L’evoluzione

O.O. 104 – L’Apocalisse – 17.06.1908


 

La parola evoluzione è diventata oggi, in molti campi dello scibile, una parola magica,

che però dalla scienza esteriore vien applicata soltanto a fatti sensibili esterni.

• Per colui che considera il mondo spiritualmente tutto è in evoluzione, e in primo luogo la coscienza umana.

 

Lo stato di coscienza in cui viviamo oggi, per il quale, destandoci il mattino, vediamo e comprendiamo il mondo dei sensi per mezzo dei nostri organi sensori, si è sviluppato da uno stato precedente. Dalla scienza dello spirito il nostro stato di coscienza viene chiamato « chiara coscienza di veglia ». Ma questa chiara coscienza di veglia si è sviluppata da un’altra antichissima coscienza che chiamiamo « coscienza immaginativa crepuscolare » dell’umanità.

 

Risaliamo così a stadi umani molto primitivi, dei quali un’antropologia esteriore non dice nulla, perché si serve unicamente degli strumenti sensori e dei metodi dell’intelletto. Essa crede che l’uomo, nel remoto passato, abbia in fondo attraversato gli stadi che passano oggi gli animali.

Altre volte abbiamo spiegato come dal punto di vista della scienza dello spirito sia da intendersi il rapporto dell’uomo con gli animali.

 

L’uomo non fu mai un essere quale è oggi l’animale. Non trae origine da esseri simili agli animali d’oggi. Le forme dalle quali l’uomo si è evoluto, apparirebbero, se volessimo descriverle, molto dissimili dagli animali attuali. Questi sono esseri rimasti indietro, per così dire, a stadi evolutivi precedenti, esseri che hanno conservato questi stadi d’evoluzione primitivi, e li hanno portati a uno stato d’indurimento.

L’uomo si è elevato al di sopra dei suoi primitivi stadi d’evoluzione, gli animali sono invece decaduti.

 

Cosicché noi vediamo negli animali una specie di fratelli nostri rimasti indietro, i quali però non hanno più la forma dei loro stadi primitivi. Questi stadi si sono svolti in epoche in cui la terra aveva altre condizioni di vita, in cui gli elementi ancora non erano ripartiti al modo attuale, in cui l’uomo non aveva un corpo come lo ha adesso, pur essendo uomo.

 

L’uomo, nel corso dell’evoluzione, ha potuto aspettare — figuratamente parlando — a discendere nella carne; ha potuto aspettare fino all’epoca in cui questa materialità corporea è diventata tale da permettergli di sviluppare la forza del suo spirito attuale.

Gli animali invece non hanno potuto aspettare; essi si sono induriti a uno stadio precedente, si sono rivestiti di carne più presto del necessario. Perciò dovettero rimanere indietro.

 

Così potremo rappresentarci che l’uomo ha vissuto in condizioni e forme di coscienza diverse da quelle di oggi. Se investighiamo tali forme di coscienza, risalendo i millenni, le troveremo sempre diverse. Ciò che chiamiamo oggi pensiero logico, intelletto e giudizio, si è sviluppato nell’umanità solo più tardi.

 

Anticamente erano molto più forti altre facoltà umane che oggi stanno già decrescendo; per esempio la memoria. Questa era un tempo molto più sviluppata di oggi. Col progredire della civiltà dell’intelletto, la memoria è andata sensibilmente diminuendo.

 

Chi considera il mondo in certo qual modo con occhio aperto ed esperto, con occhio veggente, può ancor oggi riconoscere che quanto la scienza dello spirito espone non è privo di fondamento. Si potrebbe obiettare: se tutto ciò fosse vero, allora oggi gli uomini che per un caso qualsiasi avessero uno sviluppo ritardato, dovrebbero mostrarsi molto meno arretrati nella memoria che non nel resto.

 

Essi dovrebbero anche mostrare che quando, con uomini rimasti forzatamente indietro, ci si adoperi per infondere loro l’intellettualità, la loro memoria dovrebbe soffrirne. Ora, appunto qui a Norimberga, si è potuto osservare un caso caratteristico di questo genere.

 

Il non abbastanza stimato professor Daumer ha molto studiato il caso per molti enigmatico di un individuo, che una volta fu portato in questa città in modo misterioso, e che in modo altrettanto misterioso trovò la morte in Ansbach; lo stesso di cui uno scrittore, per accennare al mistero della sua vita, disse che, quando fu portato via, era un giorno in cui da un lato del cielo tramontava il sole e dal lato opposto sorgeva la luna.

 

Alludo a Kaspar Hauser. Prescindendo da tutto quanto è stato detto e dibattuto intorno a questo caso, e tenendo conto soltanto di ciò che fu veramente provato, sappiamo che questo trovatello, raccolto per la strada senza che nessuno ne conoscesse la provenienza (tanto che venne chiamato il figlio d’Europa), a circa vent’anni non sapeva né leggere né far di conto. Non possedeva nulla di ciò che si acquista per mezzo dell’intelletto, ma si notò che aveva una meravigliosa memoria.

 

Quando si cominciò ad istruirlo, quando la logica penetrò nell’anima sua, la memoria scomparve. Questo trapasso nella coscienza si accompagnò anche ad un altro fenomeno. Gli era propria in origine un’incredibile veracità innata, e appunto nel campo di questa sua sincerità egli subì un disorientamento sempre crescente. Quanto più assaggiava l’intellettualità, tanto più la sua veracità scompariva.

 

Molto ci sarebbe da studiare approfondendo quell’anima forzatamente arretrata. E non è affatto infondata, dal punto di vista della scienza occulta, la tradizione popolare, alla quale oggi gli scienziati non credono, che narra come Kaspar Hauser, quando ancora non aveva la minima idea che fuori di lui esistessero altri esseri di figura diversa, esercitava un’azione meravigliosa sugli animali inferociti. Accanto a lui questi animali selvaggi si accovacciavano e si ammansivano completamente; emanava da lui un quid che rendeva del tutto mansueto un animale che assaliva invece irosamente tutti gli altri.

 

Come dicevo, si potrebbe’ studiare a fondo l’anima di questa strana personalità, per molti così enigmatica, e risulterebbe evidente che quanto la vita ordinaria non riesce a spiegare, può esser compreso dalla scienza dello spirito, ed esser ricollegato a fatti spirituali. Naturalmente a tali fatti spirituali non si può giungere per mezzo di speculazione, ma solo mediante l’osservazione spirituale; essi possono però venir compresi da un pensare logico e universalmente comprensivo.

 

Tutto ciò è stato detto per aprire la via all’idea che l’attuale stato di coscienza si è sviluppato da un altro antichissimo stato di coscienza nel quale l’uomo non era in contatto immediato con gli oggetti dei sensi, come oggi, ma era invece in rapporto coi fatti e con gli esseri spirituali.

 

Allora l’uomo non vedeva la figura fisica di un altro, la quale, del resto, non esisteva ancora nella forma attuale; quando un altro essere gli si avvicinava, nell’anima sua sorgeva una specie di visione. Secondo la forma e il colore di questa visione gli si rivelava se quell’essere era animato da simpatia o da antipatia per lui. Una tale coscienza percepiva i fatti spirituali, e per loro tramite il mondo spirituale. Come oggi l’uomo si trova insieme con altri esseri corporei, così in quel tempo, quando rivolgeva lo sguardo su se stesso e si riconosceva come anima e spirito, egli viveva in mezzo ad altre entità spirituali che realmente esistevano per lui.

 

Egli era uno spirito fra altri spiriti. Benché possedesse soltanto una specie di coscienza di sogno, pure le immagini che sorgevano in lui erano in un rapporto vivace con il suo ambiente. Questa era l’epoca antica, in cui l’uomo viveva ancora in un mondo spirituale dal quale più tardi discese, per crearsi una corporeità sensibile, adatta alla coscienza che attualmente gli è necessaria. Gli animali esistevano già come esseri fisici al tempo in cui l’uomo percepiva ancora nelle regioni soprasensibili.

 

L’uomo viveva allora tra esseri spirituali, e come oggi non ci occorrono testimonianze di nessun genere per persuaderci dell’esistenza delle pietre, delle piante, degli animali, così l’uomo di quell’epoca primordiale non abbisognava di prove per esser persuaso dell’esistenza di esseri spirituali. Egli viveva in mezzo alle entità spirituali, agli dèi, e perciò non abbisognava di religione. Era l’epoca prereligiosa.

 

Più tardi l’uomo discese, e la sua forma di coscienza primitiva si trasformò nell’attuale. Ora egli non vede più forme e colori ondeggianti nello spazio, ma vede i colori aderenti alla superficie degli oggetti sensibili. Nella misura in cui l’uomo imparava a dirigere i suoi sensi esteriori al mondo sensibile esteriore, questo si stendeva come un velo, come la grande maja, la grande illusione, davanti al mondo spirituale. E l’uomo dovette ricevere notizia del mondo spirituale attraverso questo velo: la religione divenne necessaria.

 

Tra l’epoca prereligiosa e l’epoca della vera e propria coscienza religiosa vi è però uno stato intermedio. Da esso hanno origine tutte le mitologie, le saghe e le storie dei mondi spirituali dei diversi popoli. È un’idea astratta che nulla intuisce dei veri processi spirituali, quella che qualifica come pure invenzioni della fantasia popolare tutte le figure della mitologia greca, o di quella germano-nordica, tutte le storie degli dèi e delle loro gesta. No, non sono fantasie poetiche dei popoli, il popolo non poeta in tal modo; se vede delle nuvolette ondeggiare nel cielo non dice che sono pecorelle.

 

Che il popolo poeti così è una vera fantasia poetica dei nostri eruditi moderni, pieni d’inventiva in tali cose. La verità è tutt’altra. Tutto ciò che è contenuto nelle antiche saghe e storie degli dèi è l’ultimo residuo, l’ultimo ricordo della coscienza prereligiosa. Agli uomini è rimasta notizia di ciò che essi avevano veduto; essi hanno descritto Wotan, Thor, Zeus, perché serbavano ancora il ricordo che tutto ciò era stato altra volta veduto e vissuto. Briciole, frammenti di un’esperienza antica, ecco l’essenza delle mitologie.

 

Anche in un altro senso vi fu uno stato intermedio. Nei tempi in cui gli uomini intelligenti erano — diremo così — già molto intelligenti, ve ne furono sempre alcuni che, almeno in condizioni eccezionali (chiamiamole rapimento o esaltazione, come si vuole), potevano ancora vedere nei mondi spirituali e percepire ciò che prima era visibile alla maggioranza degli uomini.

 

Essi raccontavano ciò che vedevano dei mondi spirituali, e questi racconti, collegandosi coi ricordi, creavano nei popoli delle credenze vive. Questo fu uno stadio di transizione verso il vero e proprio stato religioso.

E come fu predisposto nell’umanità il vero stato religioso?

 

Ciò fu possibile perché l’uomo trovò le vie e i mezzi per sviluppare la sua interiorità in modo da poter ritornare alla visione, alla contemplazione dei mondi dai quali era uscito e che anticamente aveva percepiti con oscura coscienza. Veniamo così a toccare un soggetto che per molti moderni ha ben poca verosimiglianza; vogliamo parlare cioè degli iniziati.

 

Che cosa sono gli iniziati dell’umanità?

Gli iniziati erano quegli individui che mediante metodi speciali sviluppavano la loro interiorità animica e spirituale, in modo da poter nuovamente penetrare nei mondi spirituali. L’iniziazione è un fatto possibile. In ogni anima giacciono, latenti, forze e facoltà soprasensibili. Viene, o almeno può venire per ogni uomo, il momento grande, solenne, in cui queste forze si svegliano.

 

Possiamo evocare davanti all’anima nostra quel momento se ci rappresentiamo come fu, in altro campo, l’evoluzione umana. Con parole di Goethe, possiamo dire: guardiamo indietro a un lontano passato, quando il corpo fisico umano non possedeva ancora occhi fisici né orecchi fisici come ora; quando, al posto nel quale sono attualmente questi organi, vi erano organi latenti che non potevano né vedere, né udire.

 

Venne un tempo per l’uomo fisico, in cui siffatti organi ciechi, sviluppandosi, divennero punti luminosi, e si svilupparono sempre più, finché un giorno spuntò per essi la luce. Così pure venne un momento in cui l’orecchio umano fu così evoluto che il mondo, dapprima muto per esso, gli si rivelò in suoni e armonie.

 

Come il sole lavorò con le sue forze a trarre dall’organismo umano gli occhi,

così l’uomo d’oggi può vivere secondo il suo spirito in modo che

i suoi organi animico-spirituali, ancora latenti, si sviluppino in modo analogo.

 

Può venire il momento — e per molti è già venuto — in cui l’anima e lo spirito si trasformino come una volta si è trasformato l’organo fisico esteriore. Nascono nuovi occhi e nuovi orecchi attraverso i quali, dal circostante mondo spirituale dapprima oscuro e muto, penetra la luce e penetrano i suoni. L’evoluzione è possibile anche per addentrarsi nei mondi superiori; è questa l’iniziazione.

 

E nelle scuole dei misteri vengono insegnati agli uomini i metodi dell’iniziazione precisamente come nel mondo esterno vengono insegnati i metodi del laboratorio di chimica o dell’indagine biologica. La differenza tra i metodi della scienza esteriore e l’iniziazione sta nel fatto che la scienza esteriore ha bisogno di costruirsi strumenti e apparecchi ausiliari, mentre per colui che aspira a diventar un iniziato vi è un unico strumento che egli deve formare, e cioè se stesso, in tutte le sue forze.

 

Come nel ferro può sonnecchiare la forza magnetica, così nell’anima umana sonnecchia la forza di penetrare nel mondo della luce e del suono spirituale. Venne dunque un tempo nel quale solo il fisicamente sensibile poteva esser percepito normalmente, e nel quale le guide dell’umanità erano quegli iniziati che avevano facoltà di contemplare i mondi spirituali, di parlare e dare spiegazioni dei fatti spirituali in mezzo ai quali prima l’uomo era vissuto.

 

Dove conduce il primo gradino dell’evoluzione spirituale?

Come si presenta all’anima umana?

 

Non si deve credere che questa evoluzione consista soltanto in una speculazione filosofica, in un arzigogolare del pensiero, in sottigliezze ideologiche. I concetti che l’uomo si forma del mondo esterno dei sensi, per colui che si orienta nel mondo spirituale, si trasformano. Egli diventa tale da non conoscere più mediante concetti nettamente delineati, bensì mediante figure, mediante immaginazioni, poiché l’uomo può penetrare, può immedesimarsi nel processo creativo spirituale universale. Così determinati e nettamente delineati come gli oggetti fisici sensibili, sono appunto soltanto gli oggetti sensibili.

 

Nel processo creativo universale non vi è l’animale con dei contorni netti, ma vi è qualcosa come un’immagine posta a fondamento, dalla quale possono sorgere le diverse figure esteriori di animali, una viva realtà in se stessa organizzata. Bisogna collocarsi assolutamente dal punto di vista di Goethe: «Tutto l’effimero non è che un simbolo ».

 

Per via d’immagini l’iniziato impara dapprima a conoscere e a comprendere, impara a salire nel mondo spirituale. La sua coscienza deve perciò divenire più mobile di quella che ci serve a comprendere il mondo dei sensi. Perciò questo grado di evoluzione si chiama coscienza immaginativa; esso riconduce l’uomo nel mondo spirituale, ma non più in modo crepuscolare. Questa coscienza iniziatica, cui si può arrivare, è chiara e netta come la coscienza che l’uomo ha durante la veglia. E l’uomo si arricchisce per il fatto che alla coscienza di veglia che già possiede viene ad aggiungersi in lui la coscienza del mondo spirituale.

 

Così, al primo grado d’iniziazione, egli vive nella coscienza immaginativa. E ciò che gli uomini in tal modo iniziati sperimentavano nei mondi spirituali è comunicato nelle scritture, nei documenti dell’umanità, precisamente come della scienza geometrica è stata data comunicazione all’umanità nei libri di Euclide. Noi sappiamo che cosa sta scritto in questi documenti, e lo riconosciamo allorché risaliamo alle fonti, e cioè alla visione degli iniziati.

 

Così era nell’umanità fino alla comparsa della suprema fra le entità che abbiano mai mosso il piede sulla superficie della terra, il Cristo Gesù. Col suo apparire un elemento nuovo subentra nell’evoluzione. Se vogliamo renderci chiaro che cosa sia veramente ciò che di essenzialmente nuovo venne largito all’umanità dal Cristo Gesù, dobbiamo osservare che in tutti i luoghi d’iniziazione precristiani, perché l’uomo fosse iniziato, gli era necessario uscire completamente dalla restante evoluzione umana, e lavorare intorno all’anima propria in luoghi circondati dal più profondo segreto. E dobbiamo notare che quando l’uomo s’innalzava di nuovo nel mondo spirituale, permaneva ancor sempre nella sua coscienza il senso di un passaggio a quell’antica coscienza immaginativa soltanto sognante.

 

L’uomo doveva fuggire da questo mondo dei sensi al fine di poter entrare nel mondo spirituale. Il fatto che ciò non sia più necessario, oggi, è la conseguenza dell’avvento del Cristo Gesù sulla terra. Per questo fatto — per l’avvento del principio cristico nell’umanità — l’essere centrale di tutto il mondo spirituale ha vissuto una volta su questa terra, storicamente, in un corpo umano; quello stesso essere a cui avevano anelato tutti coloro che avevano vissuto una vita religiosa e contemplativa nei luoghi dell’iniziazione, che avevano abbandonato il mondo dei sensi per entrare nel mondo spirituale.

 

Quell’essere del quale fu detto che l’uomo deve considerarlo come quanto vi è di più alto per lui, quell’essere è penetrato nella storia dell’umanità col Cristo Gesù. E chi è esperto di vera scienza dello spirito sa che qualsiasi rivelazione religiosa prima dell’apparire del Cristo Gesù è un preannunzio del Cristo Gesù stesso.

 

Quando gli antichi iniziati volevano parlare del sommo essere che nel mondo dello spirito era loro accessibile, che appariva loro come l’origine primordiale di tutte le cose, allora, con diversi nomi, parlavano del Cristo Gesù. Ricordiamoci, ad esempio, dell’Antico Testamento, il quale pure è un preannunzio. Ricordiamoci dell’incarico che Mosè ricevette quando egli dovette guidare il suo popolo: « Dì al tuo popolo che il Signore Iddio ti disse quello che tu devi fare ». E Mosè rispose: « Come mi crederà la gente? come li potrò convincere? che cosa devo dire quando mi chiederanno: Chi ti ha mandato? ». E gli vien dato l’incarico: « Dì che l’« io-sono » ti ha mandato ».

 

Si cerchi pure nel testo e si confronti: si vedrà di che cosa si tratta. Che cosa significa l’« io sono »?

« Io sono » è il nome dell’entità divina, del principio cristico nell’uomo,

di quell’entità che l’uomo sente in sé come una goccia, come una scintilla, allorché può dire a se stesso: « io sono ».

 

La pietra non può dire « io sono », né la pianta, né l’animale. L’uomo è la corona della creazione perché appunto può dire « io sono » a se stesso, perché può pronunciare un nome che per nessun altro può aver valore se non per colui che lo pronuncia. L’uomo può dire io soltanto a se stesso; nessuno può dire io ad un altro.

 

In questa parola l’anima parla con se stessa, e là dentro può aver accesso soltanto un essere che non giunge all’anima per nessun senso esteriore, per nessuna via esteriore. Là parla Iddio. Per questo venne dato il nome « io sono » alla divinità che riempie tutto il mondo. « Dì che l’« io sono » ti ha mandato ». Così dovette dire Mosè al suo popolo.

Solo a poco a poco gli uomini imparano a comprendere il senso profondo dell’« io sono ».

 

Gli uomini non cominciarono subito a sentirsi individui singoli. Ciò si ritrova anche nell’Antico Testamento. Gli uomini di allora non si sentivano ancora esseri singoli. Lo stesso si può dire dei membri delle tribù germaniche, ancora ai tempi della Chiesa cristiana. Pensiamo ai Cheruschi, ai Teutoni e alle varie tribù germaniche nel territorio dei quali si trova l’odierna Germania. Il singolo Cherusco sentiva piuttosto l’io della stirpe a cui apparteneva. L’individuo non avrebbe potuto dire « io sono » a se stesso, nettamente come oggi; egli si sentiva parte intrinseca dell’organismo che comprendeva tutti i suoi consanguinei.

 

Questa consanguineità abbraccia un campo vastissimo presso i seguaci dell’Antico Testamento. Il singolo individuo si trova al sicuro in grembo al popolo; il popolo è per lui dominato da un solo io. Egli sa che cosa significa: «Io e il padre Abramo siamo una cosa sola », perché può seguire le generazioni su su fino ad Abramo; quando vuole trascendere il suo io individuale, egli si sente in salvo in seno al padre Abramo, dal quale scorre giù per le generazioni il sangue ch’è veicolo esteriore del comune io del popolo.

 

Ora, se con quella sentenza che ha un altissimo significato per ogni seguace dell’Antico Testamento, confrontiamo ciò che dice in proposito Gesù Cristo, ne risulterà un lampo di luce che ci illuminerà tutto il progresso portato dall’evoluzione cristiana. « Prima che Abramo fosse era l’« io-sono », dice il Cristo. Che cosa significa: « Prima che Abramo fosse era l’« io-sono »? (questa è veramente la traduzione e l’interpretazione corretta di quel passo biblico).

 

Significa: percorrete a ritroso le generazioni, troverete in voi, nella vostra singola individualità qualche cosa di ancora più antico di ciò che scorre giù per le generazioni consanguinee. Prima degli avi, era l’« io sono »; quella entità che penetra in ogni essere umano, di cui ogni anima umana può avere in sé l’immediata coscienza. Non io e il padre Abramo, non io e il padre temporale, bensì io e il Padre spirituale che a nulla di caduco è legato; « io e il Padre siamo uno ».

Nel singolo uomo si trova il Padre, vive il principio divino che fu, che è, che sarà.

 

Trascorsi due millenni, gli uomini hanno appena cominciato a sentire la forza di questo impulso universale; ma in avvenire riconosceranno pienamente che cosa abbia significato per l’uomo questo salto nel corso della missione della terra e della sua evoluzione. Ciò che si poteva vedere soltanto sollevandosi al di sopra dell’esistenza individuale, al di sopra del singolo uomo, abbracciando lo spirito di tutta una stirpe, era quanto volevano raggiungere gli antichi iniziati.

 

Quando nel mondo comune un uomo sentiva questo, diceva: l’io che ha il suo inizio con la nascita e finisce con la morte è transitorio. Ma se veniva iniziato nei misteri, allora egli poteva percepire ciò che scorre attraverso il sangue delle generazioni, ciò ch’è una vera entità e che gli altri soltanto presentivano; vedeva lo spirito della stirpe. Egli poteva contemplare ciò ch’è visibile soltanto nel regno spirituale, ma non nella realtà esteriore: un dio che scorre attraverso il sangue delle generazioni. Ma soltanto nei misteri ci si poteva trovare spiritualmente a tu per tu con questa divinità.

 

Gli intimi discepoli che circondavano con piena comprensione il Cristo Gesù, ebbero coscienza che davanti a loro, chiusa in una personalità umana corporea, visibile ai sensi esterni, stava un’entità di natura divino-spirituale. Essi sentirono che il Cristo Gesù era il primo che in un singolo individuo umano racchiudesse uno spirito quale di solito lo sentivano in loro soltanto masse d’individui uniti, e che ordinariamente era visibile soltanto agli iniziati nel mondo spirituale. Egli era la primizia tra gli uomini.

 

Quanto più l’uomo s’individualizza, tanto più diventa portatore di amore.

Dove il sangue vincola insieme gli uomini,

essi amano soltanto perché vengono portati attraverso il sangue verso ciò che devono amare.

Quando viene assegnata all’uomo l’individualità, quando egli coltiva in sé la scintilla divina,

allora gli impulsi dell’amore, le onde dell’amore

devono liberamente, spontaneamente andare da un cuore all’altro, da un uomo all’altro.

 

Così l’uomo ha arricchito con questo nuovo impulso l’antico vincolo d’amore congiunto al sangue.

L’amore si trasforma a poco a poco nell’amore spirituale che scorre da un’anima all’altra,

e che alla fine abbraccerà l’umanità intera con un vincolo comune di amore fraterno universale.

 

E il Cristo Gesù è la forza — la forza vivente che si è manifestata nella storia, agli occhi fisici —

per la quale l’umanità è stata per la prima volta avviata alla fratellanza.

Gli uomini impareranno a considerare questo vincolo di amore fraterno come il cristianesimo perfetto, spiritualizzato.

 

Oggi si ripete facilmente che la teosofia deve ricercare il nucleo di verità unico di tutte le religioni, poiché tutte le religioni contengono le identiche cose. Gli uomini che dicono questo, e semplicemente paragonano tra loro le varie religioni per cercarvi ciò che in esse vi è di astrattamente identico, nulla comprendono del principio evolutivo. Non per nulla il mondo si evolve.

 

È verissimo: in ogni religione è contenuta la verità;

ma evolvendosi essa di forma in forma, si arriva a forme di sviluppo superiori.

 

Per la verità, si possono certamente — pur di investigare abbastanza a fondo — trovare anche in altre religioni le dottrine contenute nel cristianesimo. Il cristianesimo non ha portato nuove dottrine. Ma l’essenziale del cristianesimo non sta nelle dottrine. Prendiamo i fondatori di religioni precristiane: in essi l’importante è ciò che hanno insegnato. Fossero pure rimasti sconosciuti, le loro dottrine sarebbero sopravvissute. Ciò basterebbe all’umanità.

 

Nel Cristo Gesù l’importante non è questo: l’importante in lui è che egli sia esistito, ch’egli abbia vissuto in un corpo fisico su questa terra. L’essenziale non è la fede nella sua dottrina, bensì la fede nella sua personalità, l’aver constatato il fatto ch’egli è stato il primogenito tra i mortali di fronte al quale ci si può domandare: «Sentiresti tu pure come io sento, se tu ti trovassi nella mia posizione? penseresti tu pure come io penso? vorresti tu pure come io voglio?». Questo è l’importante, che come personalità egli è l’esempio supremo, che non basta ascoltarne le dottrine, ma occorre guardare a lui stesso e a come egli ha agito. Perciò gli intimi discepoli del Cristo Gesù parlano in modo del tutto diverso dai discepoli di altri fondatori di religione.

 

Questi dicono: il Signore ha insegnato questo o quello. Invece i discepoli del Cristo dicono : « Noi non vi predichiamo dottrine o miti escogitati; noi vi diciamo ciò che i nostri occhi hanno visto, che i nostri orecchi hanno udito. Noi abbiamo ascoltato la sua voce, le nostre mani hanno toccato la fonte della vita affinché noi avessimo comunione con voi ». E Gesù Cristo stesso disse: « Voi mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, sino alla fine del mondo ». Con queste parole: « Dovete essermi testimoni sino alla fine del mondo » è detta una cosa molto importante.

Ciò significa: sempre, in ogni tempo, vi saranno uomini che, come quelli di Giudea e di Galilea, potranno dire, per loro scienza immediata, chi fu il Cristo, nel senso del Vangelo.

 

Che cosa significa: nel senso del Vangelo? Nient’altro che questo: che dal primo inizio il Cristo fu il principio vivente in tutta la creazione. Egli stesso lo disse: « Se non credete in me, credete almeno in Mosè, poiché se credete in Mosè allora crederete anche in me, perché Mosè ha parlato di me ». Abbiamo già veduto oggi che Mosè parlò appunto di lui quando disse: l’« io-sono » mi ha mandato, l’« io-sono » che però fino allora era stato soltanto spiritualmente percepibile.

 

Che il Cristo sia apparso nel mondo visibilmente, come uomo in mezzo agli altri uomini, ecco ciò che differenzia il Vangelo del Cristo dalle rivelazioni divine delle altre religioni. Perché in queste tutta la saggezza spirituale era diretta a cose collocate fuori del mondo; ora invece col Cristo Gesù venne nel mondo qualcosa che doveva esser compreso come fenomeno sensibile.

 

Che cosa sentirono i primi discepoli come l’ideale della loro saggezza? Non più soltanto il comprendere come vivano gli esseri spirituali nella sfera spirituale, bensì come il sommo principio sia potuto esistere sulla terra nella personalità storica del Cristo Gesù.

 

È molto più facile negare la divinità di quella personalità che sentire così. In ciò consiste la differenza fra un certo insegnamento dei primi tempi del cristianesimo e quel che si chiama cristianesimo intimo, fra la gnosi e il cristianesimo esoterico. La gnosi riconosce bensì il Cristo nella sua divinità, ma non potè mai spiccare il volo fino alla concezione che il « Verbo si è fatto carne e ha dimorato tra noi », come afferma l’autore del Vangelo di Giovanni. Egli dice: voi non dovete soltanto considerare il Cristo Gesù come un essere comprensibile puramente nell’invisibile, bensì come la Parola ch’è diventata carne e ha dimorato tra noi.

 

Dovete sapere che con questa personalità umana è apparsa una forza che agirà fin nel più lontano avvenire, intessendo intorno alla terra l’amore vero, l’amore spirituale come una forza che vive ed agisce in tutto ciò che tende all’avvenire. E se l’uomo si dà a questa forza, allora egli cresce e penetra entro il mondo spirituale dal quale è disceso. Risalirà ,fino a quelle regioni celesti che già oggi l’iniziato può contemplare. L’uomo deporrà il corporeo allorché penetrerà nel mondo spirituale.

 

Come il discepolo che veniva iniziato nei tempi antichi poteva gettare uno sguardo retrospettivo al passato della vita spirituale, così coloro che vengono iniziati nel senso cristiano ricevono, per la partecipazione agli impulsi del Cristo Gesù, la facoltà di vedere che cosa diverrà il nostro mondo terreno in avvenire, se gli uomini agiranno nel senso dell’impulso del Cristo. Come si può guardare agli stati antecedenti, così, partendo dall’avvento del Cristo, si può gettare lo sguardo al più lontano avvenire. Si può dire: così la coscienza tornerà a modificarsi, così verrà a trovarsi l’uomo nei rapporti del mondo spirituale col mondo dei sensi.

 

• Mentre l’iniziazione precedente era un’iniziazione nel passato, nella saggezza primordiale,

l’iniziazione cristiana mira a rivelare l’avvenire.

• È necessario che l’uomo non venga iniziato soltanto per la sua saggezza e per il suo sentimento,

ma ch’egli venga iniziato per la sua volontà.

• Perché, con l’indicarsi gli scopi per l’avvenire, egli saprà che cosa deve fare.

 

L’uomo ordinario che vive la vita dei sensi si pone degli scopi per il pomeriggio, per la sera, per la mattina;

l’uomo spirituale può, partendo dai principi spirituali,

segnarsi mete lontane che infiammano la sua volontà e vivificano le sue forze.

Segnare in tal modo gli scopi all’umanità

significa, nel vero ed alto senso, nel senso del principio cristiano originario, afferrare il cristianesimo esotericamente.

 

Così l’intese colui che scrisse il grande principio dell’iniziazione della volontà, colui che scrisse l’Apocalisse.

Mal s’intende l’Apocalisse se non la si comprende come impulso dinamico per l’avvenire, per l’azione.

 

Tutto ciò che oggi abbiamo detto è da comprendersi per mezzo dell’antroposofia. Ho potuto darne oggi solo uno schizzo. Quando, per mezzo della scienza dello spirito, si comprende ciò che si nasconde dietro al mondo dei sensi, si può intendere pure ciò ch’è stato annunziato nei Vangeli e nell’Apocalisse. E quanto più si penetra e ci si approfondisce nei mondi soprasensibili, tanto maggiori profondità si troveranno nei documenti cristiani. Tanto maggior splendore di luce, tanto più profondo contenuto e sostanza troviamo nelle sacre scritture cristiane, allorché ci accostiamo ad esse resi più acuti dalla visione spirituale acquistata per mezzo dell’antroposofia.

 

È vero: l’animo più semplice può presentire quali verità contenga il cristianesimo. Ma non sempre la coscienza potrà contentarsi di presentire; essa si svilupperà maggiormente, e vorrà sapere, vorrà conoscere. Ma anche quando essa si eleverà alle più alte verità, vi saranno sempre ancora nel cristianesimo profondi segreti. Esso è fatto per l’anima più semplice, ma anche per l’intellettualità sviluppata al massimo grado. L’iniziato lo rivive in immagini.

 

Perciò la coscienza ingenua può presentire quali verità vi si nascondano; ma l’uomo chiederà un giorno la conoscenza e non il credere; e anche allora troverà soddisfazione nel cristianesimo. Egli potrà scoprire nel cristianesimo tutto il suo contenuto appagatore allorché la scienza dello spirito gli darà la spiegazione dei Vangeli. Perciò la scienza dello spirito prenderà il posto anche delle somme filosofie antiche. Essa testimonierà della bella sentenza di Hegel da noi citata in principio: il pensiero più profondo è legato con la figura storica ed esteriore del Cristo.

 

La grandezza della religione cristiana consiste nel fatto che ogni grado di coscienza può comprenderla nella sua esteriorità, ma che in pari tempo essa invita all’intimo lavoro dello spirito, alla penetrazione più profonda. La religione cristiana è comprensibile a qualsiasi livello di cultura, e in pari tempo soddisfa le più profonde esigenze.