Massime 76/77/78 – 1° – Come le massime siano da impiegare

Commento di Lucio Russo


 

Ci occuperemo adesso della lettera intitolata Come le massime siano da impiegare (10 agosto 1924),

e leggeremo poi, come sempre, le massime.

 

 

Nelle Massime che vengono inviate dal Goetheanum, si è voluto dare ai soci che vogliono essere attivi

l’incitamento a configurare unitariamente il contenuto dell’agire antroposofico.

Nell’accostarsi ogni settimana a tali Massime, si troverà che esse offrono una guida

per approfondire l’esistente materiale dei cicli di conferenze, e per esporlo in un certo ordine nelle riunioni di gruppo” (p.49).

 

 

E’ detto: “nell’accostarsi ogni settimana a tali massime”, in quanto queste furono originariamente pubblicate sul settimanale Notiziario per i soci della Società Antroposofica, allo scopo di offrire ai vari “gruppi” una guida per lo studio dei cicli di conferenze. Per esempio, quelle di cui ci siamo ultimamente occupati dovrebbero costituire uno stimolo ad affrontare e approfondire cicli quali Gerarchie spirituali (1), Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura (2), Le individualità spirituali del sistema solare (3) o L’uomo, sintesi armonica delle attività creatrici universali (4).

(E’ allo stesso fine che ho fornito, durante il corso, varie indicazioni, alle quali ho aggiunto, in sede di rielaborazione, un’ampia bibliografia.)

Dice Steiner che tale stimolo (diretto “ai soci che vogliono essere attivi”)

è teso“a configurare unitariamente il contenuto dell’agire antroposofico”.

 

Stiamo attenti, perché “unitariamente” non vuol dire “uniformemente”. L’unitarietà è infatti spirituale, mentre l’uniformità o la conformità è psichica o comportamentale, e per ciò stesso in contrasto con la libertà, la creatività e la spregiudicatezza.

Fatto sta che ognuno di noi, a seconda del proprio destino e dei propri interessi, può incontrare l’antroposofia attraverso la filosofia, la pedagogia, la medicina, l’arte, l’agricoltura, ecc. Tutti però abbiamo il compito, dopo esserci aperti il varco mediante una di queste discipline (chiamate, da Steiner, le “figlie”), di raggiungere la viva essenza o il cuore pulsante dell’antroposofia (chiamata, sempre da Steiner, la “madre”).

Le discipline sono molte, ma la loro viva fonte è una, e una soltanto. Dice il Vangelo: “Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta” (Lc 12,31). Non pochi, invece, trovate “queste cose”, trascurano poi di cercare “il regno di Dio”.

 

Mi disse un giorno Scaligero: • “Molti credono che io abbia letto chissà quali e quanti libri di Steiner. In realtà, ne ho forse letti meno di tanti altri. Il segreto è un altro: ho afferrato il metodo!” (5).

Ma se è importante afferrare il metodo dell’antroposofia, ancora più importante è afferrarne lo spirito, dal momento che il primo non è che la manifestazione del secondo (dell’Essere Antroposofia).

 

 

(…) Nella Società Antroposofica operiamo da veri dissipatori, se trascuriamo del tutto i cicli di conferenze stampati,

e vogliamo ricevere dal Goetheanum solo le conferenze “recentissime”” (p. 50).

 

 

Anni fa, una persona smise di frequentare il nostro gruppo di studio perché, disse, “facevamo sempre le stesse cose” (perché studiavamo quasi sempre gli stessi testi).

Sentite, però, che cosa dice Steiner: • “L’esposizione di verità antroposofiche sarà tanto più viva quanto più sarà fatta nei modi più svariati e nelle più diverse prospettive. I soci attivi della Società non dovrebbero pertanto temere di riprendere nelle riunioni sempre di nuovo gli stessi argomenti” (6).

Per questo, ci ritroviamo oggi insieme per tornare a studiare le Massime antroposofiche, così come ci siamo ritrovati ieri insieme per tornare a studiare altre opere di Steiner, e, in particolare, La filosofia della libertà.

 

Domanda: So che qualcun altro giudica il nostro lavoro “troppo intellettuale”.

Risposta: Non è una novità: i “misologi”, tra gli aspiranti antroposofi, ci sono sempre stati. E sai chi sono quelli che Hegel chiama “misologi”? Sono quelli che sentono odore d’intellettualismo anche quando si afferma che due più due fa quattro, o che patiscono un’intolleranza ai concetti, così come altri patiscono magari un’intolleranza al glutine.

Senti che cosa dice Steiner: • “L’affermazione che la Società Antroposofica è diventata troppo intellettualistica nasce in effetti perché chi parla così vuol evitare la coerente esperienza di un contenuto spirituale e tende piuttosto al piacere egoistico della beatitudine animica in una indeterminatezza mistica e nebulosa” (7);

oppure, mi sento di aggiungere, alla “volontà di potenza” (“gesuitica”), che porta certi esoteristi “palestrati” a darsi, unilateralmente e precocemente, alla “pratica” (interiore).

 

Ascolta quanto scrive qui: • “Ci si immagina l’ingresso nel mondo spirituale troppo simile a un’esperienza sensibile, e perciò si trova che l’esperienza di quel mondo fatta nel leggere [nello studio] è troppo simile al pensiero. Ma quando lo si accoglie veramente nel pensiero, ci si muove già nel mondo spirituale e occorre soltanto ancora rendersi conto che si è già sperimentato, senza accorgersene, ciò che si riteneva di avere solo ricevuto come comunicazione intellettuale (…) Per chi, senza rivolgere lo sguardo dell’anima a determinati fatti del mondo soprasensibile, si mette solamente a fare “esercizi” per penetrarvi, quel mondo rimane un caos indeterminato e confuso” (8).

 

 

(…) Occorre anche fare un’altra considerazione.

Il diffondere il contenuto dell’antroposofia richiede in primissima linea coscienziosità e senso di responsabilità” (p. 50).

 

 

Alla necessità della “coscienziosità” e del “senso di responsabilità”, vorrei aggiungere quella della modestia.

Rammentate ciò che dice Steiner ne L’iniziazione?

“Si troverà sempre che gli uomini, i quali veramente sanno, sono i più modesti,

e che ben lungi da loro è il desiderio di quello che gli uomini chiamano potere” (9).

 

Sono in specie due, di fatto, gli ostacoli che deve superare chiunque voglia “diffondere il contenuto dell’antroposofia”: quello della vanità e quello dello “spirito di gruppo”.

Per quanto riguarda il primo, mi avete già sentito dire ch’è molto meglio, se si desidera piacere, comprarsi una camicia o una cravatta nuova che non scrivere un libro o fare una conferenza; per quanto riguarda il secondo, va invece ricordato che non può essere ammesso al servizio dello spirito chi non sia in grado di camminare con le proprie gambe e non abbia il coraggio di assumersi delle responsabilità.

 

Quanti, tanto per dirne una, temendo la solitudine, escono da un gruppo per entrare subito in un altro? Il paradosso è ch’è proprio lo “spirito di gruppo” (quello del cameratismo o, per dirla con Alberto Sordi, dei “compagnucci della parrocchietta”) ad allontanare dalla fraternità o dalla socialità, quale comunione degli spiriti liberi.

Sentite che cosa dice Steiner: • “Noi dobbiamo unirci non già per coltivare piacevoli conoscenze,

ma per rendere un sacro servizio alla verità, nell’interesse dell’evoluzione umana” (10).

 

Fatto sta che affermare, come fa Scaligero, che nessuno può diventare un Io se prima non è stato un ego, equivale ad affermare che nessuno può diventare “sociale” se prima non è stato solo, o che nessuno può risorgere se prima non è morto.

Il calore o il tepore inclusivo dello “spirito di gruppo” protegge invece dalla solitudine e dalla morte. Così facendo, però, fa vivere inconsciamente la vita di Lucifero, e non quella del Cristo.

 

Lucifero non vuole infatti morire, mentre Arimane non vuole risorgere.

Vi propongo, al riguardo, la seguente meditazione:

 

Sentendo il bisogno della Tua grazia,

aprendo con tutte le mie forze le porte dell’anima,

attendo, Cristo luce del mondo, La Tua illuminazione.

Voglio raccogliermi in quiete, renderTi grazie per il Tuo dono e offrirlo come tale agli uomini.

Con le migliori forze della mia anima, con la sua pura profondità, con la sua più silente devozione,

voglio essere strumento della Tua parola.

 

 

(…) Va fatta un’altra considerazione che certo è la più importante di tutte.

Non si tratta che il contenuto antroposofico venga ascoltato e letto solo superficialmente,

ma che venga accolto nell’essere vivente dell’anima.

Essenziale è proseguire a pensare e sentire le verità accolte;

a questo appunto vogliono incitare le massime, rispetto ai già esistenti cicli stampati di conferenze.

Se questo punto di vista verrà considerato troppo poco, continuerà a non verificarsi

che l’essenza dell’antroposofia riesca a manifestarsi attraverso la Società Antroposofica” (p. 50).

 

 

Queste ultime parole fanno davvero pensare. Siamo nell’agosto del 1924 (all’indomani, cioè, del Convegno di Natale del 1923), e Steiner afferma che, trascurando le sue indicazioni, “continuerà a non verificarsi che l’essenza dell’antroposofia riesca a manifestarsi attraverso la Società Antroposofica”.

Questo “continuerà a non verificarsi” è davvero un macigno.

Ma lasciamo stare; preoccupiamoci piuttosto di capire quale sia il “punto di vista” che non dovremmo trascurare.

 

• “Non si tratta – dice Steiner – che il contenuto antroposofico venga ascoltato e letto solo superficialmente,

ma che venga accolto nell’essere vivente dell’anima. Essenziale è proseguire a pensare e sentire le verità accolte”.

 

Mi sembra di aver già detto, una volta, che l’antroposofia è una “Donna” (“Ne li occhi porta la mia donna Amore…”) da sposare, e non una con la quale avere semplicemente una “storia”: che è ossia un Essere con il quale vivere e crescere, e al quale rimanere fedeli.

Ricordate? “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo il loro nido, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Mt, 8,20).

E l’Essere Antroposofia ha forse dove “posare il capo”, dove trovare cioè un’anima che abbia la forza e il coraggio di offrirle asilo e protezione?

 

Sapete che l’Arcangelo Michele (il “fiammeggiante principe del pensiero”) dovrebbe costituire per noi un modello o un esempio; e l’Arcangelo Michele non è appunto il “Cavaliere della Vergine”?

 

Questa, in verità, dovrebbe essere la nostra prima preoccupazione:

• “Essenziale – dice Steiner – è proseguire a pensare e sentire le verità accolte”.

E che cosa fa infatti la Vergine?

Lo dice Luca: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).

 

Domanda: E se si trattasse, invece, di una tentazione luciferica?

Risposta: Le tentazioni sono presenti a ogni livello. Ma è proprio per riconoscerle (per distinguere, nella fattispecie, ciò che odora di Lucifero da ciò che ha il profumo della Vergine) che dobbiamo servirci del pensiero libero dai sensi e seguire l’esempio di Michele.

 

Ricordi questo passo del Pater Noster formulato da Steiner?

• “Non lasciare che il tentatore agisca su di noi oltre la misura delle nostre forze, poiché in Te, o Padre Santo, non esiste tentazione alcuna, essendo il tentatore solo illusione e inganno, dai quali Tu ci liberi grazie alla luce della conoscenza di Te”.

Come vedi, è solo “alla luce della conoscenza” dello Spirito (dell’”Io sono”) che l’illusione si rivela un’“illusione” (luciferica) e l’inganno un “inganno” (arimanico).

 

Un conto, del resto, è ritirarsi (anacoreticamente) dal mondo o fuggirlo, altro è allontanarsene (tatticamente) al fine di trovare le forze che permettano, facendovi ritorno, di vincerlo (“Nel mondo voi avete afflizioni; ma fatevi coraggio! Io ho vinto il mondo” – Gv 16,33).

Il primo è un viaggio (luciferico) di “sola andata” (incurante degli ammonimenti del grande “Guardiano della soglia”), mentre il secondo è un viaggio (cristico) di “andata e ritorno”.

 

Domanda: Il matrimonio con l’antroposofia è monogamico?

Risposta: Ti faccio rispondere da Steiner:

• “La gente ascolta una volta, poi ascolta una cosa diversa e poi un’altra ancora, ma senza voler arrivare a una vera e interiore forza di decisione, a decisioni. Vede nella scienza dello spirito qualcosa che può coesistere a fianco di altre cose, ma questo non è possibile con la scienza dello spirito. Lo si può fare con altre concezioni del mondo che compaiono nel presente; una sarà un po’ migliore, l’altra peggiore. Si può dire di ascoltare tutto, di centellinare qua e là. Questo però non va con la scienza dello spirito. Qui bisogna decidersi, perché essa va fino ai fondamenti. Qui è davvero necessario quell’inserirsi con forza che conduce a decisioni, che non si pone accanto ad altro, ma che vuole arrivare sino ai fondamenti. Non vi si può arrivare se si passa da una concezione del mondo a un’altra, centellinando dappertutto. La scienza dello spirito va afferrata con energia, e di conseguenza essa ha contro di sé lo spirito del tempo, ha contro di sé tutta la mollezza e tutta la debolezza del tempo; essa richiede infatti un chiaro vigore spirituale che non si vuole avere nel presente, che anzi disturba ed è scomodo” (11).