L’incarnazione del Cristo in Gesù di Nazareth

O.O. 114 – Il Vangelo di Luca – 21.09.1909


 

Una cosa ci occorre ancora:

ci occorre seguire l’ulteriore evoluzione dell’entità principale di questo Vangelo, del Cristo Gesù;

e con essa, l’entità principale della nostra stessa Terra.

 

Anzitutto è necessario che ci ricordiamo di quanto già è stato detto: ossia che il Cristo, di cui il vangelo di Luca ora ci parlerà, per quanto riguarda il corpo appartiene alla linea natanica della casa di Davide. Il Gesù natanico cresce fino ai dodici anni circa. Poi, come abbiamo visto, penetra nel suo corpo l’individualità che in passato era stata incarnata nel fondatore della civiltà persiana. Dal dodicesimo anno in poi, abbiamo dunque nel corpo del Gesù natanico l’io di Zaratustra. Ora sarà nostro compito seguire con maggior precisione l’evoluzione di questa entità, riconnettendoci a fatti che sono noti a chi si occupa di scienza dello spirito.

 

Normalmente, nello sviluppo dell’essere umano, il primo settennio della vita costituisce un periodo importante. Un secondo periodo importante dello sviluppo cade fra i sette ed i quattordici anni circa, ossia fino alla pubertà. Un terzo periodo va dai quattordici ai ventun anni; un quarto dai ventuno ai ventotto; e un altro ancora dai ventotto ai trentacinque anni. Non dobbiamo però credere con pedanteria che questi periodi scadano esattamente col compiersi degli anni rispettivi. Il primo importante periodo finisce con l’inizio della seconda dentizione, ossia circa a sette anni; e il trapasso tra questo e il secondo periodo non avviene da un giorno all’altro, ma gradatamente, appunto nell’età in cui il bambino cambia i denti. Altrettanto sia detto per gli altri periodi che trapassano l’uno nell’altro solo gradatamente.

 

• Al termine del primo periodo, a sette anni circa,

avviene spiritualmente qualcosa di analogo a quanto avviene

quando l’embrione umano abbandona alla nascita il corpo materno:

ha luogo cioè una specie di nascita eterica.

• E al termine del secondo periodo, ossia alla pubertà,

ha luogo una nascita astrale; si libera cioè il corpo astrale dell’uomo.

 

Se dunque, con gli occhi dello spirito, osserviamo con maggior precisione lo sviluppo umano, esso ci si presenterà in modo assai più complicato di quanto non risulti all’osservazione ordinaria, alla quale sfuggono importanti mutamenti che hanno luogo anche più tardi nella vita umana. Oggi si crede che, da una certa età in avanti, ben poco di nuovo si presenti nell’uomo. Ma questa opinione si fonda sopra un’osservazione grossolana. In verità, osservando con sottigliezza, potremo notare che anche in età più avanzata l’uomo si trasforma.

 

Nel momento in cui l’involucro materno fisico viene abbandonato, è solo il corpo fisico a nascere effettivamente; quello che ci si presenta libero nei primi sette anni della vita, è dunque il corpo fisico; e nelle mie conferenze sull’educazione del bambino ho fatto rilevare quanto sia importante per l’educatore conoscere questo fatto. Quando poi, a sette anni, vien deposto l’involucro eterico, allora si libera il corpo eterico. E a quattordici anni, abbandonata che sia la matrice astrale, si libera il corpo astrale.

 

Volendo parlare con esattezza, possiamo però comprendere la natura umana soltanto partendo dalla struttura indicata nel mio libro Teosofia. In quel libro viene fatta un’ulteriore suddivisione degli elementi animici dell’uomo. Subito dopo il corpo vitale vi troviamo indicato il corpo senziente, ed è proprio il corpo senziente quello che, al ventunesimo anno d’età, si è reso del tutto libero, di fronte al mondo esterno. Ma col ventunesimo anno si va gradualmente liberando anche quella che chiamiamo l’anima senziente; col ventottesimo anno d’età si libera l’anima razionale o affettiva, e più tardi l’anima cosciente. In questo modo vanno le cose nell’uomo d’oggi. E chi osservi la vita umana alla luce della scienza dello spirito, sa perfettamente che questi stadi di sviluppo esistono.

 

I grandi maestri dell’umanità sanno anche perché il trentacinquesimo anno sia tanto importante. Dante dichiarò d’aver avuto appunto in quell’anno le grandiose visioni che descrisse nel suo poema universale. Nel primo verso della Divina Commedia troviamo accennata l’età di trentacinque anni in cui a Dante apparvero quelle visioni. A quella età, l’essere umano arriva fino al punto da poter adoperare interamente, come strumenti, le facoltà che si riconnettono al corpo senziente, all’anima senziente e all’anima razionale.

 

Coloro che hanno parlato dell’uomo e della sua evoluzione con esattezza hanno sempre conosciuto queste suddivisioni. Per gli orientali la cosa era un po’ diversa; i periodi si spostavano un poco. Per la civiltà orientale era giusto perciò non fare le medesime distinzioni. Ma in occidente si dovettero sempre fare.

 

I greci, per esempio, adopravano parole un po’ diverse per indicare le medesime cose.

• Per loro, quello che noi chiamiamo corpo vitale era il treptikòn;

• con espressione molto significativa essi chiamavano esthetikòn  quello che per noi è il corpo senziente;

• chiamavano orektikòn la nostra anima senziente;

kinetikòn l’anima razionale

• e dianoetikòn quella che per noi è l’anima cosciente, il bene più prezioso che l’uomo possa oggi conquistarsi.

Così ci si presenta lo sviluppo dell’uomo, se lo consideriamo con esattezza e precisione.

 

Per certe circostanze che in parte ci si chiariranno ora,

lo sviluppo del Gesù natanico era stato alquanto accelerato ed anticipato.

Ciò era stato possibile anche perché in quei paesi la maturità sessuale avveniva prima che da noi.

 

Vi erano inoltre ragioni particolari per cui in lui si manifestò già a dodici anni ciò che normalmente avviene a quattordici; e dopo sette anni, si manifestò in lui, a diciannove anni, ciò che di solito ha luogo i ventuno; così pure ebbe luogo a ventisei e trentatré anni ciò che di solito avviene a ventotto e a trentacinque.

 

Consideriamo dunque lo sviluppo dell’essere che sta al centro della vita della Terra. (Si veda lo schema). Consideriamo che, fino ai suoi dodici anni, abbiamo dinanzi a noi corporalmente il Gesù natanico, e che, dal dodicesimo anno in avanti, nel Gesù natanico vive l’io di Zaratustra.

 

 

Che significa veramente ciò? Significa che questo io maturo elaborò dal dodicesimo anno in poi il corpo astrale, l’anima senziente e l’anima razionale del Gesù natanico; ed elaborò queste facoltà umane nel modo che era possibile soltanto ad un io così maturo, all’io di Zaratustra che era passato attraverso molte incarnazioni e molte vicende.

 

Ci sta dunque dinanzi il fatto mirabile che

l’io di Zaratustra s’incarna a dodici anni nel corpo del Gesù natanico,

e ne elabora le qualità animiche in modo quanto mai sottile.

 

• Si sviluppa in tal modo un corpo senziente che è in grado di alzare lo sguardo al cosmo,

che è in grado di sentire in sé l’essenza spirituale dell’antico Ahura Mazdao;

• si sviluppa un’anima senziente che è in grado di albergare in sé

la saggezza fluita nell’umanità mercé la dottrina di Ahura Mazdao;

• si sviluppa poi un’anima razionale che è in grado di comprendere,

e di formulare in concetti, in parole, in parole facili

ciò che prima l’umanità aveva raggiunto soltanto attraverso le rivelazioni spirituali.

• Così si sviluppò il Gesù natanico che albergava in sé l’io di Zaratustra;

e continuò a svilupparsi in tal modo fino all’approssimarsi del trentesimo anno.

 

Avvenne allora un fatto nuovo.

Si ripetè, ora però in modo più significativo e più universale,

il fenomeno che si era già presentato in certo modo nel Gesù natanico a dodici anni;

la sua interiorità fu cioè riempita da una nuova egoità.

 

Circa nel trentesimo anno l’io di Zaratustra

aveva ormai compiuto l’elaborazione dell’anima del Gesù natanico,

ne aveva sviluppato al massimo grado le facoltà.

• Egli aveva per così dire compiuto la sua missione;

aveva compenetrato quell’anima di tutto ciò che aveva conquistato nelle sue precedenti incarnazioni;

ormai poteva dire: l’opera mia è compiuta.

E l’io di Zaratustra abbandonò il corpo del Gesù natanico.

 

L’io di Zaratustra aveva vissuto dunque fino al dodicesimo anno nel corpo del Gesù salomonico. Da allora in poi, quel bambino non avrebbe più potuto continuare a svilupparsi sulla Terra. Essendo stato abbandonato dall’io di Zaratustra che aveva dimorato in lui, egli si arrestò, per così dire, al punto in cui si trovava. Albergando in sé un io così sublime, aveva raggiunto un’alta e rara maturità. Chi avesse osservato da fuori il bambino Gesù salomonico, lo avrebbe trovato straordinariamente precoce. Ma dal momento in cui l’io di Zaratustra lo abbandonò, egli si fermò e non potè più svilupparsi.

 

Giunse relativamente presto il giorno in cui la madre del Gesù natanico morì,

e i suoi elementi spirituali vennero trasportati nel mondo spirituale.

Essa prese allora con sé

quanto nel fanciullo Salomonico vi era di valore eterno e di forza plasmatrice.

Poi, anche questo fanciullo morì, circa nello stesso periodo in cui morì la madre del Gesù natanico.

Era un corpo eterico ben prezioso

quello che abbandonò allora il corpo fisico del Gesù salomonico.

 

Sappiamo che il corpo eterico dell’uomo si sviluppa in modo particolare quando il bambino ha superato circa il settimo anno, ossia fra il settimo anno e la pubertà. Si trattava in quel caso di un corpo eterico elaborato dall’io di Zaratustra.

Sappiamo inoltre che, alla morte, il corpo eterico abbandona il corpo fisico; allora, rutto ciò che non è idoneo per l’eternità viene normalmente eliminato; e soltanto una specie di estratto del corpo eterico viene introdotto nel mondo spirituale.

 

Nel Gesù salomonico la massima parte del corpo eterico era idonea per l’eternità.

E l’intero corpo eterico di quel fanciullo fu portato nel mondo spirituale dalla madre del Gesù natanico.

Sennonché il corpo eterico è l’edificatore, il plasmatore del corpo fisico umano.

 

Possiamo ben immaginarci la grande affinità che vi era fra il corpo eterico del Gesù salomonico, ora trasportato nel mondo spirituale, e l’io di Zaratustra: nel pellegrinaggio terreno infatti, fino ai dodici anni, essi erano stati uniti.

 

Quando dunque, per lo sviluppo raggiunto da Gesù di Nazaret,

l’io di Zaratustra abbandonò il suo corpo,

quando per così dire quell’io uscì dal corpo del Gesù natanico,

entrarono in azione le forze d’attrazione fra quell’io (quello di Zaratustra)

e il corpo eterico proveniente dal bambino Gesù salomonico.

Essi tornarono a unirsi e si costruirono un nuovo corpo fisico.

 

L’io di Zaratustra era tanto maturo da non aver bisogno di un ulteriore passaggio attraverso il devachan;

e fu in grado, con l’aiuto di quel corpo eterico ora caratterizzato,

di ricostruirsi un nuovo corpo fìsico dopo un periodo di tempo relativamente breve.

 

Nacque così, per la prima volta, un essere che ricomparve poi sempre di nuovo,

e sempre ad intervalli relativamente brevi fra ogni morte e ogni nascita.

 

Questo essere, quando abbandonava il corpo fisico nella morte, tornava a reincarnarsi presto sulla Terra.

• Da allora in poi questo essere,

che si era nuovamente riunito col corpo eterico poco prima deposto, accompagnò la storia dell’umanità.

• Come si può immaginare, egli diventò il più grande aiuto

per coloro che cercavano di comprendere l’evento di Palestina.

 

Questa individualità è nota sotto il nome di «maestro Gesù»,

e l’io di Zaratustra, ritrovato che ebbe il suo corpo eterico,

cominciò la sua carriera attraverso l’evoluzione umana come maestro Gesù;

da allora in poi vive sulla nostra Terra reincarnandosi sempre.

 

• È lui a guidare e a dirigere la corrente spirituale cristiana.

• È lui l’ispiratore di coloro che cercano di comprendere l’evoluzione del cristianesimo vivente;

fu lui, nelle scuole esoteriche, a ispirare coloro che avevano la missione

di continuare ad elaborare le dottrine del cristianesimo.

• È lui che sta dietro le grandi figure spirituali del cristianesimo

e che insegna il significato profondo dell’evento di Palestina.

 

Ormai l’io di Zaratustra,

che aveva vivificato il corpo del Gesù natanico dai dodici ai trent’anni, si trovava fuori di quel corpo.

Ora vi penetrò un’altra entità.

Il momento in cui ciò avvenne, in cui cioè un io sommo subentrò nel Gesù natanico all’io di Zaratustra,

questo momento ci viene descritto in tutti i Vangeli come il battesimo nel Giordano.

 

Già a proposito del vangelo di Giovanni ho fatto osservare che il battesimo, in quegli antichi tempi, era qualcosa di ben diverso dal battesimo attuale che è ridotto a un puro simbolo. Giovanni Battista battezzava in tutt’altro modo. I battezzandi venivano immersi nell’acqua con tutto il corpo; a subire il battesimo era la corporeità intera.

 

È già noto dall’introduzione all’antroposofia che in fatto simile può produrre conseguenze assai speciali. Già nella vita ordinaria, quando un uomo, per esempio, sta per annegare, oppure riceve un trauma psichico, gli può accadere di vedere dinanzi a sé come in un quadro tutta la sua vita passata. Ciò deriva dal fatto che, per un istante, ha luogo ciò che altrimenti si attua solo dopo la morte: il corpo eterico si stacca dal corpo fisico, si libera dal potere del corpo fisico.

 

Ciò avveniva in quasi tutti i battezzati da Giovanni, e si produsse in particolar modo durante il battesimo del Gesù natanico. Il suo corpo eterico fu tratto fuori; e in quell’istante l’alta entità che chiamiamo il Cristo potè immergersi nel corpo del Gesù natanico e prenderne possesso. Così, dopo il battesimo nel Giordano, il Gesù natanico è pervaso dall’entità del Cristo.

 

Le parole che stanno scritte nei più antichi manoscritti dei Vangeli hanno appunto questo significato: «Questo è il mio diletto figliolo; oggi io l’ho generato».

 

Ossia: il Cristo, figlio del cielo, è stato generato ora. L’elemento fecondatore era la divinità una, che pervade tutto il mondo; e il fecondato era il corpo tutto l’organismo del Gesù natanico, che era stato preparato a ricevere dall’alto il germe fecondatore. «Questo è il mio diletto figliolo; oggi io l’ho generato». Così stava scritto negli antichi manoscritti evangelici; e così effettivamente dovrebbe esser scritto nei Vangeli (Cfr. Luca 3,22; Salmo 2,7).

 

Chi era l’entità che si congiunse allora col corpo eterico del Gesù natanico?

Noi non possiamo comprendere l’entità del Cristo se volgiamo il nostro sguardo soltanto all’evoluzione della Terra.

L’entità del Cristo è quella che dobbiamo riconoscere come la guida delle entità spirituali

che, al momento in cui il Sole si separò dalla Terra, uscirono col Sole dalla Terra

e si fondarono una dimora più elevata, per agire sulla Terra da lassù, ossia dal Sole.

 

Se dunque risaliamo all’epoca terrestre precristiana, che durò dal momento in cui il Sole si separò dalla Terra fino alla comparsa del Cristo sulla Terra, dobbiamo dire: guardando in su al Sole, un uomo sufficientemente maturo nei suoi sentimenti avrebbe dovuto comprendere l’insegnamento di Zaratustra; avrebbe dovuto comprendere cioè che

• quanto fluisce in noi nella luce e nel calore del Sole

non è che la veste fisica delle alte entità spirituali che stanno dietro alla luce del Sole;

dietro alla luce del Sole si nascondono infatti le forze spirituali che dal Sole irraggiano sulla Terra.

• La guida di tutte le entità che dal Sole riversavano sulla Terra la loro azione benefica,

era appunto l’essere che più tardi fu chiamato il Cristo.

 

Nei tempi precristiani questo essere non era dunque da cercarsi sulla Terra, bensì sul Sole. A ragione Zaratustra lo collocava sul Sole, chiamandolo Ahura Mazdao; egli diceva: se peregriniamo sulla Terra, noi non troviamo questo spirito della luce; ma se guardiamo al Sole, lo troviamo, perché ciò che spiritualmente vive sul Sole è Ahura Mazdao; e ciò che si riversa in noi come luce è il corpo dello spirito solare, è il corpo di Ahura Mazdao, come il corpo fisico umano è il corpo dello spirito umano.

 

Questo essere sublime andò avvicinandosi sempre più alla sfera terrestre, attraverso poderosi processi cosmici. Chiaroveggentemente si poteva sentire sempre più chiaramente l’avvicinarsi del Cristo alla Terra. E un chiaro riconoscimento del Cristo avvenne quando il suo grande predecessore Mosè ricevette le sue rivelazioni sul Sinai tra il fuoco dei fulmini.

 

Che cosa significavano queste rivelazioni di Mosè?

Significavano che l’entità del Cristo, avvicinandosi alla Terra,

si manifestava innanzi tutto in un’immagine riflessa.

 

Immaginiamoci spiritualizzato il fenomeno del plenilunio. Guardando alla luna piena, noi ne vediamo irradiare riflessi i raggi del Sole. Quella che vediamo irradiare da essa è luce solare; solo che noi la chiamiamo luce lunare perché ci appare riflessa dalla luna.

Chi è colui che Mosè vide nel roveto ardente e nel fuoco, sul Sinai? È il Cristo.

 

Ma come nella luna non vediamo la luce solare diretta, bensì la vediamo riflessa,

così Mosè vedeva il Cristo in un’immagine riflessa.

• E come noi chiamiamo luce lunare la luce del sole, quando la vediamo riflessa dalla Luna,

così allora il Cristo veniva chiamato Jahvé o Jehova.

Jahvé non era altro che il riflesso del Cristo, prima che egli stesso discendesse sulla Terra.

 

Il Cristo si annunziava indirettamente all’essere umano che non era ancora in grado di contemplarlo nella sua vera entità; similmente nel plenilunio, che altrimenti sarebbe oscuro, la luce del Sole si annunzia attraverso i raggi lunari.

Jahvé è il Cristo, non veduto direttamente, ma come luce riflessa.

 

Ma il Cristo doveva farsi sempre più accessibile alla conoscenza umana, alla percezione umana. Egli stesso doveva cioè essere presente per un certo tempo sulla Terra, ed essere uomo fra gli uomini; egli stesso doveva dimorare sulla nostra Terra, come prima aveva dimorato negli spazi cosmici, manifestandosi da lì agli iniziati.

Ma per giungere a questo, si doveva attendere il momento giusto.

 

L’esistenza del Cristo è sempre stata nota agli iniziati che erano in grado di sollevarsi alla conoscenza superiore. Essendosi manifestato nei modi più diversi, egli era stato anche nominato coi nomi più diversi. Zaratustra lo aveva chiamato Ahura Mazdao, perché si era manifestato nella luce del Sole. Anche i santi risci, i maestri apparsi in India nel primo periodo di civiltà postatlantica, in quanto iniziati sapevano dell’esistenza di questo essere; sapevano però anche che in quell’epoca non si poteva ancora giungere a lui con la sapienza terrena, e che soltanto in un’epoca successiva egli sarebbe stato accessibile a quella sapienza. Lo chiamavano perciò Visva Karman; il che significa che quell’essere viveva al di là della sfera dei sette risci. Anch’essi dunque, come Zaratustra, parlavano di quell’essere;

Visva Karman e Ahura Mazdao erano nomi diversi

per la medesima entità che da altezze spirituali, da cosmiche dimore,

andava gradatamente avvicinandosi alla Terra.

 

Affinché un corpo umano potesse accogliere quell’essere, occorreva una preparazione speciale. Occorreva che un io come quello di Zaratustra si maturasse di incarnazione in incarnazione; occorreva che quell’io elaborasse poi, in un corpo puro come era quello di Gesù di Nazaret, le facoltà del corpo senziente, dell’anima senziente e dell’anima razionale; cosicché Gesù di Nazaret potesse diventar atto ad accogliere in sé quella somma entità. Tutto ciò dovette essere preparato grado a grado.

 

Per poter preparare in tal modo un’anima senziente e un’anima razionale, era necessaria la presenza di un io che fosse passato per le molte vicende ed esperienze per cui era passato Zaratustra, e che trasformasse nel Gesù natanico le facoltà di cui abbiamo parlato. Prima, ciò non sarebbe stato possibile.

 

Sul bambino Gesù natanico, infatti, non soltanto l’io di Zaratustra doveva lavorare; ma doveva lavorare anche l’altissima entità che abbiamo caratterizzata nel nirmanakaya del Buddha; essa doveva agire da fuori sul bambino, dalla nascita fino al dodicesimo anno. Per poter effettuare questo, occorreva anzitutto che quell’alta entità esistesse. Il bodisatva doveva cioè prima salire al grado di Buddha, per poter poi sviluppare il suo corpo spirituale, il suo nirmanakaya, ed elaborare in tal modo il bambino Gesù natanico, dalla nascita fino al dodicesimo anno.

 

Il bodisatva stesso doveva ascendere al grado di Buddha,

per avere in sé la forza di rendere un corpo maturo per quel grande evento.

Al momento della sua ultima incarnazione, egli non era ancora in grado di sviluppare questa facoltà.

Doveva prima trascorrere la sua vita di Buddha.

 

Forse in futuro l’umanità arriverà a comprendere veramente quali grandi tesori di sapienza ci conservino le leggende dei vari popoli; e riconoscerà che il meraviglioso contenuto di molte antiche leggende corrisponde a quanto sta scritto nella cronaca dell’akasha.

 

L’entità del Cristo era nota anche nell’antica India

come un’entità cosmica che dimorava al di là della sfera dei sette santi risci.

• Era noto ad essi che quell’entità viveva nelle sfere superiori

e che solo a poco a poco essa si andava avvicinando alla Terra.

Anche Zaratustra sapeva di dover rivolgere il suo sguardo al Sole.

E il popolo ebraico antico fu in grado, per le sue qualità e facoltà,

di ricevere per primo la rivelazione dell’immagine riflessa del Cristo.

 

In una leggenda antica ci viene pure narrato che il Buddha,

mentre si stava preparando al passaggio da bodisatva a Buddha,

entrò in rapporto col Visva Karman, più tardi chiamato Cristo.

 

La leggenda ci narra che, approssimandosi il suo ventinovesimo anno, egli fuggì in carrozza dal palazzo dove fino allora era stato custodito e curato. Vide prima un vecchio, poi un malato e poi un cadavere; ed imparò così a conoscere a poco a poco la miseria della vita. Vide poi un monaco che aveva abbandonato la vita in cui regnano appunto vecchiaia, malattia e morte. E qui la leggenda ci presenta una verità profonda; ci narra che il Buddha decise di non entrare subito nel mondo, ma di tornare ancora una volta indietro. Ed allora – dice la leggenda – da altezze spirituali egli venne ornato della forza che il divino artista Visva Karman, apparsogli, irraggiava sulla Terra. Il bodisatva venne ornato della forza stessa del Visva Karman, più tardi chiamato Cristo. Per lui dunque il Cristo era ancora qualcosa di esteriore, non era ancora congiunto con lui. In quel tempo anche il bodisatva si stava avvicinando al suo trentesimo anno, ma non avrebbe ancora potuto effettuarsi l’incarnazione del Cristo in un corpo umano.

 

A tal fine il bodisatva dovette prima rendersi maturo; e si rese maturo, appunto, mediante la sua vita di Buddha. Quando poi apparve nel nirmanakaya, fu suo compito di render maturo il corpo del Gesù natanico (ch’egli stesso però non assunse) ad accogliere in sé il Visva Karman, ossia il Cristo.

Così le forze dell’evoluzione della Terra cooperarono tutte all’attuazione dell’evento sublime.

 

Ed ora dobbiamo farci un’altra domanda:

• in che rapporto sta il Cristo, sta il Visva Karman

con quella categoria di esseri di cui fece parte, per esempio, il bodisatva che diventò poi Buddha?

Con questa domanda sfioriamo uno dei più alti misteri dell’evoluzione.

 

Per gli uomini attuali è difficile anche solo intuire quali immensità si celino dietro a questo mistero.

Le entità dei bodisatva, di cui fa parte il bodisatva che diventò Buddha

e che ebbe la missione di dare all’umanità la dottrina della compassione e dell’amore,

sono in tutto dodici; esse sono connesse col cosmo a cui la nostra Terra appartiene.

• Uno di questi dodici è il bodisatva che diventò Buddha cinque o sei secoli prima della nostra èra.

 

Ognuno dei bodisatva ha una determinata missione.

Come il Buddha ebbe la missione di donare alla Terra la dottrina della compassione e dell’amore,

così anche gli altri bodisatva hanno le loro missioni ch’essi devono compiere nelle diverse epoche dell’evoluzione.

 

Il Buddha è intimamente congiunto all’attuale missione della Terra,

appunto perché lo sviluppo del senso morale è il compito della nostra epoca;

è il compito che ha avuto inizio cinque o sei secoli prima di Cristo,

con la comparsa del Buddha, e che verrà poi rilevato dal successore del Buddha,

dal bodisatva che diventerà Buddha in avvenire, dal Maitreya Buddha.

 

Così procede l’evoluzione: i bodisatva discendono sulla Terra

per incorporare di tanto in tanto, nell’evoluzione terrestre, quello che è l’oggetto della loro missione.

Abbracciando con lo sguardo tutta l’evoluzione della Terra, si trovano appunto dodici bodisatva.

Essi appartengono a una possente comunità di spiriti

che di tanto in tanto invia uno di loro sulla Terra, con una speciale missione.

 

Dobbiamo riconoscere, nell’accolta dei dodici bodisatva,

un centro spirituale che dirige tutta l’evoluzione della nostra Terra.

Comprenderemo la loro natura, esaltando il concetto di maestro che già possediamo.

Essi sono appunto i maestri, i grandi ispiratori delle diverse qualità e facoltà che gli uomini devono appropriarsi.

Donde ricevono i bodisatva quello che di epoca in epoca essi hanno da annunziare?

 

Se si potesse penetrare con lo sguardo nel centro spirituale dei bodisatva, nella sfera dei dodici bodisatva,

si troverebbe che in mezzo a loro, nel nostro universo, sta un tredicesimo;

questo tredicesimo non possiamo chiamarlo un maestro, nel senso in cui chiamiamo maestri i dodici bodisatva,

ma dobbiamo chiamarlo l’essere da cui emana sostanzialmente la saggezza stessa.

 

Chi voglia spiegare la cosa in modo giusto, dovrà dire:

• i dodici bodisatva, nella loro loggia spirituale, siedono intorno al loro centro;

sono immersi nella contemplazione dell’entità sublime che fa fluire in loro

quello ch’essi hanno poi il compito di portare nell’evoluzione della Terra.

 

Da questo tredicesimo fluisce tutto quello che gli altri dovranno poi insegnare.

Essi sono i maestri, gli ispiratori; il tredicesimo, nella sua stessa entità,

è l’oggetto dell’insegnamento degli altri dodici. Di epoca in epoca essi parlano di lui, rivelandolo.

 

•  Questo tredicesimo è quello che gli antichi risci chiamavano Visva Karman,

e che Zaratustra chiamò Ahura Mazdao; è colui che noi chiamiamo il Cristo.

• Egli è il condottiero e la guida dei bodisatva;

e il loro intero coro annunzia la dottrina del Visva Karman, la dottrina del Cristo.

 

Colui che cinque o sei secoli avanti Cristo era passato dal grado di bodisatva a quello di Buddha,

era stato ornato delle forze del Visva Karman.

Il Gesù natanico invece, che accolse in sé il Cristo, non fu soltanto ornato, ma fu «unto»,

ossia fu compenetrato dal Visva Karman, fu pervaso dal Cristo.

 

Questo mistero si rifletté come un simbolo, come un’immagine, ovunque gli uomini ebbero una vaga intuizione, oppure una conoscenza, mercé l’iniziazione, di questi grandi misteri dell’evoluzione.

 

Al nord dell’Europa, nei misteri assai poco noti dei Trotti, per esempio,

prima della comparsa del Cristo fu istituito un simbolo terreno

a rappresentare il centro spirituale dei dodici bodisatva.

In quegli antichi misteri vi era sempre una comunità di dodici maestri.

 

Questi avevano il compito di annunziare la saggezza, e fra loro vi era un tredicesimo che non insegnava,

ma che in virtù della sola sua presenza irraggiava la saggezza che veniva accolta dagli altri.

Questa era l’immagine terrena di un fatto celeste, di una realtà spirituale.

 

Nei Segreti, in cui rivelò la sua ispirazione rosicruciana, Goethe descrisse dodici uomini intorno a un tredicesimo. A questo tredicesimo non occorreva essere un grande maestro: vediamo infatti che i dodici, partito il loro capo, eleggono come tredicesimo il fratello Marco, in tutta la sua semplicità. Ed egli diventa il portatore non di una dottrina, ma della sostanza spirituale stessa. Similmente avveniva dovunque si avesse sentore o conoscenza di questi fatti sublimi.

 

Col battesimo nel Giordano è giunto il momento per l’evoluzione umana in cui questo celeste tredicesimo doveva apparire sulla Terra, come la sostanza spirituale stessa di cui tutti gli altri, i bodisatva e i Buddha, avevano insegnato la dottrina. Affinché quest’entità potesse immergersi in un corpo umano, erano stati necessari preparativi grandiosi.

Questo è il mistero del battesimo nel Giordano; l’essere che ci viene descritto nei Vangeli è il Visva Karman, è Ahura Mazdao, è il Cristo nel corpo del Gesù natanico.

 

Questo essere doveva peregrinare per tre anni sulla Terra in figura umana, uomo fra gli uomini, in quel Gesù che fino al suo trentesimo anno aveva attraversato tutti gli eventi di cui abbiamo parlato.

Il Gesù natanico era ora compenetrato e illuminato da quell’entità che prima si celava nei caldi e luminosi raggi del Sole, i quali irraggiano il loro fulgore dal cosmo; da quell’entità che un tempo si era allontanata dalla Terra quando il Sole se ne separò.