L’uomo ha in tutto dodici sensi.

O.O. 293 – Arte dell’educazione I° – Antropologia – 30.08.919


 

Se nella scienza ordinaria se ne distinguono soltanto cinque, sei o sette,

dipende solo dal fatto che questi sono particolarmente appariscenti

e gli altri (che completano il numero dodici) lo sono meno.

 

Ne ho parlato sovente. Di solito si enumerano i seguenti: udito, vista, gusto, olfatto, tatto, senso del calore; e spesso si confondono in uno il tatto e il senso del calore, ciò che equivarrebbe, nell’osservazione esteriore delle cose, a considerare come tutt’uno il fumo e la polvere perché hanno un aspetto simile. Ma non si dovrebbe neanche lontanamente mettere in dubbio che il tatto e il senso del calore sono per l’uomo due modi assolutamente differenti di mettersi in rapporto col mondo.

 

Questi sensi, e ancora tutt’al più, come taluni ammettono, il «senso dell’equilibrio», vengono rilevati dagli psicologi odierni. Alcuni ne aggiungono ancora un altro, ma lo stesso non arrivano a qualcosa di completo nella fisiologia e psicologia dei sensi, semplicemente perché non si osserva che l’uomo, quando percepisce l’io di un altro uomo, si mette con l’ambiente in un rapporto analogo a quello che ha quando scorge un colore per mezzo della vista.

 

Oggi si ha la tendenza a confondere tutte le cose. Quando uno pensa alla rappresentazione dell’io, pensa anzitutto alla propria entità anemica, e in generale se ne accontenta. Qualcosa di simile fanno anche gli psicologi: non pensano affatto che siano due cose ben diverse che io raccolga insieme tutto ciò che sperimento in me stesso e alla fine indichi come «io» tale insieme, oppure che io avvicini un altro uomo e, per il modo col quale mi metto con lui in rapporto, indichi anche quell’uomo come un «io». Sono due attività animico-spirituali del tutto diverse.

 

Nel primo caso, se raduno le mie attività di vita nella sintesi «io» che le congloba, ho davanti a me qualcosa di esclusivamente interiore; nel secondo caso, quando avvicino un altro uomo e, mediante il mio rapporto con lui, porto ad espressione che anch’egli è alcunché di simile al mio «io», ho davanti a me un’attività che entra in un giuoco scambievole fra me e l’altro.

 

• Perciò devo dire: la percezione del mio io nella mia interiorità

è qualcosa di diverso dal riconoscimento di un’altra persona come un io.

• La percezione di un altro io proviene dal senso dell’io,

come la percezione del colore dal senso della vista, del suono dal senso dell’udito.

 

Per il senso dell’io, la natura non ci ha messo dinanzi l’organo della percezione in modo altrettanto palese che per la vista. L’occhio che percepisce i colori è visibile esternamente, nella testa dell’uomo; invece l’organo per la percezione dell’io altrui è esteso a tutta la persona, e consiste di una sostanzialità finissima; perciò gli uomini non sanno di avere un organo per la percezione dell’io altrui. Tale organo non ha nulla a che vedere con ciò che fa sì che ciascuno sperimenti il proprio io. Vi è un’immensa differenza tra sperimentare il proprio io e percepire l’io in un altro, poiché quest’ultima percezione è essenzialmente un processo conoscitivo (o almeno simile alla conoscenza), mentre l’esperienza del proprio io è un processo volitivo.

 

Ora dirò qualche cosa che farebbe la felicità di un pedante.

Egli potrebbe ora dire: nella conferenza precedente hai detto che ogni attività sensoria è soprattutto attività volitiva;

ora costruisci un senso dell’io e affermi che esso è specialmente un senso conoscitivo!

• Eppure, se si caratterizza il senso dell’io

come ho tentato di fare nella nuova edizione della mia Filosofia della libertà,

vi accorgerete che esso funziona, effettivamente, in un modo molto complicato.

In che cosa consiste, in realtà, la percezione dell’io di un’altra persona?

 

I pensatori astratti di oggi dicono in proposito delle cose assai strane. Essi affermano: in realtà dell’uomo esteriore si vede la forma, si odono i suoni; ora, sapendo che noi stessi abbiamo lo stesso aspetto dell’altro e che dentro di noi abbiamo un essere che pensa, sente e vuole, sappiamo di essere un uomo animico-spirituale. Sicché per analogia si conclude: come in me c’è un essere pensante, senziente e volente, così vi è pure nell’altra persona. Si arriva a una conclusione per analogia fra me e l’altro, ma è un’assurdità.

 

Il reciproco rapporto tra un uomo e l’altro racchiude in sé tutt’altra cosa.

 

• Ciò che avviene, quando stiamo di fronte a un altro, è il processo seguente:

percepiamo per brevi momenti quella persona, ed essa fa su di noi un’impressione.

• Quell’impressione ci disturba nella nostra interiorità;

sentiamo che quella persona, che in fondo è un essere uguale a noi,

fa su di noi un’impressione che è come un attacco.

• Per conseguenza, interiormente, ci «difendiamo», ci opponiamo all’attacco,

diventiamo interiormente aggressivi contro di esso.

 

• Poi questa nostra aggressività si paralizza, cessa; quindi l’altro può nuovamente fare un’impressione su di noi.

• Così abbiamo il tempo di aumentare di nuovo la nostra forza aggressiva e compiamo un’altra aggressione.

• Indi nuovamente questa viene meno, l’altro fa una nuova impressione su di noi, e così via di seguito.

 

Questo è il rapporto che si stabilisce quando una persona sta di fronte a un’altra percependone l’io:

– dedizione all’altra persona – difesa interiore

– dedizione all’altro – difesa interiore

– simpatia – antipatia – simpatia – antipatia.

 

Non parlo ora della vita del sentimento, ma dello starsi di fronte per mezzo della percezione.

Qui l’anima vibra in un alternarsi di simpatia e antipatia, simpatia e antipatia.

(Potete riscontrarlo nella nuova edizione della Filosofia della libertà).

 

Ma un’altra cosa avviene: mentre si sviluppa la simpatia, voi vi addormentate, per così dire, nell’altra persona;

quando si sviluppa l’antipatia vi risvegliate di nuovo, ecc. è un alternarsi continuo

di veglia e sonno di brevissima durata, che si svolge in vibrazioni, ogni volta che stiamo di fronte a un’altra persona;

e lo dobbiamo all’esistenza del senso dell’io.

 

Questo è organizzato in modo da investigare l’io dell’altro

non già nella volontà sveglia, ma in una volontà dormiente, poi con tutta rapidità

fa trapassare nella conoscenza l’informazione ottenuta in quello stato dormiente,

cioè la comunica al sistema nervoso.

 

• Sicché, se si guarda bene il fenomeno, la cosa principale nella percezione dell’altra persona è proprio la volontà,

ma quella volontà che si sviluppa dormendo;

perché intessiamo continuamente attimi di sonno nell’atto di percezione dell’io altrui.

• E ciò che sta in mezzo tra i diversi momenti

in cui dormendo si compie la percezione dell’io di un altro, è già conoscenza,

perché l’atto percettivo viene rapidamente respinto nella regione dove domina il sistema nervoso.

 

Posso dunque realmente designare la percezione dell’altro come un processo conoscitivo, ma devo sapere che tale processo conoscitivo è soltanto una metamorfosi di un processo volitivo dormiente. Anche questo processo sensorio è dunque un processo volitivo, ma noi non lo riconosciamo come tale, non viviamo coscientemente tutta la conoscenza che sperimentiamo nel sonno.

 

Poi abbiamo un altro senso, separato da quello dell’io e da tutti gli altri sensi,

ed è quello che chiamo il senso del pensiero.

Non è quello che percepisce i nostri pensieri, ma quelli di altre persone.

 

Anche a questo proposito gli psicologi hanno rappresentazioni veramente comiche.

Anzitutto sono talmente influenzati dall’idea che il pensiero e il linguaggio formino una cosa sola,

da credere che col linguaggio venga sempre accolto anche il pensiero.

 

È un’assurdità, perché attraverso il senso del pensiero

potete percepire i pensieri in quanto gesti compiuti nello spazio, allo stesso modo del linguaggio.

Il linguaggio non fa che «trasmettere» i pensieri.

Ma questi dovete percepirli per se stessi, per mezzo di un altro senso speciale.

 

E una volta che i gesti dell’euritmia siano formati per tutti i suoni, basterà che qualcuno li esegua davanti a voi perché dai suoi movimenti euritmici voi possiate leggere i pensieri, come nel discorso parlato li accogliete per mezzo dell’udito.

 

Insomma, il senso del pensiero è qualcosa di diverso da ciò che agisce nel senso del linguaggio.

Poi abbiamo il vero e proprio senso del linguaggio.

Vi sono quindi i sensi dell’udito e del calore, della vista, del gusto, dell’olfatto, e il senso dell’equilibrio.

• Noi abbiamo una coscienza sensoria per il fatto di trovarci in uno stato di equilibrio. Abbiamo tale coscienza.

 

Per una certa percezione sensoria interiore sappiamo in quale rapporto stiamo tra destra e sinistra, tra davanti e dietro, e come tenerci in equilibrio per non cadere. E quando il nostro organo del senso dell’equilibrio viene distrutto, non possiamo più reggerci e cadiamo, proprio come non possiamo più metterci in relazione coi colori quando il nostro occhio è danneggiato.

 

• Ma oltre a questo senso dell’equilibrio abbiamo anche un senso per i nostri movimenti,

che ci fa distinguere se siamo in moto o in riposo, e se i nostri muscoli sono tesi oppure no.

• Inoltre, abbiamo anche il senso della vita,

per percepire la disposizione in cui, nel senso più ampio, si trova il nostro corpo.

 

Molte persone ne sono addirittura dipendenti. Esse percepiscono se hanno mangiato troppo o troppo poco, se sono stanche o no, e per conseguenza sentono benessere o malessere. Tale percezione delle condizioni del proprio corpo si riflette nel senso della vita. Abbiamo così indicato tutti i dodici sensi che l’uomo effettivamente possiede.

 

Dopo avere eliminato la possibilità di un’obiezione pedante sul carattere conoscitivo di alcuni fra i sensi, perché abbiamo costatato che anche tale carattere di conoscenza riposa in modo occulto sulla volontà, possiamo ora procedere oltre nella suddivisione dei sensi.

 

Ne troviamo anzitutto quattro,

• il tatto,         • il senso della vita,            • il senso del movimento            • e quello dell’equilibrio,

che sono specialmente compenetrati di attività volitiva.

• Attraverso questi sensi, la volontà agisce nella percezione.

 

Si può ben sentire come nella percezione dei movimenti, anche quando li eseguiamo stando fermi in piedi, s’introduca il volere. Una volontà calma opera anche nella percezione del nostro equilibrio. Nel senso della vita la volontà opera molto fortemente, e così pure nel tatto poiché, quando tastiamo qualcosa, avviene una presa di posizione tra il nostro volere e il mondo circostante.

 

Insomma, possiamo ben dire che i quattro sensi ora elencati sono sensi volitivi in senso ristretto. Nel tatto, l’uomo vede esteriormente che egli muove, per esempio, la sua mano quando tocca qualcosa; perciò gli è manifesto che questo senso è da lui posseduto. Per i sensi della vita, del movimento e dell’equilibrio, non è così evidente la loro presenza.

 

E siccome questi sono in modo particolare «sensi della volontà», e nella volontà l’uomo è dormiente, così in questi sensi egli dorme.

Tanto è vero che nella maggior parte dei testi di psicologia questi sensi non sono nemmeno menzionati, perché riguardo a molte cose la scienza dorme anch’essa il sonno dell’uomo esteriore.

 

Altri quattro sensi, quelli dell’olfatto, del gusto, della vista e del calore,

sono principalmente sensi del sentimento.

La coscienza ingenua ne sente l’affinità col sentimento soprattutto nell’odorare e nel gustare.

Che non lo si senta altrettanto per la vista e il calore, ha le sue buone ragioni.

 

Nel senso del calore non si osserva l’affinità col sentimento, ma se ne fa una cosa sola col tatto, cioè si distingue e si confonde in modo ugualmente errato. Il tatto è in realtà molto più dipendente dalla volontà, mentre il senso del calore dipende solo dal sentimento. Che la vista sia anch’essa un senso del sentimento, gli uomini non lo scorgono, perché non fanno le considerazioni contenute nella Teoria dei colori di Goethe.

Qui è chiaramente espressa tutta l’affinità dei colori col sentimento, ciò che alla fine conduce perfino a impulsi volitivi. Ma perché l’uomo si accorge così poco del fatto che nel senso della vista è attivo soprattutto il sentimento?

 

In sostanza, noi vediamo le cose quasi sempre così che, mentre ci mostrano i loro colori, ci mostrano anche i limiti dei colori: linee e forme. Ma di solito non poniamo attenzione al modo come percepiamo, cogliendo nel medesimo istante forme e colori. Quando l’uomo percepisce un cerchio colorato, egli dice grossolanamente: io vedo il colore e vedo anche la rotondità del cerchio, la forma circolare. Ma così si confondono due cose del tutto diverse tra loro.

 

Mediante la vera e propria attività dell’occhio, separata dal resto, si vede da prima solamente il colore. La forma circolare invece la vediamo in quanto nel nostro subconscio ci serviamo del senso del movimento, eseguendo inconsciamente nel corpo eterico, nel corpo astrale un movimento circolare, e poi sollevandolo alla nostra conoscenza. E solo quando il cerchio, che abbiamo accolto mediante il nostro senso del movimento, è affiorato alla conoscenza, il cerchio stesso, riconosciuto, si congiunge al colore percepito.

 

Noi dunque ricaviamo la forma dalla totalità del nostro corpo, facendo appello al senso del movimento, che è appunto esteso su tutto il corpo; e lo rivestiamo con ciò cui abbiamo già accennato nella terza conferenza, dove abbiamo detto che l’uomo esegue veramente le forme geometriche del cosmo e poi le solleva alla conoscenza.

 

La scienza ufficiale contemporanea non arriva fino a un modo di osservazione così sottile da far emergere la differenza tra la visione del colore e la percezione della forma con l’aiuto del senso del movimento, ma li confonde in un’unica cosa. Con tale confusione però in avvenire non si potrà educare; come si può infatti educare al vedere, se si ignora che nell’atto visivo si riversa l’uomo intero con tutto il suo essere, passando attraverso il senso del movimento?

Ma questo ci fa apparire ancora qualcos’altro.

 

Considerate l’atto visivo mentre percepite forme colorate; è un atto complesso quello di percepire forme e colori nello stesso tempo. Ma essendo uomini unitari, potete ricongiungere nuovamente in voi ciò che percepite per due vie diverse, attraverso l’occhio e attraverso il senso del movimento. Se non percepiste per una via il colore rosso e per un’altra via la forma circolare, dovreste guardare del tutto ottusamente un disco rosso. Ma non lo fissate ottusamente appunto perché lo percepite da due parti diverse – il colore attraverso l’occhio, la forma attraverso il senso del movimento – e nella vita siete costretti interiormente a ricongiungere le due cose; qui allora potete giudicare.

 

Ora comprenderete come il giudicare sia un processo vivente nel vostro corpo, proveniente dal fatto che i sensi vi portano incontro il mondo che sperimentate, scisso in tanti elementi, e precisamente in dodici elementi diversi; poi, nel giudicare, ricongiungete tali elementi, i quali non vogliono esistere singolarmente ciascuno per sé. La forma circolare non accetta di essere solo come il senso del movimento raccoglie; il colore non vuole essere puramente colore quale rocchio lo percepisce. Le cose vi costringono interiormente a ricongiungerle, e voi vi dichiarate interiormente pronti a ricongiungerle. Qui la funzione del giudicare diventa una manifestazione dell’uomo intero.

 

Ora potete penetrare nel senso più profondo del nostro rapporto col mondo. Se non avessimo dodici sensi, dovremmo fissare come ebeti il mondo che ci attornia, senza poter sperimentare la facoltà di giudizio nella nostra interiorità. Ma poiché possediamo dodici sensi, abbiamo un numero abbastanza grande di possibilità di collegare elementi separati.

 

Ciò che il senso dell’io sperimenta, possiamo congiungerlo con quello che sperimentano gli altri undici sensi e ciò vale per ciascuno di essi. Otteniamo così un gran numero di permutazioni per le connessioni dei sensi. Otteniamo inoltre un’altra grande quantità di possibilità a questo riguardo, congiungendo il senso dell’io al senso del pensiero e a quello del linguaggio, e così via.

 

Vediamo così in che maniera misteriosa l’uomo è collegato col mondo.

Grazie ai suoi dodici sensi, le cose si scompongono per lui nelle loro parti costitutive, ed egli deve mettersi in grado di ricomporle. In questo modo partecipa alla vita interiore delle cose. Vedete da ciò quanto sia importante che l’uomo venga educato in modo che in lui siano sviluppati con cura omogenea tutti i singoli sensi, poiché allora verranno cercate le relazioni tra i sensi e le loro percezioni in modo sistematicamente cosciente.

 

Devo ancora aggiungere che   • il senso dell’io,    • quello del pensiero,    • dell’udito     • e del linguaggio

sono piuttosto sensi conoscitivi,

perché la volontà che è in essi è appunto la volontà dormiente, veramente dormiente

che nelle sue manifestazioni vibra con un’attività conoscitiva.

• Così già nella zona dell’io umano vivono la volontà, il sentimento e la conoscenza

e vivono con l’aiuto della veglia e del sonno.

 

Rendetevi dunque conto che potete conoscere l’uomo  (quando ne considerate lo spirito)

soltanto se lo contemplate da tre punti diversi.

Ma non basta ripetere: spirito, spirito, spirito!

 

La maggioranza degli uomini parla sempre di «spirito», e non sa operare con quanto dallo spirito è dato.

Lo si tratta giustamente solo quando si prendano in considerazione gli stati di coscienza.

 

• Lo spirito va colto attraverso stati di coscienza, quali la veglia, il sonno e il sogno.

• L’animico viene afferrato mediante «simpatia» e «antipatia», vale a dire con stati di vita.

Ciò accade continuamente nel subconscio.

 

L’anima l’abbiamo propriamente nel corpo astrale, la vita nel corpo eterico,

e tra i due c’è una correlazione interiore permanente,

cosicché si estrinseca naturalmente negli stati di vita del corpo eterico.

 

E il corpo fisico viene percepito per mezzo delle forme.

Nell’ultima conferenza della parte didattica del nostro corso pedagogico preparatorio ho usato:

• la forma della sfera per la testa,

• la forma della luna per il petto,

• la forma lineare per gli arti;

in seguito dovremo intrattenerci ancora sulla vera morfologia del corpo fisico.

 

• Non parliamo nel giusto modo dello spirito

se non descriviamo come esso si estrinsechi in stati di coscienza;

• non parliamo giustamente dell’anima

se non mostriamo come essa si estrinsechi tra simpatia e antipatia;

• e non parliamo giustamente del corpo

se non lo afferriamo nelle sue vere forme.