L’io che abbiamo come uomini non è che l’idea, la rappresentazione dell’io.

O.O. 137 – L’uomo alla luce di Occultismo, Teosofia e Filosofia – 7.06.1912


 

Quando parlate ad altri di voi, siete soliti impiegare la parola “io”, e con questo “io” intendete appunto indicare tutto ciò che ha tenuto assieme la vostra coscienza durante il corso della vostra vita terrena. Ed è questo sentimento fondamentale dell’io che ha spinto molti filosofi del passato e molti ancora oggi a indicare l’io come punto di partenza, quando si affronta il discorso sull’uomo e sulla sua natura.

 

Si potrebbe dire, se solo si esamina la filosofia più recente, che in essa si riaffaccia sempre insistente il bisogno di prendere l’io come punto di partenza. Da Fichte fino a Bergson – se esaminiamo soltanto questa epoca più recente – ovunque si trova il tentativo di prendere le mosse dall’io. Questa tendenza ha dato risultati importanti, degni di approfondimento. Ma in chi desidera andare più in profondità fa capolino ad un tratto anche un altro pensiero.

 

Sorge l’idea: “Tu parli sempre del tuo io, sei convinto che esso sia proprio ciò che permane stabile nella vita terrestre; ma lo conosci, questo io? Sapresti in qualche modo descriverlo, indicarlo?” Chi rifletta seriamente a proposito, si accorgerà che l’io non è così permanente come gli appare, perché la vita confuta qualsiasi pura filosofia dell’io, quando i suoi seguaci parlano di un io duraturo che essi si propongono di conoscere. Ogni notte l’uomo, dormendo, confuta senz’altro l’idea dell’io permanente, perché quando si dorme l’io è spento.

 

Quando parliamo così del nostro io commettiamo dunque una sorta di errore. Noi riflettiamo sulla nostra vita, ma ciò di cui sappiamo con certezza che ci appartiene, il nostro io, lo dimentichiamo involontariamente di notte, durante lo stato di sonno, perché in quella condizione non ne sappiamo più nulla. La riflessione sul proprio io ci mostra dunque una linea interrotta, discontinua.

 

Per quale ragione abbiamo questa linea interrotta che tronca continuamente la coscienza dell’io?

Essa deriva dal fatto che l’io che abbiamo come uomini non è che l’idea, la rappresentazione dell’io.

E poiché tutte le rappresentazioni sprofondano durante il sonno nell’incoscienza, vi sprofonda anche l’idea dell’io.

 

Essa viene sommersa con tutto il resto. Il fatto appunto che questo io sprofonda con il mondo delle rappresentazioni ci dimostra che l’io consueto – e il filosofo non ha logicamente che la sola rappresentazione dell’io – non è in noi che un riflesso di qualcosa, di cui parliamo quando diciamo “io”, ma che ci si palesa soltanto in immagine.

 

Questa parte permanente della vita della nostra anima, quest’io con la sua conoscenza, non ci si offre dunque come un punto di partenza occulto effettivo, perché dapprima non viene dato che come immagine, esiste solo come un’immagine. La vita della nostra anima è però un’immagine di genere peculiare, un’immagine veramente strana, da cui possiamo dedurre una conseguenza. Vi sono veramente molte immagini, nella vita della nostra psiche, molte rappresentazioni. Come penetrano nella vita psichica dell’uomo terrestre? Penetrano in essa per il fatto che vi sono oggetti attorno a lui.

 

Se esaminate bene la coscienza, se esaminate la vostra vita psichica rappresentativa

– e questa è la coscienza – troverete ovunque

che ciò che si fa valere come rappresentazione, ciò che riempie la coscienza,

viene stimolato dalle cose esterne: è immagine delle cose esterne.

Questa è la ragione per cui ci rappresentiamo una cosa o l’altra.

 

È evidente che essa consiste nel fatto che le cose esterne ci stimolano.

Se non vi fossero, non potremmo rappresentarcele.

Ma in quanto alla rappresentazione dell’io, all’immagine meravigliosa dell’io,

si tratta di una cosa assolutamente speciale.

 

Cercate fuori nel mondo un oggetto che stimoli in voi la rappresentazione dell’io.

Non ne troverete alcuno. Non ce n’è alcuno.

 

La differenza fra la rappresentazione dell’io, l’immagine dell’io, quando l’abbiamo soltanto come immagine,

e le altre rappresentazioni,

sta nel fatto che queste ultime possiamo riferirle a oggetti, ma la rappresentazione dell’io no.

 

Nella cerchia più vasta della nostra vita esteriore non può dunque esistere ciò che esiste nella rappresentazione dell’io,

ciò che viene espresso dalle parole “io sono”.

Dobbiamo dunque dire che ci troviamo di fronte a qualcosa di sconosciuto,

che non si trova nel mondo esterno, almeno per il modo in cui esso si presenta all’uomo terrestre.

 

L’io è qualcosa di assolutamente peculiare.

Se si potesse afferrarlo interiormente e comprenderlo, come credono di poter fare molti intuizionisti, fra i quali ad esempio Bergson, se se ne potesse comprendere qualcosa di più della semplice immagine, allora si potrebbe dire che veramente in esso si trova poca realtà terrestre, ma che tuttavia vi si trova qualcosa.

Ma l’io, non si può proprio afferrarlo. Non vi si può arrivare.

 

Ciascuno però può sapere di esso qualcosa che in certo modo può servire da punto di appoggio,

come il punto cercato da Archimede per la leva con cui avrebbe sollevato la Terra dai suoi cardini.

Una cosa ci può essere di aiuto,  se dirigiamo l’attenzione della nostra anima all’io.