L’iniziazione e il mistero della morte.

O.O. 138 – Dell’Iniziazione – 28.08.1912


 

Per assolvere il compito di questo breve ciclo di conferenze, quale è stato indicato nella conferenza-programma di due giorni fa, oltre ai concetti acquisiti ieri, ce ne occorrono alcuni altri.

Si constaterà che ovunque, in campo letterario o in altri dove si parli di iniziazione, viene anche trattato il problema che tanto da vicino tocca l’uomo: il problema della morte. Si troverà che in tutte le comunicazioni relative all’iniziazione si accenna che a un dato punto l’iniziando deve attraversare in altra forma esperienze analoghe al passaggio per la porta della morte. L’occultista considera che quelle comunicazioni poggiano sul vero, perché le esperienze da farsi durante l’ascesa ai mondi spirituali collimano davvero con quelle che l’uomo attraversa nel passaggio naturale dalla vita nel corpo fisico a quella che vien percorsa entro involucri del tutto diversi fra morte e rinascita. Per arrivare al cuore della questione, occorre anzitutto domandare: nella vita ordinaria, che cosa sa l’uomo di se stesso? Non è forse interessante sollevare una domanda così astratta, ma è tuttavia necessario porla volendo chiarire il processo dell’iniziazione: che cosa sa l’anima di se stessa?

 

Quel che l’anima è durante il sonno sfugge alla conoscenza, poiché il sonno trascorre nell’incoscienza, oppure è popolato di sogni che, per essere giustamente compresi, andrebbero interpretati dall’occultismo. La domanda: che cosa sa l’uomo di se stesso? che cos’è la sua anima nell’ordinaria vita dei sensi?, può quindi solo riferirsi alla vita diurna. Noi siamo anzitutto consci dell’esistenza dei varchi che chiamiamo organi di senso attraverso i quali il mondo dei colori, della luce, dei suoni, degli odori, del caldo e del freddo penetra nell’anima. Tutto quanto nell’esistenza sensibile chiamiamo il nostro mondo è in fondo un compendio di ciò che penetra in noi per la via dei sensi. Abbiamo poi gli strumenti dell’intelletto, del sentimento, della volontà con i quali elaboriamo quanto ci muove incontro dal mondo esterno. Nella nostra anima sorgono inoltre brame, desideri, aspirazioni, contento e malcontento, felicità, delusioni e così via; ecco tutto quanto l’uomo sa di se stesso!

 

Nella vita ordinaria, a chi domandi quale sia il mondo interiore umano non è possibile additare se non quanto abbiamo ora caratterizzato. L’uomo può tuttavia anche osservarsi dall’esterno, può osservare il proprio corpo, e una serie di fatti che non occorre a questo punto elencare gli mostrerà che deve considerarlo come lo strumento di cui valersi durante la veglia, nel tempo tra nascita e morte. Nell’esistenza umana penetra però anche l’aspirazione, alla quale abbiamo già accennato, di sapere che cosa egli veramente sia fra nascita e morte, si aspira a uscire dalla condizione che potrebbe venir chiamata tenebra dell’esistenza. Nell’ordinaria vita dei sensi egli tuttavia non ha nulla, non ha alcuna esperienza che lo porti al di là di quella tenebra. Le sue esperienze a seguito di istinti, brame, impressioni sensoriali, rappresentazioni e combinazioni intellettive colmano la sua vita diurna. Viene poi ad aggiungersi quanto ci apparve al termine della conferenza di ieri.

 

Avevamo osservato come, al limite fra mondo dei sensi e mondo dello spirito, l’uomo debba mutare le proprie rappresentazioni, debba lasciare indietro quanto aveva, fin lì, pensato riguardo a bello e brutto, a cattivo e buono, a vero e falso, perché nei mondi spirituali quei concetti assumono un tutt’altro significato e un diverso valore. Già questo può dare un’idea di come dobbiamo trasformarci se vogliamo entrare in quei mondi. Dopo aver in tal modo considerato quel che l’uomo sa di se stesso nell’ordinaria vita diurna, possiamo domandare: di tutto ciò, che cosa può egli portare oltre il limite dove sta il Guardiano della soglia? di tutte le brame, le passioni, gli impulsi sperimentati nel mondo dei sensi, dei sentimenti, delle rappresentazioni, dei concetti mentali e dei giudizi, che cosa può portare oltre quel limite? Fin dai primi passi sul cammino dell’iniziazione, l’uomo apprende che di tutto quanto si può in tal modo elencare e che costituisce il suo essere, di tutto ciò egli non può portar seco nulla! Non si esagera né si dice un paradosso, ma si esprime una precisa realtà affermando: di tutto quanto appartiene al mondo dei sensi, nulla può venir portato nel mondo spirituale. Al limite ove sta il Guardiano della soglia ogni cosa va abbandonata.

 

Ci si renda chiaro conto che a tutto ciò che nel mondo sensibile sappiamo di noi stessi va congiunto qualcosa di somma importanza, d’importanza decisiva sul cammino dell’iniziazione. Intendo dire che amiamo tutto ciò e che non arriviamo a nulla ricorrendo all’usuale e alquanto antipatico concetto di egoismo. Non si arriva a nulla dicendo: l’uomo deve spogliarsi del suo egoismo per ascendere, libero da quello, nei mondi spirituali. Tali parole sono facili a dirsi, ma nei segreti e sottili meandri dell’essere umano, quell’egoismo è intimamente connesso, non solo con quanto egoisticamente consideriamo prezioso nella vita, ma anche con quanto dobbiamo considerare prezioso, perché per suo mezzo soltanto siamo uomini nel mondo in cui si svolge la nostra esistenza. Siamo uomini perché possiamo conservare in noi quanto apprendiamo, ne possiamo fare oggetto del pensiero, lo possiamo sperimentare. Grazie a tutto questo siamo gli uomini che in effetti siamo. Possiamo fare qualcosa di buono nell’esistenza sensibile perché apprezziamo la facoltà di trattenere quanto sperimentiamo nell’ambito della nostra personalità, della nostra individualità. Se non attribuissimo valore a ciò che sperimentiamo, diverremmo neghittosi e pigri e non raggiungeremmo nulla nel mondo. Sarebbe quindi superficiale dire che l’egoismo è da considerarsi dannoso in ogni caso. Nei suoi aspetti più sottili, esso rappresenta anzi la forza che fa progredire l’uomo nel mondo in cui è incarnato.

 

Pure, tutto ciò va deposto, va lasciato indietro; va lasciato indietro per la semplice ragione che è inadatto al mondo in cui dobbiamo entrare. Come la corporeità sensibile è inadatta ad essere immersa nel ferro fuso a 900°, così è inadatto per il mondo spirituale quello che chiamiamo il nostro sé con tutto quanto amiamo nel mondo ordinario. Va lasciato indietro, altrimenti si verificherebbe qualcosa di simile a quel che accadrebbe al corpo fisico nel ferro fuso a 900°. Non potremmo reggere, saremmo distrutti.

 

Potrà ora sorgere un pensiero che è del tutto naturale, ma che va afferrato e sentito nella sua profondità: se depongo tutto ciò che sono, ciò di cui si parla nell’esistenza sensibile, che cosa rimane di me? sarò ancora io ad entrare nel mondo spirituale, dopo aver deposto me stesso? L’uomo non può realmente portare seco nei mondi soprasensibili nulla di quanto sa di se stesso, può solo portarvi qualcosa di cui nel mondo ordinario non sa nulla. Sono gli elementi della vita celati nella profondità della sua anima dei quali non sa nulla; essi devono essere tanto vigorosi da potergli fornire tutto ciò che gli è necessario dopo essersi spogliato di quanto ha conoscenza. Per bene afferrare questo pensiero, o meglio questa sensazione, lo si colleghi con il pensiero usuale della morte. Nella comune vita sensibile è del tutto naturale che l’uomo ami quello che può chiamare il proprio essere, e poiché null’altro conosce di sé, la sua aspirazione all’immortalità mira alla conservazione di quel che ama nell’esistenza sensibile. Perciò in lui può sorgere un gran terrore di fronte al mondo spirituale, un grande spavento di quel mondo, quando gli si affaccia il pensiero: ora entri in una sfera indeterminata priva di essenza, e ignori se ti sarà possibile conservare te stesso, poiché ciò di cui tu sai è perduto per te.

 

Sollevare nell’ambito della coscienza già durante la vita sensibile gli elementi che giacciono nelle profondità dell’anima fa però parte dei compiti dell’iniziazione. Questo avviene in parte con i mezzi indicati nel libro L’iniziazione; essi valgono a sollevare dalle profondità dell’anima e a rendere coscienti talune esperienze che si presentano allora come vita animica condensata, rinvigorita. Tale vita animica rafforzata, della quale altrimenti non si sa nulla, può penetrare nel mondo spirituale. Mediante esercizi di concentrazione e di meditazione, mediante ciò che ne Il Guardiano della soglia vien chiamato «condotta animica permeata di rinvigorito pensiero» ci prepariamo quindi a portare qualcosa nel mondo spirituale, a poter essere qualcosa anche in quel mondo. Ma che cosa avviene di quel che si è deposto?

 

È un problema molto importante. In un primo tempo, volendo ricorrere a un’immagine netta, evidente, si può realmente dire: al limite ove si erge il Guardiano della soglia, ciò di cui si può parlare, di cui si può aver conoscenza nel mondo dei sensi, va deposto come si deporrebbero delle vesti, e si entra nel mondo spirituale animicamente spogli. L’immagine è giustissima. L’iniziazione richiede però che non avvenga solo questo, essa richiede anche dell’altro: richiede sì che si deponga il proprio sé con tutto quanto vi è connesso, ma che qualcosa tuttavia si porti con sé. Altrimenti si perderebbe ogni nesso con l’esistenza che prima era la sola conosciuta. Qualcosa si deve dunque portar seco! Ci troviamo di fronte a una contraddizione, tuttavia facile da risolvere. Dobbiamo cioè lasciar tutto, ma di quel tutto dobbiamo tuttavia prender qualcosa con noi. Un paragone con la vita ordinaria chiarirà agevolmente di che cosa si tratti, che cosa l’anima senta quando attraversa questo processo.

 

Anche nella vita ordinaria esiste un processo analogo a quello che vogliamo qui chiarire, sebbene quest’ultimo venga sentito con un’intensità, una forza, una veemenza molto maggiori. Intendo il ricordarsi di quanto abbiamo sperimentato nella vita. Lasciamo dietro di noi le vicende attraversate ieri, ma nel ricordo le conserviamo ancora. Ciò che importa è prepararsi con precedenti esercizi di meditazione e concentrazione, in modo che, al momento in cui varchiamo la soglia dei mondi spirituali, in noi vi sia la forza di trattenere in forma di ricordo, di ricordo soprasensibile, quanto abbiamo lasciato indietro. Senza adeguata preparazione, non si ha la forza di ricordare, ma allora per la propria coscienza non si è più nulla, poiché nulla si conosce di se stessi. Nel mondo spirituale ci si ricorda dunque di quanto si è lasciato indietro grazie alla memoria soprasensibile. Null’altro si può portar seco nel mondo spirituale, ma essa conserva quella che potrebbe esser chiamata la continuità, la conservazione del proprio sé. Anche nella vita ordinaria chi abbia cancellato dalla memoria, chi abbia patologicamente dimenticato molto di ciò di cui dovrebbe ricordarsi, perde l’unità della coscienza, e quindi il proprio vero sé. Nella vita ordinaria molto dipende dalla continuità del ricordo, ma nell’esistenza soprasensibile il ricordo della vita ordinaria rende possibile i primi passi verso l’iniziazione. Quel ricordo è appunto possibile; esso viene conseguito grazie agli esercizi per l’iniziazione. Partendo da quanto abbiamo ora veduto, potremo ora tornare all’enigma della morte.

 

Quando si varca la porta della morte, non si hanno le stesse forze che si acquistano con l’iniziazione, ma quando si depone il proprio corpo, si ricevono tuttavia certe forze che vengono largite da altri esseri del mondo soprasensibile che ci aiutano. Riceviamo la possibilità di conservare il ricordo di quanto si era dimenticato deponendo il corpo. A questo punto possiamo rispondere in modo reale alla domanda: che cosa rimane delle esperienze della mia anima dopo che sono passato per la porta della morte? come continua a vivere l’anima? È la domanda più importante, e l’esperienza degli iniziati ce ne dà la risposta: l’anima continua a vivere perché nei suoi profondi sostrati risiedono forze capaci di trattenere nel ricordo ciò che essa ha prima sperimentato. Essere immortali significa aver la forza di trattenere nel ricordo l’esistenza passata. Questa è la vera definizione dell’immortalità umana. Con l’iniziazione vien conseguita la prova, la sperimentata prova che nell’uomo vivono forze le quali, dopo che il corpo fisico è stato deposto, sono in grado di ricordare tutto quanto si è in genere vissuto nell’esistenza sensibile.

 

Così l’uomo conserva se stesso nell’avvenire,

sperimenta come ricordo la propria esistenza passata in quella che la segue.

 

Si senta tutta la potenza del pensiero che risulta dall’iniziazione e che può così venire espresso: l’essere umano è tale che, con le forze del ricordo soprasensibile, porta il proprio essere attraverso i tempi futuri. Sentendo questo pensiero, sentendolo entro il vuoto dell’universo in modo da pensare l’anima che porta se stessa attraverso l’eternità, si avrà della cosiddetta monade una definizione molto migliore di tutte quelle che potrebbero venir date da concetti filosofici. Si sentirà infatti che cosa sia una monade, un essere conchiuso in un sé che in sé si sostiene. Ma di queste cose si possono avere pensieri adeguati solo con le esperienze iniziatiche.

 

Fin qui ho descritto un solo aspetto di quelle esperienze; dobbiamo ora considerare in modo più preciso i primi passi dell’iniziazione per avvicinarci con sentimento a quant’altro potrà fornirci giusti pensieri al riguardo. Supponiamo che con un’attività animica pervasa di vigoroso pensare, vale a dire con la meditazione, qualcuno sia arrivato a percepire fuori della corporeità fisica; sia in primo luogo arrivato a percepire con il corpo elementare o eterico. Egli sperimenterà dunque con il corpo che come abbiamo visto è congiunto più strettamente al cervello e meno alle mani, sperimenterà il sentirsi nel corpo elementare, perché avrà il sentimento: tu ti dilati, ti espandi nelle ampiezze cosmiche. Così è il sentimento soggettivo. Non è però un espandersi indeterminato, privo di essenza, ma è anzi vita concreta. Si vive in ogni sorta di realtà concrete, e nell’espandersi si fanno ben precise esperienze. Vi è soprattutto un sentimento che, salvo circostanze del tutto particolari, ai primi passi dell’iniziazione non sarà risparmiato a nessuno. È l’esperienza del timore, della paura, l’esperienza come di essere nell’universo e non avere il terreno sotto i piedi: è un’angoscia dell’anima. Sono le esperienze interiori che si attraversano. Ve ne è un’altra, ancora più importante.

 

Quando nella vita ordinaria pensiamo, ci facciamo delle rappresentazioni, un pensiero ne evoca un altro e ai pensieri si collegano forse sentimenti, desideri, moti di volontà e così via. In una sana vita animica potremo sempre dire: io penso la tal cosa, sento la tal altra. L’impossibilità di simile riferimento significherebbe infatti un’interruzione, un’alterazione della sana vita animica. Penetrando nel corpo elementare o eterico, ci si dilata, ma si dilatano anche i pensieri. Si perde il senso di essere in se stessi quando si pensa, e si ha il sentimento di espandersi nel mondo elementare, il quale è tutto pervaso di pensieri che pensano se stessi. È un’esperienza! È come se si fosse spenti, e i pensieri si pensassero da loro stessi, come se i sentimenti che si hanno, o che le cose hanno, sentissero se stessi, come se non si volesse noi stessi, ma come se tutto in noi si risvegliasse al volere. Si ha il sentimento di essere abbandonati all’oggettività, al mondo, ma di regola, e anche questa è un’esperienza dei primi passi dell’iniziazione, a quel sentimento se ne aggiunge un altro. Nella stessa misura in cui ci dilatiamo, in cui i pensieri pensano e i sentimenti sentono se stessi, la nostra coscienza s’indebolisce, si smorza, il sapere s’intorpidisce.

 

Quando si presentano queste esperienze è necessario che nell’anima si verifichi un processo ben preciso, è necessario che l’anima le afferri con la maggior chiarezza possibile. Per questo ho esposto, se non le stesse cose, tuttavia altre analoghe che si muovono nella stessa direzione, nel libro Una via per l’uomo alla conoscenza di se stesso. Sarà utile porre queste conferenze in connessione con quel libro.

 

Deve intervenire un ben determinato atteggiamento animico che noi stessi dobbiamo sollecitare, simile a quello descritto ieri. Si deve cioè esercitare l’autocoscienza, cercare senza indulgenze o riguardi di porsi davanti i propri grossolani difetti, così da vedere quanto si sia lontani dai grandi ideali umani e da sentire quanto poco si corrisponda a quegli ideali. In intensa meditazione, con intensa forza di pensiero bisogna dunque guardare alle proprie manchevolezze morali o di altra natura. Così facendo, ci si rinvigorisce. E quel che già impallidiva, che accennava a scomparire, come se volesse scomparire in un’impotenza animica, riappare, si ravviva, si ricomincia a vederlo. A questo punto si presenta però una nuova esperienza che può venir descritta con parole semplici, ma che ai primi passi dell’iniziazione sconcerta, opprime. Sono parole dette per la vita dell’anima, ma non per quella del corpo, poiché chi è stato guidato in modo giusto nel mondo spirituale ha anche ricevuto gli insegnamenti e non si potrà parlare di pericoli corporei. Osservando fedelmente i consigli ricevuti, nella vita quotidiana si potrà continuare ad essere gli stessi di prima, anche se nell’anima si alternano ondate di pena, di dolore, di delusione, e forse anche presagi di beatitudine.

 

Tutto ciò va sperimentato, perché racchiude i germi della veggenza, della conoscenza superiore. Mentre così si impara a osservare, percepire e sperimentare fuori del corpo fisico, mentre si perviene a vivere nel corpo elementare, si sa che nel mondo elementare si entra nel modo indicato, e facendo appunto quello che è stato indicato si impara a conoscere la ragione per cui il mondo elementare scompare in una specie di impotenza. In parole povere si direbbe che quel mondo non ci tollera, non ci trova adatti. Il suo spegnersi e svanire è semplicemente il manifestarsi dell’opposizione al nostro accesso. Ma rimproverandosi i propri errori, ci si rafforza, e così si rischiara ciò che già andava svanendo. Se ne ha di conseguenza il preciso sentimento: intorno a te vi è un mondo soprasensibile di natura elementare, ma tu puoi solo penetrarvi fino a una certa misura; esso ti accoglie solo nella misura in cui la tua forza intellettiva e quella morale si accrescono; non altrimenti, e quel mondo te lo mostra svanendo davanti a te.

 

Questi sono i sentimenti di tensione, di oppressione che si presentano, i sentimenti da cui talvolta siamo anche lacerati; questa è in certo senso la lotta per il mondo spirituale e la coscienza della propria indegnità nei suoi confronti. Continuando però energicamente nell’esame di se stessi e in un’attività animica di vigoroso pensiero, continuando cioè a praticare la meditazione, la concentrazione e a compenetrarsi di impulsi morali, si penetra sempre di più nel mondo elementare. La penetrazione nel mondo elementare è però solo il primo gradino dell’iniziazione. Volendo parlare del gradino successivo, occorre richiamare l’attenzione su un fenomeno molto singolare che non ha quasi corrispondenza nell’esistenza sensibile.

 

L’elemento in cui l’uomo vive quando è in grado di percepire etericamente è il suo corpo elementare. Egli però lo aveva già prima. La differenza fra il corpo elementare prima e dopo il conseguimento dell’osservazione soprasensibile, è solo che con l’iniziazione esso è per così dire stato risvegliato. Mentre prima dormiva, dopo è ridestato. È in sostanza la più calzante caratterizzazione che si possa usare. Occorre però rilevare un fatto: quando, grazie ai procedimenti applicati alla vita della propria anima, si è acquistata la facoltà di vedere determinati processi o determinati esseri del mondo elementare, bene, si vede appunto quell’essere. Supponiamo che la preparazione abbia portato fino al punto di vedere un certo essere e poi forse ancora un secondo. Se la forza rimane immutata, il primo o il secondo essere si paleseranno probabilmente sempre di nuovo. Non è questa la difficoltà, ma non si vedrà con facilità qualcosa d’altro.

 

Se per un certo tempo si interrompe il rapporto col mondo elementare e poi lo si riprende, si vedranno sempre di nuovo le stesse cose. In breve, le condizioni del mondo elementare sono diverse da quelle del mondo sensibile. In quest’ultimo, con occhi giustamente organizzati si vede tutto, con orecchie giustamente organizzate si ode tutto. Così non è nel mondo elementare: per ogni sua parte e per ogni categoria di esseri, si devono sempre di nuovo preparare le relative parti del corpo elementare. Tutto in quel mondo va fatto oggetto di particolare ricerca; per ogni singolo essere il corpo eterico va sempre di nuovo ridestato. Si stabilisce infatti una relazione, una parentela con ciò che fu una volta veduto e per cui si è risvegliato il corpo eterico, ma occorre suscitarne sempre di nuove. Il corpo eterico da solo non lo potrebbe: esso non si padroneggia, e può solo tornar sempre verso il medesimo essere o attendere fino a quando sia stato preparato a vederne altri. Chi abbia percorso i primi passi sulla via dell’iniziazione e sia arrivato a vedere dati esseri o processi, non è dunque ancora in grado di orientarsi nel mondo soprasensibile; non avendo accesso a tutti gli esseri, non può raffrontarli fra loro.

 

Per orientarsi, per non doversi limitare a guardare, ma poter con sicurezza dire: questo è quel dato essere, quello è quel dato processo occorre poterli confrontare con altri, muovere dall’uno all’altro, orientarsi. Tutto ciò va prima imparato, e lo si impara quando, grazie a una continua disciplina meditativa e un’accresciuta moralità, si sentono aumentare le forze che, nel loro modo di esplicarsi, appaiono assai singolari. Per descriverle, si deve ricordare che il corpo elementare esiste sì anche nella vita ordinaria, ma che dorme e che occorre destarlo per la percezione soprasensibile. L’anima deve però possedere le forze per destarlo. Lo si sperimenta in un modo del tutto particolare che posso chiarire solo con un paragone.

 

Supponiamo di dormire e di sapere: nel letto giace il tuo corpo; tu non puoi muoverlo, ma sei conscio che è lì. Tu entri frattanto in un mondo spirituale e dopo qualche tempo ritorni per svegliarlo. Questo può avvenire in modo cosciente, ma nella vita ordinaria accade in modo incosciente. L’uomo attraversa in effetti questo processo; riguardo alla corporeità, egli passa dal sonno alla veglia ed è lui stesso che si risveglia; solo non ha coscienza di essere lui stesso a svegliare il suo corpo. Fin dai primi passi dell’iniziazione ne ha però coscienza. Si sa dunque realmente di avere il proprio corpo elementare e si sente: questa è la sua parte più strettamente vincolata e corrisponde al cervello fisico, quell’altra parte è più mobile e corrisponde alle mani, quell’altra lo è ancora di più (potrà apparire paradossale) e corrisponde ai piedi. Si sanno tutte queste cose, ma esse dormono nell’intimo. Mentre avanziamo nel nostro sviluppo e facciamo i necessari esercizi animici penetrando così sempre più nel mondo spirituale, si verifica un continuo risveglio.

 

Ora vien destata una data parte e ora un’altra; ora viene suscitato un dato movimento e ora un altro. In breve si tratta di un cosciente risveglio del corpo elementare, tanto che si potrebbe parlare di un suo stato di sonno, ed è la sua condizione ordinaria, e di uno stato di veglia in cui lo si porta con l’iniziazione. La differenza tra corpo fisico e corpo elementare riguardo a sonno e veglia è che nel corpo fisico queste due condizioni si susseguono, nel corpo elementare non si susseguono, ma sono contemporanee. Sulla via dell’iniziazione può così accadere che, con i primi risultati, taluno svegli molto la parte elementare corrispondente alla testa, mentre quella che corrisponde alle mani o ai piedi dorma ancora profondamente. Mentre nel corpo fisico avviene che una volta dorma e un’altra sia sveglia, nel corpo elementare le parti deste e quelle addormentate sono le une accanto alle altre. Il progresso consiste nel destare un numero sempre maggiore di parti dormenti. È questo che viene fatto in realtà.

 

Se l’uomo non fosse un essere spirituale, il paragone che ho fatto non sarebbe possibile: egli non potrebbe avere il proprio corpo fisico disteso nel letto e assistere al suo risveglio da lui stesso provocato. L’anima è però indipendente da tutto ciò che viene risvegliato. Non è il corpo eterico che risveglia pezzo per pezzo, ma qualcosa d’altro. Se si afferra il concetto: nella tua anima qualcosa esercita un potere sul corpo elementare e lo risveglia pezzo per pezzo, se lo si afferra, si ha una concreta e giusta rappresentazione di quello che viene chiamato corpo astrale. Vivere nel corpo astrale, sperimentarsi nel corpo astrale, significa anzitutto sentirsi come in un’interiore «entità di forza» capace di risvegliare a vita cosciente il corpo elementare, un pezzo dopo l’altro. Esiste dunque una condizione che può venire indicata dicendo: ci si sperimenta ora fuori del corpo fisico, però non solo nel corpo elementare, ma nel corpo astrale.

 

Per ben comprendere questo passo sulla via dell’iniziazione occorre comprendere ciò che si può sperimentare solo interiormente quando ci si desta nel proprio corpo elementare. Ho già descritto quel che si sperimenta nel corpo elementare o eterico: ci si dilata, ci si espande; è questo il sentimento concreto che si prova. Il sentimento principale è quello di uscire dal corpo fisico, di dilatarsi sempre più e di effondersi nelle ampiezze dell’universo. L’inserirsi nel corpo astrale e il vivere in modo cosciente in ciò che pezzo per pezzo risveglia il corpo eterico, è ancora legato con qualcosa d’altro, col balzar fuori da sé e afferrare qualcosa che è fuori, non solo col dilatarsi di quanto esiste. Vivendo nel corpo elementare si sa d’essere ancora uniti con quello fisico. Vivendo invece nel corpo astrale si sente: è come se tu prima fossi vissuto in te stesso, per poi uscirne e penetrare in qualcosa di diverso, è come se ora il tuo corpo fisico, e forse anche il corpo eterico, fossero un po’ fuori di te; sei qualcosa in cui prima non eri, e ora il tuo corpo fisico è diventato per te un oggetto, non è più il tuo soggetto, lo osservi da fuori.

 

Questo balzo fuor di se stessi, questo osservarsi da fuori, è il trapasso alla vita nel corpo astrale. Quando si arriva a questo punto e si è fatto quel balzo e si sa: quello ora sei tu, ti guardo come prima guardavo una pianta o una pietra, si prova anzitutto un sentimento del quale si può dire che ai primi gradini del cammino non viene risparmiato ad alcun iniziando. Questo è il sentimento: tu sei ora nel mondo soprasensibile; esso si estende all’infinito. Non si può neppure dire che si estende «da tutti i lati», perché ha molti più lati e tutt’altre dimensioni che non il mondo sensibile. In quel mondo si è però soli. Con la propria vita si è nel corpo astrale, e ovunque si stende il mondo, un’espansione infinita, in nessun luogo un essere: si è soli! Si è sopraffatti da quello che animicamente può venir chiamato il massimo senso di solitudine.

 

È importante sopportare quei sentimenti, poterli sperimentare, perché dal loro superamento derivano le forze che portano avanti, che diventano forze di veggenza. Diventa cosi altamente reale ciò che ho tentato di concentrare in poche righe nel dramma Il Guardiano della soglia, là dove Maria conduce Giovanni negli sconfinati campi di gelo in cui l’anima umana è sola, tutta sola. In quella solitudine si deve attendere, attendere con pazienza. Molto dipende, per questo saper attendere, dall’essersi conquistati forza morale bastante per attendere, poiché ora avviene qualcosa per cui si può dire: sì, sei tutto solo nell’immensità, ma in te sorgono come dei ricordi che però non sono veri ricordi. Dico «come dei ricordi però che non sono veri ricordi», perché nella vita ordinaria ci si rammenta di cose alle quali si è assistito, che si sono sperimentate. Ora però pensiamo che dall’intimo dell’anima sorgano immagini che esigono di essere riferite a qualcosa. Però non le abbiamo mai sperimentate. Sappiamo che quelle immagini si riferiscono a esseri al cospetto dei quali mai fummo. Tale intimo affiorare di un mondo che si ignorava, ma del quale si sa: tu lo porti in te, sono immagini di quel mondo, è la successiva esperienza sul cammino dell’iniziazione.

 

Segue l’esperienza singolare che con quelle immagini è possibile stabilire delle relazioni, che le si può amare e odiare, che si possono provare sentimenti di venerazione per una e sentimenti d’orgoglio per un’altra. Non si destano dunque soltanto immagini, pensieri, ma anche sensazioni e sentimenti soprasensibili e fluttuanti. Si è del tutto soli, soli col proprio mondo interiore che va sorgendo. All’inizio si ha solo cognizione di un’indeterminata oscurità generale, ma si hanno vivi rapporti col mondo interiore che sorge in noi.

 

Prendiamo un esempio caratteristico. Una delle immagini che affiorano suscita in noi amore; siamo davanti a una forte tentazione. È una terribile tentazione: quella di amare qualcosa che è in noi. Siamo cioè esposti alla tentazione di amare quell’immagine perché essa ci appartiene; bisogna ora agire con ogni forza per non amare quell’essere perché è in noi, ma per quello che è sebbene sia in noi. Abbiamo il compito di spogliare di ogni carattere egoistico quel che vi è nel nostro sé. È un compito difficile col quale nessun fatto animico nel mondo sensibile ordinario può venir confrontato. Nella vita sensibile ordinaria non è possibile che si ami con totale distacco quel che è in noi, ma lassù lo si deve fare. Poiché si irradia l’essere con la forza dell’amore anch’esso emana forza, e si nota quindi che vuol uscire dalla nostra interiorità. Si osserva inoltre: quanto più amore possiamo dare, tanto più cresce la forza per rompere qualcosa che è come un involucro e per uscire nel mondo. Anche quando si odia si produce della forza che provoca tensione, che preme e si fa strada con forza, come se i polmoni o il cuore volessero spingersi fuori attraverso la pelle. Questo avviene per ogni rapporto di odio e di amore. La differenza fra le due esperienze è che amando senza egoismo l’immagine si allontana, ma sentiamo che ci porta seco, che percorriamo la sua stessa via. Ciò che invece odiamo, o di fronte a cui siamo superbi, strappa l’involucro, si allontana e ci lascia in solitudine.

 

A un certo gradino sulla via dell’iniziazione, questa differenza viene molto sentita: si viene presi o lasciati indietro. Quando si viene presi si ha la possibilità di giungere fino all’essere prima sperimentato nella sua immagine. Lo si conosce. Con l’affiorare di immagini di esseri che non conoscevamo ancora e con i quali si entra ora in contatto, si esce da se stessi e si perviene a tutto il complesso di esseri che si impara a conoscere in un secondo mondo spirituale. Ci si ambienta così nel mondo di solito chiamato devacianico, nel vero e proprio mondo spirituale, e non solo in quello astrale. È difatti un errore credere che, attraverso il corpo astrale appena descritto come il risvegliatore del corpo eterico, l’uomo entri nel mondo astrale; egli entra ora nel vero mondo spirituale, in quello che nel mio libro Teosofia è chiamato mondo spirituale, dove si trova di fronte a esseri spirituali.