L’io fra nascita e morte

O.O. 183 – Il divenire dell’uomo – 01.09.1918


 

Quando si parla del defunto, solo l’io va riconosciuto come sua componente originaria.

 

Ho detto che esiste un rapporto con l’io della vita terrena, ma non un’autentica affinità;

infatti, rispetto a come viene vissuto l’io fra la nascita e la morte,

il modo in cui si presenta quest’io post mortem è in realtà completamente diverso.

Fra la nascita e la morte l’io è in un certo senso qualcosa di fluido,

qualcosa che avverte in sé la capacità di cambiare ogni giorno.

 

Vi basti pensare a quanto sarebbe terribile, nella vita corporea fra nascita e morte, se non foste in grado di concepire un pensiero come questo:

• “Ieri ho fatto una qualche cattiva azione, ma posso ancora porvi rimedio, posso fare in cambio una buona azione”.

• O se, ancor giovani, doveste dire: “Ho imparato poco, ma non posso imparare più nient’altro”.

 

• Non c’è momento della vita compresa fra nascita e morte in cui l’io sia qualcosa di talmente solido

da non poter essere in qualche maniera modificato dall’interno grazie alla sua stessa forza di volontà.

Quanto sperimentiamo come io dopo la morte è qualche cosa di solidificato,

ha assunto date caratteristiche, che non possono più essere modificate sul momento; resta quello che è.

 

La trasformazione dell’io, di quell’io che nella vita fra nascita e morte fluisce di continuo,

in una forma solida, nella quale nulla può modificarsi, che resta quale si è formata nella vita:

ecco la cosa essenziale da tenere a mente per comprendere quest’io post mortem.

 

Dopo la morte non possiamo parlare di un’evoluzione,

come quella della quale dobbiamo invece parlare a proposito dell’io che vive fra nascita e morte.

Dopo la morte, l’io è in certo qual modo una forma spirituale solida,

che scaturisce dalla vista della morte stessa, e nulla in questo io può essere modificato.

• Si potrebbe dire, volendo esprimere la cosa in termini un po’ banali,

che l’uomo è condannato dopo la morte a considerare tutti i particolari della sua vita come qualcosa di solido.

 

Come noi, guardando al di sopra di un campo, vediamo in successione le coltivazioni vicine e quelle lontane, e, senza vedervi nulla di fluido, vi scorgiamo invece una forma solida, estesa, e soprattutto stabile, così abbracciamo con lo sguardo l’intero corso della nostra vita, senza tuttavia che ciò che viene prima sia mai cancellato da ciò che viene dopo, com’è nella vita del corpo fisico, e lo vediamo tutto quanto come un concreto campo stabile, nel quale non possiamo modificare proprio nulla con la sola vista.

 

Sarebbe veramente grave per il defunto se così non fosse;

il suo sguardo infatti, lo sguardo del defunto, è attratto in realtà da questo io prima e più di ogni altra cosa.

È come rapito in questo io.

E se questo io sparisse, per il defunto sarebbe proprio

come se, per il vivente, sparisse il mondo dei sensi che lo circonda.

 

Effettivamente il singolo uomo, nel suo io, è per se stesso altrettanto importante, se così posso esprimermi

— ma proprio così dicendo enunciamo un’importante verità —,

quanto l’intero mondo sensibile che abbiamo in comune come uomini lo è per l’uomo in questa vita fisica.

 

Si spalancherebbe un abisso gigantesco, l’abisso stesso del nulla,

se dopo la morte non fossimo capaci di tenere in vista l’io solidificato, l’io solidificato uscito dallo stato fluido.