L’evento della morte e i fatti del dopo-morte

O.O. 168 – Il legame fra i vivi e i morti – 22.02.1916


 

Viviamo in un periodo in cui quotidianamente o ad ogni ora siamo posti di fronte alla morte, al passaggio dell’uomo attraverso la porta della morte, a questo significativo evento della vita umana. La morte diventa infatti un avvenimento della vita nel vero senso del termine solo per mezzo della scienza dello spirito che indica all’uomo come agiscono nella sua interiorità le forze eterne che scorrono tra nascita e morte, e che nel periodo tra nascita e morte creano un aspetto dell’esistenza, una particolare forma dell’esistenza per poi assumere, dopo il passaggio attraverso la porta della morte, un’altra forma di esistenza. Così la morte, da un’astratta fine della vita, come può apparire solo a una visione materialistica del mondo, per mezzo della scienza dello spirito nel complesso della vita umana diviene un evento, anche se di grande importanza. Anche fra le nostre stesse fila, in primo luogo a causa degli eventi storici attuali, ma anche per motivi al di fuori di questi, amici cari hanno varcato la porta della morte, così che sembra forse opportuno inserire proprio nel nostro presente, nelle nostre considerazioni odierne qualcosa sull’evento della morte e su quei fatti della vita umana che seguono la morte.

 

Nelle nostre osservazioni scientifico-spirituali sempre di nuovo ci si è occupati della vita tra la morte e una nuova nascita, e proprio su questo argomento abbiamo già acquisito molti punti di riferimento. Dal procedimento fino ad ora seguito dalla scienza dello spirito sappiamo bene come tutto ciò che vien dato si possa dare solo partendo da una precisa prospettiva e che possiamo in fondo conoscere le cose con sempre maggior precisione, solo se ci vengono chiarite da diversi punti di vista. Perciò oggi, a quello che già sappiamo sul tema accennato, aggiungerò qualcosa che può essere utile alla nostra complessiva concezione del mondo.

 

Alla luce della scienza dello spirito consideriamo l’uomo, e in un primo momento va bene così, quale egli ci si presenta come espressione di tutto il suo essere qui nel mondo fisico. Dobbiamo partire prima di tutto da ciò che l’uomo ci presenta nel mondo fisico, ed è per questo che ho sempre di nuovo richiamato l’attenzione su come noi traiamo per così dire un’idea generale riguardo a tutto l’uomo, considerandolo in modo da avere come base, prima di tutto, il corpo fisico, che qui nel mondo fisico conosciamo dall’esterno attraverso un’osservazione sensibile, attraverso lo smembramento scientifico dell’osservazione basata sui sensi.

 

Abbiamo poi quel corpo o quella forma di organizzazione che indichiamo come corpo eterico; esso ha già un carattere soprasensibile e non può quindi venir osservato con i comuni organi di senso (neppure con l’intelletto che è legato al cervello) e perciò è inaccessibile alla scienza comune. Tuttavia il corpo eterico è una struttura di cui si può dire che anche spiriti come Immanuel Hermann Fichte, figlio del grande Johann Gottlieb Fichte, poi Troxler ed altri erano a conoscenza. Il corpo eterico, essendo soprasensibile, è qualcosa nell’uomo che può essere afferrato solamente da una conoscenza immaginativa, qualcosa che però può essere appunto guardato dall’esterno per la conoscenza soprasensibile, così come per la conoscenza sensibile può essere guardato dall’esterno il corpo fisico.

Proseguiamo poi nella nostra osservazione fino al corpo astrale.

 

Esso non può essere osservato in modo sensibile dall’esterno, come può essere osservato il corpo fisico per mezzo dei sensi, come il corpo eterico per mezzo dello sguardo interiore;

il corpo astrale è invece qualcosa che può essere sperimentato solo interiormente,

entro il quale noi stessi dobbiamo essere per poterlo sperimentare,

• come pure la quarta parte costitutiva che dobbiamo afferrare qui nel mondo fisico: l’io.

Con queste quattro parti costitutive della natura umana formiamo l’uomo intero.

 

Dalle considerazioni fatte finora sappiamo però anche che quello che chiamiamo comunemente il corpo fisico dell’uomo è qualcosa di molto complicato, sappiamo che il corpo fisico umano si è formato in un lungo processo evolutivo attraverso gli stadi di Saturno, Sole, Luna e che pure il divenire dell’esistenza terrestre vi ha contribuito dalle sue origini fino ai tempi nostri. Un complicato processo evolutivo ha formato il nostro corpo fisico.

Si offre all’osservazione, che a tutta prima è accessibile all’uomo nel mondo fisico anche per la scienza ordinaria, solo il lato esteriore di ciò che in verità vive nel corpo fisico. Si potrebbe dire che la comune osservazione fisica e la scienza fisica, come esistono qui nel mondo, conoscono del corpo fisico solo tanto quanto un uomo conosce di una casa, al di fuori e intorno alla quale cammina, senza esservi mai entrato, un uomo che non ha mai conosciuto che cosa vi sia dentro la casa e quali persone vivano in essa.

 

È ovvio che chi si trovi sul terreno della scienza in un senso materialistico dirà di conoscere molto bene l’interno del corpo fisico. Lo conosciamo perché spesso abbiamo osservato, durante l’autopsia, il cervello all’interno delle pareti cervicali, perché abbiamo visto lo stomaco, il cuore: conosciamo dunque questo interno.

Ma l’interno che può essere visto dall’esterno, l’interno come spazio, non è ciò che qui è inteso parlando dell’interno.

 

Anche questo spazio interno è solo qualcosa di esteriore; nel corpo fisico umano questo interno spaziale è addirittura molto più esteriore del vero e proprio esterno spaziale. È certamente singolare dire questo. Ma già sappiamo, dalle descrizioni della nostra scienza dello spirito fatte finora, che i nostri organi di senso furono formati già durante il periodo di Saturno e che li portiamo all’esterno del nostro corpo, spazialmente esterni. Furono formati da forze molto più spirituali di quelle, per esempio, del nostro stomaco e di ciò che si trova internamente in senso spaziale. Ciò che si trova all’interno venne formato da forze meno spirituali.

 

Per quanto singolare possa sembrare, bisogna tuttavia far presente che a dire il vero l’uomo parla di sé per così dire alla rovescia. È del resto naturale, poiché qui viviamo sul piano fisico, ma si esprime alla rovescia.

In verità egli dovrebbe chiamare quello che è la pelle del viso l’interno e il suo stomaco l’esterno. Si giungerebbe allora molto più vicini alla realtà. Si giungerebbe molto più vicini alla realtà se si dicesse che mangiamo dall’interno verso l’esterno, che mandiamo i nostri cibi dall’interno verso l’esterno, mandandoli nello stomaco, piuttosto di come diciamo ora: dall’esterno all’interno; infatti, quanto più i nostri organi si trovano alla superficie, tanto più spirituali sono le forze da cui derivano, mentre sono tanto meno spirituali le forze da cui derivano, quanto più essi sono posti nel nostro interno in senso spaziale. Lo si può notare con facilità partendo dalle descrizioni della scienza dello spirito fin qui fatte.

 

Se bene ci ricordiamo quanto è stato finora esposto dalla scienza dello spirito, sapremo che durante l’evoluzione lunare qualcosa si separa, che durante l’evoluzione terrestre di nuovo si separa, che cioè nel corso delle evoluzioni di Saturno, Sole e Luna, qualcosa va nello spazio. Durante questo separarsi succede qualcosa di sorprendente: siamo stati rivoltati, rivoltati esattamente come si rovescia un guanto: l’interno verso l’esterno e l’esterno verso l’interno.

 

Ciò che come viso oggi si volge all’esterno, nella sua prima disposizione durante il periodo di Saturno e del Sole si rivolgeva all’interno, e così era ancora per una parte del periodo della Luna, mentre i germi dei nostri organi interni attuali furono plasmati durante il periodo lunare, in modo tale da essere costruiti da fuori. Da quel periodo siamo stati veramente rivoltati come un vestito. Oggi non si usa più rivoltare i vestiti ma in tempi passati lo si faceva per poterli portare ancora più a lungo. Oggi non si usa più.

Quando parliamo del nostro corpo fisico dobbiamo diventare consapevoli che in esso vi è molto di soprasensibile, che tutto il modo in cui è costruito è soprasensibile, che è stato formato a partire dal soprasensibile e che quando lo consideriamo come un tutto, ci manifesta solamente il suo lato esteriore.

 

Passiamo ora al corpo eterico: esso non è più visibile a un’osservazione fisico-sensibile;

ma esso è tanto più importante quando l’uomo varca la porta della morte.

Il corpo eterico è di grandissima importanza nei primi giorni dopo la morte.

 

Ma anche per il corpo fisico dobbiamo ancora imparare a cambiare modo di pensare, imparare veramente a cambiare modo di pensare se vogliamo considerare nella giusta misura ciò che ci attende dopo aver varcato la porta della morte.

Sappiamo bene, poiché può venir ancora osservato dal mondo fisico, che nel varcare la porta della morte l’uomo depone, come si suol dire, il suo corpo fisico. Con la decomposizione o la cremazione (i due processi si differenziano solo per la durata) esso viene affidato all’elemento terrestre. Potrebbe sembrare che chi ha varcato la porta della morte abbandoni semplicemente il corpo fisico in quanto tale. Ma non si tratta di questo.

Del nostro corpo fisico possiamo affidare alla Terra solo ciò che dalla Terra stessa prese origine.

Non possiamo affidare alla Terra ciò che del nostro corpo fisico proviene dall’antica esistenza lunare, dall’antica esistenza solare, dall’antica esistenza saturnia. Quelle che provengono dall’antica esistenza saturnia, dall’antica esistenza solare e dall’antica esistenza lunare, e perfino ancora da gran parte dell’esistenza terrestre, sono forze soprasensibili. Tali forze che sono nel nostro corpo fisico, delle quali all’osservazione dei sensi, come appunto ho spiegato, si mostra solo l’aspetto esteriore, dove vanno dunque a finire dopo che abbiamo varcato la porta della morte? Il nostro corpo fisico, la forma più straordinaria che ci sia sulla Terra, soprattutto come forma, restituisce alla Terra, si è detto, solamente quello che la Terra gli ha dato.

 

Dove si trova il resto quando abbiamo varcato la porta della morte? Il resto si ritira da ciò che, a seguito di decomposizione o cremazione, penetra per così dire nella Terra; il resto viene accolto dall’universo intero.

Se pensiamo a tutto, a tutto quello che si può intuire ci sia intorno alla Terra, con tutti i pianeti e le stelle fisse, se lo pensiamo il più possibile spiritualmente, in ciò che si è spiritualmente pensato si ha il luogo in cui si trova quel che di noi è spirituale. Infatti solo una parte dello spirituale si separa: quella che vive nel calore e che rimane alla Terra.

Il calore, il nostro calore interno, il nostro calore individuale viene separato, rimane alla Terra. Invece tutto ciò che del corpo fisico è spirituale viene portato fuori negli spazi cosmici, nel cosmo intero.

 

Quando da esseri umani abbandoniamo il nostro corpo fisico, dove andiamo, dove ci immergiamo veramente?

Alla nostra morte, veloci come un lampo,

ci immergiamo in tutte le forze soprasensibili che plasmano il nostro corpo fisico.

 

Possiamo in tutta tranquillità farci una rappresentazione di come tutte le forze costruttrici che, a partire dal periodo di Saturno, lavorarono al nostro corpo fisico si dilatino all’infinito preparandoci il luogo nel quale vivremo tra la morte e una nuova nascita. Tutto questo, vorrei dire, non è che condensato nello spazio delimitato dalla nostra pelle tra la nascita e la morte.

Quando così ci troviamo fuori dal nostro corpo fisico, facciamo soprattutto un’esperienza che è importante per tutta la successiva vita fra morte e nuova nascita. Vi ho già accennato spesso. Questa esperienza è di natura opposta all’esperienza che le corrisponde qui nella vita sul piano fisico. Qui nella vita sul piano fisico, con l’usuale conoscenza che ci è data dai sensi, non possiamo guardare indietro fino al momento della nostra nascita. Nessuno è in grado di ricordare la propria nascita, di guardare a ritroso. Sa solamente di essere nato, prima di tutto perché forse gli è stato detto, e in secondo luogo lo presume perché sono nati anche tutti gli altri, giunti sulla Terra dopo di lui; ma nessuno può avere un’esperienza reale della propria nascita.

 

Abbiamo l’esatto contrario con l’esperienza corrispondente dopo la morte. Mentre non è mai possibile che la visione diretta della nostra nascita ci stia davanti all’anima nella vita fisica, nell’intera vita tra morte e nuova nascita il momento della morte sta davanti all’anima, se soltanto si guarda ad esso spiritualmente.

Di certo deve esserci ben chiaro che il momento della morte viene poi visto dall’altro lato. Se la morte può avere qualcosa di spaventoso è soltanto perché per così dire qui viene vista come un dissolversi, come una fine. Dall’altro lato, dal lato spirituale, guardando indietro al momento della morte essa appare di continuo come la vittoria dello spirito, come il faticoso liberarsi dello spirito dal corpo fisico. Si presenta allora come l’evento più grande, più sublime, più significativo.

 

Inoltre con questo evento si accende quella che dopo la morte è la nostra coscienza dell’io.

Per tutto il periodo tra morte e rinascita abbiamo una coscienza dell’io non soltanto simile a quella che abbiamo qui nella vita fisica, ma l’abbiamo persino in un senso molto più elevato. Non potremmo però avere tale coscienza dell’io se non fossimo capaci di guardare indietro incessantemente, se non vedessimo, ma dall’altro lato, dal lato spirituale, il momento nel quale ci siamo strappati col nostro spirito dal corpo fisico.

 

Siamo consci di essere un io solamente perché sappiamo: noi siamo morti, abbiamo liberato il nostro spirito dal nostro corpo fisico. Se al di là della porta della morte non guardassimo al momento della morte, per la coscienza dell’io post-mortem accadrebbe ciò che accade qui per la coscienza fisica dell’io durante il sonno. Come nel sonno non si sa nulla della coscienza fisica dell’io, così dopo la morte non si saprebbe nulla di sé, se non si avesse presente l’istante del morire. Lo si ha davanti a sè come uno dei momenti più sublimi, più grandiosi.

 

Vediamo come già in questo caso dobbiamo prendere atto di dover pensare il mondo spirituale in modo del tutto diverso da come si pensa qui il mondo fisico-sensibile.

Se per comodità si vuole restare soltanto con i concetti che si hanno qui per il mondo fisico-sensibile, non si può proprio afferrare il mondo spirituale in modo preciso. Infatti quel che è più importante dopo la morte è che il momento del morire viene visto dall’altro lato. Si accende così dall’altro lato la nostra coscienza dell’io.

• Qui nel mondo fisico abbiamo per così dire un lato della coscienza dell’io;

• dopo la morte abbiamo l’altro lato della coscienza dell’io.

 

Poc’anzi ho accennato a dove si trovi in realtà la parte soprasensibile del nostro corpo fisico dopo la morte, dove dobbiamo cercarla. Dobbiamo cercarla nel mondo intero, in lontananze che solo possiamo presentire, in rapporti di forze, in organismi di forze, in un cosmo di forze. Tale parte fisica ci prepara il luogo attraverso il quale dobbiamo passare da una morte a una nuova nascita.

È davvero un microcosmo, un intero mondo quello che qui nel nostro corpo fisico, piccolo rispetto al mondo intero, si trova racchiuso nella nostra pelle; in realtà è solo arrotolato, se posso esprimermi alla buona; poi si srotola e riempie il mondo, ad eccezione di un piccolo spazio che rimane sempre vuoto.

Quando viviamo tra morte e rinascita, con le forze che sono alla base del nostro corpo fisico quali forze soprasensibili, veniamo veramente ad essere in tutto il mondo, salvo che in un unico luogo che rimane vuoto: è lo spazio che occupiamo qui nel mondo fisico all’interno della nostra pelle. Sempre guardiamo a questo vuoto.

Guardiamo noi stessi da fuori e vediamo in un vuoto. Ciò in cui noi guardiamo rimane vuoto, ma rimane vuoto in modo tale che ne riceviamo una sensazione fondamentale. Questo guardare non è un guardare astratto, come quando sul piano fisico si fissa una cosa qualsiasi, ma è un guardare collegato con una possente, interiore esperienza di vita, con una possente esperienza.

È collegato con il fatto che grazie alla vista di quel vuoto sorge in noi un sentimento che ora ci accompagna nel corso di tutta la vita tra morte e nuova nascita e che costituisce molto di ciò che generalmente chiamiamo vita dell’aldilà.

 

È la sensazione: nel mondo si trova qualcosa  che sempre e di continuo deve essere riempito da te.

Poi si perviene alla sensazione: si è nel mondo per qualcosa

per il quale possiamo esserci soltanto noi stessi.

 

Si percepisce il proprio posto nel mondo.

Si sperimenta di essere, nel mondo, un tassello senza il quale il mondo non potrebbe esistere. Lo si vede in quel vuoto. L’essere nel mondo come qualcosa che appartiene al mondo è quanto viene incontro perché si guarda a un vuoto.

Tutto questo è in relazione con ciò che avviene poi del nostro corpo fisico. Naturalmente, servendoci di descrizioni più elementari, potremo per così dire sempre esporre solo in modo schematico quello che in verità nel mondo spirituale abbisogna di immagini per quanto è reale. Ma dobbiamo prima avere queste immagini per poi innalzarci poco a poco fino alle rappresentazioni che maggiormente penetrano nella realtà del mondo spirituale.

 

Sappiamo che poi per alcuni giorni abbiamo una specie di ricordo a ritroso; viene peraltro chiamato ricordo a ritroso solo in senso improprio, a ragione, ma in senso improprio, poiché nel corso di alcuni giorni abbiamo qualcosa come un quadro mnemonico, come un panorama che è tessuto con tutto quanto abbiamo sperimentato nella vita appena trascorsa; non l’abbiamo però come un ricordo ordinario entro il corpo fisico.

Un ricordo nel corpo fisico è tale che lo estraiamo temporalmente dalla memoria. Tale memoria è una forza collegata al corpo fisico; si tratta di qualcosa di pensato quando si estrae temporalmente il ricordo in questo modo.

Invece il ricordo a ritroso dopo la morte è tale che tutto quanto si è svolto nella vita è contemporaneamente intorno a noi, come in un panorama, in immagini. Per giorni viviamo per così dire in quanto abbiamo sperimentato. In immagini possenti si trova contemporaneamente l’avvenimento che abbiamo appena vissuto appunto nell’ultimo periodo precedente la nostra morte e al tempo stesso ciò che avevamo vissuto nell’infanzia.

Un panorama della vita, un quadro della vita, ci presenta in un tessuto intrecciato di etere ciò che altrimenti si era svolto in una successione temporale. Tutto quanto ora vediamo vive nell’etere.

 

Prima di tutto percepiamo come vivente quello che allora ci circonda, la tutto vive e tesse. Poi lo percepiamo come spiritualmente risonante, come spiritualmente risplendente e come emanante spiritualmente calore. Questo quadro di vita scompare, come sappiamo, già dopo alcuni giorni. Ma che cosa lo fa in realtà cessare? che cosa è questo quadro di vita?

Quando appunto si indaga sull’essenza di questo quadro di vita, bisogna dire che in esso è intessuto tutto quanto nella vita abbiamo sperimentato. Ma sperimentato come? Poiché vi abbiamo unito pensieri! Vi è celato tutto quanto avevamo sperimentato pensando, avendo avuto rappresentazioni.

 

Tanto per riferirci a qualcosa di concreto, diciamo di aver vissuto durante la vita con un’altra persona, di aver parlato con l’altra persona. Per il fatto di aver parlato con lei i suoi pensieri hanno comunicato con i nostri. Abbiamo ricevuto amore da lei, abbiamo lasciato che l’intera sua anima agisse sulla nostra, vissuto tutto questo interiormente. Conviviamo, appunto, quando viviamo con un’altra persona. Essa vive, e noi viviamo, sperimentiamo qualcosa di lei. Quello che sperimentiamo in lei ci appare ora intessuto nel quadro di vita. È proprio ciò di cui abbiamo ricordo.

Pensiamo ad esempio al momento in cui dieci, vent’anni fa, vivemmo qualcosa con qualcun altro. Pensiamo di ricordarcelo, ma non come ci si ricorda di solito nella vita, col grigio che sfuma nel grigio, bensì come se il ricordo fosse in noi tanto vivo quanto l’esperienza medesima, come se l’amico ci stesse davanti come era allora, quando la vivemmo. Spesso qui nella vita siamo molto sognanti. Quello che sul piano fisico viviamo con vigore diventa ottuso, si spegne. Quando abbiamo varcato la porta della morte e lo troviamo nel quadro di vita non è così spento, è presente con tutta la freschezza e il vigore con cui era presente durante la vita. Così si intesse nel quadro di vita, così lo sperimentiamo noi stessi per giorni.

Come per il mondo fisico abbiamo l’impressione che il nostro corpo fisico si separi da noi, così abbiamo poi l’impressione dopo vari giorni che anche il nostro corpo eterico si sia separato da noi; a dire il vero il corpo eterico non si è separato da noi come il corpo fisico, bensì è intessuto con l’intero universo, con il mondo intero. È la e vi lascia la sua impronta durante i giorni nel corso dei quali sperimentiamo il quadro di vita. Quello che così abbiamo come quadro di vita, passa nel mondo esterno, vive attorno a noi, è accolto dal mondo.

 

Inoltre durante questi giorni facciamo un’esperienza importante, significativa.

Infatti ciò che sperimentiamo dopo la morte non sono solo esperienze che appaiono come ricordi della vita terrena, ma sono proprio frammenti per nuove esperienze.

Il pervenire al nostro io mentre gettiamo uno sguardo indietro al momento della morte è già di per sè una nuova esperienza, poiché qui con i nostri sensi terreni non possiamo sperimentare qualcosa di simile. Ciò è accessibile solo alla conoscenza iniziatica.

Ma anche quello che sperimentiamo nel corso dei giorni in cui abbiamo intorno a noi il quadro mnemonico, il tessere eterico che si dissolve da noi e si unisce all’universo, anche questo sperimentare è qualcosa di commovente e sublime, è qualcosa di davvero poderoso per l’anima umana.

 

Qui nel mondo fisico siamo dunque di fronte al mondo, ai regni minerale, vegetale, animale, umano. Di essi sperimentiamo ciò che i nostri sensi sono in grado di sperimentare, grazie a ciò che può raggiungere tramite i sensi il nostro intelletto legato al cervello, ciò che può sperimentare il nostro sentimento legato al nostro sistema vascolare; tutto questo sperimentiamo qui.

E in verità noi uomini tra nascita e morte, visto in una prospettiva superiore, siamo dei poveri sciocchi, mi si perdoni l’espressione, siamo dei grandissimi sciocchi.

Di fronte alla saggezza del cosmo siamo paurosamente stupidi se crediamo che tutto consista soltanto nello sperimentare qui qualcosa nel modo descritto e nel portare poi ciò che sperimentiamo nei nostri ricordi e nell’essercene appropriati come uomini.

Così crediamo, ma mentre facciamo esperienze, mentre nello sperimentare formiamo le nostre rappresentazioni, le nostre sensazioni animiche, in questo sperimentare, in questo svolgimento lavora l’intero mondo delle gerarchie, vive e tesse in esso.

 

Se ci mettiamo di fronte a una persona e la guardiamo negli occhi, nel nostro sguardo e in quello che il suo sguardo ci manda incontro vivono gli spiriti delle gerarchie, vivono le gerarchie, vive il lavoro delle gerarchie.

Anche ciò che sperimentiamo ci presenta soltanto il lato esteriore, poiché in quello sperimentare operano le divinità. Mentre crediamo di vivere solo per noi, attraverso il nostro sperimentare le divinità elaborano qualcosa che ora possono intessere nel mondo.

Abbiamo concepito pensieri, abbiamo avuto esperienze di sentimento: le divinità prendono tutto ciò e ne fanno partecipe il loro mondo, e dopo che siamo morti sappiamo di essere vissuti affinché le divinità potessero ordire la tela proveniente dal nostro corpo eterico di cui ora l’universo intero viene reso partecipe.

Gli dei ci hanno permesso di vivere per poter ordire per se stessi qualcosa per mezzo del quale poter arricchire di un frammento il loro mondo. È un pensiero commovente!

 

Quando nel mondo moviamo un solo passo, esso è il segno esteriore di un avvenimento divino e un frammento del tessuto che le divinità usano per il loro disegno cosmico; ce lo lasciano solo fino a quando varchiamo la porta della morte, per poi togliercelo e incorporarlo nell’universo. I nostri destini umani sono al tempo stesso azioni divine, e ciò che sono per noi uomini è soltanto un aspetto esteriore. Questo è ciò che conta, l’importante, l’essenziale.

A chi appartiene in realtà ora, dopo che siamo morti, quello che nella vita abbiamo conquistato interiormente per il fatto che possiamo pensare, che abbiamo sensazioni animiche? Dopo la nostra morte appartiene al mondo!

Ma come volgiamo lo sguardo indietro alla nostra morte, così con quello che ci rimane, col nostro corpo astrale e il nostro io guardiamo indietro a ciò che si è intessuto nell’universo, nel mondo.

Durante la vita, quale corpo eterico in noi, portiamo ciò che si era intessuto nell’universo. Ora è dipanato e intessuto col mondo. Vi volgiamo lo sguardo, lo guardiamo. Come qui lo sperimentiamo interiormente, così lo osserviamo dopo la morte, così si trova fuori nel mondo.

 

Come qui guardiamo stelle, montagne e fiumi, così dopo la morte, accanto a ciò che con la velocità di un lampo è divenuto del nostro corpo fisico, guardiamo ciò che delle nostre esperienze si è intessuto nel mondo.

E ciò che delle nostre esperienze si incorpora nell’intera architettura del mondo, si specchia ora nel corpo astrale e nell’io che ancora possediamo, proprio come il mondo esterno si specchia nei nostri organi fisici qui nel nostro essere fisico.

Per il fatto che si specchia in noi riceviamo qualcosa che qui, durante l’esistenza sulla Terra, non possiamo avere, che avremo più tardi in un’impronta esterna, più fisica, durante l’esistenza su Giove, ma che riceviamo in una forma spirituale perché ora il nostro essere eterico si trova all’esterno e produce un’impressione su di noi. Prima veniva da noi vissuto come nostra interiorità, ora invece produce un’impressione su di noi.

 

L’impressione che viene fatta su di noi, a dire il vero, è a tutta prima spirituale, e immaginativa, ma quale esperienza immaginativa è già un esempio di ciò che avremo solo su Giove: il sé spirituale. Poiché quindi il nostro corpo eterico si intesse nell’universo, nasce per noi (però spiritualmente, non come lo avremo più tardi su Giove) un sé spirituale; così ora abbiamo, dopo aver abbandonato il corpo eterico: il corpo astrale, l’io, il sè spirituale. Quelli che rimangono della nostra esistenza terrena sono quindi il corpo astrale e l’io.

Il nostro corpo astrale, come sappiamo, ancora per lungo tempo dopo la morte rimane sottoposto a noi come lo era il corpo astrale terrestre. Rimane a noi in quanto esso viene compenetrato da tutto ciò che è puramente umano terrestre e che non può espellere subito da sé.

 

Trascorriamo quindi un periodo durante il quale solo a poco a poco possiamo deporre quello che la vita terrena ha fatto del nostro corpo astrale. Delle nostre vicende sulla Terra sperimentiamo in sostanza, per quanto riguarda il corpo astrale, solo la metà. Di quello che in un modo o nell’altro accade per mezzo nostro, in verità sperimentiamo solo la metà.

Facciamo un esempio: pensiamo (questo nel caso di azioni e pensieri buoni, come pure di azioni e pensieri cattivi, ma prendiamo l’esempio di un’azione cattiva) di dire a qualcuno una parola cattiva, per la quale egli si sente offeso. Della parola offensiva sentiamo solamente quello che ci riguarda, abbiamo in noi la sensazione del motivo per cui abbiamo usato quella cattiva parola; questa è l’impressione che riceve la nostra anima quando usiamo la parola offensiva. Ma l’altro, al quale rivolgiamo la parola cattiva, ha un’impressione del tutto diversa, ha l’altra metà dell’impressione, ha il sentimento di essere offeso. In lui vive realmente l’altra metà dell’impressione. Quel che abbiamo vissuto per noi stessi nel corso della vita fisica è un aspetto, quel che l’altro ha vissuto è l’altro aspetto.

 

Tutto quello che è stato sperimentato per mezzo nostro, ma fuori di noi,

lo dobbiamo vivere di nuovo dopo la morte, quando percorriamo a ritroso la nostra vita.

Viviamo a ritroso gli effetti dei nostri pensieri e delle nostre azioni.

 

Dunque tra la morte e una nuova nascita viviamo la nostra vita percorrendola a ritroso.

• Con l’abbandono del corpo eterico

si ha un quadro mnemonico nel quale appare simultaneamente l’intera esistenza.

Il vivere a ritroso  è realmente uno sperimentare in senso inverso quel che noi abbiamo fatto.

• Quando poi siamo andati a ritroso fino alla nostra nascita, siamo maturi

per deporre anche la parte del nostro corpo astrale che è pervasa di terrestrità.

• Quella parte si allontana da noi, e con tale abbandono subentra per noi una nuova condizione.

 

Nelle nostre esperienze il nostro corpo astrale ci teneva sempre uniti alla Terra. In quanto dobbiamo così passare attraverso il nostro corpo astrale, non da sognatori ma vivendo a ritroso le esperienze terrene, per questo fatto siamo ancora uniti alla vita sulla Terra, vi siamo ancora inseriti.

Solo ora (è un termine improprio ma non si può dire diversamente poiché il linguaggio non ne possiede altro adatto) solo ora che abbiamo deposto il corpo astrale ci siamo liberati del tutto della natura terrestre, ora viviamo nel mondo spirituale vero e proprio.

Subentra ora una nuova esperienza. Il deporre il corpo astrale, a dire il vero, è di nuovo solo un aspetto dello sperimentare; l’altro aspetto è qualcosa di completamente diverso.

 

Quando dopo essere passati attraverso le esperienze terrene abbiamo deposto il corpo astrale, ci sentiamo come interiormente permeati, compenetrati di spirito (ora non è possibile dire materia) solo ora ci sentiamo proprio ben inseriti nel mondo spirituale, ci si schiude interiormente il mondo spirituale.

• Prima ci si schiudeva dall’esterno, vedendo l’universo e il proprio corpo eterico intessuto con l’universo.

• Ora ci si schiude dall’interno, ora lo si sperimenta interiormente.

 

Come un’immagine di quello che l’uomo avrà come espressione fisica soltanto su Venere, ecco che il nostro io ci si dischiude interiormente in un’immagine dello spirito vitale, così che ora veniamo ad essere costituiti di sè spirituale, spirito vitale e io.

Allo stesso modo in cui sulla Terra ci sentiamo in una coscienza sognante nel periodo che va dalla nascita fino al momento dell’infanzia in cui giungiamo ad essere coscienti, fino al punto cioè a cui possiamo arrivare più tardi con il ricordo, altrettanto viviamo ora un’esistenza che è sì del tutto consapevole di sè, ma è più consapevole e più alta della vita terrena. Sperimentiamo però una pura vita spirituale solo dopo che ci siamo separati dal nostro corpo astrale e che abbiamo conservato dell’astrale soltanto ciò che ci riempie interiormente così che da questo momento siamo spirito fra spiriti.

• Ma subentra ora ancora un’altra importante ed essenziale esperienza.

 

Vivendo nel mondo fisico noi lavoriamo, facciamo e sperimentiamo questo o quello, ne abbiamo appunto già parlato. Nel mondo fisico però non abbiamo solo esperienze, ma con esse abbiamo in pari tempo anche qualcos’altro. Per queste altre esperienze, anche se mi esprimo solo con un termine generico, desidero usare tuttavia questa espressione: si può dire che mentre viviamo veniamo affaticati, logorati. Sì, avviene sempre che veniamo logorati.

Sebbene durante il sonno l’affaticamento si compensi, per la coscienza del giorno dopo (meno attraverso il sonno che attraverso il riposo durante il sonno, per essere esatti) si tratta appunto di una parziale compensazione; sappiamo infatti che nella vita ci logoriamo, che diventiamo più vecchi, che le nostre forze vengono gradualmente meno. Anche in un senso più ampio, ci stanchiamo. Invecchiando si sa anche che non è possibile compensare tutto durante il sonno. Ci sentiamo dunque logorati, stanchi. Possiamo ora già porre la domanda in modo diverso. Stabilito quel che abbiamo detto, possiamo ora avanzare la domanda: perché gli dei permettono che ci si stanchi? perché ci stanchiamo?

 

Il fatto di stancarsi, di logorarsi ci offre appunto qualcosa che per il complesso della nostra vita significa in realtà molto, davvero molto. Solo dobbiamo afferrare il concetto dello stancarsi in un senso molto più ampio di quanto appunto si crede normalmente. Dobbiamo porre nel giusto modo davanti all’anima il concetto dello stancarsi.

Avremo un miglior concetto dello stancarsi se ci rappresentiamo la cosa così: se ora volessi chiedere a uno dei presenti: conosci qualcosa dell’interno della tua testa?

Con ogni probabilità soltanto chi è afflitto da mal di testa mi risponderà che proprio in quell’istante egli sa qualcosa dell’interno del suo capo. Solo lui percepisce l’interno della sua testa; gli altri vivono senza percepirlo.

Percepiamo i nostri organi solo quando non sono del tutto in ordine; nella sensazione dunque sappiamo qualcosa dei nostri organi.

 

Nella vita siamo costituiti in modo che del nostro corpo fisico a dire il vero abbiamo conoscenza solo quando non è del tutto in ordine. Del nostro corpo fisico abbiamo in realtà solo una sensazione generale. Essa diviene più intensa quando qualcosa non è a posto. Ma una semplice sensazione ci dice assai poco sull’interno.

Chi nel corso della vita ha avuto qualche volta dolori di testa, sa dell’interno del suo capo; non alla maniera dell’anatomista che conosce solo i vasi interni. Pure nella vita, allorché diventiamo più e più stanchi, subentra nel corpo, in misura sempre maggiore, proprio la sensazione del nostro interno, dell’interno come spazio.

 

Riflettiamo un attimo: quanto più nella vita ci stanchiamo, tanto più compaiono i malanni della vita, ad esempio i malanni della vecchiaia. La nostra vita consiste nell’imparare a poco a poco a percepire, a sentire il nostro elemento fisico. Per il fatto che esso, vorrei dire, ci indurisce, si inserisce in noi in quel modo, impariamo a percepirlo.

Per noi, dato che si verifica gradualmente, si tratta di un percepire assai fievole. L’uomo infatti si renderebbe conto della reale intensità soltanto se, mi si perdoni l’espressione ma sarà così possibile cogliere ciò che intendo, se ad esempio in un dato momento potesse sentirsi sano come un pesce, come un bambino che scoppia di salute, e subito dopo, in modo da poterne fare un confronto, come si sente quando a ottanta, ottantacinque anni le membra sono indebolite. Allora potrebbe già percepirlo in maggior misura.

 

Poiché il processo è tanto lento, non si nota come si sperimenti l’elemento fisico, lo stancarsi. Lo stancarsi è un processo reale che all’inizio non è per nulla presente (il bambino è sprizzante di vita), poi però la forza vitale viene sempre più sopraffatta dalla sensazione di stanchezza, ed è una sensazione che si avverte. Abbiamo la possibilità di stancarci; mentre così ci stanchiamo, mentre è presente solo una tenue sensazione della nostra interiorità, accade in verità qualcosa di interiore in noi.

Qui nel mondo fisico la nostra vita ci offre solo il lato esteriore di segreti profondi, significativi, importanti. Che nella vita noi ci si senta così impercettibilmente accompagnati dal divenire stanchi e si possa con ciò percepire l’interno del nostro corpo, questo è il lato esteriore di qualcosa che si intesse in noi, che è meravigliosamente intessuto di pura saggezza, vero tessuto di pura saggezza.

 

Poiché diveniamo stanchi col trascorrere della vita, e impariamo a percepirà dall’interno, si intesse intimamente in noi una delicata conoscenza della meravigliosa struttura dei nostri organi, dei nostri organi interni.

Apprendiamo nel cuore il processo dello stancarsi; questo significa però che si intesse intimamente in noi la conoscenza di come un cuore prenda forma movendo dal COSMO.

Ci sentiamo stanchi nello stomaco, e questa stanchezza deriva per lo più dal fatto che lo roviniamo con il cibo; ciò nonostante durante l’affaticamento dello stomaco si intesse in noi tutta la saggezza, un’immagine di saggezza proveniente dal cosmo e ci mostra come venga formato il nostro stomaco. Sorge in immagine il modo egregio e miracoloso in cui il nostro organismo, questa opera d’arte stupenda, viene costruito.

 

Tutto ciò diventa vivente solo quando abbiamo deposto la parte esteriore del corpo astrale collegata con la Terra.

In noi vive ora ciò che ci ricolma quale spirito vitale.

Ora vive in noi la saggezza di noi stessi, della meravigliosa costruzione del nostro interno.

Ora inizia il periodo in cui per così dire confrontiamo la saggezza che ricolma adesso quale spirito vitale il nostro interno con l’ordito eterico che si era prima intessuto con l’universo. Ora lavoriamo a questo confronto, a come l’uno si possa adattare all’altro, e ci costruiamo l’immagine della nostra figura umana, così come dovrà diventare nella futura incarnazione.

Cominciamo in questo modo, mentre gradualmente ci avviciniamo alla mezzanotte cosmica, di cui troviamo cenno in uno dei misteri drammatici, nel Risveglio delle anime. Così, precisamente dopo la mezzanotte cosmica, portiamo avanti un lavoro che si realizza nella nostra partecipazione alla creazione del mondo, inserendovi quel che qui godiamo.

 

Durante la vita tra morte e nascita noi lavoriamo, tramiamo, tessiamo alle immagini divine. Ci è concesso di essere compartecipi della meta degli dei, mentre essi inseriscono nel mondo l’essere umano. Possiamo prepararci una futura incarnazione. In questo non si verificano naturalmente solo processi che ci riguardano in modo egoistico, ma ogni altro processo possibile, come ci può venir confermato in modo particolare da quanto segue.

Questo processo meraviglioso è di gran lunga superiore a quanto si svolge qui sulla Terra, quando inverno ed estate si alternano, quando sorge il Sole e quando esso tramonta, al lavoro che si compie sulla Terra; là si compie quel che da ultimo conduce alla nostra incarnazione terrena, quel che conduce all’esistenza umana; ma si tratta di un immenso lavoro divino, che non riveste solo un significato esteriore, ma la cui importanza riguarda il mondo intero.

 

Se riusciamo a poco a poco tramite la veggenza spirituale a vivere questo meraviglioso processo, ci viene appunto incontro qualcosa. Sembrerà certo strano che io dica questo, ma i più alti segreti devono a tutta prima apparire sempre strani alla conoscenza fisico-sensibile dell’uomo; ciò che qui ci si presenta davanti all’anima ci deve scuotere, quanto più, tanto meglio.

Queste cose, così come esse sono, non devono affatto pervenire alla nostra anima in modo che noi le accogliamo con un sapere freddo, arido, che ci lascia indifferenti. Proprio grazie a queste cose dobbiamo ricevere un’impressione animica riguardo alla magnificenza e alla grandezza del mondo divino-spirituale.

Si potrebbe dire: se qualcuno si limita ad esporre la scienza dello spirito in modo tanto arido da non afferrare anche tutto l’essere umano, e insieme all’impressione che ne riceve non ha anche un’impressione della grandezza e della magnificenza del divino-spirituale che palpita e vive nell’universo, secondo quanto ho appunto descritto, nonostante tutto quanto possiamo fare e considerate le attuali condizioni del mondo, dovremmo nascere tutti senza testa.

Non ci sarebbe possibile infatti agire sulla formazione del capo.

 

Il capo umano è nella sua struttura un’immagine dell’universo tanto alta che l’uomo, sia pure con la saggezza che gli viene intessuta nel corso di una vita, non sarebbe in grado di costruirlo, non potrebbe predisporlo per la futura incarnazione; a questo devono appunto cooperare tutte le gerarchie divine. Ciò che è presente nel nostro capo, in questa sfera un poco interrotta e trasformata dalla nuca, è ancora di per sè un vero e proprio microcosmo, una reale impronta della grande sfera cosmica. In essa vive tutto quel che vive nell’universo, insieme a tutto ciò che può agire nelle diverse gerarchie.

In quanto cominciamo a lavorare alla nostra successiva incarnazione prendendo avvio dalla saggezza accumulata nel processo di logoramento, tutte le gerarchie intervengono in questa attività per incorporarci, quale impronta di tutta la saggezza divina, quello che diventerà il nostro capo.

 

Mentre accade tutto ciò, sulla Terra si prepara nel corso di generazioni la nostra linea ereditaria. Proprio come dopo la nostra morte abbandoniamo alla Terra solo ciò che dalla Terra proviene, allo stesso modo riceviamo da genitori e progenitori solo ciò che in noi è terrestre, e quel che in noi è terrestre, è appunto soltanto l’esterno, è appunto solo l’espressione esterna dell’essere terrestre. Qui vi è intessuto tutto quel che noi stessi in primo luogo possiamo tessere nel modo descritto, e quel che viene tessuto dal complesso delle gerarchie divine prima che, attraverso il concepimento, entriamo in relazione con ciò in cui ci avvolgiamo, di cui ci rivestiamo scendendo sul piano fisico.

Tanto più siamo in grado di accogliere nel nostro sentimento queste elevate conoscenze, tanto meglio per noi.

 

Riflettiamo infatti solo un momento: noi usiamo la nostra testa, ma di norma, in quanto siamo esseri umani viventi nella materia, non abbiamo traccia alcuna della conoscenza che intere gerarchie divine impiegano il loro lavoro per formare il nostro capo, per formare quello che di spirituale sta alla base del nostro capo, affinché noi possiamo comunque esistere. Se lo afferriamo nel senso della conoscenza scientifico-spirituale, veniamo di per sè compenetrati da sentimenti di gratitudine e di riconoscenza nei confronti dell’universo intero.

 

• Per questa ragione quel che facciamo nostro grazie alla scienza dello spirito deve essere una progressiva,

una sempre progressiva elevazione della nostra vita di sentimento.

Nel campo della scienza dello spirito con il nostro sentire

dobbiamo sempre più accompagnare il nostro conoscere.

Non è bene se con il nostro sentire rimaniamo indietro.

• Mentre via via conosciamo aspetti diversi e più alti della scienza dello spirito, dobbiamo saper sviluppare sentimenti di maggior devozione per i segreti del mondo, segreti che in definitiva sempre riconducono ai segreti dell’essere umano.

• In questo calore spirituale, chiarificatore delle nostre sensazioni e dei nostri sentimenti, sta in definitiva il giusto progredire nella scienza dello spirito.

 

Devo ancora menzionare una cosa, poiché fa da completamento all’insieme delle considerazioni fatte. Iniziamo la vita qui nel mondo fisico, avendo da bambini solo una coscienza ottusa: riconosciamo inizialmente solo la madre e solo a poco a poco gli altri. Poiché viviamo nel mondo fisico, crediamo di conoscere di continuo persone nuove. Così è infatti per la nostra coscienza fisica.

Dopo varcata la porta della morte veniamo ad avere un rapporto reale e vero con tutte le anime alle quali ci siamo avvicinati nella vita. Esse si ripresentano davanti al nostro sguardo spirituale. Possiamo dire che «troviamo» le anime che in vita si sono avvicinate a noi e che hanno varcato la porta della morte prima di noi. Il termine è coniato per condizioni fisiche, ma quell’avvicinarsi e sperimentarsi reciproco di un’anima con l’altra si può designare come un «trovare». Solo che dobbiamo pensare quel trovarsi delle anime, che prima di noi avevano varcato la porta della morte, in maniera che per così dire ci si avvicina alle anime in modo opposto a come lo si fa qui sul piano fisico.

 

Qui ci si avvicina alle persone in quanto si va loro incontro, dapprima esteriormente, fisicamente. Poi si conosce a poco a poco la loro interiorità; essa quindi si dispiega solo movendo da un nostro familiarizzarci con loro. Di conseguenza, quel che si sperimenta interiormente nei riguardi di una persona si sviluppa solo dalla nostra interiorità.

Dopo che noi stessi abbiamo varcato la porta della morte e moviamo incontro alle anime che prima di noi avevano varcato la soglia, come prima cosa sappiamo: ora riconosco un’anima, la sento, so che essa è presente.

Ora bisogna però offrire tutta la propria interiorità a ciò che è presente come prima impressione, come impressione astratta.

 

Qui bisogna lasciare agire su di sè la persona;

bisogna donare la propria interiorità e costruire ora l’immagine stessa, l’immaginazione.

Occorre costruirsi a poco a poco ciò che ha carattere di immagine, quello che si può guardare.

 

Abbiamo circa un’idea di come sia un’esperienza dell’anima dopo la morte, se riflettiamo: non vediamo l’immagine ma la afferriamo soltanto e ce la formiamo cogliendola gradualmente. Ci costruiamo l’immagine. Dobbiamo così in modo attivo, in modo interiormente attivo, costruirci l’immagine dell’anima che incontriamo.

Sappiamo in certo qual modo che ora incontro un’anima. Non ha ancora una figura spirituale! Che anima è? È l’anima per la quale (questo affiora adesso nella nostra anima) ho avuto un sentimento da figlio a madre. Ora cominciamo a sentire: con quest’anima posso sperimentare me stesso. Ora ci costruiamo la figura spirituale.

Dobbiamo pertanto essere attivi in questo, dopo di che ciò diventa immagine e per il fatto che dobbiamo così costruire insieme la figura spirituale, prima ancora di averla costruita siamo già in unione con il morto. In tal modo siamo insieme a tutti coloro con i quali fummo uniti nella vita, vale a dire li viviamo in un mondo nel quale noi li dobbiamo trovare, destandoci a un vedere, in modo da guardarli. E occorre essere attivi.

 

Le anime che si trovano ancora qui sul piano fisico, che quindi rimangono in vita quando noi moriamo, ci sono già venute incontro come immagine qui sulla Terra. Noi guardiamo giù verso di loro e in un primo tempo non abbiamo bisogno di costruirci un’immagine; esse guardano a noi quale immagine. In tale immagine queste anime possono intessere quel che è poi per il morto un alimento spirituale, emanante calore, intesserlo per mezzo dei pensieri che gli vengono rivolti attraverso l’incessante amore per lui, il di lui ricordo, oppure come ora ci è dato di conoscere quali cultori della scienza dello spirito, leggendo loro.

Solo questo ci dilata la visione nel mondo reale, proprio nel mondo reale. Se lo si lascia vivere così davanti all’anima, si ha un’idea di quanto poco in realtà si conosca del mondo spirituale.

A dire il vero non fu sempre così. Solo gli uomini del presente, del tutto materialisti, discorrono su come oggi si sia «arrivati a tanto». Sappiamo infatti che in tempi antichi gli uomini possedevano una chiaroveggenza e che solo per il desiderio di conquistare determinate qualità, che sono in rapporto con un vivere del tutto inserito nel mondo materiale, hanno perso quell’originaria chiaroveggenza atavica.

 

Se abbiamo a che fare con una persona, materialista nel vero senso del termine, un vero e proprio dotto materialista, naturalmente dirà: è una fantasticheria parlare di una chiaroveggenza originaria grazie alla quale gli uomini dell’antichità avevano particolare conoscenza. Se gli uomini andassero per il mondo in modo confacente, e guardassero solo un poco con i loro occhi fisici, scoprirebbero che questo viene confutato. Che l’umanità possedesse più conoscenze che non ora, non è cosa di molto tempo fa.

Sappiamo, e ne abbiamo spesso parlato (lo voglio menzionare ancora qui per concludere) che all’esistenza spirituale nella quale viviamo prendono parte Lucifero e Arimane.

Sappiamo pure che nella Bibbia Lucifero viene simbolizzato dal serpente, dal serpente sull’albero. Il serpente fisico però, così come lo si sperimenta oggi e così come lo dipingerà un pittore di oggi ogni volta che dipinge il paradiso, il serpente fisico non è un vero Lucifero, ma la sua immagine esteriore, l’immagine fisica.

 

Il vero Lucifero è un’entità che è rimasta indietro al tempo dell’evoluzione lunare. Non può essere veduto sulla Terra fra le cose fisiche. Se il pittore volesse quindi dipingere Lucifero così come esso è, in realtà lo dovrebbe dipingere in modo che possa essere colto come immagine eterica per mezzo di una specie di chiaroveggente visione interiore. E allora esso apparirebbe nel modo in cui lavora su di noi; esso non si occupa della nostra testa, del nostro organismo in quanto ha una origine puramente terrestre, ma del proseguimento del capo, giù lungo il midollo spinale. Così, secondo la sua figura eterica,

Lucifero dovrebbe essere dipinto con una testa umana e con un prolungamento in forma di serpente, che in noi uomini si esprime fisicamente attraverso il midollo spinale. Un pittore dunque, che possieda conoscenze scientifico-spirituali, dovrebbe dipingere Adamo ed Èva, l’albero e in cima all’albero il serpente, ma il serpente solo come espressione per noi e con in alto una testa umana. Se il pittore dovesse dipingere qualcosa di simile, oggi si dovrebbe convenire che egli è in grado di dipingerlo movendo dalla scienza dello spirito.

 

Anche a Lipsia ci sarà probabilmente qualcosa del genere, ma la gente non tiene gli occhi bene aperti; al contrario se ne va per il mondo con gli occhi bendati. Ad Amburgo però, nella pinacoteca, si trova veramente un dipinto del maestro Bertram, della metà del medioevo, raffigurante la scena del paradiso. Vi si trova il serpente sull’albero, proprio come l’ho ora descritto. Là si può vedere il quadro. Anche da altri pittori è stato dipinto in questo modo. Che cosa ne consegue? Che le persone, ancora alla metà del medioevo, sapevano questa realtà e la conoscevano tanto bene da dipingerla. Ciò significa che non è davvero passato molto tempo da che gli uomini sono stati del tutto sospinti entro il piano fisico.

Quel che oggi ci viene raccontato dal mondo materialistico come decorso della storia spirituale dell’umanità, in sostanza non è altro che un inganno, poiché ci si immagina che l’uomo sia stato sempre come è diventato soltanto nei secoli più recenti, mentre non è per nulla lontano il tempo in cui con la sua antica chiaroveggenza guardava nel mondo spirituale. Solo che dovette uscirne, poiché non era libero, dovette uscirne per poter ricevere la piena libertà e la coscienza dell’io; ora deve riuscire a rientrare nel mondo spirituale. Per questa ragione la scienza dello spirito prepara qualcosa di importante, di essenziale: reinserirsi nel mondo spirituale.

 

Sempre di nuovo possiamo porci davanti all’anima quanto sia importante il percepire, il sentire che le poche persone che oggi vivono in mezzo al mondo materialistico e che attraverso il proprio karma sono portate a cogliere i compiti più importanti dell’umanità per il futuro, che queste poche persone, attraverso la propria vita animica, hanno da compiere qualcosa di importante, di importantissimo.

Senza essere superbi, occorre appunto pensare in tutta modestia e umiltà, quanto grande sia la differenza fra un’anima che si addentra nel mondo spirituale, e tutte le altre persone superficiali che oggi non ne hanno idea alcuna, e in particolare non vogliono avere idea alcuna dello spirito. Non dobbiamo permettere che ciò diventi per noi soltanto una dolorosa sensazione piena d’angoscia, ma deve diventare per noi una sensazione che ci stimola a lavorare sempre di più, a lavorare fedelmente nella corrente della scienza dello spirito alla quale siamo stati guidati dal nostro karma, dal nostro destino.

 

Nel corso del nostro ultimo incontro qui accennai anche che quando l’uomo varca la porta della morte prima di aver esaurito l’intero corso della sua esistenza, la forza del corpo eterico che gli è stata data non è ancora del tutto consumata. Quando l’uomo varca la porta della morte in età giovanile, il suo corpo eterico avrebbe potuto lavorare intorno al corpo fisico ancora per decenni. Tale forza non va perduta, continua a sussistere.

Ho già ricordato anche come nel tempo presente, poiché ogni giorno e ogni ora la morte coglie un così gran numero di persone, molti, molti corpi eterici che avrebbero potuto lavorare ancora a lungo sul piano fisico intorno a corpi fisici vengono rimessi al mondo spirituale-eterico e rimangono fluttuanti. Le forze quindi che avrebbero potuto prendersi cura dei corpi fisici ancora per decenni si trasformano in forze spirituali che cooperano allo sviluppo spirituale dell’umanità.

 

Per questa ragione verrà un tempo in cui le forze che si trovano in quei corpi eterici potranno essere utilizzate per il progresso spirituale dell’umanità; però soltanto quando, una volta passati sulla Terra i terribili eventi del presente ci sarà nuovamente pace, da anime che allora si muoveranno ancora in corpi fisici qui sulla Terra potrà essere compreso che tutti coloro che sono entrati nel mondo spirituale anzitempo hanno lassù il loro corpo eterico e possono far fluire le loro forze. Ciò dovrà essere compreso dalle anime qui sulla Terra. Tali anime potranno cooperare al progresso spirituale che è possibile in futuro proprio grazie al sacrificio di tante vite.

Pensiamo che cosa significherebbe se ora la scienza dello spirito dovesse scomparire, e nessuno avesse comprensione per tutto ciò che grazie al sacrificio di tante vite viene preparato nel mondo spirituale! L’intera totalità di queste forze diventerebbe patrimonio di entità spirituali che le utilizzerebbero per qualcosa di diverso da ciò a cui devono essere destinate secondo il piano degli dei che procedono nella giusta evoluzione.

Anche considerando gli avvenimenti del tempo, questo però ci invita ad essere pienamente inseriti con la nostra coscienza in tutto ciò che è mondo spirituale. Infatti anche gli avvenimenti del nostro tempo hanno un lato spirituale. Il sangue, la morte e il sacrificio che si presentano esteriormente sono l’espressione di un avvenimento spirituale interiore, che deve però essere compreso nel giusto senso.

 

A questo vorrei sempre di nuovo esortare con le parole conclusive della nostra odierna considerazione:

Dal coraggio dei combattenti,

dal sangue delle battaglie,

dal dolore degli abbandonati,

dal sacrificio dei popoli

si svilupperà messe spirituale,

se anime consapevoli

indirizzeranno i loro cuori

al regno degli spiriti.