L’oscuramento della coscienza spirituale dell’umanità e il pericolo della morte spirituale.

O.O. 106 – Miti e misteri dell’Egitto – 11.09.1908


 

Sommario: Origine e funzione delle antiche saghe. L’oscuramento della coscienza spirituale dell’umanità e il pericolo della morte spirituale. Il chiarimento con l’iniziazione. La salvezza col Cristo. Gli iniziati, precursori del Cristo e la loro coscienza profetica. L’iniziazione egizia e lo sviluppo dell’io. Molti fatti occulti sono passati alla coscienza collettiva con le saghe greche.

 

Vi sono molti miti e leggende degli antichi Egizi che erano ben noti alle concezioni esoteriche del mondo, e che anche risaranno noti, ma di cui la tradizione storica degli Egizi non fa menzione. Alcuni di tali miti ci sono stati conservati storicamente nella forma che essi assunsero in Grecia, poiché la maggior parte delle leggende greche, non riguardanti Zeus e la sua famiglia, sono derivate dai misteri egizi. Oggi ci occuperemo di alcune delle saghe di cui abbiamo bisogno, sebbene certe correnti della storia ritengano di scarso interesse il contenuto della mitologia greca.

 

Per quale ragione abbiamo studiato l’altro lato dell’evoluzione umana, cioè il suo lato spirituale? Tutto quello che vediamo sul piano fisico resta sempre avvenimento, fatto del piano fisico, ma alla scienza dello spirito non interessa soltanto ciò che vive sul piano fisico, ma anche tutto quello che si svolge nei mondi spirituali.

Da quel che abbiamo ascoltato nelle conferenze antroposofìche sappiamo che cosa avviene di noi tra la morte e una nuova nascita.

Ricordiamo che dopo la morte passiamo per uno stato di coscienza che chiamiamo kamaloka nel quale, sebbene divenuti esseri spirituali, restiamo legati al corpo astrale. È il periodo durante il quale bramiamo ancora le cose del mondo fisico e soffriamo per non essere più sul piano fisico.

 

Segue poi il tempo in cui dobbiamo prepararci per una nuova vita: lo stato di coscienza del devachan, in cui non siamo più in un rapporto diretto col mondo fisico e con le impressioni fisiche. Facciamo due esempi per chiarirci la differenza che passa tra la vita nel kamaloka e quella nel devachan.

Sappiamo che dopo la morte non ci spogliamo subito di tutti i nostri desideri e le nostre brame; chi durante la vita è stato un buongustaio e ha provato grande godimento per i buoni cibi, dopo morto non perde subito il desiderio di cibi ghiotti. Tali desideri non risiedono nel corpo fisico, ma nel corpo astrale; siccome dopo la morte conserviamo ancora il corpo astrale, abbiamo anche i relativi desideri; ci manca però l’organo per appagarli, cioè il corpo fisico. Il desiderio del cibo non dipende dal corpo fisico, ma dal corpo astrale, e dopo la morte subentra in noi una vera avidità per quel che durante la vita ci dava maggiore soddisfazione. Dopo la morte soffriamo quindi fino a che non ci siamo liberati dalla brama di quel piacere e spogliati di tutte le ingordigie che abbiamo sviluppato per mezzo degli organi fisici; per tutto quel tempo si svolge la vita del kamaloka. Poi incomincia il periodo nel quale non abbiamo più desideri che possano venir appagati soltanto da organi fisici; entriamo allora nel devachan.

 

Nella stessa misura in cui vanno dissolvendosi i vincoli che ci legano al mondo fisico, cominciamo ad acquistare una coscienza del mondo devachanico. Essa risplende sempre più.

Chi però oggi si trova in quel mondo non ha ancora la coscienza dell’io come in questa vita; là non è ancora indipendente. Nel devachan si sente un membro, un organo di tutto il mondo spirituale. Come la mano, se potesse accorgersene, si sentirebbe solo un arto dell’organismo fisico, così l’uomo, nella sua coscienza devachanica, sente d’essere un arto del mondo spirituale e anche degli esseri superiori. Per arrivare all’indipendenza dovrà evolversi. Ma intanto collabora con il cosmo, dalle regioni dello spirito lavora al regno vegetale; in genere lavora non per interessi personali, ma come parte attiva, come parte del mondo spirituale.

 

Descrivendo in tal modo quel che sperimentiamo tra morte e rinascita, non dobbiamo immaginare che gli avvenimenti del mondo devachanico non siano soggetti a una trasformazione. Abbiamo spesso e in segreto l’impressione che la terra sia mutevole, ma che lassù, oltre la morte, tutto resti sempre uguale. Non è davvero così.

La descrizione che noi abbiamo fatta or ora del devachan corrisponde su per giù al suo stato attuale, ma ricordiamo come stavano le cose quando le nostre anime erano incarnate all’epoca della civiltà egizia.

 

Il nostro sguardo si posava allora sulle gigantesche piramidi e sugli altri grandi monumenti. In tempi antichi l’aspetto fisico della terra era molto diverso.

Pensiamo quanto si è mutato da allora l’aspetto fisico della terra!

La scienza materialistica ci narra come pochi millenni or sono l’Europa fosse del tutto diversa da ora, popolata ad esempio da animali differentissimi da quelli attuali.

La faccia della terra muta di continuo, e ne deriva che veniamo a trovarci in sempre nuove condizioni di esistenza; è evidente per ognuno.

 

Ma quando si descrivono le condizioni del mondo spirituale, gli uomini con facilità credono che quel che si è svolto nel mondo spirituale, quando essi morirono, diciamo mille anni prima di Cristo, si svolga tale e quale ancor oggi, quando essi nascono e muoiono di nuovo.

Come si trasforma il piano fisico, così si mutano in effetti anche le condizioni dell’altro mondo. Il soggiorno nel devachan, quando vi si perveniva dalla vita egizia, oppure da quella greca, era diversissimo da oggi. Anche là avviene un’evoluzione.

È naturale che noi descriviamo le condizioni attuali del devachan, ma esse si sono mutate. Potremo ammetterlo ricordando quel che già abbiamo narrato nelle conferenze precedenti.

Abbiamo visto che, fino all’epoca atlantica, l’uomo viveva più nel mondo spirituale e che durante il sonno frequentava il mondo spirituale. Poi abbiamo visto grado a grado venir meno tutto ciò”.

 

Se risaliamo a un passato ancora più lontano, troviamo che l’uomo viveva allora del tutto nel mondo spirituale. In tempi antichi anche la differenza tra il sonno e la morte era assai minore.

Nell’antichissimo passato i periodi del sonno erano assai più lunghi di adesso, e all’incirca corrispondevano al periodo che ora è abbracciato da un’incarnazione e dalla successiva vita dopo la morte.

 

Mentre l’uomo scendeva sul piano fisico, vi si impigliava sempre più.

In India, come abbiamo veduto, egli innalzava lo sguardo a un mondo elevato;

in Persia aveva cercato di conquistare il piano fisico;

poi la sua discesa continuò finché, nell’epoca greco-latina,

avvenne l’unione tra lo spirito e la materia, tra i mondi spirituali e il piano fisico.

 

Quanto più l’uomo si avvicinava alla metà di quell’ultimo periodo, tanto più imparava ad amare il mondo fisico e a prendervi interesse. Con questo si trasformavano pure tutte le esperienze tra la morte e la nuova nascita.

L’interesse che l’uomo portava incontro al mondo fisico era assai scarso durante i primi tempi dell’epoca postatlantica. Gli iniziati di quei tempi potevano trasportarsi in sfere altissime, nei mondi devachanici, e narrare poi agli altri uomini le loro esperienze. Nell’uomo che con tutti i suoi pensieri e con tutti i sensi si sentiva trasportato in alto, nel mondo vero, nella sua vera patria, ciò produceva l’effetto di un interesse assai scarso per le condizioni del piano fisico.

Quando poi, dopo essersi collegato appena col mondo fisico, saliva al devachan, aveva là una coscienza relativamente chiara. Reincarnandosi più tardi nella civiltà persiana si sentiva già più attirato verso la materia fisica, ma pagava tale interesse con una meno chiara coscienza nel devachan.

 

Ai tempi egizio-caldaici, quando si cominciava ad amare il mondo fisico, la coscienza devachanica diviene come un’ombra, sempre più indistinta. Nel suo genere tale coscienza, ancora più elevata di quella del mondo fisico, diminuisce di grado e si oscura sempre più sino ai tempi greco-latini. Allora essa divenne sempre più oscura ed evanescente. Non fu mai una vera coscienza di sogno. Era una coscienza nella quale si poteva notare che fosse qualcosa di cui si era consapevoli. Con l’avanzare del tempo, essa si andò oscurando sempre più.

I misteri esistevano in sostanza per rendere possibile agli uomini di non avere nel mondo spirituale soltanto una scienza adombrata, ma di riuscire a renderla di nuovo più chiara. Se non vi fossero stati né i misteri né gli iniziati, l’uomo avrebbe avuto nei mondi spirituali una coscienza sempre meno chiara.

Solo l’iniziazione che in parallelo a quell’oscuramento si praticava nei misteri, e con essa l’acquisto di facoltà che a individui eletti aprivano l’adito al mondo spirituale in chiara veggenza, solo il fatto che gli iniziati potevano darne notizia nei miti e nelle saghe apportarono un po’ di luce nella coscienza devachanica tra la morte e una nuova nascita. Ma tutti coloro che si erano già del tutto acclimatati nel mondo fisico, sentirono quell’affievolirsi della coscienza nel mondo spirituale; non è una favola, bensì verità, l’esperienza tutta speciale che poteva fare l’iniziato dei misteri eleusini.

 

È un principio dell’iniziazione che si possa ascendere già durante la vita nei mondi dello spirito, e apprendervi ciò che vi si svolge; e l’iniziato di quei tempi poteva in effetti sapere per esperienza diretta dell’oscuramento avvenuto in quei mondi.

È in verità un detto di un iniziato il dire: «Meglio essere un mendicante nel mondo fisico che un re nel regno delle tenebre». Simili cose non possono mai essere prese abbastanza sul serio, e noi le comprendiamo solo quando impariamo a conoscere i fatti del mondo spirituale.

 

Vogliamo ora considerare in una forma più concreta quel che ieri abbiamo visto in forma astratta.

Se null’altro fosse intervenuto, tranne la continua discesa nel mondo fisico, la coscienza umana sarebbe andata via via oscurandosi tra la morte e la nuova nascita. Alla fine, gli uomini avrebbero del tutto perduto ogni contatto col mondo spirituale.

Per quanto possa apparire strano ciò che sto per dire, a chi è ancora anche solo un poco inquinato da una qualsiasi forma di materialismo, pure è vero che, se in quel punto nulla fosse intervenuto nell’evoluzione dell’umanità, questa sarebbe caduta nella morte spirituale.

 

Ma vi è una possibilità per l’uomo d’illuminare la sua coscienza tra la morte e una nuova nascita, sia attraverso l’iniziazione stessa, sia oggi, in grado minore, col prendere parte già in questa vita al mondo spirituale, avendo esperienze che non si dileguano col morire dei suoi corpi, ma che anche nel mondo spirituale restano congiunte con lui nel suo nucleo centrale eterno. Di questo si occupavano i misteri e tutta l’evoluzione spirituale; vi provvedevano i grandi iniziati prima del Cristo, e, sopra ogni altro, l’Essere stesso che ci è noto con questo nome. Tutti gli altri iniziati erano in certo modo precursori del Cristo, messaggeri inviati ad annunciarne la venuta.

 

Vogliamo ora descrivere l’apparire della stessa figura del Cristo.

Pensiamo un uomo che non ne avesse mai sentito parlare, che non avesse mai potuto accogliere in sé i misteri del vangelo di Giovanni, che mai si fosse detto: voglio vivere secondo l’esempio del Cristo vivente e operante, accogliendo nel mio essere i Suoi principi. Pensiamo un uomo a cui non si fosse mai avvicinato il Cristo, e che non potesse portar seco nel mondo spirituale il tesoro di cui dobbiamo munirci oggi, se vogliamo evitare l’oscuramento della nostra coscienza.

 

Le rappresentazioni del Cristo che portiamo con noi

sono una forza che illumina la nostra coscienza dopo la morte,

e che ci salva dal destino che avremmo avuto se il Cristo non fosse comparso.

• Se Egli non fosse comparso, l’essere umano si sarebbe sì conservato,

ma la sua coscienza dopo la morte non avrebbe potuto rischiararsi.

 

• Questo dà alla venuta del Cristo tutta la sua vera importanza: che al nucleo essenziale dell’uomo sia stato incorporato qualcosa di un’estrema portata.

L’evento del Golgota, quando egli lo fa suo fin nel profondo del proprio essere, lo preserva dalla morte spirituale, quando si identifichi in esso.

 

Non dobbiamo credere che le altre grandi guide dell’umanità non abbiano avuto anch’esse un’importanza analoga. Non si tratta di costruire un dogma esclusivo per il cristianesimo; sarebbe andar contro il vero cristianesimo, poiché chi conosce i fatti sa che il cristianesimo veniva insegnato anche negli antichi misteri.

È profondamente vero il detto di Agostino: «Quella che oggi si chiama religione cristiana esisteva pure presso gli antichi, e non mancava agli inizi del genere umano, fino a quando Cristo apparve nella carne e la vera religione, già prima esistente, ebbe il nome di cristianesimo.»

 

Il nome non è l’essenziale; lo è invece la giusta comprensione dell’importanza dell’impulso del Cristo. Come il Cristo comparve al momento più basso dell’evoluzione, così Ermete, Buddha e le altre grandi guide ebbero la coscienza profetica che Egli sarebbe venuto sulla terra, sentivano che viveva in loro.

Possiamo vederlo in modo speciale studiando la figura del Buddha e rendendoci conto di chi egli fosse. Chi era in effetti il Buddha?

 

Dobbiamo toccare qualcosa che può venir detto soltanto fra i discepoli della scienza dello spirito. Gli uomini, anche i teosofi, spesso immaginano troppo semplici i misteri della reincarnazione. Non dobbiamo pensare che un’anima qualsiasi, oggi incarnata nei suoi tre corpi, sia semplicemente vissuta in un’incarnazione precedente, prima ancora in un’altra, e prima ancora in una antecedente, e così di seguito, sempre secondo lo stesso schema.

I segreti sono molto più complicati.

 

Sebbene la Blavatsky si sia data molta pena per mostrare ai suoi intimi discepoli come siano complicati questi segreti, la gente oggi ancora non li comprende bene. Si immagina semplicemente che un’anima entri sempre di nuovo in un corpo. Ma la cosa non è così semplice. Spesso una figura storica non si può senz’altro inserire in uno schema siffatto, se si vuole comprenderla davvero. Occorre un lavoro molto più complesso.

Già nell’Atlantide troviamo esseri che erano attorno agli uomini come oggi lo siamo fra contemporanei, ma che si imparava a vedere e a conoscere quando, usciti dal corpo, si saliva nel mondo spirituale.

 

Abbiamo già detto come allora si conoscessero le divinità Thor, Zeus, Wotan, Baldur, quali veri compagni. Di giorno l’uomo viveva nel mondo fisico, ma nell’altro stato di coscienza conosceva esseri spirituali che non percorrevano la stessa sua evoluzione.

Nei primi tempi dell’esistenza della terra, egli non aveva un corpo denso come l’attuale; non vi era traccia alcuna di uno scheletro; durante l’Atlantide si sarebbe potuto vedere il corpo umano con occhi fisici, solo fino a un certo grado.

Vi erano però esseri che potevano scendere solo fino a incarnarsi nel corpo eterico. Altri potevano ancora incarnarsi quando l’aria era satura di vapori liquidi. Allora, quando l’uomo viveva nell’atmosfera liquido-nebulosa, simili incarnazioni erano ancora possibili.

 

Una di queste figure era ad esempio colui che più tardi fu Wotan; egli si diceva: se l’uomo si incorpora in questa materia liquido-luminosa, posso incarnarmici io pure. Assumeva allora forma umana e andava peregrinando per il mondo fisico.

Quando più tardi la terra si condensò sempre più, ed anche l’uomo assunse forme sempre più dense, Wotan si disse: no, in quella materia densa io non entro! Restò allora nei mondi invisibili, lontani dalla terra. Fecero così anche gli altri esseri spirituali-divini.

Da allora poterono fare qualcosa d’altro e stringere una specie di vincolo con gli esseri umani che andavano loro incontro, sviluppandosi dal basso.

 

Dobbiamo pensare che il processo evolutivo portava l’uomo fino a un punto di massima discesa; fino a quel punto gli dèi lo accompagnarono. Allora però presero un’altra via, invisibile agli uomini del piano fisico.

Solo quando qualche individuo umano conduceva una vita regolata secondo i precetti degli iniziati, e così facendo purificava i propri corpi più sottili, in certo modo poteva andare incontro agli dèi. L’uomo incorporato nella carne, quando si purificava, poteva mettersi in grado di venire adombrato dagli esseri che non potevano discendere fino al corpo fisico, troppo materiale per loro. Nel corpo astrale e nel corpo eterico del purificato penetrava allora un essere superiore che altrimenti non avrebbe trovato per sé una forma umana, ma che poteva rivelarsi tramite un altro essere.

 

Conoscendo questo fenomeno non penseremo dunque più l’incarnazione come una cosa tanto semplice. Può darsi benissimo che un uomo sia la reincarnazione di un altro molto evoluto che abbia sviluppato e purificato i suoi tre corpi al punto di diventare la dimora di una entità superiore. Così il Buddha divenne la dimora per Wotan. La stessa entità che nei miti germanici veniva chiamata Wotan riapparve quale Buddha. Buddha e Wotan sono nomi persino linguisticamente affini.

Possiamo dire che molti dei segreti dell’antica epoca atlantica passarono negli insegnamenti, nelle rivelazioni del Buddha. Ciò si accorda con il fatto che le esperienze passate dal Buddha erano state sperimentate dagli dèi nelle sfere spirituali, e anche dagli uomini quando vivevano in quelle sfere.

 

Quando poi l’insegnamento di Wotan ricomparve come dottrina del Buddha tenne scarso conto del piano fisico e lo considerò soltanto come un luogo di dolore da cui bisogna staccarsi. Ecco perché la comprensione più profonda per gli insegnamenti del Buddha si trovò fra i successori dell’antica Atlantide.

In realtà tra le popolazioni asiatiche ve ne sono alcune rimaste indietro che, come razze, sono al livello dell’Atlantide. Esteriormente hanno certo seguito l’evoluzione della terra, ma nei popoli mongoli molto è rimasto dell’Atlantide di cui sono epigoni tardivi. Il carattere stazionario della popolazione mongola è appunto un’eredità dell’Atlantide. Per questa ragione gli insegnamenti del Buddha servono soprattutto a quei popoli, e tra essi hanno la maggiore diffusione.

 

Il mondo progredisce e segue il suo corso. Chi può seguire l’evoluzione del mondo non sceglie, non dice che preferisce questo o quello, ma asserisce che sono necessità spirituali quelle che determinano la religione d’un popolo.

La popolazione europea, per essersi impigliata nel mondo fisico, ha l’impossibilità di sentire profondamente il buddhismo, d’identificarsi con l’elemento più intimo di quella dottrina. Il buddhismo non potè mai diventare una religione umana universale.

 

Per chi vuol vedere, non è questione di simpatia o antipatia, ma di giudicare secondo i fatti. Come sarebbe falso voler diffondere il cristianesimo in un centro dell’Asia abitato da altre popolazioni, così sarebbe altrettanto falso il Buddhismo per i popoli europei.

Nessuna concezione religiosa è giusta se non è adeguata alle necessità interiori di un’epoca, né può mai dare un vero impulso alla civiltà. Sono cose che bisogna capire per poter comprendere realmente i nessi tra gli avvenimenti.

 

Ma non si deve credere che il personaggio storico del Buddha avesse coscienza di tutto quel che rappresentava. Mi occorrerebbero molte ore per esporre la complicatissima figura storica del Buddha. Non abbiamo per niente esaurito tutta la complessità del Buddha storico. In lui viveva ancora dell’altro. Egli non fu soltanto un essere proveniente dall’epoca atlantica, incorporatosi in quello che tra l’altro era anche un Buddha umano; ma, oltre a questo, viveva in lui qualcosa di cui doveva dire: “Ho in me qualcosa che non posso ancora abbracciare; è qualcosa che mi anima, ma a cui io soltanto partecipo”. Era l’Entità del Cristo. Essa animava già i grandi profeti. Era un’Entità ben nota nei misteri più antichi, dove si accennava sempre a Colui che sarebbe venuto.

 

Egli venne infatti! Venne e si sottomise a certe necessità storiche che sono alla base dell’evoluzione. Non si sarebbe potuto senz’altro incarnare in un corpo fisico. Era ancora possibile che si incarnasse nel Buddha come in una specie di subcoscienza. Per muoversi sulla terra poteva incarnarsi solo in un corpo fisico, in un corpo eterico e in un corpo astrale particolarmente preparati.

Il Cristo aveva la massima forza d’azione, ma non poteva incarnarsi se non in un corpo fisico, eterico e astrale che fossero stati del tutto purificati e affinati da un altro essere.

 

Così l’incarnazione del Cristo potè avvenire solo grazie a una entità che aveva potuto raggiungere un grado di altissimo sviluppo. Fu Gesù di Nazareth. Egli era salito a un grado tanto alto che durante la sua vita potè purificare i suoi tre corpi in modo che, giunto ai trent’anni, potè abbandonarli, lasciandoli però capaci di continuare a vivere ed essere utilizzati da una Entità superiore.

 

Spesso quando dico che occorreva un alto grado di sviluppo perché Gesù potesse sacrificare i suoi corpi, mi sono sentito fare una strana obiezione: «Ma questo non è un sacrificio! Non si può immaginare qualcosa di più bello dell’abbandonare i propri corpi a un Essere così elevato». Sì, è certo molto bello, e il sacrificio può non sembrare tanto grande, pensandolo in astratto. Si vorrebbe rispondere: ci si provi a farlo! Tutti vorrebbero fare il sacrificio, ma si tratta di provare!

Occorre avere forze immani per purificare i propri corpi in modo da poterli abbandonare lasciandoli ancora capaci di vita, e i sacrifici occorrono per acquistare tali forze. Per poterlo fare Gesù di Nazareth doveva essere un’individualità elevatissima.

 

Il Vangelo di Giovanni accenna a quando Gesù abbandonò corpo fisico, corpo eterico e corpo astrale ed entrò nel mondo spirituale, e a quando il Cristo compenetrò la triplice corporeità. Avvenne al battesimo di Gesù nel Giordano, quando qualcosa di importantissimo si svolse nella corporeità di Gesù di Nazareth.

Anche quel che ora dico farà inorridire i materialisti. Se vogliamo comprendere tutta l’importanza di quel che si svolse al momento del battesimo, quando il Cristo penetrò in Gesù, dobbiamo porci davanti all’anima una cosa che potrà apparire molto singolare, ma che pure è vera.

 

Nel corso dell’evoluzione umana si sono a poco a poco sviluppati e sempre più perfezionati singoli organi del corpo.

Abbiamo già veduto come, al momento in cui gli organi avevano raggiunto nel loro sviluppo l’altezza delle anche, fecero la loro comparsa certe strutture e funzioni.

A misura che l’individualità umana diventava sempre più autonoma, si effettuò anche un indurimento del sistema osseo.

 

Quanto più, uomo divenne indipendente, tanto più s’indurì il suo scheletro, ma tanto più crebbe anche la potenza della morte.

Dobbiamo ora porvi attenzione se vogliamo comprendere nel giusto modo quel che segue. Da che cosa dipende in genere che si debba morire, e che il corpo si decomponga?

Dal fatto che nel corpo qualcosa possa venir bruciato: le ossa. Il fuoco ha potere anche sulla sostanza ossea umana. L’uomo non ha potere alcuno, o almeno alcun potere cosciente sopra le sue ossa. Tale potere è ancora al di fuori della forza umana.

 

Nel momento del battesimo nel Giordano, quando il Cristo entrò nel corpo di Gesù di Nazareth, il suo sistema osseo divenne del tutto diverso da quello di tutti gli altri uomini.

Fu un caso che prima d’allora non si era mai prodotto, e che anche in seguito sino ad oggi non si è mai presentato.

Con l’Entità del Cristo penetrò in Gesù qualcosa che aveva potere sopra le forze che bruciano le ossa.

 

Costruire le ossa non è oggi ancora in potere della volontà umana. Ma la potenza cosciente del Cristo afferrò l’uomo intero fino alle ossa; ciò fa parte del significato del battesimo di Giovanni.

Così fu immesso nella terra qualcosa che si può chiamare il potere di dominare la morte, poiché solo con le ossa la morte è penetrata nel mondo.

Il superamento della morte entrò nel mondo perché la forza che domina le ossa penetrò nel corpo umano.

 

Si pronuncia con ciò un profondo mistero; per mezzo del Cristo un elemento di grande, di altissima santità penetrò nel sistema osseo di Gesù di Nazareth. Perciò esso non doveva essere toccato, e doveva compiersi la parola della Scrittura che dice: «Nessun osso dovrà essergli spezzato». In tal caso infatti il potere dell’uomo sarebbe intervenuto nelle forze divine. Vediamo qui un mistero profondissimo dell’evoluzione dell’umanità.

Così arriviamo al tempo stesso a un concetto molto importante del cristianesimo esoterico che può mostrarci come esso sia compenetrato delle verità più sublimi; arriviamo a quel che inoltre ci viene incontro nel battesimo.

 

Poiché l’Entità del Cristo aveva preso possesso dei tre corpi nei quali era dimorato l’io di Gesù, un’Entità che prima aveva avuto la sua dimora sul sole fu d’ora in poi congiunta con la terra. In passato, quell’Entità era stata unita alla terra fino al momento in cui il sole l’aveva lasciata. Allora anche il Cristo l’aveva lasciata, e da allora in poi Egli non aveva potuto esercitare la sua azione sulla terra se non da fuori di essa.

Al momento del battesimo, il sommo spirito del Cristo si ricongiunse appieno con la terra. Prima agiva da fuori, adombrava i profeti e agiva nei misteri. Ora era incarnato in un corpo fisico umano sulla terra stessa.

 

Se qualcuno, da un punto lontano dell’universo, avesse potuto osservare la terra durante i millenni, e non soltanto il suo aspetto fisico, ma anche le sue correnti spirituali, il suo corpo astrale e il suo corpo eterico, avrebbe visto processi importanti nel momento del battesimo nel Giordano e nell’altro momento in cui sul Golgota il sangue fluì dalle ferite del Cristo.

Il corpo astrale della terra ne fu modificato a fondo, assunse nuovi elementi e nuovi colori; una nuova forza fu incorporata alla terra.

 

Ciò che prima agiva da fuori, ora si riunì con la terra, e con ciò la forza d’attrazione tra il sole e la terra divenne tanto forte che un giorno essi potranno di nuovo congiungersi, e l’uomo ritrovarsi fra gli spiriti solari.

Fu il Cristo che diede alla terra la possibilità di riunirsi un giorno col sole e di ritrovarsi in seno alla Divinità.

 

Tale è il processo e tale il suo significato. Dovevamo premetterlo per far comprendere l’importanza dell’avvento del Cristo sulla terra: unendoci in effetti col Cristo, possiamo accogliere in noi qualcosa che dà alla nostra coscienza, dopo la morte, la possibilità di rischiararsi di nuovo. Capiremo così che vi è un’evoluzione anche per la vita tra la morte e una nuova nascita. Chiediamoci ora: in favore di chi tutto ciò è in realtà accaduto?

 

Prima l’uomo era vissuto immerso nel seno della Divinità. Poi discese sul piano fisico. Se fosse rimasto lassù, non avrebbe mai raggiunta la sua autocoscienza attuale, non avrebbe mai ottenuto un io. Soltanto nel corpo fisico poteva accendere l’autocoscienza nella sua luminosa chiarezza. Oggetti esteriori dovevano opporglisi, ed egli doveva imparare a distinguersene; doveva discendere nel mondo fisico. Solo a causa dell’io l’uomo dovette discendere. L’uomo origina dagli dèi per quel che riguarda il suo io; esso discese dal mondo spirituale, e fu incatenato al corpo fisico per poter divenire chiaro e luminoso. Appunto al contatto della materia fisica indurita del corpo, l’uomo acquistò il proprio io autocosciente e la possibilità di avere conoscenza; ma fu anche incatenato alla massa terrestre, alla roccia.

 

Prima di acquistare il proprio io, l’uomo aveva acquisito il corpo fisico, l’eterico e l’astrale. Quando via via l’io andò sviluppandosi entro i tre corpi, li trasformò.

Bisogna tener presente che tutte le parti costitutive superiori della natura umana lavorano al corpo fisico. Che esso sia quale è, dipende dal lavoro che il corpo eterico, quello astrale e l’io compiono su di esso. Tutti gli organi del corpo fisico dipendono in certo modo dalla trasformazione compiutasi nelle parti costitutive superiori.

 

Gli esseri rimasti indietro sono diventati le diverse forme animali, ad esempio gli uccelli, sotto l’influsso predominante del corpo astrale.

L’io trasformò anche il corpo astrale diventando sempre più autocosciente.

Abbiamo già detto che esseri umani si isolarono. Quelli che si chiamano animali apocalittici sono tipi nei quali questa o quella parte costitutiva superiore ha la preponderanza.

L’io prese la preponderanza nel tipo “uomo”.

 

Tutti gli organi sono adattati alle parti costitutive superiori dell’uomo. Quando l’io penetrò nel corpo astrale e lo pervase tutto, certi organi si formarono nell’uomo e negli animali che più tardi si separarono.

Così ad esempio un determinato organo proviene dal fatto che l’io sia in genere disceso sulla terra. Sulla luna nessun io era ancora congiunto con gli esseri dell’evoluzione umana. Certi organi sono connessi con tale evoluzione: il fegato e la bile.

 

Quest’ultima è l’espressione fisica del corpo astrale. Essa non è connessa con l’io: l’io agisce sul corpo astrale, e dal corpo astrale le forze agiscono sulla bile.

Ora riassumiamo l’immagine che l’iniziato chiariva all’egizio:

l’uomo autocosciente è stato incatenato al corpo della terra; rappresentati l’uomo avvinto alla roccia terrestre, vale a dire al corpo fisico, e pensa che nell’evoluzione è sorto qualcosa che rode la sua immortalità!

 

Immagina le funzioni che hanno prodotto il fegato:

esse sono sorte perché il corpo è stato avvinto alla roccia terrestre; è l’astrale che lo rode.

Ecco l’immagine che veniva data in Egitto al discepolo, e che più tardi passò in Grecia come saga di Prometeo.

 

Un mito del genere non va preso grossolanamente; non dobbiamo rubare la polverina brillante dalle ali della farfalla, dobbiamo lasciare la rugiada sul fiore. Immagini del genere non si devono torcere e deformare. Non dobbiamo dire: Prometeo significa questo o quello; dobbiamo prima cercare d’intendere i veri fatti occulti, e poi tentare di comprendere le immagini che ne sono nate e che sono poi passate nella coscienza degli uomini.

L’iniziato egizio conduceva il suo discepolo fino al gradino in cui poteva comprendere l’evoluzione dell’io umano. Tale immagine doveva formare il suo spirito. Egli non doveva afferrare brutalmente i fatti, ma tenere dinanzi a sé l’immagine chiara e luminosa.

 

L’iniziato egizio non voleva comprimere la verità in banali e aridi concetti, ma presentare in immagini quel che poteva dare. Nella leggenda di Prometeo la poesia ha contribuito molto ad abbellire e adornare, e noi non dobbiamo aggiungere nulla ai fatti occulti che ne sono alla base, lasciando all’azione artistica tutte le sue delicate forze plasmatrici.

Ora vogliamo accennare ancora a qualcosa d’altro.

Quando scese sulla terra, l’uomo non era ancora dotato di un io.

 

Prima che l’io entrasse per vie segrete nel corpo astrale, questo era dominato da altre forze. Poi il corpo astrale, fluido e luminoso, fu pervaso dall’io.

Prima che ci fosse l’io, da fuori dell’uomo le forze astrali erano state inviate da esseri divino-spirituali. Il corpo astrale esisteva, ma era infiammato da esseri divino-spirituali; era limpido e chiaro, e circondava col suo fluire i germi del corpo fisico e di quello eterico. Li circondava e li compenetrava coi suoi limpidi flutti. Ma, con l’ingresso dell’io entrò in esso l’egoismo e lo oscurò; il flutto d’oro purissimo del corpo astrale andò perduto, e si perdette sempre più, fino al momento in cui l’uomo fu disceso al livello più basso, nel periodo greco-latino.

 

Allora gli uomini dovettero pensare a riconquistare il puro flusso del corpo astrale, e nei misteri eleusini cominciò la cosiddetta ricerca della primitiva purezza del corpo astrale.

I misteri eleusini miravano appunto a restituire al corpo astrale il suo aureo flusso originario, e questo volevano anche gli Egizi. La ricerca del flusso aureo fu una delle prove delle iniziazioni egizie, e ci venne conservata nella meravigliosa saga degli argonauti e di Giasone alla ricerca del Vello d’oro.

 

Abbiamo così seguita l’evoluzione: quando gli organi inferiori somigliavano ancora nella loro forma alle barche delle quali abbiamo parlato, il corpo astrale aveva nella terra acquea ancora un aureo splendore. Nella terra liquida l’uomo aveva il suo corpo astrale rilucente e dorato. La saga degli argonauti ci rappresenta la ricerca di quel corpo astrale. In modo fine e sottile dobbiamo riconnettere la ricerca del Vello d’oro a questa leggenda del mito egizio.

I fatti storici sono collegati con fatti spirituali. Non si deve credere che siano soltanto simboli. L’impresa degli argonauti è veramente avvenuta, come è avvenuta la guerra di Troia. Avvenimenti esteriori sono l’aspetto visibile di processi interiori, e formano i fatti storici.

 

Nelle iniziazioni greche si è sempre ripetuto interiormente il fatto storico della spedizione per la ricerca del Vello d’oro, per la riconquista del corpo astrale puro.

Questo volevo proporre alle nostre anime, e da qui proseguiremo a cercare altri fatti misteriosofici, per arrivare poi a riconoscere come i misteri egizi siano connessi anche con la nostra vita attuale.