Lo spirito della natura
O.O. 183 – Il divenire dell’uomo – 2.09.1918
Quando si parla dello spirito della natura, quando si parla dello spirito proprio della natura,
bisognerebbe parlare in realtà dello spirito arimanico.
Lo spirito arimanico qui ha pieni diritti.
• Le entità delle gerarchie normali si servono dello spirito arimanico
per generare quel che si dispiega tutt’intorno a noi come natura.
Il fatto che percepiamo una natura impenetrata dallo spirito dipende appunto da ciò,
che lo spirito non è racchiuso nella vita presente della natura, ma vi agisce dal passato.
E qui sta il mistero, vorrei dire, delle potenze creatrici universali: nel fatto che esse si servano di uno spirito
che hanno lasciato a uno stadio precedente per agire su uno stadio successivo, ma ve lo facciano agire dal passato.
Quando parliamo della natura, non dovremmo parlare di materia, e neppure di forze,
dovremmo parlare di entità arimaniche;
ma dovremmo anche dire che collochiamo queste entità arimaniche nel passato.
E qui emerge la singolarità della cosa: supponiamo che un filosofo della natura rifletta, rifletta su quel che sta dietro i fenomeni naturali. Ebbene, a questo punto si costruirà ogni sorta di teorie e di ipotesi relative a legami atomici e cose del genere.
Ma la questione è un’altra.
Dietro ciò che si dispiega in forma sensibile tutt’intorno a noi
non c’è in realtà quello che di solito pensano i filosofi della natura;
dietro tutto questo c’è invece la somma delle potenze arimaniche, non però in quanto potenze presenti.
Per quanto dunque il filosofo della natura possa essere obbligato, diciamo,
a ipotizzare delle strutture atomiche dietro gli elementi chimici,
questo è falso: dietro gli elementi chimici stanno le potenze arimaniche.
Se però noi potessimo togliere di mezzo quello che vediamo degli elementi chimici e guardare che cosa c’è dietro,
al presente lì dietro non vedremmo nulla:
lì, dove si cercano gli atomi, sarebbe vuoto, e ciò che agisce, in questo spazio vuoto agisce dal passato.
Questa è la realtà.
Di qui il fallimento delle numerose teorie sulla “cosa in sé”; poiché al presente questa “cosa in sé” non esiste affatto.
Lì, dove si cerca la “cosa in sé”, non c’è nulla; mentre l’azione vi proviene dal passato.
Potremmo dire quindi che Kant, nel cercare la sua “cosa in sé”, avrebbe dovuto dire:
“Lì, dove voglio arrivare alla cosa in sé, non ci posso arrivare”.
E in effetti l’ha anche detto.
Ma non è giunto a pensare che solo al presente lì non avrebbe trovato nulla,
e che, se fosse andato oltre il velo delle cose, avrebbe dovuto farsi molto indietro;
avrebbe infatti trovato le potenze arimaniche.