L’immagine-ricordo della nostra ultima vita terrena

O.O. 153 – Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita – 13.04.1914


 

Sarà ora mio compito parlare nuovamente dei processi che si svolgono fra morte e rinascita, servendomi però delle rappresentazioni che abbiamo potuto acquistare durante le quattro precedenti conferenze di questo ciclo. Non potendo svolgere questo tema che brevemente, è naturale che molti particolari potranno soltanto essere accennati e che molte cose, che non risultano forse chiare nel quadro della descrizione, avranno ancora bisogno di essere elaborate. Comunque ciò che oggi non si troverà ancora nella sua completezza, si chiarirà nell’ulteriore approfondimento della scienza dello spirito.

 

Quando l’uomo varca la porta della morte, depone il suo corpo fisico.

Il corpo fisico viene ceduto agli elementi della Terra.

 

Si potrebbe anche dire: il corpo fisico si sottrae alle forze e alle leggi

che, provenendo dalla natura dell’uomo, lo reggono fra la nascita e la morte;

sono leggi diverse da quelle semplicemente chimiche e fisiche

alle quali, dopo la morte, egli soggiace per il suo corpo.

 

Dal punto di vista del mondo fisico, l’uomo ha naturalmente l’idea che con la morte, dell’entità umana sia rimasto sul piano fisico ciò che appartiene a quel piano. Infatti la parte che appartiene al piano fisico viene ormai abbandonata ad esso.

Per l’uomo stesso però, e per qualsiasi concezione spirituale del mondo, va tenuto in considerazione il punto di vista assunto dal defunto, dall’uomo che ha varcato la porta della morte. Per quest’ultimo l’abbandono del corpo fisico significa un processo interiore, un processo animico.

 

• Per coloro che sono rimasti ciò che succede del corpo fisico dopo la morte è un processo esteriore;

l’interiorità dell’uomo, l’elemento animico dell’uomo che è morto,

non si esprime più attraverso quel residuo mortale;

• per l’uomo che però ha varcato la porta della morte, qualcosa è connesso con l’abbandono del corpo;

si tratta di un’esperienza animica: tu sei uscito dal tuo corpo fisico, e ora lo lasci indietro.

 

È difficilissimo descrivere giustamente nella prospettiva del piano fisico ciò che allora si svolge nell’interiorità dell’anima umana, perché è un processo interiore che ha un significato e un’importanza straordinariamente vasta; è un processo interiore di breve durata, ma di un’importanza universale per tutto il complesso della vita umana.

Volendo descrivere il contenuto della rappresentazione di ciò che allora si svolge nell’anima, (oggi naturalmente in una conferenza pubblica non se ne può parlare perché farebbe troppa impressione agli ascoltatori, ma forse col tempo se ne potrà parlare) se si volesse descrivere il processo esteriore, cioè il processo rappresentativo ora spiritualmente esteriore, con cui si inizia il cammino della vita che si svolge fra morte e rinascita, si potrebbe dire:

l’uomo che ha varcato la soglia della morte

ha innanzitutto il senso di trovarsi ora col mondo in un rapporto del tutto diverso da quello di prima;

e che tutto il rapporto che prima aveva col mondo è invertito, radicalmente invertito.

 

Per descrivere le rappresentazioni che allora vengono sperimentate, occorrerebbe dire press’a poco così:

l’uomo ha vissuto fino alla sua morte sulla Terra,

durante quel periodo è stato abituato a trovarsi sulla Terra solida, materiale,

a vedere nella Terra materiale gli esseri dei regni minerale, vegetale e animale,

i monti, i fiumi, le nubi, le stelle, il Sole e la Luna;

è stato abituato a rappresentarsi il tutto secondo la sua prospettiva

e per mezzo delle facoltà esistenti nel suo corpo fisico;

a rappresentarsi il tutto come ce lo rappresentiamo effettivamente,

sebbene si sappia dalle teorie di Copernico che tali immagini sono in fondo illusorie.

• Lassù vi è l’azzurra volta celeste, come un guscio celeste, su di esso vi sono le stelle e vi si muovono Sole e Luna.

Noi stessi siamo in quel guscio, in quella sfera vuota, nel suo interno,

al centro, sulla Terra, con tutto quanto la Terra offre alla nostra percezione.

 

Non importa ora che sia un’immagine illusoria, che noi stessi ci formiamo la rappresentazione della volta azzurra a causa della limitazione delle nostre facoltà; quel che conta è che non possiamo far altro che vedere così. Noi vediamo appunto quanto ci appare in quel modo solo a causa della limitazione delle nostre facoltà, vediamo appunto il firmamento sopra di noi sotto forma di una sfera azzurra.

 

Quando dunque l’uomo ha varcato la soglia della morte,

la prima rappresentazione che deve formarsi nella sua anima

è di essere ora al di fuori della sfera azzurra in cui prima si trovava,

di guardarla dal di fuori, di vederla come se fosse ridotta a una stella.

Inizialmente non si ha coscienza del mondo stellare in cui effettivamente ci si effonde,

si ha soltanto coscienza di ciò che si è abbandonato, di aver abbandonato

la sfera della coscienza che si aveva nel corpo fisico, di aver abbandonato

ciò che le facoltà umane elaborate nel corpo fisico ci permettevano di vedere.

 

Succede in realtà, ma spiritualmente, qualcosa di analogo a ciò che dovrebbe succedere se un pulcino, prima dentro al guscio dell’uovo, essendo cosciente della sua esperienza rompesse il guscio e poi guardasse il guscio spezzato che fino allora lo aveva contenuto ed era stato il suo mondo; lo guardasse cioè dal di fuori, invece che dal di dentro. Ben inteso questa rappresentazione è anch’essa una maya che attraversa allora l’anima umana, ma è una maya necessaria.

 

Come già ho detto,

ciò che prima ci dava il contenuto della nostra coscienza è come ridotto a una stella;

solo che da tale stella si effonde quella che potremmo chiamare «saggezza cosmica irraggiante».

• Questa saggezza cosmica irraggiante

è la medesima di cui ieri ho trattato nell’ultima conferenza, dicendo che ne abbiamo in esuberanza.

• Essa risplende e ci brilla incontro come da una stella infocata;

ora però non è azzurra come il firmamento, ma è di fuoco, riluce rossiccia.

• Da lì irraggia nello spazio la pienezza della saggezza, assolutamente mobile in se stessa,

la quale però ci mostra quella che potremmo chiamare

un’immagine-ricordo della nostra ultima vita terrena.

 

Tutti i processi che abbiamo attraversato con il nostro sperimentare animico interiore fra nascita e morte,

e a cui abbiamo preso parte coscientemente, si affacciano ora alla nostra anima;

così sappiamo di vedere tutto ciò, perché la stella che risplende dinanzi a noi

è il sostrato che, con la sua attività interiore, ci permette di vedere

tutto ciò che ora ci si squaderna dinanzi come immagine-ricordo.

 

Questo è espresso piuttosto dal punto di vista dell’immaginazione.

Considerata dal punto di vista dell’interiorità, l’esperienza si può esprimere dicendo

che chi ha attraversato la porta della morte è ormai completamente colmo dell’idea

 di aver abbandonato il proprio corpo, e che ora, nel mondo spirituale, quel corpo è pura volontà.

 

Una stella di volontà, una stella la cui sostanza è volontà, questo è il nostro corpo.

Tale volontà arde nel calore e negli spazi cosmici nei quali noi stessi ora siamo effusi;

essa ci irraggia riverberando la nostra stessa vita fra nascita e morte, in forma di un quadro grandioso.

 

Siamo ora debitori alla circostanza di aver potuto dimorare in quella stella

se abbiamo potuto estrarre e assorbire dal mondo

tutto ciò che sul piano fisico abbiamo appunto potuto estrarre e assorbire,

perché quella stella, la stella di volontà che forma ora lo sfondo, è la spiritualità del nostro corpo fisico;

quella stella di volontà è lo spirito che permea e regge il nostro corpo fisico.

La saggezza che ci splende incontro è l’attività, la mobilità del nostro corpo eterico.

 

Come ho già detto nella conferenza pubblica, passa così il tempo, che veramente non dura che pochi giorni,

in cui si ha l’impressione: la vita si svolge come un quadro-ricordo.

• I nostri pensieri, che sono diventati i nostri ricordi durante la vita sulla Terra,

si svolgono in quel quadro-ricordo e si presentano di nuovo alla nostra anima.

• Possiamo trattenere quel quadro altrettanto tempo quanto, in condizioni normali,

abbiamo la forza di mantenerci svegli nel corpo fisico.

• Non il tempo durante il quale nella vita, in condizioni anormali, siamo riusciti una volta a tenerci svegli;

vanno considerate le forze che abbiamo in noi per mantenerci svegli.

A una data persona succede che non possa vegliare una sola notte senza essere vinto dalla stanchezza, mentre un’altra invece può rimanere desta maggior tempo senza stancarsi; dalla misura di queste forze dipende per l’uomo quanto a lungo può conservare quel quadro-ricordo.

 

Ma si ha anche la chiara coscienza interiore che, essendoci nello sfondo la stella della volontà,

nel quadro-ricordo vi è quanto ci siamo conquistati nell’ultima vita terrena;

in esso vi è ciò che ci ha resi più maturi,

quel che abbiamo portato con noi nella morte come un di più,

in confronto a ciò che possedevamo quando siamo entrati nella nascita.

 

Possiamo indicare questo come un frutto dell’ultima vita;

• lo sentiamo come se non restasse così come era durante il quadro-ricordo,

ma come se si allontanasse, se andasse via, come se penetrasse nell’avvenire dei tempi e lì sparisse.

 

Oggi parlerò principalmente della vita che si svolge fra morte e rinascita per gli uomini che hanno raggiunto una durata normale della vita e che sono morti in condizioni normali. Dei casi eccezionali parleremo più particolarmente domani.

 

Si allontana dunque il frutto della nostra vita, se ne abbiamo raccolto uno,

e sappiamo nella nostra anima che quel frutto esiste in qualche luogo, ma che noi siamo rimasti indietro.

Si ha la coscienza di essere rimasti a un tempo precedente,

mentre il frutto della vita è andato avanti rapidamente e arriverà più presto a un tempo futuro;

noi dobbiamo seguire quel frutto della vita.

 

L’esperienza interiore di cui ora ho parlato, cioè che il frutto della vita dimora, è presente nell’universo,

dobbiamo rappresentarcela bene, perché essa forma la base per la nostra coscienza,

per l’inizio della nostra coscienza dopo la morte.

 

• La nostra coscienza deve essere sempre stimolata da qualcosa.

Quando la mattina ci destiamo, la nostra coscienza viene nuovamente destata,

poiché nel sonno siamo incoscienti,

mediante l’immersione nel corpo fisico e in quanto le cose esteriori ci vengono incontro,

in quanto qualcosa agisce su noi dal di fuori.

 

Nelle condizioni immediatamente dopo la morte la coscienza viene destata

dal nostro interiore sentire e sperimentare il frutto della nostra ultima vita,

ciò che ci siamo guadagnati e conquistati, che è presente ma fuori di noi.

• Per mezzo di questo sentire e sperimentare il nostro intimo essere terreno fuori di noi,

abbiamo la prima accensione della nostra coscienza dopo la morte; la nostra coscienza ne riceve vita.

 

Comincia allora il tempo in cui è necessario che noi sviluppiamo forze animiche

che, durante la vita sul piano fisico, devono veramente rimanere non sviluppate,

perché vengono tutte impiegate a organizzare il corpo fìsico e quanto ad esso appartiene,

a organizzare l’intera vita fìsica;

forze animiche che durante la vita fìsica devono trasformarsi in qualcosa di diverso.

Tali forze devono gradatamente destarsi dopo la morte.

 

Già durante i giorni in cui sperimentiamo il quadro-ricordo

possiamo registrare il destarsi delle facoltà animiche.

Quando il quadro-ricordo gradatamente si dilegua e si oscura,

il fatto avviene veramente perché durante quei giorni

noi sviluppiamo già le forze che risiedono a base della facoltà della memoria,

ma che non diventano coscienti durante la vita fìsica

perché durante la vita fìsica noi dobbiamo appunto trasformarle per poter formare dei ricordi.

 

• L’ultimo grande ricordo che abbiamo dopo la morte sotto forma di panorama

deve prima svanire, deve oscurarsi a poco a poco; allora da quell’oscurarsi si sviluppa

ciò che non ci era permesso di possedere coscientemente prima della morte.

• Se infatti lo avessimo avuto coscientemente prima della morte,

le forze della memoria non avrebbero mai potuto formarsi in noi.

• Si sono trasformate appunto in facoltà mnemonica le forze che ora

si sviluppano nell’anima durante l’oscurarsi del ricordo del panorama della vita.

• Esse si sono trasformate prima della morte in forze del ricordo, e ora vengono fuori.

Viene superata la possibilità di ricordarsi normalmente dei pensieri terreni.

 

• Questa forza della memoria, spiritualmente trasformata, si desta in noi

come una prima forza animica spirituale che dopo la morte sgorga dall’anima umana,

così come le forze animiche nascono nel bambino nelle prime settimane della sua vita.

• Mentre questa forza animica va crescendo, ci si palesa appunto

che vi è vita dietro i pensieri che sul piano fìsico non erano che delle ombre,

che nel mondo dei pensieri vi è un vivere e un vibrare.

• Ci accorgiamo che il quadro di pensieri che abbiamo nel nostro corpo fìsico non è appunto che un’ombra,

mentre la realtà è una somma, un diffondersi di esseri elementari.

• Vediamo in certo qual modo estinguersi i nostri ricordi,

e invece nascere dall’universale cosmo della saggezza un gran numero di esseri elementari.

 

Si potrebbe obiettare: ma dopo la morte non è una mancanza per noi l’aver superato la forza del ricordo, e avere in sua vece qualcosa d’altro ? No, non ne sentiamo la mancanza, perché ne abbiamo un lauto compenso dopo la morte.

 

Invece di ricordarci, come durante la vita, dei nostri pensieri, dopo la morte osserviamo

che i pensieri, che durante la vita erano pensieri ricordati, ci si presentano non soltanto come ricordi.

Il tesoro della memoria durante la vita è tutt’altro che un semplice tesoro della memoria!

 

• Quando siamo fuori del corpo fisico vediamo presente tutto quel tesoro della memoria come attualità vivente.

Ogni pensiero vive come essere elementare.

Sappiamo ora di aver pensato durante la vita fìsica, di aver visto apparire i nostri pensieri;

• ma mentre avevamo l’illusione di crearci dei pensieri, abbiamo creato esseri elementari.

È quanto di nuovo abbiamo aggiunto all’intero cosmo.

 

• Ora esiste qualcosa che è nato da noi nello spirito;

ora affiora e ci si palesa che cosa erano in realtà i nostri pensieri.

• S’imparano a conoscere anzitutto per visione diretta gli esseri elementari,

perché s’imparano a conoscere per primi gli esseri elementari che noi stessi abbiamo creato.

 

L’impressione grandiosa del primo periodo dopo la morte è che si ha il quadro-ricordo,

ma che questo incomincia a vivere, a vivere veramente;

e mentre comincia a vivere, si trasforma in tanti esseri elementari.

Ora palesa il suo vero aspetto, e il suo scomparire

è costituito appunto dal fatto che diventa qualcosa del tutto diverso.

 

Se per esempio siamo morti a sessanta o a ottant’anni, non ci occorre ora più nessuna forza mnemonica per rievocare un pensiero avuto circa nel ventesimo anno della nostra vita, perché esso è là come essere elementare vivente; ha aspettato, e non occorre che noi ce lo ricordiamo. Se fossimo morti a quarant’anni, il pensiero avrebbe giusto vent’anni; questo ci risulta con chiarezza perché gli esseri elementari ci dicono essi stessi da quanto tempo si sono formati.

 

Il tempo diventa spazio;

ci sta dinanzi, in quanto gli esseri viventi ci palesano i segni della loro età.

In quelle condizioni il tempo diventa attualità immediata.

 

Da quei nostri esseri elementari, dai quali eravamo già attorniati nella vita e che vediamo ora nella morte, impariamo la natura del mondo elementare e ci prepariamo in tal modo a comprendere a poco a poco e a scorgere anche gli esseri elementari del mondo esterno che noi non abbiamo creato, ma che esistono senza di noi nel cosmo spirituale.

 

• Impariamo a conoscere gli altri esseri elementari mediante la nostra creazione elementare.

Riflettiamo ora sulla straordinaria differenza tra la vita fra morte e rinascita e la vita terrestre.

• La prima cosa che si verifica dopo la nascita è che l’uomo non riconosce ancora se stesso.

• Il bambino piccolo sperimenta ciò che gli altri sperimentano con lui;

egli è nato, e gli altri, i suoi genitori, guardano a ciò che è nato.

 

Similmente dopo la morte non ci si guarda a tutta prima da se stessi,

ma si guarda ciò che è nato dal proprio essere come un mondo esterno.

Si guarda a ciò che è fuori, a ciò che si è generato col momento della morte.

 

• Come l’uomo, quando penetra nell’esistenza con la nascita fisica,

ha dinanzi a sé un mondo esterno per lui incomprensibile,

ed è effettivamente un essere che per gli altri soltanto scalcia, piange o ride,

• così dopo la morte, dopo la nascita nel mondo spirituale che per il mondo fisico è morte,

cominciamo prima noi stessi a esistere nell’ambiente che abbiamo generato per noi,

che abbiamo eretto noi stessi intorno a noi, perché lo abbiamo generato.

Abbiamo generato il mondo, mentre nel mondo fisico, quando si nasce, si è generati dal mondo.

Così è dei nostri pensieri, e di quanto il ricordo, il tesoro della memoria, fa dei nostri pensieri.

 

È diverso per ciò che attiene alle sfere del nostro sentimento e della nostra volontà.

Nella prima conferenza ho detto che quanto appartiene alla sfera del nostro sentimento e della nostra volontà

non è veramente ancora nato in noi nella sua completa entità, e che per un certo riguardo

volontà e sentimento rappresentano qualcosa che non è arrivato a completa nascita.

 

Ciò si palesa in particolar modo dopo la morte,

perché volontà e sentimento, come interpenetrano il corpo fisico, esistono ancora dopo la morte.

• Così l’uomo, dopo qualche tempo, dopo che la stella della volontà

si è allontanata con i frutti della sua ultima vita terrena,

vive in un mondo elementare che costituisce il suo ambiente circostante,

e al quale egli stesso dà il tono fondamentale mediante i suoi ricordi trasformati.

 

L’uomo vive nel mondo che, come si è detto, è effettivamente lui stesso.

Così egli sa che il suo sentimento e la sua volontà vivono ancora in lui,

hanno ora una specie di ricordo, una specie di rapporto con la recente vita terrena.

Questo dura per decine di anni.