L’io è quell’essere che non ha bisogno di organi esterni per percepire

O.O. 13 – La scienza occulta nelle sue linee generali – (III)


 

Nei primi tempi dopo la morte gli avvenimenti del passato appaiono riassunti in un quadro mnemonico.

Dopo essersi separato dal corpo eterico, il corpo astrale prosegue da solo il suo viaggio.

Non è difficile comprendere che nel corpo astrale rimane tutto ciò che, per effetto della sua propria attività,

esso ha fatto proprio durante il suo soggiorno nel corpo fisico.

 

L’io ha elaborato fino ad un certo grado il sé spirituale, lo spirito vitale e l’uomo-spirito.

Per quel tanto di sviluppo che hanno raggiunto,

essi non debbono la loro esistenza agli organi dei diversi corpi, bensì all’io.

E l’io appunto è quell’essere che non ha bisogno di organi esterni per percepire,

né per rimanere in possesso di ciò che ha unito a sé.

 

Si potrebbe opporre: « Come mai, durante il sonno, non si ha percezione alcuna del sé spirituale, dello spirito vitale, dell’uomo-spirito sviluppati? » — Perché fra la nascita e la morte, l’io è incatenato al corpo fisico. Anche se durante il sonno esso si trova insieme al corpo astrale fuori del corpo fisico, pur tuttavia rimane strettamente collegato ad esso, perché l’attività del suo corpo astrale è rivolta al corpo fisico.

 

Per tale fatto l’io, con la sua percezione, si trova indirizzato al mondo sensibile esteriore, e non può accogliere le rivelazioni spirituali nella loro forma diretta. Soltanto con la morte queste rivelazioni riescono accessibili all’io, perché per mezzo di essa l’io si libera dalla sua unione col corpo fisico e col corpo eterico.

 

Nell’istante in cui l’anima è tratta fuori dal mondo fisico, che ne vincola l’attività durante la vita,

si illumina per essa un altro mondo.

 

Vi sono però ragioni per le quali anche in tale momento non cessa per l’uomo ogni legame col mondo esteriore dei sensi. Perdurano infatti alcune brame che mantengono quel legame; brame che l’uomo stesso crea in sé con l’acquistar coscienza del suo io, come quarta parte costitutiva del suo essere. Quei desideri, quegli appetiti, che derivano dall’essenza dei tre corpi inferiori, possono agire soltanto nel mondo esteriore, e la loro azione cessa quando quei corpi sono deposti. La fame è cagionata dal corpo esteriore, e non si fa più sentire quando questo non è più unito con l’io.

 

Se l’io dunque avesse solo i desideri derivanti dalla propria essenza spirituale, dopo la morte egli potrebbe trovare pieno soddisfacimento nel mondo spirituale in cui viene trasferito. Ma la vita gli ha dato anche altri desideri, accendendo in lui la tendenza a piaceri che si possono soddisfare solo col mezzo di organi fisici, sebbene essi non provengano dalla natura stessa di quegli organi. Non i tre corpi soltanto domandano il loro appagamento dal mondo fisico; anche l’io trova in quel mondo piaceri, per soddisfare i quali non esistono mezzi adeguati nel mondo spirituale.

 

L’io ha due specie di desideri durante la vita.

• Quelli che provengono dai corpi e debbono esser soddisfatti nell’ambito di essi,

ma che cessano al momento del loro disgregarsi;

• e quelli che derivano dalla natura spirituale dell’io.

 

Finché l’io dimora nei corpi, anche quei desideri vengono soddisfatti mediante gli organi corporei,

poiché nelle manifestazioni degli organi corporei agisce la spiritualità nascosta,

e i sensi accolgono qualcosa di spirituale con tutto ciò che percepiscono;

questo elemento spirituale, pur sotto altra forma, sussiste dopo la morte,

e tutta la spiritualità che l’io ha vagheggiato nel mondo dei sensi gli rimane anche quando i sensi non esistono più.

 

Ora, se non si dovesse aggiungere una terza specie di desideri alle due già accennate, la morte sarebbe solo un passaggio da desideri che si possono appagare a mezzo dei sensi, a desideri che trovano il loro soddisfacimento nelle rivelazioni del mondo spirituale. Questa terza specie di desideri è costituita da quelli che l’io ha creati in sé durante la sua vita nel mondo dei sensi, perché in questo trova piacere, anche quando esso non gli riveli nulla di spirituale.

 

I piaceri più umili possono essere manifestazioni dello spirito.

La soddisfazione che prova un uomo affamato cibandosi, è manifestazione dello spirito,

poiché col prendere il nutrimento si crea quella condizione di cose

senza la quale, in un certo senso, la natura spirituale non potrebbe svilupparsi.

Ma l’io può andar oltre al piacere, che in questo caso è necessario.

 

Esso può desiderare un cibo saporito, a prescindere dal beneficio che può apportare allo spirito il fatto di nutrirsi.

Lo stesso si dica per altre cose del mondo dei sensi.

Vengono a crearsi così desideri che non si sarebbero mai palesati nel mondo dei sensi,

se in esso non si fosse incorporato l’io umano. Né tali desideri provengono dalla natura spirituale dell’io.

 

L’io deve avere desideri dei sensi finché vive nel corpo, anche a causa della sua natura spirituale,

perché lo spirito si manifesta nelle cose materiali, ed è dello spirito appunto che l’io gode,

quando si abbandona a quell’elemento del mondo sensibile attraverso cui traspare la luce dello spirito.

 

Nella gioia di questa luce continuerà a trovarsi

anche quando i sensi non saranno più il tramite dell’irradiazione spirituale.

Nel mondo dello spirito però non esiste appagamento dei desideri per i quali lo spirito già non viva nel mondo sensibile.

Con la morte cessa la possibilità di soddisfare desideri di tale natura.

 

Il piacere che si prova a mangiare cibi saporiti può sussistere in quanto esistano organi fisici atti a gustarli: palato, lingua, e così via. Ma l’uomo non li possiede più, dopo aver abbandonato il corpo fisico; se l’io richiede ancora questi piaceri, essi dovranno rimanere insoddisfatti.

 

Se un godimento fisico si conforma allo spirito, dura solo fino a che durano gli organi fisici,

ma se l’io lo ha creato senza porlo a servizio dello spirito,

esso rimane dopo la morte come desiderio che invano cerca soddisfazione.

 

Ci facciamo un’idea di ciò che si prova in quelle condizioni, raffigurandoci un uomo che soffra di sete ardente in una regione in cui per lungo e per largo non sia possibile trovare una stilla d’acqua. Così succede all’io dopo la morte, in quanto nutre in sé desideri non ancora spenti per i piaceri del mondo esteriore, e non possiede più gli organi atti a soddisfarli. Naturalmente quell’ardentissima sete, presa a paragone per lo stato dell’io dopo la morte, dobbiamo immaginarla intensificata a dismisura, e rappresentarcela estesa a tutti i diversi desideri ancora esistenti per i quali manca ogni possibilità di appagamento. Il passo successivo dell’io consiste nel liberarsi dal legame di attrazione con il mondo esteriore.

 

Ci si trova allora di fronte a un mondo che la conoscenza soprasensibile può indicare col nome di « fuoco divoratore dello spirito ». Questo fuoco divora i desideri dei sensi che non sono espressione dello spirito. Le descrizioni che la conoscenza soprasensibile dà a questo riguardo possono sembrare terribili e sconfortanti. Può apparire invero spaventevole che una speranza, la cui realizzazione richiede organi sensori, dopo la morte debba trasformarsi in disperazione, e che un desiderio che può appagare soltanto il mondo fisico debba diventare una privazione torturante.

 

Ci si può attenere a questa opinione soltanto finché non ci si renda ben conto che

• tutti i desideri e le aspirazioni afferrati dal « fuoco divoratore » dopo la morte,

in senso superiore non rappresentano forze benefiche alla vita, bensì forze distruttive.

 

A mezzo di queste forze l’io si lega al mondo dei sensi

molto più di quanto non sia necessario a raggiungere il giusto scopo

di trarre da detto mondo tutto quanto può riuscirgli giovevole.

 

Il mondo dei sensi è la manifestazione del mondo spirituale che vi si nasconde dietro.

L’io non potrebbe mai godere della spiritualità,

nella forma caratteristica in cui questa può manifestarsi soltanto attraverso i sensi corporei,

se non volesse utilizzare questi ultimi per godere di quanto nel sensibile vi è di spirituale.

Nondimeno l’io di tanto si allontana dalla vera realtà spirituale del mondo,

per quanto nel mondo sensibile tende a desideri da cui lo spirito è assente.

 

• Mentre il piacere sensorio, come espressione dello spirito, significa elevazione, evoluzione dell’io,

• il piacere invece che non è espressione dello spirito significa decadenza ed immiserimento.

 

• Se si appaga un desiderio di tal natura nel mondo sensibile, il suo effetto nocivo sull’io tuttavia permane;

soltanto, prima della morte, esso non è percettibile all’io.

Nella vita, perciò, la soddisfazione di tali desideri può creare nuovi desideri simili,

e l’uomo non si accorge affatto che da se stesso si va avviluppando in un « fuoco divoratore ».

 

Dopo la morte diventa visibile semplicemente ciò che già durante la vita lo circondava,

e nel rendersi visibile si palesa al tempo stesso nelle sue conseguenze efficaci e benefiche.