L’ispirazione

O.O. 12-16-17 – Sulla via dell’Iniziazione – (Ispirazione)


 

Dalla descrizione dell’immaginazione è risultato che grazie ad essa il discepolo abbandona il terreno delle esperienze sensibili esteriori. In grado ancora molto più alto ciò avviene nell’ispirazione. In questa, ancora molto meno che in quella, a fondamento della rappresentazione sta ciò che si può chiamare uno stimolo esteriore. Qui l’uomo deve trovare in se stesso la forza che gli dà la possibilità di formarsi rappresentazioni sulle cose. Egli deve essere attivo interiormente in misura molto superiore a quanto avviene nella conoscenza esteriore. In questa, egli si abbandona semplicemente alle impressioni esterne e queste provocano in lui le rappresentazioni. Questo modo di abbandonarsi vien meno nella ispirazione; non vi sono più occhi che trasmettono colori, orecchi che trasmettono suoni, ecc.

 

Tutto il contenuto delle rappresentazioni

deve in certo modo venir creato per attività propria,

e dunque per mezzo di processi puramente animico-spirituali.

E in ciò che l’uomo crea in tal modo per sua attività interiore,

deve imprimersi la manifestazione del mondo superiore reale.

 

Una singolare contraddizione sembra mostrarsi in una simile descrizione della conoscenza superiore. L’uomo, si dice, deve in certo modo essere il creatore delle proprie rappresentazioni, ma naturalmente queste ultime non devono essere creazioni sue proprie: per loro tramite debbono esprimersi i processi del mondo superiore, come nelle percezioni degli occhi, degli orecchi, ecc. si esprimono i processi del mondo inferiore.

Questa, però, è una contraddizione che deve trovarsi nella descrizione di questo modo di conoscenza, perché ciò che il discepolo deve appropriarsi sulla via verso l’ispirazione è appunto la facoltà di creare per propria attività interiore qualcosa a cui nella vita ordinaria viene costretto dal mondo esterno.

 

Perché nella vita ordinaria le rappresentazioni non si svolgono in modo arbitrario? Perché nella rappresentazione l’uomo deve regolarsi secondo gli oggetti esterni; ogni arbitrio dell’io viene eliminato, in quanto gli oggetti stessi dicono: noi siamo così o così. Sono gli oggetti stessi a determinare il modo come devono essere rappresentati; l’io non ha in proposito alcun potere di decisione. Chi non vuole adeguarsi agli oggetti, si fa appunto delle rappresentazioni sbagliate, e presto si accorgerebbe quanto poco ci si possa in tal modo orientare nel mondo. Si può designare come «privo di egoismo» questo necessario atteggiamento dell’uomo nella conoscenza: di fronte alle cose egli deve comportarsi in modo disinteressato e in ciò il mondo esterno gli è maestro. Esso gli toglie ogni illusione, ogni fantasticheria o giudizio illogico in contrasto con la realtà dei fatti, semplicemente col mettergli dinanzi ai sensi la sua vera e giusta immagine.

Se l’uomo vuole prepararsi per l’ispirazione, deve portare la sua interiorità fino al punto in cui questo disinteresse, o mancanza di egoismo, le diventi proprio, anche se nulla ve la costringa da fuori. Egli deve imparare a creare interiormente, ma in modo che il suo io non abbia minimamente una parte arbitraria in questo creare.

 

Le difficoltà che s’incontrano per acquistare un tale atteggiamento si rendono tanto più evidenti, quanto meglio s’imparino a riconoscere quali forze dell’anima abbiano importanza particolarmente nell’ispirazione. — Nella vita dell’anima si distinguono tre forze fondamentali: il rappresentare, il sentire e il volere. Nella comune conoscenza sensibile le rappresentazioni sono suscitate dagli oggetti esterni. E dalle rappresentazioni suscitate da fuori, anche il sentire e il volere vengono indirizzati e determinati. L’uomo, ad esempio, vede un oggetto; questo gli dà piacere e perciò egli lo desidera. Il piacere risiede nel sentimento; questo eccita il volere, così come a sua volta il sentimento aveva ricevuto la sua impronta dalla rappresentazione. Ma la ragione ultima del rappresentare, del sentire e del volere è l’oggetto esterno. Un altro caso: un uomo sperimenta una vicenda che gli incute paura; egli fugge dal luogo di quell’evento. Anche qui i processi esterni sono la prima causa: essi vengono percepiti per mezzo dei sensi, diventano rappresentazioni, suscitano il sentimento della paura; e la volontà, che si realizza nella fuga, ne è la conseguenza.

Nell’ispirazione viene a mancare qualsiasi oggetto esterno, in questa forma. I sensi non entrano in giuoco a percepire, quindi non possono neppure essere stimolo a rappresentazioni. Da questo lato dunque non viene esercitata alcuna influenza sul sentire e sul volere.

 

Senonché nell’ispirazione è proprio dal sentire e dal volere

che germogliano, come da una matrice, le rappresentazioni.

Germoglieranno rappresentazioni veraci se la matrice è sana; errori e illusioni quando essa sia malata.

 

Quanto è certo che le ispirazioni scaturite da un sentire e da un volere sani possono essere manifestazioni di un mondo superiore, altrettanto certo è che da un sentire e volere impuri e sregolati scaturiranno errori, inganni e fantasticherie intorno al mondo spirituale.

Perciò la disciplina occulta si pone il compito di indicare agli uomini i mezzi adeguati a rendere il loro sentire e volere sani e fecondi per l’ispirazione.

 

Come in tutti gli altri fatti della disciplina occulta, si tratta anche qui di un’intima regolazione e configurazione della vita dell’anima. Prima di tutto occorre acquistare certi sentimenti che nella vita abituale si conoscono solo in grado limitato. Vogliamo accennare ad alcuni di questi sentimenti. Tra i più importanti è un’intensificata sensibilità di fronte a ciò che è vero e a ciò che non è vero, a ciò che è giusto e a ciò che non è giusto. Certo anche gli altri uomini hanno tali sentimenti; ma nel discepolo dell’occultismo essi devono venire sviluppati a un grado molto più alto. Supponiamo che qualcuno commetta un errore di logica: un altro riconosce l’errore e lo corregge. In tale correzione hanno parte grandissima l’intelletto e il giudizio, mentre scarso è il sentimento di piacere se la cosa è giusta, di dispiacere se la cosa è errata. Naturalmente non si vuole affermare che d’ordinario questo piacere e questo dispiacere manchino totalmente. Ma il grado in cui essi sono presenti nella vita solita si deve accrescere all’infinito per il discepolo dell’occultismo.

Egli deve dirigere sistematicamente la sua attenzione alla propria vita psichica, fino al punto in cui un errore di logica gli diventi fonte di una sofferenza per nulla inferiore a una sofferenza fisica; e per contro ciò ch’è «giusto» gli causi vera gioia o piacere.

 

Dunque, dove in un altro si impegnano solo l’intelletto e il giudizio,

il discepolo deve apprendere a sperimentare tutta la scala dei sentimenti,

dal dolore fino all’entusiasmo, dalla tensione penosa fino alla gioiosa liberazione per la verità conquistata.

• Di più, deve imparare a sentire quasi un odio

di fronte a ciò che l’uomo normale sperimenta freddamente come «errore»;

deve sviluppare in sé un amore per la verità che porti un carattere assolutamente personale:

altrettanto personale e caldo quanto è l’amore che un amante sente per l’amata.

 

Certo, nella cerchia delle persone «colte» sentiremo spesso parlare di «amore per la verità», ma ciò che s’intende con queste parole non è affatto paragonabile con quanto il discepolo deve sperimentare a questo proposito nella calma dell’intima attività dell’anima.

Egli deve porsi dinanzi, sempre di nuovo, con pazienza, questa o quella «verità» o «non verità», quasi come una prova, e sperimentarla in modo da non esercitare solo il suo giudizio intellettuale che freddamente distingue tra «vero» e «falso», ma da acquistare di fronte a tutto ciò un rapporto del tutto personale.

 

È certamente vero che all’inizio di tale disciplina l’uomo possa cadere in quella che possiamo chiamare ipersensibilità. Un giudizio errato ch’egli senta emettere intorno a sé, un’incongruenza, ecc. possono procurargli un dolore quasi insopportabile. Perciò bisogna sorvegliare con cura la situazione, altrimenti potrebbero risultarne davvero gravi pericoli per l’equilibrio interiore del discepolo.

Ma se si bada a che il carattere resti fermo, nell’anima possono svolgersi delle tempeste, eppure la persona in questione avrà la forza di vivere di fronte al mondo con aspetto armonico e gestire pacato.

Si sarebbe invece caduti in errore ogni qualvolta il discepolo si sentisse posto in contrasto col mondo esterno, in modo da sentirlo come insopportabile o addirittura da volerlo fuggire.

 

Il mondo superiore del sentimento non deve svilupparsi a scapito di una regolare attività nel mondo esterno; quindi alla elevazione interiore della vita di sentimento deve corrispondere un rafforzamento della resistenza alle impressioni esterne. Perciò la disciplina occulta pratica non consiglierà mai d’intraprendere quegli esercizi rivolti allo sviluppo dei sentimenti, senza indicare al tempo stesso quanto occorre sviluppare in sé per comprendere ciò che la vita richiede dall’uomo, in fatto di tolleranza verso gli altri.

Mentre egli proverà il più vivo dolore se qualcuno pronuncerà un giudizio errato, dovrà essere al tempo stesso perfettamente tollerante verso quella persona, pensando che essa deve giudicare così, e che di tale suo giudizio va tenuto conto come di un fatto. — Certamente però è vero che l’interiorità del discepolo si trasformerà sempre più in una doppia vita. Nel suo pellegrinaggio attraverso la vita si svolgeranno nell’anima sua processi sempre più ricchi, e un secondo mondo vivrà in lui, sempre più indipendente da ciò che offre il mondo esterno. Ma appunto questa doppia vita sarà feconda per la vera vita pratica. Ne deriveranno prontezza di giudizio, sicurezza nelle decisioni. Dove un altro, alieno da una tale disciplina, deve percorrere lunghi giri di pensiero e tergiversare a lungo, prima di prendere una decisione, il discepolo occulto abbraccerà rapidamente le situazioni, scoprirà in un momento i nessi nascosti allo sguardo ordinario. E spesso gli occorrerà molta pazienza per seguire il lento svolgersi della comprensione in un’altra persona, mentre in lui quella comprensione si fa con la celerità del lampo.

 

Finora abbiamo menzionato solo le qualità che la vita del sentimento deve acquistare perché l’ispirazione possa verificarsi nel giusto modo.

Un altro problema è questo: come diventano fruttuosi i sentimenti, in modo da generare rappresentazioni reali, appartenenti al mondo dell’ispirazione?

Se vogliamo intendere la risposta che la scienza occulta ha da dare a questo problema, occorre sapere che la vita psichica dell’uomo ha sempre in sé un certo tesoro di sentimenti che vanno oltre la misura di ciò che viene suscitato in noi dalle percezioni sensoriali. L’uomo, per così dire, sente più di ciò a cui lo costringono le cose. Ora, nella vita abituale questo soprappiù viene usato in un senso che la disciplina occulta deve trasformare in un altro.

 

Prendiamo ad esempio un sentimento di angoscia o di paura. Sarà facile riconoscere che in molti casi la paura o l’angoscia sono più grandi di quanto sarebbe adeguato al corrispondente processo esterno. Immaginiamo che il discepolo lavori energicamente su di sé per riuscire a non aver mai, in nessuna evenienza, una paura o un’angoscia maggiori di quanto sia veramente giustificato nel caso in questione. Ora la paura e l’angoscia sono sempre prodotte a spese d’una certa quantità di energia animica, la quale in realtà va perduta per il fatto appunto di generare quei sentimenti.

 

Il discepolo risparmia dunque veramente energia animica, se si vieta di provare quella paura o quell’angoscia, o altro ancora: può quindi disporne in altro modo. E se ripete spesso un tale procedimento, le forze animiche risparmiate si accumuleranno in lui, formando un tesoro interiore, dal quale il discepolo ben presto sentirà scaturire i germi di rappresentazioni che esprimono rivelazioni della vita superiore. Cose simili non si possono «dimostrare» nel senso ordinario; si può solo consigliare al discepolo di fare questo o quello: se egli seguirà l’indicazione, vedrà da sé gli indubitabili risultati.

 

A un’osservazione imprecisa di quanto abbiamo detto potrebbe facilmente apparire contraddittorio l’esigere da un lato un arricchimento del sentimento, col suscitare gioia, dolore, ecc. a mezzo di cose che di solito provocano solo il giudizio intellettuale; e dall’altro l’incitare al risparmio in fatto di sentimenti.

Questa contraddizione svanisce subito, se si considera che il risparmio dev’essere fatto per i sentimenti suscitati dai sensi esteriori. Appunto ciò che qui viene risparmiato compare come arricchimento nei riguardi delle esperienze spirituali.

Ed è assolutamente vero che i sentimenti in tal modo risparmiati di fronte al mondo delle percezioni sensibili, non solo si mettono a disposizione nell’altro campo, ma vi si dimostrano produttivi, in quanto creano il materiale per rappresentazioni in cui si rivela il mondo spirituale.

Naturalmente non si sarebbe fatto ancora un gran passo, se ci si volesse fermare ai risparmi di cui abbiamo parlato. Per raggiungere maggiori risultati occorre dell’altro.

 

Bisogna apportare all’anima un tesoro ancor molto maggiore di forza di sentimento di quanto sia possibile per quella via. Ad esempio bisogna esporsi, a guisa di prova, a certe impressioni esteriori, vietandoci del tutto i sentimenti che ne verrebbero suscitati nel cosiddetto stato «normale». Per esempio, dovremmo esporci a un avvenimento che «normalmente» eccita l’anima, e vietarci totalmente tale eccitazione. Si può farlo sia nella realtà, sia solamente immaginando l’avvenimento. Per la disciplina occulta questa seconda possibilità è anzi la migliore.

Dato che il discepolo, o prima della sua preparazione all’ispirazione o contemporaneamente, viene iniziato all’immaginazione, egli dev’essere in grado di porsi davanti all’anima un avvenimento con la stessa forza che se esso fosse realmente presente.

Se dunque, in un lungo lavoro interiore, egli si dedica sempre di nuovo a ricevere impressioni da cose e processi, vietandosi di provare i corrispondenti sentimenti «normali», nella sua anima si crea il terreno propizio all’ispirazione.

 

Notiamo incidentalmente che chi descrive una tale preparazione all’ispirazione può benissimo ammettere che dal punto di vista della nostra cultura contemporanea possano sollevarsi obiezioni in contrario. E non solo si può obiettare questo o quello, ma si può anche sorridere con aria di superiorità e osservare: l’ispirazione non è una cosa da educarsi pedantemente, ma è un dono naturale del genio! Certo, dal punto di vista della cultura contemporanea sarà comico sentir parlare a lungo dell’educazione di qualcosa ch’essa non vuole assolutamente sentir spiegare; ma così facendo, essa non si rende conto di quanto poco sappia pensare fino in fondo i propri pensieri.

 

Chi volesse far credere a un seguace della cultura d’oggi che un animale superiore non si sia evoluto a poco a poco, ma sia venuto ad esistere «repentinamente», si sentirebbe rispondere che una persona colta del nostro tempo non può credere a un simile «miracolo», il che sarebbe semplicemente una superstizione. Ma nel campo della vita dell’anima, quella persona colta moderna, secondo le sue stesse opinioni, è vittima della più crassa superstizione. Infatti non vuole ammettere che un’anima più perfetta debba anch’essa essersi evoluta a poco a poco e non possa essere venuta a esistere da un momento all’altro, come un dono di natura. Visto esteriormente, un genio può invero apparire come «nato dal nulla», in modo inspiegabile: ma solo alla superstizione materialistica.

 

Lo scienziato occultista sa che una disposizione geniale, che in una vita umana appare come nata dal nulla, è invece semplicemente la conseguenza dell’educazione alla ispirazione, ricevuta in una precedente vita terrena. Sul piano teorico la superstizione materialistica è nociva, ma lo è ancora molto di più sopra un piano pratico come questo. Poiché suppone che tutti i geni futuri debbano «cadere dal cielo», essa non si occupa di queste «assurdità occultistiche» o «misticismi fantastici» che parlano di una preparazione all’ispirazione. Ma con ciò la superstizione dei materialisti ostacola il vero progresso dell’umanità, non provvedendo a che le facoltà latenti nell’uomo vengano sviluppate.

In realtà, quelli che si considerano progressisti e liberi pensatori sono spesso nemici del vero progresso. Ma questa – come abbiamo detto – vuol essere solo un’osservazione incidentale necessaria a delineare il rapporto della scienza dello spirito con la cultura contemporanea.

 

Ora, certamente, le forze dell’anima che si accumulano come tesoro nell’interiorità del discepolo, quando egli si vieta i sentimenti «normali», si trasformerebbero in ispirazioni anche senza che altro vi contribuisse. E il discepolo sperimenterebbe in sé il sorgere di vere rappresentazioni riflettenti esperienze di mondi superiori. Verrebbero dapprima le esperienze più semplici di processi soprasensibili, e a poco a poco, continuando il discepolo per questa via, apparirebbero quelle più elevate e complicate.

In realtà però una tale disciplina occulta non sarebbe oggi affatto pratica, e infatti nessuno che proceda seriamente la segue. Se il discepolo volesse in tal modo sviluppare dal proprio intimo tutto ciò che l’ispirazione può dare, egli perverrebbe certamente a scoprire, traendolo da se stesso, tutto quanto si sia mai detto sulla natura dell’uomo, sulla vita dopo la morte, sull’evoluzione del genere umano e dei pianeti, ecc. Ma gli ci vorrebbero periodi infiniti di tempo. Sarebbe come se qualcuno volesse trarre da se stesso tutta la geometria, senza riguardo a ciò che in questo campo altri hanno già conquistato prima di lui. Certo, «in teoria» ciò è possibilissimo; in pratica, sarebbe sciocco fare così.

 

Anche nella scienza occulta non lo si fa, ma ci si rivolge a un maestro perché ci comunichi le cose che sono state conquistate per l’umanità da precedenti uomini ispirati. Tale saggezza trasmessa deve costituire attualmente la base per l’ispirazione propria.

E ciò che oggi viene offerto in libri o conferenze, nel campo della scienza occulta, può senz’altro costituire una tale base per l’ispirazione: per esempio, gli insegnamenti sulle diverse parti costitutive della natura umana (corpo fisico, eterico, astrale, ecc.); così pure le conoscenze sulla vita dopo la morte fino a una nuova incarnazione, e poi tutto ciò che è stato pubblicato sotto il titolo Cronaca dell’akasha.

 

Occorre infatti tener presente che l’ispirazione è necessaria per scoprire e sperimentare da sé le verità superiori, ma non per comprenderle. Senza ispirazione non si può scoprire originariamente ciò ch’è stato comunicato sotto il titolo Cronaca dell’ akasha; ma se qualcuno ce lo comunica, possiamo riconoscerlo per mezzo del comune giudizio logico. Nessuno dovrebbe dire che in quel libro siano dette cose che senza l’ispirazione non si possano comprendere.

Se appaiono incomprensibili, non è perché ci manchi l’ispirazione, ma perché non si vuole dedicarvi sufficiente riflessione.

 

Tali verità, una volta comunicate, suscitano nell’anima, per forza propria, l’ispirazione.

Per divenir partecipi di questa ispirazione,

basta cercar di ricevere tali conoscenze non aridamente e cerebralmente,

ma lasciandoci prendere per intero dall’entusiasmo per quelle idee

e trasportare a ogni specie di esperienze del sentimento.

 

E come non sarebbe possibile? Può il sentimento rimanere freddo quando passano dinanzi al nostro spirito i meravigliosi processi per cui la Terra si è sviluppata dalla Luna, dal Sole e da Saturno, oppure se si penetra nelle infinite profondità della natura umana, attraverso la conoscenza del proprio corpo eterico, dell’astrale, ecc.? Si vorrebbe proprio dire: tanto peggio per chi è capace di sperimentare a mente fredda tali meravigliosi edifici di pensieri! Poiché se non li sperimentasse freddamente, ma provasse in sé tutte le tensioni e liberazioni del sentimento ch’essi rendono possibili, tutti gli accrescimenti e le crisi, i progressi e i regressi, le catastrofi e le rivelazioni, allora verrebbe realmente preparato in lui il terreno per l’ispirazione.

È però certo che si potrà svolgere la necessaria vita di sentimento di fronte a tali comunicazioni desunte da mondi superiori, solo se veramente si eseguiranno gli esercizi di cui si è parlato più sopra.

 

A chi rivolge tutte le sue forze di sentimento al mondo della percezione esterna dei sensi, le narrazioni del mondo superiore appariranno «aridi concetti» e «teoria astratta». Non riuscirà mai a capire perché ad altri le comunicazioni della scienza occulta scaldino il cuore, mentre egli rimane freddo fino in fondo all’anima, e dirà forse: questa è tutta roba per l’intelletto, mentre io vorrei qualcosa per il sentimento. Ma non attribuirà a se stesso la colpa del fatto che il suo cuore rimanga freddo.

 

Molti sottovalutano ancora la potenza

di quanto è già contenuto nelle semplici comunicazioni su un mondo superiore;

mentre, a questo riguardo, sopravvalutano ogni sorta d’altri esercizi e procedure.

Essi dicono: a che mi giova che altri mi raccontino quello che avviene nei mondi superiori? Vorrei poterlo vedere io stesso. A costoro manca per lo più la pazienza per approfondirsi sempre di nuovo nelle descrizioni dei mondi superiori. Se lo facessero, vedrebbero quale forza di stimolo hanno tali «semplici narrazioni», e come la propria ispirazione venga davvero stimolata dall’apprendere le ispirazioni altrui.

Certo, se il discepolo vuol far rapidi progressi nello sperimentare i mondi superiori, deve aggiungere allo «studio» altri esercizi; ma nessuno dovrebbe sottovalutare l’infinita importanza che ha appunto lo «studio». In nessun caso si può far sperare a qualcuno di poter far rapide conquiste nei mondi superiori, se non trova la forza d’immergersi incessantemente nelle comunicazioni puramente narrative che persone competenti fanno dei processi e degli esseri dei mondi superiori.

 

Per il fatto che oggi tali comunicazioni vengano esposte in libri e conferenze, e che siano stati pure accennati i primi esercizi che conducono alla conoscenza di mondi superiori (per esempio nel mio libro L’iniziazione), si può oggi apprendere apertamente una parte di ciò che in passato si comunicava solo in scuole occulte rigorosamente riservate. Come è stato detto già molte volte, tale pubblicazione è voluta dalle condizioni del nostro tempo e deve essere fatta. Al tempo stesso va però ripetuto che, nonostante certe facilitazioni all’apprendimento del sapere occulto, la guida sicura di un maestro non è ancora totalmente sostituibile.

 

La conoscenza per mezzo dell’ispirazione

conduce l’uomo a sperimentare i processi che avvengono nei mondi invisibili,

cioè ad esempio quelli dell’evoluzione dell’uomo, della Terra e delle sue incarnazioni planetarie.

• Ma se di quei mondi superiori si vogliono considerare non solo i processi, ma gli esseri,

allora deve subentrare la conoscenza per mezzo dell’intuizione.

 

Ciò che avviene per opera di tali esseri

• si conosce in immagine per mezzo dell’immaginazione;

• per mezzo dell’ispirazione si arriva alle leggi e ai rapporti;

• ma a chi voglia incontrare gli esseri stessi occorre l’intuizione.

 

Altrove si dirà come l’ispirazione s’inserisca nel mondo delle immaginazioni, pervadendole di una «musica spirituale» e diventando così il mezzo d’espressione degli esseri riconoscibili grazie all’intuizione. A quel punto si tratterà anche dell’intuizione stessa.

 

Qui si vorrebbe soltanto far rilevare ancora che quella che nella scienza occulta si designa come «intuizione»

non ha nulla a che fare con quanto spesso si caratterizza familiarmente con questa parola.

• Con essa si suole indicare un’«idea» più o meno vaga,

in contrapposizione a una conoscenza chiara e coerente dell’intelletto o della ragione.

Nella scienza occulta invece l’«intuizione» non è nulla di oscuro o incerto,

bensì un elevato modo di conoscenza pieno di luminosa chiarezza e della più indubitabile certezza.

 

 

Testo alternativo generato dal computer: Q) do SpiritQQ/ 00 Quadro panoramico della vita eliminato IO Concetto Appare la vita preterrena O/)dO Conoscenza ispirativa (D