L’uomo come macchina e involucro

O.O. 202 – La ricerca della Nuova Iside – 26.12.1920


 

Con il verificarsi del mistero del Golgota sono scomparsi gli ultimi resti delle antiche veggenze.

Presso la maggioranza della popolazione terrestre esse erano scomparse già molto prima, perché dobbiamo risalire nel tempo di molti millenni, ai millenni prima di quando dagli altopiani turanici si movessero quelle che poi divennero le civiltà egizio-caldaica e greca, se vogliamo veramente imparare a conoscere quelle forme antichissime di veggenza dell’umanità.

 

Gli ultimi resti di tale veggenza ci vengono ancora incontro nella tradizione cristiana attraverso la veggenza dei pastori, che con una istintiva veggenza immaginativa appresero un importante evento dell’umanità, e attraverso la veggenza dei magi dell’oriente che ne vennero a conoscenza in base alla sapienza derivata dalle stelle.

Quelle antichissime forme di veggenza ci vengono trasmesse nei loro ultimi residui come un preciso segno nell’evoluzione dell’umanità.

 

Dal mistero del Golgota in poi la nuova forma di vedere le cose si diffuse sempre più; essa si era per altro già preparata in Grecia, perché le cose non si susseguono bruscamente una dopo l’altra, ma si preparano e si spengono a poco a poco. Nella civiltà greca si era preparato ciò che in sostanza si è intensificato in tempi più recenti, ciò che specialmente si mostrò nell’evoluzione dell’umanità dalla metà del secolo quindicesimo e che raggiunse poi il suo culmine solo nel diciannovesimo, divenendo però evidente già nel diciottesimo, soprattutto nell’occidente europeo.

 

Esso consiste nel fatto che l’antica veggenza compenetrata di spirito delle lontananze stellari si è trasformata nelle astratte matematica e meccanica; così noi vediamo il cielo nel senso di Galileo e di Keplero, come se fosse comprensibile solo come un oggetto della matematica e della meccanica, e dobbiamo limitare quelle che chiamiamo percezioni solo a ciò che ci trasmettono i sensi, perché è inattiva la forza di percezione dell’uomo nel suo complesso, forza che era istintiva in tempi antichissimi.

 

• Abbiamo spesso detto che l’umanità deve ritornare a sviluppare la veggenza.

• Quel che sale dall’interiorità come matematica, come meccanica, deve di nuovo venir sviluppato in immaginazione.

• Quel che da fuori viene impiegato solo attraverso il tappeto dei sensi

e che poi mediante la speculazione si sviluppa nelle più diverse teorie meccaniche

relative ai processi sensibili, parlando di oscillazioni, di onde o di altro,

tutto ciò deve di nuovo venir sottoposto alla veggenza dell’ispirazione.

• Così l’umanità ritroverà il collegamento verso la sua vera e propria origine,

verso lo spirito che è la vera essenza originaria umana.

 

Come ultimo residuo dei tempi antichissimi abbiamo conservato la concezione matematica

e la percezione esteriore dei sensi. E che cosa ne è derivato nell’evoluzione dell’umanità?

Consideriamo un momento il secolo diciottesimo.

 

Risaliamo fino al filosofo inglese Locke che ebbe tanta influenza per lo sviluppo delle scienze. Da Locke siamo innanzi tutto spinti a considerare sola fonte possibile della conoscenza quella che ci viene trasmessa dai sensi. Solo la percezione sensoria può essere combinata matematicamente, perché specialmente in occidente (l’oriente vi si è sempre opposto) abbiamo appunto ricevuto la percezione esteriore dei sensi, mentre la veggenza interiore è diventata matematica astratta.

 

Nel secolo diciottesimo, in Francia, si cercò di comprendere l’uomo e di dare risposta alla domanda: « Che cosa in sostanza è l’uomo? » Si voleva conoscere l’uomo mediante la forza di conoscenza che l’uomo stesso è capace di produrre. Ne nacque un’opera come L’homme machine del de la Mettrie. Essa non è dovuta alla trovata di qualcuno, ma è nata da una necessità storica dell’evoluzione dell’umanità.

 

In tempi antichissimi un’opera corrispondente sarebbe stata tale che da tutta la scienza, quale l’antica astronomia avrebbe potuto ricavare dai fenomeni celesti, si sarebbe compreso l’uomo in base a tutto il macrocosmo; si sarebbe capito l’uomo in certo senso con la matematica qualitativa, cioè null’altro se non l’antica astronomia, o astrologia se così si preferisce. Così l’uomo sarebbe stato compreso in concreto, se non con la nostra cosciente capacità di conoscenza, pure con la istintiva capacità di conoscenza degli antichi.

 

Che cosa ne rimane? Nell’universo si pensarono esistenti solo astratte linee matematiche, solo forze che si possono concepire interiormente in astratto. Si voleva pensare l’uomo come macchina. Nel secolo diciannovesimo si immaginava opera d’ingegno quella che volesse presentare l’uomo solo in base alle forze matematico-meccaniche, e ciò compenetrava tutte le concezioni scientifiche.

 

Solo in teoria ci si opponeva; si diceva che non poteva essere così, che nell’uomo doveva essere attivo anche qualcosa d’altro. Se però si ammetteva teoricamente e filosoficamente che non poteva essere come si sosteneva nel libro L’homme machine, non si andò oltre la semplice affermazione. Per comprendere l’uomo, non si richiamarono forze diverse da quelle che sono impiegate in una macchina.

 

La gente doveva attraversare lo sviluppo dello spirito, che però è tale solo nel senso più astratto e che quindi, poiché appunto è spirito solo in senso astratto, può solo afferrare l’elemento meccanico-minerale. Soltanto così l’uomo è arrivato alla coscienza della libertà.

 

• Se anche nel secolo diciottesimo l’impulso alla libertà apparve tumultuoso nell’Europa occidentale, vi è un intimo nesso fra l’insufficiente conoscenza dell’uomo che giunse ad espressione nel libro L’homme machine e l’impulso verso la libertà umana, quale si manifestò nella rivoluzione francese. Da un lato vi è la massima decadenza della conoscenza derivata da forze interiori, dall’altro la più intensa esigenza della dignità umana nella libertà.

 

L’altra, la veggenza che l’uomo serbava nell’interiorità, venne spinta fino nei sensi e sbiadì sino alla percezione esteriore sensoria; nulla le rimase di ciò che nella veggenza conduce l’uomo verso il suo simile; rimase solo il sentimento quale motore sociale.

 

Poi nel secolo diciannovesimo comparvero nell’Europa centrale (in occidente già nel secolo diciottesimo) personalità come Dupuis in occidente o come Ludwig Feuerbach e altri che, nel modo caratteristico in cui cose del genere venivano trattate nell’Europa centrale, si ricordarono che nel corso della sua evoluzione l’umanità, guardando nel macrocosmo, vi aveva scorto elementi spirituali, dèi, o alla fine Dio.

 

A quel punto comparve il forte istinto che fece dire:

• « Se guardo nel mondo esterno ho solo il tappeto dei sensi, ho solo quel che è dato alla percezione sensoria. Ciò che viene tramandato e che un tempo si vedeva rilucere dalle stelle, anch’esse cose dei sensi, ciò che era dato come contenuto spirituale del mondo minerale e vegetale è stato immaginato poeticamente dagli uomini, è tutto antropomorfismo, è stato creato dalla fantasia degli uomini e inserito nel mondo esterno. Non gli dèi crearono gli uomini, ma gli uomini crearono gli dèi traendoli dalla loro sostanza psichica. »

 

Prima Dupuis e poi Feuerbach alla metà del secolo diciannovesimo presentarono alla gente questa prospettiva.

Dall’altra parte abbiamo di nuovo spiriti come Darwin e altri col medesimo orientamento che facevano fortemente notare che come facoltà di veggenza l’uomo ha appunto soltanto la percezione esteriore dei sensi. Stabilirono dottrine nelle quali doveva vivere soltanto la percezione dei sensi. Risultò però che l’uomo non poteva venir compreso in base a tali dottrine.

 

In una grandiosa costruzione di idee venne data una teoria evoluzionistica dai più semplici organismi fin su ai più complicati, e l’uomo fu posto al culmine del mondo animale. Ma che cosa si capì dell’uomo? Si comprese quello che si poteva vedere esteriormente mediante le sole percezioni dei sensi.

 

• Se in Francia nel secolo diciottesimo  si era pensato che l’uomo era una macchina,

• nel diciannovesimo lo si guardava ora solo dal di fuori, e non si penetrava nella sua interiorità.

Si presentava solo il suo involucro.

E quell’involucro era al culmine del regno animale.

 

Non si trovava invece al culmine del regno animale quel che racchiudeva l’involucro umano,

provenendo da tutt’altri mondi nei quali non si riusciva più a guardare

perché esisteva solo la percezione dei sensi sviluppatasi dall’antica chiaroveggenza,

perché esistevano solo la matematica e la meccanica

sviluppatesi dall’antica astronomia che era una vivente scienza dello spirito.

 

• Mediante la scienza per così dire interiore si poteva così costruire l’uomo solo come macchina,

• e mediante la cosiddetta scienza esteriore non si poteva costruire affatto l’uomo, ma solo il suo involucro.

A poco a poco l’uomo venne smarrito.

Oggi in sostanza non si ha più coscienza alcuna di quanto si sia perduto l’uomo, proprio per la conoscenza.

 

Si anatomizzano gli animali, si studia la fisiologia animale e la si trasferisce con qualche modifica all’uomo.

Però la scienza di oggi non ha una vera conoscenza dell’uomo.

L’uomo non può oggi acquisire alcuna coscienza di sé

da quella che riconosce proprio come la massima autorità, dalla scienza.

 

L’uomo in quanto macchina si è perduto per la nostra coscienza scientifica,

si è perduta la comprensione del mondo sensibile esterno entro il quale l’uomo non può venir trovato.