L’utilità dello studio del karma

O.O. 236 – Nessi karmici Vol. II – 04.05.1924


 

Dopo aver esaminato una serie di nessi karmici che si svolgono lungo il corso della storia umana, e aver visto come certi fatti di una data vita terrena fluiscano nelle vite successive, passeremo ora a esaminare tali nessi anche sotto un altro aspetto, un aspetto che conduce ancora più addentro nella diretta realtà dell’esistenza umana.

 

L’esame del karma ha vero valore

solo se può penetrare nell’etica vivente, in tutta la struttura della vita e dell’anima,

così che essendo inseriti nel mondo con lo studio del karma

possiamo conseguire un rinvigorimento e un approfondimento della vita.

 

La vita presenta molti enigmi,

e non tutti vanno considerati tali da dover restare insoluti,

altrimenti l’uomo verrebbe gradualmente sradicato dalla sua reale natura,

trascorrerebbe la propria esistenza come un essere inconscio.

 

Suo compito è invece di divenire sempre più cosciente

e ciò gli è possibile soltanto se, almeno fino a un certo grado, può comprendere

quello che si riferisce al proprio essere, alla sua anima e al suo spirito.

Siccome il karma è una delle parti costitutive di tutta la nostra esistenza,

è naturale che considerazioni karmiche siano essenziali e fondamentali per la nostra vita.

 

Ma appunto per l’attuale forma della coscienza, indagini karmiche con diretto riferimento alla vita umana riescono oltremodo difficili. Ogni indagine anche solo un poco valida sul karma per la vita che ci circonda e in cui noi stessi siamo inseriti, esige che ci poniamo di fronte alla vita stessa in modo assai più oggettivo di quanto sia possibile a una coscienza formata dalle condizioni dell’esistenza odierna e dell’odierna educazione.

Nelle condizioni di vita in cui l’uomo oggi si trova, le cose che ricoprono i nessi karmici e che li rendono invisibili sono tante che, già soltanto dirigere lo sguardo su quanto chiarisce la vita su base karmica, riesce molto difficile.

 

L’uomo d’oggi è assai poco propenso a svincolarsi da se stesso e ad aprirsi con dedizione ad altro.

Attualmente egli vive con straordinaria forza in se stesso.

Lo strano è che, appunto quando ricerca i valori spirituali, quando li accoglie,

egli incorre perciò nel grave pericolo di vivere ancor più profondamente immerso in sé.

 

Riflettiamo a come stanno spesso le cose nell’ambito di un approfondimento della vita antroposofica. Parecchi di coloro che nel corso della loro vita sono entrati nel movimento antroposofico potranno dirsi: quando non ne facevo ancora parte avevo determinate relazioni con la vita, e da quelle relazioni ero tutto preso, le consideravo intimamente congiunte col mio essere. Apprezzavo certe cose e le ritenevo necessarie alla mia vita. Avevo anche amici ai quali potevo sentirmi vicino per le consuetudini della vita, in ciò che mi portava l’esistenza quotidiana. Ora sono entrato nel movimento antroposofico. Molto di ciò che prima m’interessava è del tutto svanito per me. Ho abbandonato gli antichi legami, o per lo meno essi non hanno conservato l’importanza di una volta. Alcune cose che un tempo facevo volentieri, non mi piacciono più. Non le considero più come qualcosa con cui mi sia caro aver a che fare.

 

Se dopo aver fatto queste riflessioni si pensa a tutto quello da cui ci si è staccati e a che cosa lo ha sostituito, si troverà facilmente che il proprio egoismo non è diminuito. Non voglio ora parlare con l’intento di biasimare, neppure con una leggera sfumatura di biasimo, ma solo esporre un fatto che ognuno può benissimo osservare guardando se stesso: in realtà il suo egoismo è aumentato. Egli presta in realtà ora maggior attenzione a come è intonato il suo essere interiore, il suo animo. Assai più di una volta egli domanda: che impressione mi fa il mio prossimo?

Prima accettava semplicemente come naturale quello che altri facevano attorno a lui, Ora non più. Ora cerca di capire quale impressione egli stesso ne riceve. Oppure prima si trovava in una condizione di vita che gli appariva del tutto accettabile; assolveva i propri compiti e così via. Ora quei compiti gli riescono sgraditi; vorrebbe liberarsene perché non li reputa più abbastanza spirituali.

 

Proprio le aspirazioni spirituali coltivate nell’antroposofia conducono con facilità a una specie di egoismo,

a prendersi molto, molto più sul serio di quanto non si facesse prima.

Tutto questo perché in tali casi non si coltiva un ampliamento dell’interesse vitale verso l’esterno,

ma tutto l’interesse rifluisce verso l’interiorità.

 

Spesso ho detto che chi si immedesima, chi davvero si immedesima nella vita antroposofica non prenderà minor interesse alla vita corrente, ma appunto attraverso l’antroposofia vi prenderà maggiore interesse; tutti gli altri esseri diverranno più interessanti, assumeranno maggior pregio per lui.

Perché ciò avvenga è tuttavia necessario che non ci si ritragga dalla vita corrente, ma che in essa si veda la spiritualità.

 

Certo, si presentano allora cose che prima non si erano notate,

ma bisogna poi avere anche il coraggio di osservarle e non di guardare oltre:

Per arrivare a fare osservazioni karmiche è infatti senz’altro necessario acquisire in certa misura

la facoltà di uscire da se stessi ed entrare negli altri.

Beninteso, questo riesce difficilissimo quando la persona osservata è strumento di pareggi karmici sgradevoli o anche dolorosi. Senza però uscire da se stessi anche di fronte a cose sgradevoli o dolorose, non è possibile un esame, un reale valido esame del karma. Riflettiamo infatti alle condizioni che sono necessarie perché il karma si formi.

Viviamo una determinata esistenza; durante il suo svolgimento facciamo, pensiamo e sentiamo date cose. Entriamo in relazione con determinate persone e nel corso di tali relazioni accadono svariate vicende. Pensiamo, sentiamo, vogliamo, facciamo cose che esigono un pareggio karmico. Entriamo anche in relazioni umane in conseguenza delle quali si verificano a loro volta fatti che esigono essi pure un pareggio. Consideriamo sotto questo aspetto una vita terrena al termine della quale l’uomo penetra nel mondo spirituale attraverso la porta della morte.

Ora egli vive in un mondo dove le cose non sono come nel mondo fisico. Nel mondo fisico viviamo fuori dalle altre persone, anche di quelle a cui siamo umanamente vicini. Nel mondo fisico fra due persone s’interpone per lo meno l’aria, e ciascuna è limitata dalla propria pelle.

 

Nel mondo fisico dunque, per quanto ci avviciniamo ad altri, possiamo in certo senso rimanere in noi stessi.

Questo non è però possibile dopo che si sia varcata la porta della morte e si viva nel mondo spirituale.

 

Prendiamo un caso evidente. Abbiamo compiuto verso una persona un’azione che esige pareggio karmico. Continuiamo a vivere con lei dopo che entrambi abbiamo varcato la porta della morte; viviamo anzi in lei, e non già per effetto di buona volontà o di perfezione interiore. Non viviamo dunque semplicemente in noi stessi, ma davvero nell’altra persona, viviamo forzatamente in lei, se così posso dire.

 

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Supponiamo che la persona A e la persona B abbiano varcato la porta della morte e siano ora nel mondo spirituale. B e A si stanno di fronte nel mondo spirituale. Mentre quaggiù sia B sia A erano vissute in se stesse, A vive ormai altrettanto in B come in se stessa e B altrettanto in A come in sé.

 

Nel mondo spirituale gli esseri umani vivono realmente gli uni negli altri

per effetto delle forze accumulate durante le vite terrene.

Dopo la morte non entriamo in relazione con ogni persona a caso,

ma proprio con quelle con cui già durante la vita fummo in una relazione nel bene e nel male;

tali relazioni fanno sì che allora non viviamo unicamente in noi stessi, ma anche negli altri.

Immaginiamo ora di aver causato del danno a qualcuno, oppure che B abbia compiuto verso A un’azione che esige compenso karmico. Dopo che ha varcato la porta della morte, durante la vita fra morte e rinascita B vive in A, sperimenta in A il male che una volta gli fece. In quel vivere fuori di se stesso, egli determina il pareggio karmico. Ciò dunque che in una vita successiva dovrà verificarsi come pareggio karmico attraverso A, lo causiamo noi stessi vivendo in A. Ora, poiché A ridiscende nella vita fisica terrena, avviene che diventino sue azioni ciò che noi abbiamo posto in lui. Nella vita successiva egli ci viene poi incontro con ciò che in sostanza volevamo far succedere a noi attraverso di lui.

Se dunque in una vita successiva per pareggio karmico mi viene male da una persona, significa che mentre ero in lei fra morte e rinascita io stesso introdussi a poco a poco quel male in lei. A quel tempo il male non era cosa sua: lo diviene solo quando ridiscende nell’esistenza terrena.

 

Le condizioni karmiche che si presentano nel corso del mondo

sono dunque create da persone karmicamente congiunte che fra morte e rinascita vivono una nell’altra.

 

Osservando dunque la solita vita terrena non vi penetriamo molto in profondità. In modo cosciente percepiamo in realtà ben poco delle altre persone. Per esempio notiamo ben poche differenze nel comportamento degli altri verso di noi. Incontriamo una persona, ed essa si comporta in un dato modo. Noteremo appena che quel comportamento può verificarsi per motivi e impulsi assai diversi. Una persona può condursi con ostilità verso di me. Il suo comportamento ostile può dipendere semplicemente da un’irritazione che la mia esistenza suscita in lei, da una disposizione diversa rispetto a quella che io le porto incontro. Perciò mi tratta in un determinato modo. Può darsi che per destino solo nella successiva esistenza quel modo di comportarsi trovi un pareggio. Può trattarsi di un fatto originario, non determinato da vite precedenti.

Ma può verificarsi qualcosa di simile, magari lo stesso comportamento da parte di qualcuno nel quale a poco a poco io ho inoculato fra morte e rinascita le conseguenze che ora si verificano.

 

Ai nostri giorni è assai poco sviluppato il sentimento capace di distinguere fra quei due comportamenti che esteriormente sono uguali. Altrimenti emergerebbe di più nella vita qualcosa che oggi quasi non appare, ma che deve riapparire affinché l’ethos della vita diventi più puro, il senso morale più forte. Deve ricomparire nella vita qualcosa che in tempi passati, in tempi neppure tanto lontani, viveva nei sentimenti umani, e cioè la facoltà di sentire di fronte a una determinata persona: essa ti odia, e perciò compie contro di te determinate azioni, o di fronte a un’altra: essa deve agire in questa maniera contro di te perché non le è possibile altrimenti. La prima potrebbe agire in modo diverso; la seconda non può, è interiormente predestinata a comportarsi così.

Il sentimento capace di sottili distinzioni nei fatti della vita deve tornare a farsi più generale.

Tale sentimento introdurrà nell’esistenza numerose sfumature molto importanti.

 

A ciò si aggiunge dell’altro. Si può ammettere con facilità che entrando in relazione con altri vi si colleghino a volte cose che interessano meno della relazione medesima. Darò un esempio evidente. Si entra a far parte di una società (non intendo la Società Antroposofica: la escludo per ragioni che risulteranno ancora nel corso di queste stesse conferenze), si entra dunque a far parte di una società. Può verificarsi perché abbiamo un rapporto determinato dal nostro karma con uno o due, forse con uno solo, dei membri di quella società. Entrandovi allo scopo di avvicinare una data persona nel modo richiesto dal nostro karma, dobbiamo anche accogliere quanto altro vi si trova. Mentre solo il rapporto con quella persona è karmicamente importante, prenderemo anche quello che ci verrà incontro dagli altri soci.

Dobbiamo anche sapere che la vita ha con noi i rapporti più svariatamente intonati;

i più indifferenti e i più importanti sono in diretta vicinanza fra di loro.

 

Ma si aggiunge ancora dell’altro. Si aggiunge che la vita esteriore! è per molti rispetti maya, la grande illusione. Poniamo ancora l’ipotesi che si entri a far parte di una società, ma che il rapporto karmico predisposto con una determinata persona emerga solo con molta difficoltà e che per arrivare a lei dobbiamo prima intrecciare legami con altri. Passiamo dunque attraverso varie altre persone prima di arrivare a quella a cui siamo karmicamente congiunti. Annodiamo così relazioni che a un esame grossolano della vita appaiono estremamente notevoli, che si fanno valere con forza, che sono ben presenti, mentre forse la relazione alla quale perveniamo in ultimo, quella karmicamente importante, trascorre in silenzio e passa inosservata o quasi.

Può davvero accadere che quanto in una circostanza della vita è karmicamente importante si presenti come una modesta collina fra gigantesche montagne, le quali hanno però scarsa importanza. Solo all’osservazione spirituale la modesta collina si rivelerà poi nella sua reale importanza. In realtà i fatti della nostra vita ci traggono in molti, molti inganni. Di regola, se prendiamo in considerazione una sola esistenza terrena, non possiamo valutarli. Potremo giustamente farlo, se nello sfondo considereremo altre vite terrene.

 

Vorrei dare un esempio. In questo nostro tempo sono comparse singolari personalità. Prescindendo da quelle che ho già presentato sotto l’aspetto del karma, ne comparvero in vari luoghi di singolarissime. Un esame esteriore non porta per lo più nel vivo dei nessi karmici; vi porta unicamente un esame capace di penetrare nei punti più rilevanti dell’esistenza. Allora però si palesano nel modo più chiaro quei fatti che ci fanno notare come la vita esteriore sia sotto molti aspetti illusoria quando non venga considerata sulla base della realtà spirituale. Ultimamente presentai qui un esempio che forse sarà apparso assai singolare, l’esempio di un antico alchimista della scuola di Basilio Valentino, ricomparso quale Frank Wedekind.

All’indagine di quel singolare karma (non sempre è importante il punto di partenza, ma quando poi tale inizio ha portato all’interiore chiarezza, naturalmente tutto cambia) fui condotto dall’aver osservato le sue mani una volta a Monaco, quando lo vidi agire come attore nel suo dramma Hidalla, erano mani come mai ne avevo viste.

Tutto l’apparente caos di quel lavoro che, come già dissi, a una mentalità strettamente borghese appare naturalmente un abominio, unito all’impressione che già prima avevo avuto delle sue mani, evocò davanti a me le sue manipolazioni alchimistiche di un tempo. Sulla base appunto del dramma Hidalla in relazione con quelle singolari mani, mi apparve quell’antica incarnazione che riuscii poi a seguire oltre.

Da questo vediamo come si debba sviluppare la sensibilità per quanto può avere importanza in un essere, in una persona. In alcune è soprattutto caratteristico il volto, in altre il volto non è affatto notevole, ma lo sono per esempio le mani; nulla si può dedurre dal viso, ma soltanto dalle mani. Movendo dall’individuale al generale, attraverso l’esempio che ho presentato si può appunto toccare con mano come stiano le cose. Proprio gli alchimisti medioevali avevano dovuto acquisire una straordinaria destrezza nell’uso delle mani.

 

In precedenti conferenze dissi che nulla rimane di quanto è la testa di un uomo, mentre quello che egli aveva nel suo restante organismo si manifesterà nella testa. Nell’infanzia però tutta la formazione dell’essere umano proviene dal capo, e specialmente organi espressivi come le mani che si formano da intimi impulsi della testa. Ci si può quindi senz’altro aspettare che nelle mani oppure nei piedi di chi lavorava appunto come gli alchimisti, si presenti qualcosa di particolarmente caratteristico. Dico tutto questo solo per mostrare quanto sia importante considerare notevoli certe cose e insignificanti certe altre che spesso nel mondo dei sensi appaiono le più evidenti, le più importanti e ragguardevoli.

In questi nostri tempi sono dunque comparse varie singolari personalità che non sono facili da valutare. Appunto nei loro riguardi si tratterà di saper volgere lo sguardo su quanto hanno di notevole, di importante. Che un tale diventi per esempio un grande artista può anche dipendere solo in minima parte dal suo karma. Ma quello che egli precisamente fa con la sua arte, come la coltiva, tutto ciò è particolarmente condizionato dal karma. Così le cose che per così dire rendono poetica la vita si rivelano appunto all’esame karmico.

 

Si può allora guardare alle precedenti vite terrene di un uomo. Sotto certi riguardi esse illuminano singolarmente quella attuale. Ma in queste cose non si penetra con l’usuale modo d’intendere, di capire la vita. Essa diviene infatti in tutt’altro senso una realtà volgendosi con piena serietà a ricerche karmiche.

Darò un esempio. Comincerò con l’esporre semplicemente i fatti. Ero per la strada e davanti a me avevo un’immagine, l’immagine di un naufrago. La nave dalla quale proveniva era lontana e in procinto di affondare. Egli si trovava in un canotto di salvataggio e si dirigeva verso un’isola di mediocre ampiezza. Mentre era ancora incerto di poter approdare e salvarsi, teneva lo sguardo stranamente rivolto (descrivo un’immagine) alle onde spumeggianti e rabbiose, tanto che io sentivo: quell’uomo ha ancora un senso aperto per le onde benché possa affondare da un momento all’altro: un’anima violentemente scossa, ma che in quella condizione, e cioè svincolata dal corpo, è profondamente unita con la natura.

La strada lungo la quale avevo davanti a me quell’immagine, che non aveva alcuna relazione con quanto mi stava intorno, mi condusse alla mostra dove per la prima volta vidi L’isola dei morti di Bòcklin.

 

Accenno a questo solo perché si veda come la nostra posizione di fronte alla vita debba ampliarsi quando ci avviciniamo a simili cose. Nell’indagine del karma di Bòcklin per esempio non si tratta di guardare semplicemente a quello che si può sentire o immaginare di lui osservando L’isola dei morti quando si è davanti al quadro. In certi casi per sapere da dove incominciare occorre tornare indietro a ciò che quasi profeticamente si era visto già prima, e poi collegarlo con il resto.

Così è importante, quando nella vita si incontra una persona, non limitarsi per trovare i nessi karmici e osservare solo ciò che si sperimenta dopo l’incontro; può invece gettare luce osservare quello che già prima si era sperimentato nel più profondo dell’anima e di cui solo in seguito si capisce in quale modo si colleghi con quanto si vede in lei oppure si percepisce attraverso di lei.

 

Le cose che illuminano il karma gettano già in precedenza le loro ombre o anche le loro luci. Chi non ha senso aperto per questi intimi elementi della vita che talvolta rendono necessario che non solo si congiunga il futuro al passato, ma anche che si consideri il passato come qualcosa che spiega il futuro, chi non osserva la vita in questi suoi aspetti intimi, non svilupperà facilmente l’attività interiore necessaria a penetrare nelle connessioni karmiche.

 

Si può perfino dire che quando nella vita di un uomo si presentano importanti fatti karmici, quando si tratta di eventi esteriori, questi sono collegati a fatti interiori che li precedettero forse di anni. Si deve far propria una più larga visione della vita. Riflettiamo solo a questo: considerando l’intelletto umano quale si esplica nella coscienza usuale, esso è in relazione solo col passato. È davvero un Epimèteo l’intelletto umano; esso ha solo relazione col passato! Ma se consideriamo il sentimento che trae le proprie intonazioni dalle profondità dell’anima, arriviamo a strani segreti della vita. Si può dire che, da quello che un uomo pensa, ben poco si può capire di come la sua vita trascorra, molto invece da quello che egli sente. Se osserviamo una vita, per esempio quella di Goethe, e domandiamo quali saranno stati i suoi sentimenti nell’anno 1790, dalla particolare intonazione dei suoi sentimenti in quell’anno potremo desumere tutta la successiva colorazione della sua vita che già vi era contenuta in germe. Non appena discendiamo nelle profondità dell’anima di una persona percepiamo, non nei particolari ben inteso, ma nel tono generale, la sua vita successiva. Molto si riuscirebbe a capire della propria vita ponendo maggior attenzione alle inesplicabili sfumature di sentimento che non sono determinate da fuori, ma sorgono dal proprio intimo.

 

Si deve prestare seria attenzione a tutto ciò di cui oggi ho parlato e di cui parlerò ancora come di cose importanti per l’osservazione della nostra vita che mira a cogliere i nessi karmici, sia quelli relativi a noi stessi, sia quelli altrettanto importanti relativi alle persone a noi vicine. Per osservare il karma è in certo senso necessario guardare attraverso l’essere umano. Finché nel proprio campo visivo si ha soltanto l’uomo fisico normale, non trasparente, finché si osserva soltanto la sua fisionomia, il suo comportamento, come parla o addirittura come pensa (in tutto ciò appare per lo più soltanto un riflesso meccanico dell’educazione ricevuta e delle vicende attraversate), finché si osserva soltanto tutto questo non si percepiscono assolutamente i motivi karmici che appaiono solo quando l’uomo diviene in un certo senso trasparente.

Quando diviene trasparente, si ha a tutta prima l’impressione di vederlo sospeso in aria. Ci si disabitua anzitutto dal pensare che egli cammini o muova braccia e mani: queste, per così dire, perdono d’importanza.

 

Nella vita usuale è importantissimo quel che si fa con le braccia e con le gambe.

Questo però perde importanza quando si vuole osservare quanto vi è di più profondo nell’uomo.

 

Quanto dico va preso nel senso più largo. Riuscendo a prescindere da quello che l’uomo compie con braccia e mani, lo vediamo in un certo senso come sospeso: non lo si deve pensare in una raffigurazione spaziale, ma piuttosto nel senso della vita; lo vediamo dunque come sospeso: non si attribuisce cioè importanza ai viaggi che ha compiuto, alle strade che ha percorso, a quello che fa con le gambe, al lavoro che esegue con le mani, ma si guarda all’intonazione del suo animo, al suo temperamento, a tutto ciò a cui braccia e mani non partecipano. Si ha qui la prima trasparenza alla quale è possibile pervenire nell’essere umano. Supponiamo di avere qui un oggetto: in un primo tempo vediamo unicamente l’oggetto. Poi vi disegniamo sopra qualcosa, quindi lo cancelliamo di nuovo. Così è anche per l’essere umano quando si arriva al primo grado di trasparenza, quando non si considera ciò che egli è nella vita, le sue braccia e le sue gambe. Si deve strapparlo dalle connessioni in cui è entrato attraverso le azioni eseguite da braccia e mani. Se allora lo osserviamo, qualcosa di lui sarà divenuto trasparente. Ora si vede da parte a parte quanto era prima nascosto dalle attività di braccia e gambe.

 

Ma che cosa vediamo? A quel punto si comincia a capire che dietro l’uomo compare la Luna. Disegnerò in modo schematico l’essere umano nelle sue tre parti costitutive. Supponiamo che (lo schizzo ellittico, tripartito) diventi per prima trasparente.

 

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Prescindiamo da braccia e gambe; allora l’uomo non si presenta più così delimitato dall’universo come solitamente ci appare, ma dietro di lui si mostra la Luna con tutti gli impulsi che partendo da essa agiscono sull’essere umano. Cominciamo a dire: sì, l’uomo possiede una certa fantasia, una fantasia sviluppata oppure rudimentale. Essa non dipende da lui. Dietro la fantasia stanno le forze della Luna che ci vengono nascoste da quanto proviene dall’attività di braccia e gambe (la parte inferiore viene segnata con una croce). Per noi quell’attività ora è scomparsa, e nello sfondo appare la Luna creatrice (v. disegno).

Andiamo oltre. Cerchiamo di rendere l’uomo ancora più trasparente ed eliminiamo anche tutto quanto lo rende emotivo, gli conferisce un determinato temperamento, suscita le manifestazioni in prevalenza animiche della vita quotidiana. Un’altra parte del suo essere così scompare, ed egli diviene più trasparente. Possiamo ancora andare oltre, possiamo prescindere da tutto quanto vi è in lui, dato che possiede dei sensi. Prima abbiamo fatto astrazione da quanto appartiene all’uomo perché ha braccia e gambe. Adesso domandiamo che cosa rimane ancora se faccio astrazione dal suo percepire attraverso i sensi. Rimane un certo indirizzo e una certa impulsività del pensare, un certo indirizzo della sua vita. Per questo diviene trasparente tutto il sistema ritmico, il torace, e nello sfondo appaiono gli impulsi provenienti dal Sole (v. disegno, al centro). Guardiamo attraverso l’uomo e vediamo propriamente il Sole, dopo aver fatto astrazione da tutto quello che egli ha percepito attraverso i sensi.

Possiamo farne l’esperimento su noi stessi. Possiamo domandarci: che cosa ricevo io mediante i miei sensi? Se ne prescindiamo vediamo attraverso noi stessi e ci vediamo come creature solari.

 

Se ora escludiamo anche i pensieri, l’indirizzo dei pensieri, scompare anche la testa, scompare l’intero essere umano, vediamo attraverso di noi e per ultimo nello sfondo vediamo Saturno. Ma in quell’istante davanti a noi si apre il karma della persona che stiamo osservando, oppure il nostro proprio karma. Nell’istante infatti in cui osserviamo l’azione di Saturno sull’uomo, in cui l’uomo è diventato del tutto trasparente e lo guardiamo sullo sfondo dell’intero sistema planetario, sullo sfondo della Luna, del Sole e di Saturno, in quell’istante il suo karma sta aperto davanti a noi. Quando si parla di esercizi pratici relativi all’indagine del karma (già dissi che avrei voluto parlarne fin dai primi tempi della Società Antroposofica, ma allora non riuscii a farlo), si deve propriamente cominciare col dire che, sia per noi sia per altri, occorre prescindere da tutto quello che siamo nella vita, in quanto esseri dotati di braccia e di gambe. Dobbiamo eliminarlo dal nostro pensare.

Dobbiamo immaginare che non esista tutto quello che nel corso del tempo abbiamo conseguito grazie a braccia e gambe. Tuttavia si potrebbe dire che proprio mediante braccia e gambe noi portiamo a compimento il nostro karma. Così è! Finché però la nostra attenzione è rivolta a braccia e gambe non vediamo quello che portiamo a compimento per il loro tramite. Lo vedremo solo se non guarderemo più ad esse.

Quando nell’attività di braccia e di gambe vedremo agire ciò che proviene da impulsi lunari, tanto per noi quanto per altri occorrerà andar oltre e prescindere da ciò che accogliamo attraverso i sensi, da ciò che abbiamo nella nostra anima mediante i sensi. Vedremo allora l’essere umano come essere solare, vedremo in lui l’impulso solare. Prescindendo poi da un certo indirizzo di pensiero che vi è in lui, da un certo indirizzo dell’anima, vedremo che egli è un essere di Saturno.

 

A questo punto abbiamo ancora una volta davanti a noi l’essere umano, ma adesso come essere spirituale. Anche adesso le gambe camminano, le braccia lavorano, ma spiritualmente; ci mostrano di nuovo quello che fanno, ma ce lo mostrano secondo le forze operanti in loro. Tutto ciò va sperimentato.

Compiendo il minimo gesto, sollevando un pezzo di gesso, finché vedo solo il « sollevare il gesso » non so nulla del karma. Devo eliminare tutto questo, devo ottenere che si ripresenti, si ricrei in un’immagine. Quello che da incarnazioni precedenti muove la mia mano per sollevare il gesso non appare attraverso la forza dei miei muscoli che non spiega nulla, ma nell’immagine che si sostituisce poi a quella dell’azione compiuta.

 

Così è quando io, nel modo descritto, gradualmente elimino l’uomo visibile e dietro di lui vedo gli impulsi lunari, gli impulsi solari e quelli di Saturno. Allora l’immagine dell’uomo mi viene di nuovo incontro dall’universo. Adesso però non è più quella della sua incarnazione attuale, ma quella di una qualsiasi oppure di alcune sue vite precedenti. Devo arrivare a far sì che l’essere umano che qui vedo accanto a me diventi sempre più trasparente, in quanto prescindo da tutta la sua vita. Allora, da lontananze cosmiche, nel luogo stesso ove egli si trova, compare l’uomo che egli fu in vite terrene passate.

 

Forse quello che oggi ho detto di questi nessi non appare ancora del tutto chiaro e comprensibile. Ho solo voluto gettare come un filo verso ciò di cui dovremo prossimamente occuparci quando ci inoltreremo in sempre più precise osservazioni sul karma umano che passa da una vita terrena all’altra.