L’uomo antico – si sentiva congiunto con la parte migliore di ogni cosa

O.O. 139 – Il Vangelo di Marco – 19.09.1912


 

Occorre tener conto che quando in passato

gli uomini si trasferivano nello stato intermedio fra sonno e veglia che allora era comune a tutti,

essi si trasferivano talmente nelle cose,

che non avveniva come nella percezione fisica che le cose fossero lì, e l’uomo fuori di esse:

ci si trovava effusi su tutti gli esseri, uniti a tutti gli esseri.

 

L’uomo si sentiva congiunto con la parte migliore di ogni cosa,

e congiunto mediante la parte migliore di se stesso.

 

Se non si parte da un sentire astratto, qual è proprio dell’uomo d’oggi,

ma dal sentire dell’uomo antico, quale è stato ora caratterizzato,

allora si possono comprendere parole come quelle di Krishna nella Bhagavad-Gita.

 

Per comprenderle bisogna porsi la domanda:

come vedeva se stesso l’uomo, ai tempi dell’antica chiaroveggenza?

 

Ci si deve rendere conto che come con la disciplina scientifico-spirituale

oggi l’uomo può liberare il suo corpo eterico, sì da sentirsi espanso, effuso in tutte le cose,

così in passato avveniva in modo naturale,

sebbene in forma diversa da quella della moderna disciplina scientifico-spirituale.

 

In quello stato, che si verificava spontaneamente,

gli uomini si sentivano immersi nell’interiorità di ogni cosa.

 

Quando poi le rivelazioni venivano espresse in forma poetica,

quando si esprimeva con splendide parole il contenuto delle visioni,

ecco che nascevano dei testi come quello della rivelazione di Krishna che abbiamo citata.