Massime 38/39/40 – L’uomo quale immagine

Commento di Lucio Russo


 

Queste massime sono precedute da una lettera intitolata:

Considerazioni sulle massime precedenti in merito alla natura d’immagine dell’uomo (18 maggio 1924).

Cominceremo quindi a occuparci della lettera e poi leggeremo le massime.

 

Abbiamo già visto che dire “natura d’immagine” equivale a dire “natura simbolica”, e che

la natura dell’uomo è tale,

poiché attraverso il suo corpo fisico si manifestano il suo corpo eterico, il suo corpo astrale e l’Io,

• allo stesso modo in cui, attraverso il corpo fisico dell’animale, si manifestano il suo corpo eterico e il suo corpo astrale

• e, attraverso il corpo fisico della pianta, si manifesta il suo corpo eterico;

il corpo fisico del minerale non ha invece natura “simbolica”, giacché non manifesta che se stesso.

 

 

E’ molto importante che, mediante l’antroposofia, si comprenda

come le rappresentazioni che l’uomo si forma nell’osservare la natura esterna,

debbano arrestarsi di fronte all’osservazione dell’uomo stesso.

Contro questa esigenza pecca il modo di pensare penetrato negli animi umani

in seguito allo sviluppo culturale degli ultimi secoli: ci si abitua a pensare le leggi di natura,

e con tali leggi si spiegano i fenomeni naturali percepiti dai sensi; quindi si guarda all’organismo umano,

e si considera anch’esso come se il suo ordinamento potesse venir compreso

applicando ad esso le leggi della natura” (p. 29).

 

 

Immaginiamo due circonferenze concentriche: la maggiore comprenderà la minore, ma non viceversa.

Ponendo dunque il soggetto (l’uomo) al posto della circonferenza più grande e l’oggetto (la natura) al posto di quella più piccola, risulterà evidente che la natura è compresa dall’uomo, ma non lo comprende.

Eppure, la scienza, “in seguito allo sviluppo culturale degli ultimi secoli”, cerca di comprendere l’uomo proprio a partire dalla natura: cerca, cioè, di costringere lo “spazio” del soggetto nella camicia di forza di quello dell’oggetto (chi desideri saperne di più legga e mediti, di Steiner: Nascita e sviluppo storico della scienza) (1).

Non tutti apprezzano, ovviamente, il riduzionismo della scienza materialistica: Jung, ad esempio, ha affermato che “andando avanti di questo passo, finiremo col trattare del duomo di Colonia in un libro di mineralogia”, e Merleau-Ponty ha detto che “continuando così, finiremo col parlare di un sorriso come di una contrazione dello sfintere orale”.

 

 

Ora, il far questo equivale al contemplare in un quadro, che un pittore ha dipinto, la sostanza dei colori,

la forza con cui i colori aderiscono alla tela, il modo in cui questi colori possono venir distesi sulla tela,

e altre simili caratteristiche. Ma con tutto questo non si coglie affatto ciò che nel quadro veramente si palesa.

Nella manifestazione dataci dal quadro vive un ordine di leggi del tutto diverse

da quelle che possono venir ottenute dai punti di vista sopra accennati” (p. 29).

 

 

Si è disposti ad ammettere, in genere, che l’insieme è più della somma delle parti, ma poi, non essendo in grado di pensare l’insieme (extrasensibile) con lo stesso realismo con cui si pensano le parti (sensibili), si finisce fatalmente col ridurre quello a queste.

Nell’esempio che fa Steiner, l’insieme è rappresentato ovviamente dal quadro e le parti dai colori: colori la cui analisi (fisico-chimica) non è in grado di dirci ancora nulla sul quadro.

L’essenziale del quadro non sta infatti nei colori visibili, bensì in quella relazione tra i colori che può essere “vista” dal pensiero o dal sentimento, ma non dagli occhi.

 

Certo, lo studio delle parti di un insieme è importante; ancora più importante, tuttavia, sarebbe rendersi conto che può fornirci soltanto dei dati che, per cogliere la realtà dell’insieme che li subordina, dovrebbero essere ulteriormente e diversamente pensati.

Per poter cogliere la realtà dell’”insieme” umano (della forma umana), è necessario quindi risalire, grado a grado, dal corpo fisico fino all’Io (giacché l’insieme è l’Io: vale a dire, l’Uno).

 

• Come, dunque, “nella manifestazione dataci dal quadro

vive un ordine di leggi del tutto diverse” da quelle che vigono nei singoli colori,

• così nella manifestazione dataci dalla forma umana vive “un ordine di leggi del tutto diverse” (l’ordine dell’Io)

da quelle che vigono ad esempio nel cervello, nei polmoni, nel fegato o nella milza.

 

E qual è l’ordine dell’Io?

• E’ l’ordine della libertà e della creatività: la ragion d’essere, ossia,

di un’entità spirituale (di un Io) che, mediante quella forma, manifesta ed esprime se stessa.

 

• Chi vuole creare deve dunque partire dall’idea per arrivare al quadro,

• mentre chi vuole conoscere deve partire dal quadro per arrivare all’idea.

Ciò vale, naturalmente, non solo per il quadro, ma per tutte le creazioni.

 

Sapete che cosa dice, al riguardo, Berdjaev?

Che come quella di Dio è l’idea suprema dell’uomo, così quella dell’uomo è l’idea suprema di Dio (2).

 

 

Quello che dunque importa è di renderci chiaro conto che anche nell’entità umana si manifesta qualcosa

che non è afferrabile dai punti di vista dai quali si ricavano le leggi della natura esterna” (p. 29).

 

 

Prendiamo una pianta.

Sappiamo che è composta di un corpo fisico e di un corpo eterico.

Se si dispone della coscienza rappresentativa, che dà solo ragione del corpo fisico,

e non anche di una coscienza immaginativa, che dia ragione del corpo eterico,

sarà perciò impossibile comprenderla.

 

A quale stratagemma si può allora ricorrere?

A quello di ridurre il corpo eterico (che non si comprende)

al corpo fisico (che si comprende, o che si crede di comprendere),

teorizzando che la vita è una proprietà della materia.

 

In tanto, dunque, il riduzionismo impazza, in quanto si preferisce (per pigrizia o per paura)

ridurre la realtà a misura della propria coscienza, anziché ampliare la propria coscienza a misura della realtà.

Ciò che viene fatto a danno della realtà viene anche fatto, però, a danno dell’uomo.

 

Ascoltate ciò che dice ancora Berdjaev: • “Nel mondo si sta verificando la crisi dell’uomo, non solo nell’uomo ma dell’uomo in quanto tale. L’esistenza futura dell’uomo sta diventando problematica” (3).

 

 

Se abbiamo fatta nostra nel giusto modo questa rappresentazione,

siamo in grado di comprendere l’uomo  q u a l e  i m m a g i n e.

Un minerale non è immagine, in questo senso.

Esso manifesta soltanto ciò che i sensi possono direttamente percepire” (p. 29).

 

 

Lo abbiamo detto e ripetuto: un minerale non ha natura “simbolica” (d’immagine), perché avendo (sulla Terra) solo il corpo fisico, non manifesta che se stesso.

Immaginate, ad esempio, di smontare completamente una macchina pezzo per pezzo, e poi di rimontarla. Se lo avrete fatto correttamente, potrete esser certi che, smontandola e rimontandola, non ne sarà andato perso nulla.

Immaginate, però, di fare la stessa cosa (come dice Goethe) con una farfalla: immaginate di catturarne una, e poi di smontarla e rimontarla. Pensate forse che la poveretta tornerà a volare come prima? Ovviamente, no. E perché? Perché, smontando e rimontando una farfalla, diversamente da quanto accade con una macchina, ne sarà andato perso l’essenziale: cioè, la vita.

 

Fatto si è che con la coscienza ordinaria ci troviamo pienamente a nostro agio nel regno inorganico, in quanto lo dominiamo: ma lo dominiamo perché indaghiamo un regno morto servendoci di ciò che in noi è “morto” (perché “il simile conosce il simile”).

Ci troviamo viceversa a disagio in noi stessi. Tra il potere che esercitiamo nella sfera inorganica (quello, ad esempio, della cosiddetta “tecno-scienza”) e l’impotenza che patiamo in quella animico-spirituale, c’è di fatto un abisso.

 

Possiamo dunque dire, tornando a noi, che

il minerale, non essendo affatto “immagine”,

è l’opposto dell’uomo, ch’è invece massimamente “immagine”, e quindi “trasparenza”.

 

Consentitemi, a questo proposito, una breve digressione. Ho citato più volte Nikolaj Berdjaev (e lo citerò ancora): non so se sapete, però, che si tratta di un filosofo che, nonostante il suo eccezionale valore, non è stato affatto in grado di apprezzare Steiner (e di comprendere l’antroposofia).

Ascoltate, ad esempio, quanto scrive qui: • “Lo stesso Steiner, che potei conoscere personalmente, mi lasciò un’impressione complessa e abbastanza spiacevole. Non mi diede però l’impressione di essere un ciarlatano (…) Raramente c’è stato un uomo che mi abbia dato l’impressione di essere così privo di grazie carismatiche come Steiner. Non v’era nessuna luce che venisse dall’alto. Voleva raggiungere ogni cosa partendo dal basso” (4).

 

Ebbene, non è significativo che Berdjaev, rimproverando a Steiner di voler “raggiungere ogni cosa partendo dal basso”, gli rimproveri proprio ciò che deve fare l’anima cosciente?

Forse Berdjaev, da buon russo, pensava, incontrando Steiner, di conoscere uno starec (come magari lo Zosima dei Karamazov), e si è invece trovato al cospetto di uno scienziato dello spirito che procede induttivamente (com’è, o dovrebbe essere, costume della scienza) dal sensibile al sovrasensibile: all’inverso cioè della metafisica, che procede deduttivamente dal sovrasensibile al sensibile.

(Ciò spiega, peraltro, il perché uso dire che l’Occidente non apprezza la scienza dello spirito perché è “spirituale”, mentre l’Oriente non l’apprezza perché è “scientifica”)

 

Sentite, comunque, quanto dice lo stesso Steiner:

“La scienza dello spirito deve suscitare ovunque gli impulsi dal basso all’alto, deve ovunque stimolare le anime umane al sacrificio, vale a dire al sacrificio di ciò che acquistiamo mediante le impressioni esteriori, di fronte a quel che dobbiamo raggiungere elevandoci col nostro lavoro alle regioni del sé spirituale, dello spirito vitale e dell’uomo-spirito” (5).

 

E’ solo procedendo così ch’è possibile superare l’opacità arimanica del mondo sensibile, e restituirgli per ciò stesso “trasparenza”.

 

• Le forze arimaniche c’impediscono infatti di cogliere il sovrasensibile mediante il sensibile,

• mentre quelle luciferiche c’impediscono di cogliere il sensibile mediante il sovrasensibile.

Entrambe mirano, in questo modo, a nasconderci quel Dio (il Logos)

che, col farsi uomo, ha per l’appunto coniugato il sovrasensibile e il sensibile o l’”al di là” e l’”al di qua”.

 

Decisivo, da questo punto di vista, è il passaggio (michaelita) 

• dal pensiero riflesso (fisico) al pensiero vivente (eterico)

• o dalla coscienza rappresentativa a quella immaginativa.

 

E’ infatti la “natura d’immagine” dell’uomo a guidarci verso le realtà dell’anima e dello spirito.

Ma andiamo avanti:

 

 

(…) La natura di immagine non si rivela nell’uomo in un modo univoco.

Un organo di senso, nel suo essere, è immagine in misura minima,

e in misura massima una specie di rivelazione di se stesso, come il minerale.

E proprio agli organi di senso noi possiamo maggiormente accostarci con le leggi di natura.

Consideriamo soltanto la mirabile struttura dell’occhio umano.

Possiamo afferrare approssimativamente questa struttura mediante le leggi di natura.

Similmente avviene per gli altri organi dei sensi, sebbene la cosa non appaia così evidente come per l’occhio.

Ciò dipende dal fatto che gli organi dei sensi mostrano una certa conclusione nella loro struttura.

Essi sono inseriti nell’organismo come conformazioni in sé complete

e come tali trasmettono le percezioni del mondo esterno” (p. 30).

 

 

Per quale ragione “la natura di immagine non si rivela nell’uomo in un modo univoco”?

Per la semplice ragione che l’uomo non è un essere “tutto d’un pezzo”, bensì un essere complesso e articolato nel quale l’umano (l’Io) coesiste con l’animale (col corpo astrale), con il vegetale (col corpo eterico) e con il minerale (col corpo fisico).

Che cosa abbiamo detto, infatti? Che il minerale non è “immagine”, perché non veicola alcuna realtà superiore, che il vegetale comincia invece a esserlo, perché veicola un corpo eterico, che l’animale lo è ancor di più, perché veicola un corpo eterico e un corpo astrale, e che l’uomo è massimamente “immagine”, perché veicola un corpo eterico, un corpo astrale e un Io.

 

Più un organo umano è simile a un minerale (come ad esempio l’occhio) e meno è perciò “immagine”.

Il che vuol dire che, scendendo dall’apparato neuro-sensoriale, attraverso quello ritmico, all’apparato metabolico e degli arti, si fa sempre più marcata la valenza simbolica di ciò che osserviamo.

 

Si potrebbe anche dire, volendo adottare un’espressione usata da Steiner nel suo L’essenza dei colori (6), che

• i simboli sono immagini viventi dell’anima (come il colore “fior di pesco”),

• mentre le rappresentazioni sono immagini morte dello spirito (come il colore nero).

 

Quanto detto in rapporto agli organi di senso (in specie, eterocettivi), può essere naturalmente esteso (seppure “approssimativamente”, come sottolinea Steiner) a tutta la sfera cefalica: ossia a quella sfera nella quale – come abbiamo già visto (massima 32) – la parte fisica e quella eterica “stanno come immagini concluse dello spirituale”.

 

 

Ma non è così per i processi ritmici che si svolgono nell’organismo.

Questi non si presentano come cosa compiuta, finita.

In essi ha luogo un continuo nascere e morire dell’organismo”(p. 31).

 

 

I processi ritmici, in quanto processi vitali qualitativamente determinati, e non quindi res cogitans o res extensa, non si prestano a essere compresi dalla coscienza cartesiana (dalla “mente computazionale”).

Li si può perciò immaginare, ma non rappresentare, giacché, nel momento stesso in cui li rappresentassimo, li priveremmo inevitabilmente della loro caratteristica essenziale: cioè a dire, del movimento (qualitativamente alterno).

 

 

Gli organi dei sensi si presentano come un quadro appeso al muro.

Il sistema ritmico ci sta davanti come il processo che si svolge

allorché consideriamo la tela e il pittore mentre sta dipingendo il quadro.

Il quadro non c’è ancora, ma c’è sempre di più. Qui abbiamo a che fare con il  d i v e n i r e  di una cosa.

Ciò che è stato prodotto, a tutta prima, permane.

Nell’osservazione del sistema ritmico umano, al divenire segue immediatamente il deperire.

Nel sistema ritmico si manifesta un’immagine in via di divenire” (p. 31).

 

 

Siamo abituati a opporre l’essere al divenire (a opporre, ad esempio, Parmenide a Eraclito).

Ma per quale ragione lo facciamo? Perché non ci rendiamo conto che

• una cosa è l’essere, vivo e incosciente,  •  altra la rappresentazione dell’essere, morta e cosciente.

 

Che ne consegue? Ne consegue che,

• conoscendo solo l’essere rappresentato, e quindi morto,

siamo portati inevitabilmente a pensare la vita

come un processo o un divenire ch’è altro dall’essere, se non addirittura il suo opposto.

 

Dovremmo invece guadagnarci la capacità di

• distinguere l’essere (vivente) da cui sgorga il divenire

(“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”)

• dall’ essere (morto) in cui sfocia il divenire: questo, in quanto realtà finita o divenuta

(“opera compiuta”, la chiamerà – come vedremo – Steiner), non è infatti essere, ma stato.

 

L’esempio proposto da Steiner può aiutarci dunque a realizzare che il quadro divenuto è diverso dal quadro in divenire, e che questo è a sua volta diverso (come si dirà tra breve) dal quadro in potenza: cioè dal quadro quale “germe”, concetto o idea.

 

Il quadro “divenuto” rappresenta infatti quell’immagine (eterica, precosciente e simile all’immagine onirica)

che, riflettendosi nello specchio cerebrale (fisico),

si muta nella cosciente (“chiara e distinta”) rappresentazione del quadro;

il quadro “in divenire” rappresenta invece quel processo (subcosciente) del giudicare

che presiede alla formazione dell’immagine;

il quadro “in potenza” rappresenta infine – come abbiamo appena detto –

il “germe”, il concetto o l’idea (incosciente).

 

Notate che,

dal punto di vista corporeo, siamo scesi

dalla sfera cefalica a quella ritmica, e dalla sfera ritmica a quella metabolica e degli arti,

mentre, dal punto di vista animico-spirituale, siamo saliti

dall’immaginazione all’ispirazione (collegata al giudicare),

e dall’ispirazione all’intuizione (collegata ai concetti o alle idee).

 

Sarà opportuno ricordare, a questo proposito:

1) che i concetti sono la materia prima dell’attività giudicante (un giudizio è un rapporto tra concetti);

2) che i giudizi (prodotti dal giudicare) sono la materia prima del sillogismo

(quale “archetipo”, per così dire, del ragionamento);

3) che la “conclusione” cui approda il sillogismo è equivalente in tutto e per tutto alla “rappresentazione”.

Ricorderete che ci siamo chiariti questi rapporti studiando, a suo tempo, Antropologia (7).

 

 

(…) Diversamente ancora sta il fatto quando nell’organismo umano

si considera il sistema del ricambio e del movimento.

Qui è come se stessimo davanti alla tela ancora completamente vuota,

ai vasi dei colori e all’artista non ancora occupato a dipingere.

Se si vuol arrivare alla comprensione del sistema del ricambio e delle membra,

occorre sviluppare una percezione che non ha a che fare, con la percezione di ciò che abbracciano i sensi,

più di quanto abbia a che fare la vista dei vasi dei colori, della tela vuota e del pittore

con quello che più tardi ci starà davanti agli occhi come quadro dipinto.

E l’attività nella quale l’anima sperimenta spiritualmente l’uomo attraverso il ricambio e i movimenti,

è pari a quella che si avrebbe sperimentando il quadro che verrà dipinto più tardi,

solo guardando il pittore, la tela vuota e i vasi dei colori.

Di fronte al sistema del ricambio e delle membra, l’anima, per arrivare ad una comprensione,

deve elevarsi all’ i n t u i z i o n e (…)” (pp. 31-32).

 

 

Avendo parlato dell’immaginazione, dell’ispirazione e dell’intuizione,

sarà il caso di ricordare, prima di cominciare a leggere le massime che concludono questa lettera, che

• una cosa sono l’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione,

• altra la coscienza immaginativa, la coscienza ispirata e la coscienza intuitiva.

• Le prime sono infatti attività precoscienti, subcoscienti e incoscienti che sfociano nella coscienza ordinaria,

• mentre le seconde possono essere soltanto il risultato di uno sviluppo superiore della coscienza.

 

Non è sufficiente perciò realizzare che la coscienza ordinaria è una coscienza rappresentativa,

ma bisogna anche comprendere che la rappresentazione cosciente è il prodotto finale di un processo

in cui sono segretamente attive, nell’ordine,

• l’intuizione (che fornisce i concetti),

• l’ispirazione (che giudica)

• e l’immaginazione (che fornisce l’immagine precosciente).

 

Ciò che dice Steiner, ossia che l’esperienza intuitiva “è pari a quella che si avrebbe sperimentando il quadro che verrà dipinto più tardi, solo guardando il pittore, la tela vuota e i vasi dei colori”, va dunque riferito alla coscienza intuitiva, e non all’intuizione inconscia (propria, peraltro, dell’anima senziente).

 

La coscienza intuitiva è in grado dunque di cogliere, nella sfera della volontà, il quadro in potenza o in “germe”,

mentre la coscienza ispirata e quella immaginativa sono rispettivamente in grado di cogliere,

• nella sfera del sentire, il quadro in atto o in divenire,

• e, nella sfera del pensare, il quadro attuato o divenuto

(quale “immagine” – torno a ripetere -, e non ancora quale “rappresentazione”).

 

Ma che cos’è, in definitiva, il quadro in potenza o in “germe”? E’ presto detto: è il quadro quale intenzione

(nell’attenzione abbiamo infatti il volere nel pensare, mentre nell’intenzione abbiamo il pensare nel volere).

 

 

38 – “Se si è giunti, nella direzione indicata dalle massime precedenti, a considerare l’uomo

nella sua natura d’immagine e nella spiritualità che così si manifesta,

si è anche prossimi ad osservare contemporaneamente nella loro realtà le leggi animico-morali

entro il mondo spirituale in cui si vede agire l’uomo quale essere spirituale.

Ché l’ordine morale del mondo si presenta allora

come il calco terreno di un ordine pertinente al mondo spirituale.

L’ordine fisico e quello morale del mondo si congiungono così in unità”.

 

 

Ho detto volutamente che il quadro in potenza o in “germe” è il quadro quale intenzione,

perché la sfera delle intenzioni è quella stessa della moralità (“Dio – si dice – giudica le intenzioni, e non i fatti”).

 

Fatto sta che dire “mondo spirituale” equivale a dire “mondo morale”.

Non ce ne rendiamo abitualmente conto perché l’intelletto astratto,

col privare il pensare del volere, lo priva per ciò stesso del suo spessore o contenuto morale.

 

Considerate, ad esempio, l’intelligenza, l’ingegno e la saggezza. Che cos’è che li rende diversi?

Li rende diversi il fatto

• che l’intelligenza è un’intelligenza astratta,

• che l’ingegno è un’intelligenza concreta o pratica in senso materiale,

• e che la saggezza è un’intelligenza concreta o pratica in senso spirituale,

e quindi, per l’appunto, un’intelligenza morale o un intelletto d’amore

(non a caso, si usa parlare d’”intelligenza diabolica”, ma non di “saggezza diabolica”).

 

Dice Steiner che “l’ordine morale del mondo si presenta”, alla coscienza intuitiva, “come il calco terreno di un ordine pertinente al mondo spirituale”, e che “l’ordine fisico e quello morale del mondo si congiungono così in unità”.

Si congiungono in effetti “in unità”, così come si congiungono in unità l’”al di qua” e l’”al di là”

o – secondo quanto abbiamo visto a suo tempo –

il mondo (fisico) esterno e il mondo (spirituale) “esterno dell’interno” (dell’interno animico).

 

Inutile aggiungere che il materialismo, non avendo coscienza della realtà del mondo morale, si serve di quella che crede essere la realtà dell’ordine naturale (magari della darwiniana “lotta per l’esistenza”) per negare o sovvertire l’ordine morale.

 

 

39 – “Dall’uomo scaturisce la  v o l o n t à .

Essa rimane del tutto estranea alle leggi naturali desunte dal mondo esteriore.

L’essenza degli organi dei sensi si può ancora conoscere

dalla loro somiglianza con gli oggetti esteriori della natura,

ma nell’attività degli organi sensori la volontà non può ancora esplicarsi.

L’essenza che si manifesta nel sistema ritmico dell’uomo è già più dissimile da ogni cosa esteriore,

e la volontà vi può aver presa fino ad un certo grado.

Ma tale sistema è compreso fra il sorgere e il perire. Qui la volontà è ancora legata”.

 

 

Abbiamo visto che gli organi di senso sono quelli che più si avvicinano alla morta realtà minerale,

e quindi a una realtà in cui la volontà non può esplicarsi, né come movimento, né come vita.

Può esplicarsi, invece, nella sfera ritmica, ma solo in parte, perché qui, come dice Steiner, “è ancora legata”.

 

Ricordate che cosa abbiamo detto delle attività che si svolgono in questa sfera? Abbiamo appunto detto che la sistole è “legata” (limitata) dalla diastole, e viceversa, così come l’esalazione lo è dall’inalazione, e viceversa.

La volontà (quella maiuscola di Schopenhauer) (8) è dunque praticamente assente nell’apparato neuro-sensoriale, è presente, ma irretita, nella sfera ritmica, ed è pienamente attiva nell’apparato metabolico e degli arti.

 

 

40 – “Nel sistema del ricambio e delle membra si manifesta bensì un’essenza

attraverso la materia e i suoi processi legati alla materia, ma la materia e i suoi processi

non hanno a che fare con lei più di quanto il pittore e i suoi mezzi abbiano a che fare col quadro terminato.

Perciò la volontà può aver presa diretta in tale essenza.

Se dietro l’organizzazione umana, vivente nelle leggi naturali, si afferra l’entità umana operante nello spirito,

in questa si ha un campo in cui si può scorgere l’azione della volontà.

Di fronte alla sfera dei sensi, la volontà umana resta una parola priva di qualsiasi contenuto.

E chi voglia afferrarla in questa sfera, abbandona, nel conoscere, la vera essenza della volontà

e mette qualcos’altro al suo posto”.

 

 

Sapete che cosa dichiarò, un giorno, il celebre psicoanalista Cesare Musatti? Dichiarò che sarebbe stato opportuno cancellare la parola “volontà” dai libri di psicologia.

Che qualcuno (e non di certo uno sprovveduto) arrivi ad affermare una cosa del genere non deve stupirci, giacché in un’epoca “cefalocentrica” come la nostra, in un’epoca, cioè, in cui viene assolutizzata, se non “mitizzata”, l’attività del cervello o del sistema neuro-sensoriale, non si può che pensarla così.

 

“Di fronte alla sfera dei sensi, – osserva infatti Steiner –

la volontà umana resta una parola priva di qualsiasi contenuto”.

 

Fatto sta che per scoprire e sperimentare la realtà della volontà – e per non confonderla, magari, con quella del “desiderio” o con quella della libido di Jung, di Freud, di Reich (9) o di Groddeck (10) – si deve assolutamente sviluppare un superiore livello di coscienza (quello intuitivo).

 

La volontà è infatti una forza che scaturisce dall’Io, e che l’Io riceve come “dono” dal mondo divino-spirituale

(“…/ Forza d’animo che scorre nelle mie membra / Scorre come nobile dono divino / Divino dono Tuo, o Spirito Divino /

O Spirito Divino colma la mia anima”) (11).

 

Teniamo presente, al riguardo, che

• il cammino dell’Io va prima dal volere al sentire, e poi dal sentire al pensare,

• mentre il cammino della coscienza dell’Io (dell’autocoscienza)

va (all’inverso) prima dal pensare al sentire, e poi dal sentire al volere.

• Il primo è il cammino (incosciente) del destino o del karma,

• mentre il secondo è il cammino (cosciente) della libertà.

 

Note:

  1. cfr. R.Steiner: Nascita e sviluppo storico della scienza – Antroposofica, Milano 1982;
  2. N.Berdjaev: Pensieri controcorrente – La Casa di Matriona, Milano 2007, p. 59;
  3. N.Berdjaev: ibid., p. 57;
  4. N.Berdjaev: Autobiografia spirituale – Jaca Book, Milano 2006, p. 205;
  5. R.Steiner: Storia occulta – Antroposofica, Milano 1972, p. 50;
  6. cfr. R.Steiner: L’essenza dei colori – Antroposofica, Milano 1977;
  7. cfr. R.Steiner: L’arte dell’educazione, vol. I, Antropologia – Antroposofica, Milano 1993;
  8. cfr. A.Schopenhauer: La volontà nella natura – Laterza, Bari 1989;
  9. cfr. W.Reich: La teoria dell’orgasmo e altri scritti – SugarCo, Milano 1969;
  10. cfr. G.Groddeck: Il libro dell’Es – Adelphi, Milano 1966;
  11. R.Steiner: Indicazioni per una scuola esoterica – Antroposofica, Milano 1999, p. 91.