L’«io sono l’io sono»

O.O. 55 – Il sangue è un succo molto peculiare – 25.10.1906


 

Gli esseri fino agli animali consistono di corpo fisico, corpo eterico o vitale, e corpo astrale.

L’uomo si eleva però al di sopra dell’animale grazie a qualcosa di particolare; persone riflessive hanno sempre sentito ciò che eleva l’uomo al di sopra dell’animale. Viene indicato in ciò che Jean Paul dice di se stesso nella sua autobiografia; egli ricorda con precisione che da bambino, nel cortile della casa paterna un pensiero gli attraversò l’anima: «Tu sei un ’io’, tu sei un essere che interiormente può dire ’io’ a se stesso». L’esperienza gli fece una grande impressione.

 

Tutta la cosiddetta psicologia corrente trascura quel che è importante in questo punto.

Consideriamo per qualche minuto con attenzione di che cosa si tratti.

Fra tutte le espressioni delle lingue moderne esiste una parolina che si distingue completamente da ogni altra parola. Di tutte le cose che ci circondano ognuno può dire il nome delle singole cose. Ognuno chiama tavola una tavola, e sedia una sedia. Esiste però una parola, un nome che nessuno può pronunciare se non riferendola a chi la pronuncia: è la parolina «io».

 

Nessuno può dire «io» a un altro.

L’«io» deve risuonare dal più profondo dell’anima stessa;

è il nome che solo l’anima stessa può attribuirsi.

Ogni altra persona è per me un «tu», e io stesso sono un «tu» per ogni altra persona.

 

• Tutte le religioni sentirono l’io come l’espressione di quella parte dell’anima

attraverso la quale l’anima stessa poteva far parlare la sua vera entità, il suo elemento divino.

 

Ivi comincia ciò che mai potrà penetrare in noi attraverso i sensi esteriori, ciò che mai potrà venir nominato da fuori nel suo significato, ma che solo potrà risonare dalla nostra interiorità. Ivi comincia il monologo dell’anima attraverso il quale il sé divino si annuncia nell’anima, quando si libera la via per il penetrarvi dello spirito.

 

Nelle antiche religioni, ancora fra gli antichi ebrei, si indicava questo nome come «il nome impronunciabile di Dio», e qualunque sia la traduzione della filologia odierna, l’antico nome del Dio ebraico altro non significa che ciò che oggi viene espresso con la parola «io».

 

Passava un fremito nelle file degli ascoltatori quando nel tempio risonava il nome «impronunciabile di Dio» detto dagli iniziati, quando veniva intuito che cosa si esprimeva con quella parola, quando nel tempio risonava l’«io sono l’io sono».

 

In questa parola si manifesta la quarta parte costitutiva dell’entità umana,

la parola che nell’ambito della sua esistenza terrena l’uomo ha per sé solo.

L’io racchiude in sé e costituisce in pari tempo il germe dei gradini superiori dell’uomo.