigurarla.

 

Possiamo poi procedere fino all’epoca che viene definita “della Scolastica” nel corso della quale, di fatto, alcuni filosofi del Medioevo sperimentarono come un rapporto assolutamente umano il sentire che la bella “Donna Filosofia” si appressava a loro realmente librantesi sulle nubi. E più di un filosofo medioevale potè inviare alla “Donna Filosofia” che gli si appressava librantesi sulle nubi, sentimenti ardenti, profondi, del tutto simili a quelli di cui abbiamo appena udito da Dante. E chi provi a sperimentare tutto questo, trova persino un nesso diretto tra la Madonna Sistina che si erge librata sulle nubi e la sublime “Madonna Filosofia”.

 

Ho descritto molto spesso come, in tempi primordiali dell’evoluzione dell’Umanità, i nessi spirituali del mondo fossero ancora percepibili per la normale facoltà di conoscenza dell’Uomo, Ho provato ad esporre come vi fosse, per così dire, una chiaroveggenza primordiale; come, in quell’epoca primordiale, tutti gli Uomini normalmente evoluti potessero, per condizioni naturali, penetrare nei mondi spirituali. Ma lentamente e progressivamente questa chiaroveggenza è andata perduta per l’evoluzione umana e ad essa sono subentrate le nostre attuali condizioni di conoscenza. Lentamente e progressivamente; lo stato in cui oggi viviamo, e che nel modo materiale di percepire rappresenta per così dire un profondo impedimento temporaneo, è sopravvenuto lentamente ed un poco per volta.

 

Uno Spirito quale quello di Dante – come possiamo anche rilevare dalla descrizione che egli ne fa nella Divina Commedia – aveva ancora la possibilità di sperimentare realmente, per così dire in modo del tutto naturale, gli ultimi resti di un rapporto diretto con i Mondi Spirituali. Per l’Uomo odierno sarebbe un assurdo controsenso il ritenerlo capace di credere, a tale proposito, di potersi dapprima innamorare di una Beatrice così come fece Dante per restare preda poi, come di un secondo forte sentimento per la Filosofia; e che Beatrice in carne ed ossa e la Filosofia fossero due Esseri assolutamente simili. Per la verità una volta ho udito raccontare come Kant si fosse innamorato e qualcuno, ingelosito per il fatto che egli amava la “Metafisica” chiedesse: “quale Meta?”

 

Ma è proprio difficile introdurre nella vita spirituale del presente tanta comprensione da sperimentare la Beatrice di Dante e la Filosofia concrete e reali allo stesso modo. E questo, perché? Perché proprio il rapporto diretto dell’Anima umana con il Mondo spirituale è andato poco a poco trasformandosi nella nostra condizione attuale. Coloro che mi hanno ascoltato spesso sanno quanto io consideri altamente la Filosofia del diciannovesimo secolo; ma non voglio neppure asserire che qualcuno possa riversare i propri sentimenti sulla “Logica” di Hegel nelle parole

 

Alla sua vista sembrano sospiri

del Paradiso lievemente alitarmi intorno.

Amore stesso le dona questo sorriso

e ciò che il suo occhio dice non è menzogna.

 

Io credo che tutto ciò, riferito alla logica di Hegel, verrebbe ad essere molto difficile.

Come sarebbe ugualmente difficile, sebbene in tal caso più facile, rispetto al modo pieno di spiritualità che ha Schopenhauer di guardare il mondo. Certamente più facile, ma anche qui diventerebbe difficile farsi una qualche rappresentazione, provare un qualche sentimento concreto che la Filosofia si appressi agli Uomini come un Essere concreto qual è quello di cui ci parla Dante. I tempi sono cambiati.

 

Per Dante, il “vivere” nell’elemento filosofico, “vivere” nel Mondo Spirituale,

costituiva un rapporto assolutamente personale;

personale alla stregua di qualsiasi altro rapporto che si fondi

su quanto oggi viene considerato reale, materialmente reale.

 

E più sembra strano – giacché il secolo di Dante non è poi così indietro rispetto a noi – più è vero che, per chi sia in grado di osservare la vita spirituale dell’umanità, tutto risulta come cosa ovvia poiché egli dice: “Gli uomini d’oggi cercano di conoscere il mondo, ma se essi presuppongono che l’uomo, nella sua totalità, sia rimasto tale e quale nel corso dei tempi allora è chiaro che non riescono a vedere più in là del proprio naso.” Poiché già al tempo di Dante tutta la vita, il complessivo rapporto dell’anima umana con i Mondi Spirituali era completamente diverso. E se oggi un qualche filosofo, in base al rapporto che, secondo la Filosofia di Hegel o quella di Schopenhauer, può avere con i Mondi spirituali, giudica che questo rapporto sia “l’unico” possibile, ciò sta né più né meno a significare quanta poca conoscenza della Verità l’Uomo abbia ancora.

 

Riflettiamo ora su quanto abbiamo potuto esporre: su come, nel passaggio dalla cultura greco-latina alla nostra quinta epoca, quella che nell’entità complessiva dell’Uomo siamo soliti chiamare Anima razionale o affettiva — e che si sviluppò in modo particolare nell’epoca greco-latina — mentre noi ci evolviamo nel tempo presente, si è evoluta in Anima cosciente.

 

Come deve configurarsi, dunque, per questo concreto decadimento della Filosofia, il passaggio dall’epoca greco-latina alla nostra epoca: per meglio dire il passaggio dall’Anima razionale o affettiva all’Anima cosciente?

 

Esso deve configurarsi in modo che noi si possa chiaramente comprendere:

durante l’evoluzione dell’Anima razionale o affettiva

l’Uomo sta ancora di fronte ai Mondi Spirituali dai quali fu originato,

in modo tale che fra lui ed essi c’è ancora una certa linea di separazione.

 

L’Uomo greco stava di fronte alla sua Sofia, alla Saggezza in lui,

come davanti ad un Essere che era presente; e lui gli stava di fronte.

 

Due Esseri: la Sofia, che si erge, come un’Entità assolutamente oggettiva, di fronte all’Uomo greco

ed alla quale egli guarda con tutta l’obiettività dell’occhio greco.

• Ma poiché vive ancora nell’Anima razionale o affettiva

egli deve portare a manifestazione la diretta relazione personale tra la sua coscienza e questa Entità oggettiva.

 

E questo deve accadere durante la lenta preparazione

del passaggio ad una nuova epoca: all’epoca dell’Anima cosciente.

• In che modo si porrà l’Anima cosciente di fronte alla Sofia?

• In modo da portare l’IO in diretta relazione con essa,

in modo da esprimere, più che l’Entità oggettiva della Sofia,

il legame fra questa e l’IO in rapporto con l’Anima cosciente.

 

“Io amo la Sofia!” Questo era un sentimento naturale di un’epoca che, per la verità, doveva ancora trovarsi di fronte quell’Entità chiamata Filosofia; che era ancora, però, l’epoca che preparava l’Anima cosciente; che nel rapporto dell’IO con l’Anima cosciente, al quale doveva attribuire il massimo valore, doveva sforzarsi di presentare la Sofia con la stessa semplicità con la quale si presenta ogni altra cosa.

 

Nell’epoca che rappresentava l’Anima razionale o affettiva e che preparava l’Anima cosciente, era cosa del tutto naturale portare ad espressione il rapporto con la Sofìa. E poiché le cose si manifestano lentamente e progressivamente, in tal modo esse si prepararono nell’epoca grecolatina. Ma anche esteriormente vediamo questo rapporto dell’Uomo nei confronti della Filosofia svilupparsi fino ad un certo grado, allorché abbiamo dinanzi rappresentazioni, in forma di immagine: la Filosofia librantesi al di sopra delle nubi e poi, nell’espressione della Filosofia (anche se ha un altro nome), lo sguardo che mostra benevolenza ed esprime nuovamente la relazione con l’Anima cosciente.

 

Certamente il rapporto dell’Uomo con la Filosofia, nel tempo in cui questa afferrava direttamente l’intera vita spirituale dello sviluppo dell’umanità in evoluzione, scaturì da una relazione personale del tutto umana com’è quella di un uomo nei confronti di una donna!

 

La relazione – non prendete l’espressione alla leggera ma cercate quello che voglio dire al di là delle parole – si è raffreddata; essa si è raffreddata, talvolta fino ad un gelo glaciale. Se oggi prendiamo in mano qualche libro di Filosofia, possiamo dunque realmente dire: il rapporto che era così ardente nel tempo in cui gli uomini stavano di fronte alla Filosofia come ad un Essere personificato è diventato un rapporto freddo, perfino presso coloro che con la Filosofia hanno un bel legame. Essa non è più la “Figura femminile” che era per Dante e per tutti gli altri che vissero in quel tempo.

 

Oggi la Filosofia è tale che dalla forma in cui ci muove incontro possiamo dire: proprio nella forma in cui, nel XIX secolo, essa ci si presenta nella sua massima evoluzione come Filosofia delle Idee, Filosofìa dei Concetti, Filosofia degli oggetti, proprio in ciò ci mostra di avere esaurito il proprio ruolo nell’evoluzione dell’umanità.

 

In sostanza, quando si prende in mano la Filosofia di Hegel – in particolare l’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche – è profondamente simbolico, in questo libro del XIX secolo, trovare da ultimo indicato come la Filosofia afferra sé stessa. Dopo avere afferrato tutto il resto, essa afferra sé stessa. E che cosa deve ancora afferrare? Anche se dopo Hegel molti interrogativi sono ancora da risolvere, l’espressione sintomatica al riguardo è: la Filosofia è alla sua fine!

 

Richard Wahle, un pensatore radicale, ha espresso questo pensiero nel suo libro “La Filosofia nel suo complesso e la sua fine”, nel quale ha esposto dettagliatamente, in modo assolutamente geniale, come tutto ciò che la Filosofia ha prodotto debba essere ripartito nei diversi, singoli ambiti: nella Fisiologia, nella Biologia, nell’Estetica etc.; e come veramente della Filosofia non rimanga più nulla.

 

Certamente tali libri oltrepassano il segno; essi contengono però una profonda verità: che

determinate correnti spirituali hanno un loro Tempo, una loro Epoca;

e proprio come il giorno ha il mattino e la sera

così, nel corso della storia dell’Umanità, esse hanno un’alba ed un tramonto.

Noi sappiamo di vivere nell’epoca in cui viene preparato il Sé Spirituale:

che per la verità ci troviamo nel pieno sviluppo dell’Anima cosciente ma che si sta preparando il Sé Spirituale.

 

Noi ci troviamo oggi nel tempo dell’Anima cosciente e volgiamo gli occhi alla preparazione del tempo del Sé Spirituale, analogamente a come il Greco, nel periodo dell’Anima razionale o affettiva, guardava al nascere dell’Anima cosciente. E come il greco ha fondato la Filosofia – (che nonostante Deussen ed altri, in verità, apparve per la prima volta in Grecia) durante lo sviluppo dell’Anima razionale o affettiva, nel quale si aveva ancora una diretta risonanza della “Sophia oggettiva”; come la Filosofia sbocciò e si sviluppò sì che Dante poteva starle di fronte come ad un Essere reale, concreto, che gli donava consolazione dopo che Beatrice gli era stata strappata dalla morte, così noi siamo oggi nel bel mezzo dell’epoca dell’Anima cosciente che guardiamo al sorgere dell’epoca del Sé Spirituale e sappiamo che, ancora una volta, si allontana dall’uomo qualcosa che però, nei tempi avvenire, riporterà come “Frutto” ciò che l’uomo si è conquistato con il passaggio attraverso il periodo dell’Anima cosciente.

 

Che cosa si deve sviluppare?

Si deve sviluppare che ci sia veramente di nuovo una “Sofia”.

Ma l’uomo ha appreso a riferire questa Sofia alla propria Anima cosciente, a palesarla direttamente agli uomini.

Ciò accadde durante l’epoca dell’anima cosciente:

di conseguenza questa “Sofia” è divenuta direttamente l’Entità che spiega l’uomo in quanto tale.

 

Dopo essersi ritirata nell’uomo, essa deve afferrarne l’Essere

e porlo di nuovo in modo oggettivo, esteriormente, davanti all’uomo.

In tal modo la “Sofia” viene imprigionata nell’anima umana,

riuscendo a legarsi così intimamente all’anima dell’uomo

da permettere che ne scaturisca una poesia amorosa così bella come quella scritta da Dante.

 

Di nuovo essa si libererà, portando però con sé ciò che l’uomo è,

e presentandosi in modo oggettivo, ma non più come “Sofia” bensì come “Antroposofia”;

come quella “Sofia” che, dopo essere passata attraverso l’Anima umana, attraverso l’Essere dell’uomo,

porta d’ora in poi questo Essere dell’uomo in sé e che d’ora in avanti si pone di fronte all’uomo “conoscente”

allo stesso modo della “Sofia”, l’Essere reale che una volta visse presso i Greci.

 

Tale è il corso della storia evolutiva dell’umanità relativamente agli argomenti spirituali finora presi in considerazione. Io lo affido ora a tutti coloro che vogliono indagare sempre più precisamente in che modo poter dimostrare, ora anche nei particolari, dal destino della “Sofia”, della “Filosofia” e dell’Antroposofia”, come l’umanità si evolve progressivamente attraverso quegli arti animici che noi denominiamo “Anima razionale o affettiva”, “Anima cosciente” e “Sé spirituale”.

 

Gli uomini impareranno

quanto sia profondamente radicato nella totalità dell’essere dell’uomo

tutto quanto abbiamo dinanzi nella nostra “Antroposofia.

 

Ciò che accogliamo per mezzo dell’Antroposofia è la nostra stessa essenza

che, dapprima, si appressava all’uomo librandosi e mostrandoglisi

nell’aspetto di una Dea celeste con la quale egli poteva entrare in relazione;

che visse quale “Sofia”, quale “Filosofia”, e che egli genererà di nuovo da sé, ponendosela di fronte

quale esperienza di una vera autoconoscenza nell’Antroposofia.

 

Noi posiamo tranquillamente attendere fino a che il mondo vorrà verificare quanto sia profondamente fondato,

fin nei minimi particolari, tutto quanto noi abbiamo da dire.

 

Giacché l’Essere dell’Antroposofia è tale

che la sua propria essenza si fonda su quella che è l’essenza dell’uomo.

 

E l’essenza della sua attività è che l’uomo accolga nell’Antroposofia ciò che egli stesso è

e se lo ponga dinanzi per esercitare l’autoconoscenza.