L’importanza della mescolanza del sangue

O.O. 112 – Il Vangelo di Giovanni in relazione agli altri 3 – 02.07.1909


 

Perché viene insistito in modo speciale, proprio nel primo dei segni, e cioè nella descrizione delle nozze a Cana in Galilea, (del significato più profondo dei miracoli parleremo in seguito), che ciò avvenne «a Cana in Galilea»?

 

Ci si può accertare facilmente che nell’antica Palestina, nella regione allora conosciuta, non esisteva nessuna seconda Cana. Non occorre veramente precisare in modo speciale una località, quando non ce ne sono altre con quello stesso nome. Perché dunque l’evangelista, quando parla di questo miracolo, dice che esso avvenne a «Cana in Galilea»?

 

Perché è necessario in proposito far rilevare che in quella località si è verificato un fatto che doveva appunto verificarsi in Galilea. Ciò significa che il Cristo non avrebbe potuto trovare gli uomini necessari per quel fatto in nessun’altra regione, ma soltanto in Galilea.

 

Ho già detto che per esercitare un’influenza, non basta la sola persona che agisce, ma che occorrono anche le altre persone adatte ad accogliere quell’azione. La prima azione del Cristo non avrebbe potuto verificarsi nell’ambito della comunità giudaica, ma invece in Galilea, cioè nella regione dove erano mischiati diversissimi gruppi di popoli e diversissime stirpi.

 

Appunto per il fatto che in quella regione si trovavano riuniti i popoli più diversi, convenuti dalle parti più svariate del mondo, in Galilea non era sentita più la medesima affinità del sangue soprattutto la fede nella consanguineità che dominava in Giudea, nella cerchia più ristretta del popolo ebreo. Gli uomini in Galilea erano un miscuglio di vari popoli. Ma il Cristo, per virtù del suo impulso, a che cosa doveva in special modo sentirsi chiamato?

 

Abbiamo già visto che uno dei suoi detti più importanti è: «Prima che vi fosse Abramo, vi era l’Io-sono», e l’altro: «Io e il Padre siamo uno». Con queste parole Egli intendeva dire: per chi è legato alle antiche condizioni della vita, l’io si sente al sicuro soltanto nella affinità del sangue. Un vero seguace dell’Antico Testamento sentiva qualcosa di speciale nelle parole « Io e il padre Abramo siamo uno», qualcosa che oggi l’uomo difficilmente può intendere. Vedeva come transitorio ciò che chiamiamo il nostro sé, racchiuso fra nascita e morte.

 

Invece un vero seguace dell’Antico Testamento, compenetrato dagli insegnamenti che fluivano allora attraverso l’umanità, diceva — e non soltanto per allegoria, ma come un fatto: « Per me io sono un singolo individuo, ma io sono anche un membro in un grande organismo, in un grande assieme vitale che risale fino al padre Abramo.

 

Come il dito, come arto vivente, può esistere soltanto finché è attaccato al mio corpo, così anch’io ho soltanto un significato finché sento di essere un membro del grande organismo del popolo risalente fino al padre Abramo.

 

Io sono legato al grande assieme di questo popolo, proprio come il dito lo è al mio corpo. Se il dito vien distaccato, in breve non sarà più un dito; esso è al sicuro soltanto quando è attaccato alla mia mano, la mano al mio braccio e il braccio al mio corpo; il dito non ha più significato quando è distaccato dalla mano. Allo stesso modo anch’io ho un significato solamente sentendomi un membro di tutte le generazioni attraverso le quali scorre il sangue del padre Abramo. Allora mi sento al sicuro!

 

Il singolo mio io è transitorio e passeggero, ma non è transitorio il grande organismo di popolo che risale fino al padre Abramo. Quando mi sento completamente in esso, quando penetro completamente in esso, supero il mio io temporaneo e transitorio; allora vengo accolto in un grande io, nell’io del popolo che attraverso il sangue delle generazioni è disceso dal padre Abramo fino a me! ».

Così diceva il seguace dell’Antico Testamento.

 

Per virtù della forza dell’esperienza interiore che risiede nelle parole «Io e il padre Abramo siamo uno!», si verificava tutto ciò che è avvenuto di grande e che oggi ancora appare meraviglioso nell’Antico Testamento. Ma siccome si avvicinava il tempo in cui gli uomini non erano più destinati ad avere un tale stato di coscienza, tutto ciò andava gradatamente perduto.

 

Perciò il Cristo non doveva andare da coloro che da un canto avevano perso la facoltà di operare attraverso la forza magica che risiede nei legami del sangue, e che dall’altro avevano ancora fede soltanto nella comunanza col padre Abramo. Presso questi Egli non avrebbe infatti potuto trovare la fede necessaria, per esercitare l’azione che poteva fluire dalla sua anima nelle altre anime.

 

Occorreva perciò che andasse da coloro che, a seguito della mescolanza del loro sangue, non conservavano più la fede nel padre Abramo; dovette andare presso i Galilei; qui Egli dovette iniziare la sua missione.

 

Sebbene l’antico stato di coscienza fosse generalmente in via di sparizione, nondimeno Egli trovò presso i Galilei una mescolanza di popoli, un inizio della mescolanza del sangue. Da tutte le parti confluivano in quella regione stirpi di popoli che prima di tale confluenza si trovavano soggette alle forze degli antichi legami del sangue.

 

I Galilei erano arrivati appunto al momento di trovare un trapasso; avevano ancora vivo il sentimento che i loro padri possedevano ancora gli antichi stati di coscienza, avevano ancora le forze magiche che agiscono da un’anima sull’altra.

 

Presso i Galilei il Cristo poteva iniziare la sua nuova missione

consistente nel dare all’uomo una coscienza dell’io

che non fosse più legata all’affinità del sangue, una coscienza dell’io capace di dire:

« In me stesso trovo l’unione col Padre spirituale,

col Padre che non fa scorrere fisicamente il suo sangue attraverso le generazioni,

ma che invia la sua forza spirituale in ogni singola anima individuale.

L’io che è in me, e che ha diretta comunione col Padre spirituale,

esisteva prima che esistesse il padre Abramo.

Io sono perciò chiamato a far scorrere nell’io una forza che in esso

viene rinvigorita dalla coscienza dell’unione con la spirituale forza-Padre del mondo.

Io e il Padre siamo uno, non io e il padre Abramo — vale a dire un antenato fisico — siamo uno».

 

E il Cristo andò appunto da coloro che erano giunti al momento di potere capire tutto ciò, che avevano necessità di trovare la forza nelle singole anime e non nei legami del sangue che essi avevano spezzato mescolandosi fra loro, di trovare la possente forza che può ricondurre di nuovo l’uomo a dare a poco a poco espressione nel mondo fisico a ciò che è spirituale.