L’Iside egizia e la Madonna cristiana

O.O. 57 – L’eterno femminile (Ed. Archiati-Verlag) – 29.04.1909


 

Goethe ha affermato a più riprese che colui che si accosta ai misteri della natura viene attratto dalla più degna interprete di questi misteri: l’arte. Per primo, e per una vita intera, ha testimoniato in tutte le sue creazioni di considerarla come un’interprete della verità. È lecito però affermare che Goethe ha un modo di vedere le cose che ritroviamo come una convinzione comune a tutte le epoche dell’evoluzione umana.

Le arti sono come una varietà di linguaggi che servono ad esprimere, in modo più o meno conscio, certe verità che vivono nell’anima. Si tratta spesso delle verità o delle conoscenze più misteriose: quelle che non si possono esprimere in concetti rigidi o in formule astratte e che proprio per questo cercano la loro espressione nella rappresentazione artistica.

 

Oggi vogliamo occuparci di una di queste verità misteriose: una verità, appunto, che nel corso dei secoli ha cercato di manifestarsi tramite l’arte. Essa ha trovato anche una formulazione scientifica in alcune cerchie ristrette, ma in futuro potrà riscuotere simpatia in ambiti più vasti, grazie a una nuova scienza dello spirito.

Goethe seppe accostarsi con la sua anima a questa verità da lati sempre nuovi. In una conferenza da me tenuta tempo fa su Goethe, ho potuto mettere in rilievo un momento per lui importante in cui fece l’esperienza di questo mistero. Commentando il Faust, mi sono riferito a quel punto della vita di Goethe dove questi, immerso nella lettura di Plutarco, s’imbatte nell’episodio singolare di Nikias: costui voleva indurre una città cartaginese della Sicilia a venire a patti con i Romani, e venne perciò perseguitato. Durante la fuga si finse pazzo. Ma le parole che diceva – «Sono perseguitato dalle Madri, dalle Madri!» – indicano che non si trattava di una normale pazzia. In quel luogo esisteva infatti un cosiddetto “tempio delle Madri”, eretto in passato in circostanze misteriose, e si poteva perciò intuire a chi si riferisse l’espressione «le Madri».

 

Poiché Goethe, nella sua sensibilità, seppe cogliere la piena portata dell’espressione “le Madri”, intuì di slancio la forma artistica da dare alla nota scena nella seconda parte del Faust. Volendo esprimere qualcosa di sublime non trova di meglio che far scendere Faust nel regno delle Madri.

E che cosa rappresenta la discesa di Faust nel regno delle Madri?

Mefisto può dare a Faust solo la chiave di quel regno, ma non è in grado di entrare lui stesso nel luogo dove regnano le Madri. Mefisto è infatti lo spirito del materialismo: egli si avvicina all’uomo con le forze e i poteri dell’esistenza materiale. Il regno delle Madri per lui è il puro nulla. Faust invece, l’uomo spirituale, è colui che tende verso lo spirito e che sa rispondergli: “Nel tuo nulla io spero di trovare il mio tutto”.

 

Goethe procede poi a descrivere in modo singolarmente significativo il regno delle Madri. Di come esse vivano e operino in un mondo in seno al quale vengono formati i corpi del mondo visibile. Chi voglia penetrare fin dove vivono queste Madri, deve lasciar dietro di sé tutto ciò che accade nello spazio e nel tempo. «Formazione, trasformazione»: così vien definito l’operare in questo regno.

Le Madri sono Esseri divini misteriosi, regnano in un mondo spirituale che sta dietro la realtà sensibile. Solo se riuscirà a rivelare all’occhio della sua anima il regno delle Madri, Faust potrà unificare la realtà eterna di Elena con la sua apparenza temporanea.

 

Era chiaro per Goethe che questo regno delle Madri è quello in cui deve entrare l’essere umano quando riesce a risvegliare le forze spirituali sopite nella sua anima. L’ingresso in questo regno avviene nel grande momento in cui gli si manifestano Esseri e realtà spirituali. Esseri e realtà che ci circondano sempre, ma che gli occhi fisici non possono cogliere, come il cieco non può vedere i colori o la luce. L’ingresso in quel regno è il momento in cui il suo occhio e il suo orecchio spirituali si aprono e percepiscono un mondo che sta dietro quello fisico. Tale ingresso è raffigurato nella discesa verso il regno delle Madri.

 

Nelle mie conferenze ho sottolineato a più riprese che, qualora l’uomo compia con la sua anima degli esercizi ben precisi di meditazione riguardo a pensieri, sentimenti e volizioni, gli si spalancano occhi e orecchi spirituali cosicché comincia a vivere in nuovi mondi. Ho anche detto che colui che entra in questo regno si sente a tutta prima confuso dalle impressioni che riceve. Nel mondo fisico gli oggetti hanno contorni ben marcati che ci consentono di orientarci. Nel mondo spirituale, invece, ci coglie inizialmente un senso di disorientamento dovuto a forme che sono in continua fluttuazione, che si trasformano l’una nell’altra. Sono proprio come le descrive Goethe nella seconda parte del Faust.

 

Tutto ciò che è dato ai nostri sensi viene generato nel regno delle Madri, come il metallo dentro la montagna proviene dalla sua matrice. Goethe ebbe presentimento di questo regno misterioso che genera maternamente tutte le cose fisiche e terrene. Egli ravvisò in esso il regno che contiene l’essenza divina di tutte le cose, e perciò lo affascina l’espressione «le Madri», la trova bella e terrificante ad un tempo. Egli capì ciò che leggeva in Plutarco e comprese che colui che grida «le Madri, le Madri!», non è un pazzo che non sa quel che dice, ma è un essere umano divenuto veggente in un regno di realtà spirituali.

 

Leggendo Plutarco si presentò a Goethe il grande enigma della Madre, e questo mistero della Madre, insieme a tanti altri, lo volle inserire nella seconda parte del Faust.

Chi avesse voluto entrare nel regno delle Madri, nel mondo spirituale, nei tempi antichi doveva passare un periodo di purificazione preparatoria, di “catarsi” dell’anima. Doveva fare degli esercizi analoghi a quelli che trovate descritti nel mio libro dal titolo Come si conseguono conoscenze dei mondi superiori?. Doveva prepararsi in modo tale che la sua anima non subisse più alcuna costrizione o passionalità da parte del mondo sensibile. Per far sprigionare da essa le forze spirituali superiori doveva purificarsi da tutto ciò che l’attrae verso la parvenza sensibile, verso ciò che diletta i sensi e tiene l’intelletto incatenato al corpo fisico.

 

L’anima deve affrancarsi da tutto questo e solo allora potrà risvegliare in sé l’occhio spirituale capace di introdurla nel regno dello spirito. L’anima purificata, l’anima che ha già percorso il cammino della “catarsi”, non più rivolta al mondo fisico dei sensi, è stata sempre definita, da coloro che avevano conoscenza di questo mistero, “l’Io superiore dell’uomo”. Di fronte a questa superiore interiorità ci si diceva: essa non proviene dal mondo indagato dagli occhi esterni; essa ha origine nei mondi dell’anima e dello spirito e la sua patria è celeste, non terrestre.

 

A quei tempi si era convinti che l’anima purificata portasse in sé l’impronta delle origini vere dell’uomo. La scienza dello spirito di tutte le epoche non ha mai parlato di un’evoluzione puramente materiale, della perfezione o imperfezione di ciò che è sensibile. Ciò che oggi si chiama evoluzione, che procede da un essere sensibile inferiore e sale fino all’essere fisico più perfetto che cammini sulla Terra, l’uomo fisico cioè, non viene considerato erroneo dalla nostra scienza dello spirito. Ho spesso sottolineato che questa evoluzione materiale viene pienamente riconosciuta nella sua realtà. La scienza dello spirito infatti riconosce la dottrina scientifica dell’evoluzione e della discendenza. Essa fa notare però che ciò che noi chiamiamo uomo non si esaurisce in questa evoluzione che ne considera solo l’aspetto esteriore.

 

Più retrocediamo nel tempo per seguire l’evoluzione dell’uomo, più le forme fisiche cioè si fanno imperfette, e più ci avviciniamo all’origine spirituale e animica dell’uomo.

Ci siamo spesso trasferiti ai tempi dell’evoluzione umana in cui l’uomo, non avendo ancora nessun tipo di esistenza fisica, era del tutto immerso in un modo d’essere animico-spirituale. A più riprese abbiamo sottolineato che la nostra scienza dello spirito vede nella corporeità fisica un condensamento dell’essere umano che in precedenza era puramente anima e spirito. Come l’acqua si solidifica in ghiaccio, così l’uomo un tempo fatto d’anima e di spirito si condensa, per così dire, nell’uomo fisico attuale.

Abbiamo spesso usato l’immagine dell’acqua e del ghiaccio: immaginiamo ora una massa d’acqua che si solidifica in ghiaccio. A un certo punto del processo abbiamo una parte residua d’acqua e una parte trasformata in ghiaccio. Questa trasformazione ci offre un’immagine dell’origine dell’uomo fisico. Nell’uomo spirituale e animico dei primordi non c’era ancora nulla della corporeità fisica sensibile, di ciò che oggi gli occhi vedono e le mani toccano. È solo a poco a poco che l’uomo diviene sempre più fisico fino a raggiungere la forma corporea d’oggi.

La scienza naturale può retrocedere unicamente fino al periodo in cui l’uomo era già in possesso di una corporeità fisica simile a quella di oggi. Ma la scienza spirituale è in grado di retrocedere oltre, fino ai tempi remoti in cui l’uomo ebbe origine dal mondo spirituale quale essere di pura anima e spirito. Se consideriamo la sua anima d’oggi, possiamo dirci che essa è l’ultimo residuo della sua anima e del suo spirito originali.

 

Se noi indaghiamo l’interiorità umana, veniamo a conoscere lo spirito e l’anima dell’uomo e ci diciamo: egli è interiormente così com’era allora, quando nacque dal grembo del mondo spirituale. L’anima umana è stata in seguito avvolta da una realtà esterna, da un elemento inferiore sensibile. È in grado però di ripurificarsi, risollevandosi a una visione delle cose libera dai sensi. In questo modo essa ritorna al mondo spirituale da cui ebbe origine, ed è questo il cammino della conoscenza spirituale che passa attraverso la purificazione e l’affinamento.

Così scorgiamo l’anima umana in seno allo spirito e possiamo affermare, non solo in senso metafisico bensì in senso reale e oggettivo: se noi conoscessimo quest’anima nella sua verità, potremmo affermare che essa non è di questo mondo. Dietro di lei vedremmo un mondo divino, spirituale, da cui è stata generata.

 

Cerchiamo ora di tradurre in immagine ciò che abbiamo appena detto. Chiediamoci: quanto abbiamo asserito or ora, non lo possediamo forse di già, quasi si fosse trasformato in un’immagine sensibile? In un quadro cioè, che renda visibile il mondo spirituale in forma di nubi del cielo, nubi dalle quali fuoriescono Esseri spirituali in forma di teste d’angelo che vogliono rappresentare visibilmente l’anima umana? Non abbiamo forse nel quadro della Madonna Sistina di Raffaello un’immagine di ciò che scaturisce dal mondo spirituale?

Non fermiamoci qui, ma chiediamoci ancora: come diviene l’uomo che ha purificato la propria anima, che è asceso a conoscenze superiori e nella propria anima ha dato vita alle immagini spirituali che vivificano in lui l’elemento divino che tesse e opera nel mondo?

Che cosa diviene l’uomo che genera nell’anima purificata l’uomo superiore vero, il piccolo mondo in cui si rispecchia quello grande?

Egli diviene ciò che possiamo definire un veggente, la cui qualità fondamentale è la chiaroveggenza.

 

Se vogliamo raffigurare l’anima che dal proprio grembo, dall’universo spirituale cioè, genera l’uomo superiore, non abbiamo che da rappresentarci il quadro della Madonna Sistina e il meraviglioso Bambino tra le sue braccia.

Nella Madonna Sistina abbiamo dunque davanti a noi un’immagine dell’anima umana che viene generata dall’universo spirituale. Quest’anima partorisce a sua volta ciò che di più sublime l’uomo è in grado di generare: la propria nascita spirituale.

Una rigenerazione dell’attività creatrice del mondo in seno al proprio essere.

 

 

Proviamo ora a trasformare in esperienza vissuta ciò che la coscienza chiaroveggente compie nell’uomo.

Una volta, il fondamento del nostro mondo era lo spirito divino. Sarebbe infatti sciocco andare in cerca dello spirito nel mondo, se questo stesso spirito non avesse costruito il mondo fin dall’inizio. Ciò che ci circonda nel mondo esterno è scaturito da quello spirito che noi cerchiamo nella nostra anima. In questo modo l’anima trae le sue origini dallo spirito del Padre divino che vivifica e compenetra l’intero universo. Egli genera il Figlio della Sapienza, che è a immagine dello spirito paterno, essendone il rinnovamento.

Ora possiamo capire in che modo Goethe si sia accostato a questo mistero con dentro tutta la sua portata mistica, quando volle riassumere l’intero contenuto del Faust nel Coro mistico. In esso si rivolge all’anima umana definendola il femminile eterno che ci trae in alto verso lo spirito universale del mondo. Alla fine del suo Faust, Goethe si pone ancora in questo modo di fronte all’enigma della Madonna.

 

Le rappresentazioni della Madonna hanno assunto ai nostri giorni una forma che a mala pena permette di comprendere ciò che io ho appena espresso in un’immagine che racchiude una profonda verità. Se però andiamo a rintracciare l’enigma della Madonna fin nella sua origine, ci è dato di capire che nell’immagine di essa ancora oggi, sebbene sia spesso nascosto, si disvela il più profondo dei misteri umani. Queste Madonne hanno assunto una veste davvero diversa da quella semplice dei primi secoli cristiani. Nelle catacombe, ad esempio, troviamo Madonne ben più semplici, col Bambino che si protende verso il seno della madre.

Da questa rappresentazione povera, scevra quasi di elementi artistici, fino a giungere al cinquecento, il tragitto è ben lungo. Attraverso molteplici trasformazioni, il Bambino e la Madonna acquistano tratti sempre più artistici e pittoreschi, fino a Michelangelo e Raffaello. È come se questi stupendi artisti, pur non avendone piena coscienza, fossero compenetrati da un ineludibile sentimento della profonda verità contenuta nel mistero della Madonna.

 

Sorgono in noi i sentimenti più belli che vi siano quando ci poniamo di fronte alla cosiddetta Pietà di Michelangelo che si trova nella chiesa di S. Pietro a Roma. La Madonna appare seduta con il cadavere sulle ginocchia: ella è giunta al punto della sua vita in cui il Cristo è morto, eppure Michelangelo ce la rappresenta rivestita di una bellezza tutta giovanile. Si discusse molto a quei tempi per quale motivo Michelangelo avesse raffigurato la Madonna così giovane e bella quando invece era già una donna adulta.

Michelangelo stesso fu interrogato a questo riguardo e rispose: è l’esperienza stessa a dirci che le donne che si preservano illibate, mantengono la loro freschezza fino a tarda età. A maggior ragione egli trovava giustificato rappresentare la Madre di Dio ancora fresca e giovanile anche in età avanzata. Aggiungo espressamente che questa convinzione, condivisa anche da Michelangelo, non rappresenta una semplice credenza, ma corrisponde a percezioni soprasensibili oggettive.

 

È singolare la convinzione che qui Michelangelo ci palesa! La ritroviamo anche nei dipinti di Raffaello, se pur non direttamente espressa. Ma a noi è dato di comprendere davvero questo modo di vedere solo se retrocediamo di parecchio, fino ai tempi in cui viveva ancora nella cultura generale ciò che ci si presenta nelle Madonne come elemento inconscio dell’arte. Tornando indietro di molto, troviamo l’enigma della Madonna in tutte le culture. Potremmo rivolgerci alla cultura indiana iniziale, per scorgere la divinità materna che nutre il suo bambino Krishna; se assistessimo a una liturgia cinese, troveremmo anche là immagini analoghe.

Noi non vogliamo ora però rivisitare tempi e luoghi così lontani; vogliamo piuttosto dedicarci a quell’antica rappresentazione del mistero della Madonna, che ce ne esprime il senso e la bellezza nel modo più significativo che vi sia. È la rappresentazione che ce ne dà la Iside egizia col suo figlio Horus. La figura di Iside esprime l’essenza della saggezza egizia ed è nondimeno la chiave d’interpretazione che ci consente di comprendere rettamente la figura della Madonna.

 

A questo punto, però, è importante farci un’idea del tipo di saggezza che ha condotto a questa rappresentazione della divinità nell’Egitto antico. Dobbiamo cogliere il significato che ha per noi la saggezza espressa nella saga, nel mito di Iside e Osiride; una saga che ci consente di penetrare a fondo nell’enigma dell’umanità, se solo fossimo in grado di comprenderla veramente. Benché tanti siano gli aspetti della religione egiziana che ci è dato di studiare, la saga di Osiride resta quella più significativa e pregna di contenuti.

Osiride è il re che in tempi antichissimi, nell’età dell’oro, regnava sugli uomini; in connubio con sua sorella Iside, egli elargiva prosperità e felicità. Allo sguardo dell’antico egizio si presenta come un re umano dotato di virtù e poteri divini. Egli regna sulla terra fino al tempo in cui viene ucciso da suo fratello: il maligno Set.

È singolare il modo in cui avviene questo fratricidio. In occasione di un banchetto, il perfido fratello Set – che più tardi fu chiamato Tifone – fece costruire una cassa. Ricorrendo a uno stratagemma, indusse Osiride a coricarvisi dentro per provarla. In un baleno richiuse il coperchio e la sigillò. La cassa fu poi affidata alle acque, che la trasportarono verso l’ignoto. Iside, la sposa in lutto, si mette in cerca del suo sposo e trovatolo in terra d’Asia, lo riporta con sé in Egitto, ma il cattivo fratello Set questa volta lo fa a pezzi. I resti del corpo di Osiride ridotto a brandelli vengono allora sepolti in altrettante tombe. Ecco perché in Egitto ci sono tante tombe di Osiride! In questo modo, diventa il re dei morti, mentre prima lo era degli uomini viventi sulla terra. Dal mondo dell’oltretomba manda un raggio a colpire il capo di Iside, che così dà alla luce Horus. Costui diviene d’ora in poi il sovrano del regno dell’Egitto.

 

Stando dunque al mito egizio, Horus è il figlio postumo di Osiride. Dall’oltretomba Osiride, signore ormai del regno dei morti, feconda Iside facendo nascere Horus che diviene signore del mondo terreno. L’anima umana sottostà al potere di Horus per tutto il tempo in cui vive in terra racchiusa nella cassa del corpo. Quando poi, grazie alla morte, abbandona questo involucro per entrare nel regno di Osiride – basti leggere il Libro dei Morti egizio – l’anima umana diventa lei stessa un Osiride. Nel giudizio descritto nel libro egiziano dei morti, l’anima al suo arrivo viene apostrofata in modo quanto mai significativo: “Tu, Osiride, che cosa hai fatto…” e così via. Questo significa che dopo la morte, l’anima impara a diventare lei stessa “Osiride”.

 

L’antico Egitto ci fa così volgere lo sguardo verso due regni diversi:

• il regno che vediamo con i nostri sensi, quello di Horus;

• e il regno in cui l’anima fa ingresso dopo la morte, il regno cioè dove governa Osiride.

 

Al contempo sappiamo che il senso dell’iniziazione egizia consisteva nel fare entrare l’iniziato, già da vivo, in regioni accessibili agli altri solo dopo la morte. Conseguendo facoltà di chiaroveggenza, l’iniziato poteva sentirsi da vivo in comunione con Osiride e diventare lui stesso un Osiride. Grazie a una simile trasformazione egli si affranca dal mondo fisico, e rinunciando alle abitudini proprie della vita fisica, liberandosi da brame e passioni, purifica il suo rapporto col mondo materiale. Facendo di sé un’anima monda, egli è ora in grado di unirsi con Osiride.

Che cosa ci mostra questa saga?

È una trovata ben puerile quella di affermare che il mito egizio rappresenti il corso annuale del sole attorno alla terra! Al tavolino della moderna erudizione viene partorita un’interpretazione che dice: Osiride è il sole e il suo tramonto simboleggia la vittoria su di lui delle forze della natura invernali personificate da Set, il fratello maligno Tifone; mentre Iside simboleggia la luna in cerca del sole, desiderosa di venir illuminata dal suo raggio.

Tali affermazioni le può fare solo colui che inventi di testa sua una teoria dei miti della natura. In realtà, la saga di Iside è l’espressione artistica di una profonda verità.

 

• Quali sono i tempi in cui era ancora Osiride a regnare sugli uomini?

Sono i tempi in cui gli esseri umani erano ancora fatti di anima e spirito.

Essi vivevano ancora nel mondo spirituale, in comunione con altri esseri non meno spirituali. Quello di Osiride non è dunque un regno fisico, ma un regno esistente fin dai primordi, e nel quale l’uomo viveva come pura entità di anima e di spirito.

Il fratello cainico di Osiride, il suo nemico, è quell’essere che ha rivestito gli uomini di una struttura materiale. Egli ha fatto condensare una parte dell’essere animico-spirituale fino a raggiungere la densità del corpo fisico. Ecco in che modo l’Osiride primigenio, puramente spirituale, è stato messo dentro una cassa: questa cassa non è altro che il corpo umano! Essendo Osiride un essere che per natura non può discendere nel mondo fisico ma deve restare nel mondo divino spirituale, il venir rinchiuso nello scrigno del corpo umano equivale per lui a morire.

• Questo mito presenta dunque i vari aspetti del passaggio da un’esistenza puramente d’anima e spirito, a quella di un cammino evolutivo che l’umanità percorre sul piano fisico. In questo mondo, Osiride non poté accompagnare l’uomo. Dovette “morire” per divenire re di quel regno nel quale l’anima entra lasciando dietro di sé quello fisico, oppure quando, nell’iniziazione, sviluppa facoltà di chiaroveggenza. In questo modo l’anima dell’iniziato si unisce a Osiride.

 

Chiediamoci ora: nell’uomo che ha lasciato il mondo dello spirito e dell’anima cosa è sopravvissuto? Cosa ha portato con sé colui che, a differenza di Osiride, non è rimasto estraneo al mondo fisico sensibile, ma vi si è immerso? Ha portato con sé l’anima, il suo essere spirituale, che non potrà far altro che attrarlo incessantemente verso Osiride, verso il mondo delle sue origini: quello animico-spirituale. Iside è l’anima umana che abita dentro di noi: è in un certo senso l’eterno femminile che alberga in noi e che ci attira verso il regno dal quale siamo nati.

 

Quando l’Iside in noi si purifica, liberandosi da tutto ciò che ha ricevuto dal mondo fisico, viene fecondata dal mondo spirituale dando vita all’uomo superiore, a Horus, che celebra la vittoria su tutto ciò che è inferiore nell’uomo. Ravvisiamo così in Iside la rappresentante dell’anima umana: essa è dentro di noi quel frammento divino-spirituale che è germinato dal cosmo paterno. È ciò che ci rimane del mondo delle origini, che è perciò in perenne ricerca di quell’Osiride che ormai può ritrovare solo grazie all’iniziazione o alla morte.

 

Quando dipingiamo davanti agli occhi della nostra anima l’odissea di Iside e Osiride, penetriamo col nostro sguardo nel regno che si muove dietro quello fisico. Ritorniamo al tempo in cui l’uomo viveva ancora con le Madri: le matrici prime dell’esistenza.

Il tempo in cui Iside non era ancora costretta in un corpo fisico, l’epoca d’oro quand’era unita al suo sposo Osiride. In questo mito, l’umano viene rappresentato nella sua più sublime bellezza. In esso si narra in qual modo l’ideale umano più alto nasca dalla vita nel corpo, quando essa è fecondata dallo spirito universale.

Nel regno delle Madri non si poteva far entrare nient’altro che l’ideale più elevato, l’umano più sublime – il Cristo, appunto. Egli è l’ideale che viene espresso in esse.

 

Nel Faust di Goethe troviamo tre Madri sedute su un tripode d’oro: tre Madri! L’anima umana si è evoluta in tempi in cui non era ancora incarnata nel corpo umano. Ciò che oggi vediamo come fecondazione e nascita umane a livello fisico è un’ultima immagine visibile, l’ultimo simbolo di ciò che in passato era un’esperienza spirituale. Nella madre corporea vediamo l’ultima forma fisica di una Madre spirituale che le sta dietro.

La Madre spirituale non viene fecondata nel modo che conosciamo, ma direttamente dall’universo intero. Lo stesso succede alla nostra anima: la sua conoscenza superiore viene fecondata dall’insieme del cosmo.

Andando indietro nel tempo troviamo forme di fecondazione e di generazione sempre più spirituali. Volendo partire da una vera scienza spirituale si deve perciò parlare non di una sola Madre, ma delle Madri, al plurale. La madre fisica a noi visibile è l’ultima metamorfosi di un essere di pura anima e spirito che viene a noi dal mondo spirituale.

 

Esistono in realtà raffigurazioni di Iside nelle quali troviamo non una, ma ben tre Madri. In primo piano c’è la figura di Iside che nutre il bambino Horus, simile alle più antiche rappresentazioni della Madonna cristiana. Dietro questa Iside, in molte raffigurazioni egizie, ce n’è un’altra con in testa le ben note corna di mucca e ali di avvoltoio, intenta a porgere al bambino la croce ansata. In questa seconda Iside, ciò che nell’Iside in primo piano è umano in senso fisico, assume una forma più spirituale. Dietro la seconda Iside ce n’è poi una terza, con una testa di leone, a rappresentare un terzo stadio evolutivo dell’anima umana. Queste tre immagini di Iside si presentano una dietro l’altra.

Ed è proprio vero che la nostra anima umana alberga in sé tre nature: una natura volitiva che risiede nei suoi recessi più profondi, una natura di sentimento ed una intrisa di saggezza. Sono queste le tre Madri dell’anima, proprio come vengono rappresentate nelle tre forme dell’Iside egizia.

 

Un simbolo profondo questo, che riesce però a rendere luminosa l’immagine velata: perché dietro la madre sensibile si trova quella sovrasensibile, la madre spirituale, l’Iside dei primordi spirituali! È significativo il fatto che siano raffigurate ali d’avvoltoio, corna di mucca e la sfera del mondo sul capo di Iside, al centro. Coloro che ancora potevano comprendere qualcosa dell’antica teoria dei numeri, hanno sempre affermato che il sacro Ternario, il numero tre, rappresenta l’aspetto divino maschile nell’universo.

Ciò corrisponde a una profonda verità. Questa santa trinità viene raffigurata col globo del mondo, con le due corna della mucca quale immagine della Madonna con la falce di luna, se si vuole, ma più propriamente quale espressione dell’operare fecondante delle forze di natura.

 

La sfera armillare è l’espressione dell’attività creatrice in seno al mondo. Ci occorrerebbero molte ore per descrivere meglio quest’immagine del maschile nel mondo. Dietro l’Iside sensibile si trova la sua rappresentazione sovrasensibile, l’Iside che non viene fecondata da un suo pari, bensì dall’elemento maschile divino che compenetra e vivifica il mondo intero. Il processo di fecondazione viene rappresentato come un’esperienza simile al processo di conoscenza.

Nell’antichità vigeva dappertutto una viva consapevolezza del fatto che il processo conoscitivo è una specie di fecondazione. Nella bibbia c’è dato di leggere: «Adamo conobbe la sua donna e diede vita a…».

 

Lo spirituale che noi oggi riceviamo conoscitivamente dà vita a ciò che di spirituale vive nell’anima. Si tratta di un ultimo vestigio della fecondazione delle origini. Il nostro conoscere ci mostra come noi veniamo tuttora fecondati dallo spirito universale: lo accogliamo dentro l’anima per poter conseguire l’umano conoscere, sentire e volere.

Questo è quanto ci viene presentato da Iside. La sua testa pensante viene fecondata dall’elemento maschile divino. Ella non nutre il suo Bambino con sostanze fisiche, come fa la Iside sensibile, ma gli porge la croce ansata, simbolo della vita. Dietro la madre della vita fisica, abbiamo quella della vita spirituale, e dietro ad essa la scaturigine primigenia di ogni vita, rappresentata dalla forza vitale pura che in tempi ancora remoti reggeva il mondo con la sua energia di pura volontà.

 

Sono queste le tre Madri. Ci mostrano il loro modo di donare al figlio solare la forza della vita attingendola dall’intero universo. Abbiamo davanti a noi un’espressione simbolica, se non proprio artistica, di una profonda verità riguardante l’evoluzione. Il simbolo isideo che ha accompagnato tutta l’evoluzione egiziana è stato poi accolto in tempi più recenti. È stato trasformato in corrispondenza del progresso compiuto dall’umanità col comparire sulla Terra del Cristo Gesù.

L’ideale compiuto di tutto ciò che l’anima umana è chiamata a generare dalla propria interiorità è stato dato in Gesù Cristo. La Madonna raffigura l’anima umana nel suo venir fecondata dallo spirito universale. Nella Madonna cristiana ci viene incontro l’Iside egizia quasi rinata: innalzata e trasfigurata nel corso dell’evoluzione.

L’immagine che abbiamo contemplato all’inizio di questa conferenza ci si ripresenta ora nel suo intreccio con l’intera evoluzione umana. La vediamo emergere da un’oscura antichità, artisticamente trasfigurata e perfezionata nelle raffigurazioni moderne che hanno nutrito in tutto il mondo l’anima umana affamata d’arte. Qui vediamo in qual modo l’arte divenga davvero l’interprete della verità, come ci dice Goethe. Guardando alla Madonna con uno sguardo intriso dei sentimenti del cuore, vediamo che la nostra anima può sentire ancor oggi un presagio del grande enigma del mondo.

Essa è l’eterno femminile che anela verso lo spirito paterno. Questo stesso spirito che noi generiamo quale sole nasce dall’intero universo dentro la nostra anima. Le raffigurazioni della Madonna ci presentano ciò che noi siamo in quanto esseri umani, ci mostrano in che modo siamo contessuti col mondo. Queste immagini sono perciò qualcosa di altamente sacro per noi, indipendentemente da ogni corrente o dogma religioso.

 

Quando le forme indistinte di nubi si trasformano in teste d’angioli, quando nasce dall’insieme del mondo colei che ci raffigura l’anima umana, ci è dato di vivere qualcosa che sgorga direttamente dall’universo. Vediamo la Madonna gravida di ciò che è in grado di nascere dal grembo dell’anima umana: l’uomo nobile e vero, assopito in ogni uomo, il meglio di noi e, al contempo, lo spirito che inonda il mondo e in esso lavora.

Queste stesse convinzioni erano vive in Goethe quando fa tendere alla perfezione il suo Faust facendogli risalire i vari gradini che conducono a conoscenza e vita superiori. È per questo che lo introduce nel regno delle Madri, e che la parola “Madri” lo fa rabbrividire nella sua bellezza, evocando in lui il presentimento di una saggezza proveniente da tempi antichi. Per questo era importante condurre Faust alle Madri: solo nel loro regno egli può cercare e trovare ciò che è eterno, quell’eterno che darà alla luce il suo figlio Euforione. La Madonna rappresenta per Goethe l’anima umana. Perciò nel “Coro mistico” egli dà espressione al mistero dell’anima con le parole: «L’eterno femminile ci trae sempre più in alto».

 

Anche Raffaello con la sua meravigliosa raffigurazione della Madonna – checché ne dicano i nostri contemporanei – è riuscito così bene a ricondurci alle alte sfere in cui si entrava grazie alle antiche immagini di Iside. Dall’Iside del tutto spirituale che nessuna figura umana può ricondurre sul piano fisico, e la cui forza di vita viene raffigurata dalla testa di leone, discendiamo fino all’Iside umana, che conferisce al figlio Horus l’energia propria della materia sensibile. Inconsciamente, Raffaello ha espresso nella sua Madonna Sistina questo stesso mistero. Una nuova scienza dello spirituale ci consente dunque di risalire in modo cosciente in quel regno dello spirito da cui essa proviene.

L’uomo è sceso da altezze spirituali ed è chiamato ad un’esistenza più alta. Le raffigurazioni di Iside e della Madonna sono palesi interpreti dei misteri più profondi dello spirito e della natura.

 

 

Rappresentano in fondo una parafrasi artistica delle monumentali parole di Platone quando dice: l’uomo era un tempo un essere spirituale, è sceso sulla terra allorché venne privato delle sue ali spirituali e fu avvolto in un corpo sensibile. È destinato a liberarsi di questo corpo fisico, per risalire di nuovo nei mondi dell’anima e dello spirito.

Platone ha espresso questa profezia nel suo linguaggio filosofico. Lo stesso annuncio profetico esprimono le raffigurazioni della Madonna. Nulla infatti riesce a rendere in modo più bello di queste immagini ciò che Goethe intendeva dire con le parole: l’arte è l’interprete più degna di quei misteri del mondo che la mente può comprendere. Non c’è da temere che l’arte diventi astratta o allegorica quando si vedrà costretta – dico proprio costretta! – a riconoscere realtà spirituali superiori. Non c’è ragione di temere che essa divenga artisticamente esangue o rigida, quando non è più in grado di attenersi strettamente a grossolani modelli esteriori.

 

Gli uomini si sono allontanati dalla conoscenza spirituale, per questo anche l’arte è stata incatenata al mondo dei sensi. Ma se l’umanità saprà ripercorrere il cammino che conduce alle altezze dello spirito e alla conoscenza spirituale, ritroverà la certezza di ciò che è spirituale. Saprà che colui che percepisce questa realtà è in grado di creare attingendo dentro di sé in modo intuitivo e vivente, senza dover ricorrere alla falsariga asservente di modelli sensibili. Solo quando nel variegato panorama culturale arte e saggezza si riconcilieranno fra loro, si potrà comprendere Goethe: quando l’arte tornerà ad essere l’espressione di ciò che è spirituale.

 

Scienza e arte torneranno ad essere una cosa sola, e la loro unione sarà vera religione. Allora lo spirito vivrà di nuovo nei cuori umani nella forma spirituale a lui consona, risvegliando in essi quella che, attingendo dentro di sé, Goethe considera vera e genuina religiosità quando scrive: «Colui che possiede scienza e arte, ha anche la religione; chi non possiede né l’una né l’altra, si contenti pure della religione».

 

È proprio così. Colui che ha in mano la scienza dei misteri spirituali dell’universo, colui che sa che cosa si rivela artisticamente nel mistero di Iside e della Madonna, vede in esse le sorgenti della vita, l’espressione di realtà ben più viventi di ogni servile imitazione di modelli umani fisici. Colui che sappia scorgere la realtà vivente che le Madonne raffigurano, vivendole come una cortina che si apre sullo spirituale, può sperimentare una religiosità che non ha bisogno di dogmi o preconcetti. La sua sarà una devozione religiosa che nasce da una piena libertà di spirito. Egli saprà riconciliare fra loro la scienza, cioè la saggezza, e l’arte: le terrà unite dentro la sua anima e darà vita così a una religiosità vera, interiormente libera.