Metamorfosi della memoria nel post-mortem

O.O. 234 – Antroposofia – Alcuni aspetti della vita soprasensibile – 10.02.1924


 

Sommario: Il ricordo nella vita fisica. Il quadro mnemonico dopo la morte che si dissolve nell’universo. Le esperienze del kamaloca e la formazione della nostra autocoscienza. L’ingresso nel mondo spirituale e l’esperienza delle entità spirituali. L’impulso al pareggio karmico.

 

Nella conferenza di ieri e in quelle precedenti avete visto quali importanti prospettive sull’esistenza umana e sui suoi rapporti con l’universo si offrano, quando si consideri la capacità mnemonica dell’uomo. Per questo oggi vogliamo osservare la capacità mnemonica in sé, come può presentarsi nella vita umana nelle sue diverse fasi: per prima, la capacità mnemonica per la coscienza ordinaria, quella che l’uomo ha tra nascita e morte.

 

L’uomo trasforma in ricordi quel che compie nella vita materiale,

quel che compie con tutto il suo pensare, sentire e volere, con l’impiego anche delle sue forze fisiche,

e di tanto in tanto nella sua vita animica egli ritorna alle immagini mnemoniche di ciò che ha compiuto.

• Però, se confrontate queste immagini mnemoniche sorte spontaneamente oppure no,

tanto simili a ombre nella loro essenza di pensiero e di rappresentazione,

con la robustezza delle esperienze alle quali si riferiscono,

direte: “i ricordi sono proprio soltanto delle immagini”.

 

Ma, come immagini, sono tutto quello che conserviamo per noi, nel nostro io,

delle nostre esperienze nel mondo esteriore.

Noi portiamo i ricordi, si direbbe, come il tesoro elaborato delle nostre esperienze.

• Se quindi qualcosa va perduto di questi ricordi in casi patologici

(ne abbiamo già parlato), ne viene leso il nostro stesso io.

• Sentiamo che il nostro essere interiore, il nostro io, è leso

quando, in casi patologici, si perde qualche parte del tesoro dei ricordi che fa della nostra vita un tutto.

 

Si potrebbero anche indicare le situazioni terribili che a volte, in altro campo, derivano da emorragie cerebrali, sicché certe parti della vita trascorsa restano cancellate nella memoria. Proviamo a guardare da un certo punto della nostra vita all’esistenza trascorsa dalla nostra ultima nascita; dobbiamo allora sentire il concatenamento dei ricordi, per riconoscerci come uomini dotati di anima.

Questi sono alcuni tratti che indicano l’importanza della facoltà mnemonica durante la vita fisica terrena. Ma essa è ancora assai di più: che cosa sarebbe per noi il mondo esterno, con le sue impressioni sempre rinnovate, con tutto il suo contributo di vitalità, se non fossimo in grado di collegare le nuove impressioni che ci giungono con ciò che ricordiamo! E non per ultimo va menzionato che l’apprendere consiste in fin dei conti proprio nel collegare il nuovo che si offre all’uomo a quello che egli già porta nei suoi ricordi. Gran parte del metodo scolastico riposa sulla possibilità di trovare il modo più razionale di collegare il nuovo che dobbiamo dare ai fanciulli con quello che possiamo richiamare dal tesoro dei loro ricordi.

In breve, ovunque si tratti di ricondurre il mondo esteriore all’animico, di risvegliare l’animico affinché senta e sperimenti interiormente la propria esistenza, tutto ciò infine si riferisce al ricordo.

 

Sicché, dobbiamo concludere che la memoria

forma la parte più importante e più ampia della vita ulteriore dell’uomo durante l’esistenza terrena.

 

Guardiamo ora questa memoria da un altro punto di vista.

 

Si può facilmente constatare che questa memoria,

la somma dei ricordi che portiamo in noi, è propriamente un frammento.

• Nel corso della vita si è dimenticato parecchio,

ma vi sono attimi della vita, a volte proprio attimi patologici della vita,

in cui risorgono ricordi da lungo tempo dimenticati.

• In particolare sono gli attimi in cui l’uomo si avvicina alla morte,

in cui riaffiorano ogni sorta di cose che erano del tutto lontane dalla sua memoria cosciente.

• Vi sono dei moribondi in tarda età che si ricordano improvvisamente di cose

da lungo tempo scomparse dalla loro memoria cosciente.

 

Studiando intimamente il sogno, che pure si connette alla memoria, si trova che in esso sorgono dei fatti che certamente si sono vissuti passando oltre disattenti, cui non si è posta attenzione, e che tuttavia hanno un posto dentro la vita dell’anima e proprio allorquando gli impedimenti dell’organismo fisico ed eterico non agiscono, quando durante il sonno il corpo astrale e l’io sono soli, ecco che risorgono.

 

Di solito non vi si fa attenzione, e così non ci si rende conto che il ricordo cosciente

non è che un frammento di quello che accogliamo in noi, poiché noi assumiamo parecchio della vita

e lo elaboriamo interiormente nella stessa forma, ma del tutto nel subconscio.

 

Orbene, finché viviamo nell’esistenza terrena riteniamo essenziale della memoria

ciò che può affiorare dalla profondità dell’anima in forma di pensieri mnemonici.

Vengono i pensieri di ciò che si è vissuto, e poi se ne vanno; poi li ricerchiamo.

Questo è quello che noi riteniamo l’essenza della memoria.

 

Quando noi passiamo attraverso la porta della morte,

allora all’esistenza terrena succedono giorni in cui

sorge un grandioso panorama delle immagini della vita terrena trascorsa.

 

Queste sono presenti tutte insieme: ciò che è trascorso da molti anni

è qui contemporaneo a ciò che è successo da pochi giorni.

 

Come le cose spaziali sono situate una accanto all’altra ed hanno solo prospettiva spaziale,

così qui si trovano una accanto all’altra le nostre esperienze che si sono svolte nel tempo,

ed hanno appunto una prospettiva temporale interiore; sono presenti simultaneamente.

 

Ma nel breve tempo in cui è presente, ciò si fa sempre più indistinto, sempre più fievole.

Mentre siamo nella vita terrena fisica abbiamo il sentimento, nel guardare in noi stessi,

che le immagini di ciò che abbiamo sperimentato siano come raccolte e arrotolate in noi in immagini mnemoniche;

ma ora queste immagini ingigantiscono e sentiamo

come se le immagini della nostra memoria venissero assunte dall’universo.

 

Quello che dopo la morte in un primo momento

è nettamente confinato e racchiuso in questo quadro mnemonico,

diventa sempre più grande e nello stesso tempo più indistinto,

finché lo troviamo allargato come un universo, ma divenuto così tenue

che quasi non avvertiamo più ciò che prima abbiamo chiaramente veduto.

• Ne abbiamo un vago sentore, poi scompare nelle lontananze, ed ecco non c’è più.

 

Questa è la seconda forma che assume la memoria,

si può dire la seconda metamorfosi nei giorni immediatamente dopo la morte;

è quella fase di cui possiamo dire che i nostri ricordi ci sfuggono nelle lontananze dell’universo.

• Tutto quello che durante la nostra esistenza tra nascita e morte abbiamo strettamente collegato con la memoria,

tutto si allontana, s’ingrandisce, si fa indistinto, si perde infine nelle lontananze cosmiche.

• È proprio come se vedessimo scomparire nelle lontananze cosmiche

quell’io che abbiamo considerato come il nostro io durante la nostra vita terrena.

 

La conclusione dei pochi giorni di tale esperienza è che noi, di fronte alla fuga dei nostri ricordi, dobbiamo dire:

• “veniamo dispersi, allontanati nel cosmo, finché sperimentiamo l’attimo

in cui ci sentiamo come afferrati dalle lontananze dell’universo

proprio in quella parte in cui abbiamo avuto sentimento di noi stessi tra nascita e morte”.

 

Dopo aver patito questa specie di intorpidimento soprasensibile, questo deliquio soprasensibile,

che con la somma delle rappresentazioni mnemoniche ci ha tolto l’intima coscienza dell’esistenza terrena,

riviviamo nella terza fase della memoria.

 

Questa terza fase della memoria ci insegna

che quello che con l’aiuto dei ricordi abbiamo designato come nostro sé durante l’esistenza terrena,

si è disperso nelle lontananze del cosmo, ha in un certo modo mostrato di fronte a noi e per noi la sua nullità,

tanto che se noi fossimo soltanto quello che può venir conservato nei nostri ricordi fra nascita e morte,

pochi giorni dopo la nostra morte saremmo un nulla.

 

Allora ci immergiamo in qualcosa di completamente diverso,

poiché siamo divenuti consapevoli di non poter conservare i nostri ricordi.

Ciò che era presente come nostro ricordo non abbiamo potuto trattenerlo, il cosmo ce lo ha tolto dopo la morte.

 

Ma d i e t r o tutti i ricordi che abbiamo portato durante la vita terrena sta qualcosa di obbiettivo.

• Quella controparte spirituale di cui ho parlato ieri è inscritta nel cosmo,

e noi ci immergiamo adesso in quella controparte spirituale dei nostri ricordi.

 

Nel percorrere tutte le nostre esperienze tra nascita e morte

abbiamo sperimentato questo o quello con il tale uomo, la tale pianta, la tale sorgente,

con tutto quanto è venuto a contatto con noi durante la vita.

Nulla di quanto abbiamo vissuto sfugge

all’inscrizione della sua controparte spirituale in quella realtà spirituale

nella quale stiamo pur sempre, oltre che nella realtà fisica.

 

Ogni stretta di mano che abbiamo scambiato con qualsiasi uomo

ha la sua controparte spirituale, che sta inscritta là, nel mondo spirituale.

• Solo nei primi giorni dopo la morte, se guardiamo la nostra vita,

abbiamo davanti a noi le immagini di questa vita

che ci coprono in certo modo quello che è inscritto nell’universo stesso

in conseguenza delle nostre azioni, dei nostri sentimenti, dei nostri pensieri.

 

Nell’attimo in cui, attraversando la porta della morte, entriamo in un’altra vita,

in quell’attimo siamo ricolmi di quanto è rappresentato in quel panorama di vita

che è fatto di sole immagini, immagini che vanno prospetticamente fino alla nascita e oltre.

 

Ma questa esposizione di immagini scompare poi nelle lontananze dell’universo.

Allora divengono visibili le controfigure spirituali

di tutte le azioni che abbiamo compiuto, retrocedendo fino alla nascita.

Tutto quel che abbiamo percorso diviene visibile in controfigure spirituali,

ma in modo che sentiamo immediatamente l’impulso

a rifare la strada e ripetere a ritroso tutte queste esperienze.

 

Chi va da Dornach a Basilea sa abitualmente che può anche andare da Basilea a Dornach, perché qui nel mondo fisico l’uomo possiede la corrispondente rappresentazione spaziale. Invece l’uomo non sa, nella sua coscienza abituale, mentre va dalla nascita verso la morte, che può andare dalla morte verso la nascita.

Altrettanto come nel mondo fisico, quando si va da Dornach a Basilea, si può ritornare da Basilea a Dornach, si può ora, come si va nella vita terrena dalla nascita alla morte, andare dalla morte fino alla nascita.

Questo si compie nel mondo dello spirito, percorrendo a ritroso le controfigure spirituali di tutte le esperienze che si sono attraversate qui durante la vita terrena.

 

Mettiamo che si sia avuta un’esperienza con un qualunque oggetto appartenente ad un regno naturale diverso da quello umano, per esempio con un albero: lo si è osservato, oppure lo si è abbattuto in veste di boscaiolo. Tutto ciò ha una controfigura spirituale; soprattutto ha un significato diverso per tutto l’universo, per il mondo spirituale, se si è semplicemente osservato un albero o se lo si è abbattuto oppure se si è fatto qualcosa d’altro con questa pianta: quello che si può sperimentare con l’albero fisico lo si è sperimentato nella vita fisica; quello che questa esperienza comporta come controfigura spirituale lo si sperimenta andando a ritroso dalla morte fino alla nascita.

 

Si è avuta un’esperienza con un altro uomo, mettiamo che gli si sia arrecato del dolore, allora vi è una controfigura spirituale già nel mondo fisico, che non è però la nostra esperienza: è il dolore che quell’altro ha patito. Per noi, forse, la causa di quel dolore fu origine di una certa sensazione piacevole, proprio per avergli arrecato dolore. Allora eravamo pieni di spirito di vendetta o di altro.

 

Adesso, mentre ripercorriamo la vita a ritroso, non riattraversiamo la nostra esperienza, ma la esperienza di lui, quella che egli ha vissuto a causa della nostra azione. Questa appartiene pure ad una controfigura spirituale ed è inscritta nel mondo spirituale. In breve, l’uomo rivive in maniera spirituale ancora una volta le proprie esperienze, risalendo dalla morte fino alla nascita.

 

Questo sperimentare è connesso, come dicevo ieri, col fatto che noi sentiamo

la partecipazione che vi portano entità che sono principalmente superumane.

• Mentre noi ci affanniamo in mezzo a queste controfigure delle nostre esperienze,

è come se continuamente grondassero giù le simpatie e le antipatie

delle entità spirituali, le quali appunto provano simpatia e antipatia

verso le nostre azioni, verso i nostri pensieri, nello sperimentare a ritroso.

 

E in questo sperimentare a ritroso,per ogni singolo atto che sulla Terra è stato compiuto ad opera nostra

in pensieri, in sentimenti, in impulsi di volontà o in azioni,

noi sentiamo quanto valga ogni singola cosa per l’esistenza orientata secondo lo spirituale nel suo insieme.

• Sperimentiamo nel più amaro dolore il danno arrecato da qualsiasi azione che abbiamo perpetrato.

• Sperimentiamo nella sete più ardentele passioni che abbiamo albergato nella nostra anima.

 

Noi continuiamo a sperimentarle, queste passioni, in forma di sete ardente,

finché abbiamo provato abbastanza l’inutilità, per il mondo spirituale,

del coltivare le passioni e ci siamo liberati dalla passionalità dipendente dalla personalità fisica sulla Terra.

Da questa osservazione può già risaltare istintivamente il confine tra l’animico ed il fisico.

 

Vedete, è facile per l’uomo considerare fisicamente che cosa sia sete o fame, poiché, certamente, sete e fame sono determinate alterazioni fisiche dell’organismo. Ma immaginatevi, invece, che le medesime alterazioni fisiche che avvengono in un organismo fisico umano quando esso ha sete, siano in un corpo inanimato; le medesime alterazioni potranno anche esservi, ma il corpo inanimato non proverà la sete. Potete analizzare chimicamente le alterazioni che sono in voi quando avete sete; portate quindi le medesime alterazioni, con un metodo qualsiasi, nelle stesse sostanze e nelle stesse connessioni di forze, in un corpo che non sia animato umanamente: esso non proverà sete.

 

La sete non è infatti qualcosa che viva nel corpo fisico,

la sete vive nell’animico, nell’astrale, attraverso alterazioni del corpo fisico.

Così è pure per la fame.

 

E quando uno sente nell’anima una grande attrazione per qualcosa che viene soddisfatto nella vita fisica mediante funzioni fisiche, allora è come quando ha sete qui nella vita fisica: l’elemento animico prova sete, sete ardente verso quelle cose che l’uomo si è abituato a soddisfare mediante funzioni fisiche. Ma non si possono esplicare funzioni fisiche, dopo aver deposto il corpo fisico.

 

Gran parte della vita dopo la morte, durante questa retrospezione che ho descritta,

scorre appunto per abituare l’uomo

a vivere nella sua costituzione animica e spirituale senza il suo corpo fisico.

• In un primo tempo egli prova continuamente sete ardente

verso quanto può essere soddisfatto solo mediante il corpo fisico.

• Come il bambino deve abituarsi ad adoperare i propri organi,

come deve imparare a parlare, così nella vita tra morte e nuova nascita

l’uomo deve disabituarsi dall’avere nel suo corpo fisico il fondamento delle sue esperienze animiche:

deve svilupparsi e crescere nel mondo spirituale.

 

Di questa esperienza, che dura un terzo del tempo che ha durato la vita fisica,

vi sono delle descrizioni che presentano tale esperienza come un inferno,

e viene la pelle d’oca a leggere tali descrizioni, per esempio nella letteratura della Società Teosofica,

nella quale questa vita è chiamata secondo l’uso orientale kamaloka.

 

Ma le cose non stanno così: se le si confronta immediatamente con la vita terrena,

possono effettivamente apparire così, perché sono del tutto inabituali,

perché subito ci si deve orientare tra le controfigure e i controvalori spirituali di quanto si è compiuto sulla Terra,

così che tutto quel che sulla Terra è stato vita piacevole, là è privazione, e invece un po’ di appagamento vi si trova

solo in quel che sulla Terra è stato inappagante e doloroso o fonte di patimenti.

 

Sotto molti aspetti quello che là si prova ha del pauroso, se lo si confronta con la vita terrena,

ma appunto non lo si può confrontare direttamente con la vita terrena,

perché non lo si vive nella vita terrena,

e perché dopo la vita terrena non si giudica più con concetti terreni.

 

Per esempio, quando sperimentate i dolori di un altro uomo, dolori che voi stessi gli avete arrecato,

esclamate subito, se così posso esprimermi, nell’esperienza dopo la morte:

“se non sperimentassi questo dolore resterei un’anima umana incompleta,

perché il danno da me apportato all’universo continuerebbe a mutilarmi.

Sarò un uomo intero soltanto quando avrò sperimentato il pareggio!”

 

A seconda della conformazione animica interiore

può essere che ci si adatti con difficoltà al giudizio post-mortem,

al giudizio che dopo la morte sia un bene sottostare ad una prova dolorosa per aver arrecato un dolore ad altri.

Può essere difficile adattarsi a questo giudizio;

ma vi è uno stato d’animo che lo rende più lieve ed è appunto quello

che già qui nella vita terrena insegna qualcosa sulla vita soprasensibile.

 

C’è uno stato d’animo che sente come beatificante questo doloroso pareggio

di una qualche azione perpetrata nella vita terrena,

perché mediante questo doloroso pareggio si progredisce nella perfezione della propria umanità.

Altrimenti si resterebbe indietro, nella perfezione della propria umanità.

 

Quando avete recato dolore ad altri siete diminuiti di valore rispetto a come eravate prima di averlo fatto,

perciò se giudicate razionalmente verrete a dirvi:

sono diventato per l’universo un’anima peggiore di quello che non fossi

prima di avere arrecato ad un altro questo dolore; valevo di più, prima di avergli fatto male.

• Sentirete quindi come un beneficio trovare, dopo la morte, il pareggio

nel patire anche voi stessi quel medesimo dolore.

 

Vedete, cari amici, questa è la terza fase di quella memoria che vive in noi.

• Questi ricordi che abbiamo portato in noi

vengono prima consolidati in figurazioni per alcuni giorni dopo la morte, per essere poi dispersi nel cosmo,

sicché la nostra vita interiore in forma di pensieri ritorna nel cosmo.

• Ma nell’universo stesso è inscritto in lettere spirituali quel che abbiamo vissuto,

e mentre abbiamo perduto quel che tenevamo imprigionato in noi come ricordi,

mentre ciò tendeva ad andare lontano, l’universo ce lo ridà dalle sue iscrizioni, dall’oggettività.

 

Non vi è una più valida prova del collegamento dell’uomo con l’universo di quella che sorge dopo la morte

per il fatto che prima veniamo tolti a noi stessi, in rapporto alla nostra vita interiore,

per essere poi dall’universo restituiti a noi stessi.

• Anche di fronte agli avvenimenti dolorosi del dopo-morte

si sente ciò come qualcosa che appartiene all’umanità nella sua totalità.

• Si può già dire che si ha la seguente impressione:

ciò che è stato interiore durante la vita terrena, l’universo se lo è preso per sé.

E ciò che abbiamo impresso nell’universo, questo ce lo ridà.

 

Proprio ciò cui non si è fatto attenzione, che si è trascurato,

ma che con chiari tratti si è trasferito nell’esistenza spirituale, questo ci restituisce il nostro proprio sé.

Poi, risalendo il corso della vita, attraverso la nascita si perviene nelle vastità dell’esistenza spirituale.

Il fatto di aver compiuto queste esperienze ci dà quel modo di essere per cui possiamo stare nel mondo spirituale.

Proprio ora, attraverso il compimento di tutto questo, noi entriamo nel mondo spirituale.

E la facoltà della memoria subisce ora la sua quarta metamorfosi.

 

Ora sentiamo che durante la vita terrena, dietro la solita memoria, ha proprio vissuto in noi qualcosa,

ma che quello che viveva in noi non ci veniva a coscienza.

• Questo si è inscritto nell’universo, e con questo ora noi ci identifichiamo.

Noi accogliamo ora la nostra vita terrena nel suo significato spirituale,

e diventiamo questo significato spirituale stesso.

 

Ora che siamo giunti nel mondo spirituale retrocedendo oltre la nascita,

stiamo in una maniera molto singolare al cospetto del mondo spirituale stesso;

stiamo di fronte all’universo secondo il nostro contro-valore spirituale.

• In quanto abbiamo compiuto quel percorso e abbiamo sofferto il dolore recato ad altri;

in quanto abbiamo provato adesso il controvalore spirituale di una esperienza avuta,

supponiamo, con un albero… ebbene,

tutto ciò era già stato esperienza, ma non era ancora stato autoesperienza.

 

Ciò si può paragonare molto bene con l’esistenza embrionale di un uomo prima che egli veda la luce,

quando tutto quello che egli sperimenta non si sveglia ancora nell’autocoscienza,

e nemmeno lo farà nei primi anni della sua vita fisica terrena.

L’autocoscienza si risveglia solo gradualmente.

A poco a poco, ciò che sperimentiamo a ritroso penetrando nell’universo

diventa il nostro sé, la nostra autocoscienza spirituale,

e noi siamo adesso quello che abbiamo sperimentato. Siamo il nostro proprio controvalore spirituale.

 

Con questa esistenza, che è proprio il lato opposto della nostra esistenza terrena,

entriamo in quel mondo in cui non vi è assolutamente niente dei soliti regni della natura esteriore,

del regno minerale, di quello vegetale, di quello animale, che sono cose appartenenti all’esistenza terrestre,

mentre vi emergono subito le anime trapassate prima di noi

con le quali abbiamo intrattenuto un qualsiasi rapporto, e le individualità di entità spirituali superiori.

•  Viviamo come spiriti tra spiriti umani ed altri spiriti,

e questo insieme di individualità spirituali è ora il nostro mondo.

 

La nostra esperienza, la nostra vita consistono ora nel nostro rapporto con queste individualità spirituali,

siano esse altri uomini, siano esse entità che non appartengono all’umanità;

il rapporto tra queste entità e noi,

il rapporto entro il quale veniamo a trovarci durante la nostra esistenza spirituale nel mondo dello spirito,

è ora la nostra esperienza, la nostra vita.

• Come sulla Terra abbiamo le nostre esperienze con gli esseri dei regni naturali esteriori,

così abbiamo ora esperienze con entità spirituali di gradi diversi.

 

Particolarmente significativo è quanto segue: durante il nostro attraversamento della vita tra morte e nascita,

durante questa vita vissuta a ritroso siamo stati sottoposti alle simpatie e alle antipatie che irrorano tali esperienze.

 

Ora diventiamo capaci di vedere spiritualmente le entità

di cui finora avevamo percepito solo le antipatie e le simpatie

mentre vivevamo il lato spirituale della nostra vita terrena:

ora, giunti nel mondo spirituale, viviamo in mezzo a loro,

e ora cresce in noi il sentimento di essere colmati di forze,

di impulsi provenienti dalle entità spirituali che ci attorniano.

 

Tutto quello che prima abbiamo attraversato si farà tanto più reale

quanto più reale sarà per noi il nostro sé sotto specie spirituale.

Ci sentiamo gradualmente nella luce e nell’ombra di queste entità spirituali

con le quali acquistiamo dimestichezza.

 

Prima, per il fatto che noi sperimentavamo il controvalore spirituale dei nostri atti, per ogni cosa sentivamo:

“ciò è utile o è dannoso per l’universo”.

Ora sentiamo invece: “qui vi è qualcosa che, nella vita terrena, abbiamo compiuto in pensieri o in azioni,

che ha il suo controvalore spirituale ed è iscritto nell’universo spirituale”.

Gli esseri al cui cospetto veniamo a trovarci possono valersene oppure no,

a seconda che sia nella direzione della loro evoluzione,

o di quella evoluzione cui essi tendono, oppure che non sia in tale evoluzione.

 

Ci sentiamo tuttavia messi di fronte alle entità del mondo spirituale in quanto possiamo dire:

“abbiamo agito nel loro senso, o abbiamo agito in senso contrario ad esse;

– abbiamo aggiunto qualcosa a quello che esse volevano per l’evoluzione del mondo,–

oppure abbiamo detratto qualcosa da quello che esse volevano per l’evoluzione del mondo”.

 

Soprattutto non ci sentiamo giudicati in forma puramente ideale,

ma ci sentiamo realmente valutati, e tale valutazione è la stessa realtà della nostra esistenza

quando, dopo la morte, raggiungiamo il mondo spirituale.

 

Quando stiamo come uomini qui nel mondo fisico

ed abbiamo commesso qualche male, allora, se abbiamo coscienza e raziocinio,

ci condanniamo da noi stessi, oppure ci condanna la legge, ci condanna il giudice,

ci condannano gli altri uomini con il loro disprezzo.

• Ma questi giudizi non ci intaccano, per lo meno rilevantemente,

a meno di avere una particolare conformazione umana; tutt’al più ci intaccano le conseguenze del giudizio.

 

Invece, quando entriamo nel mondo delle entità spirituali,

allora non ha luogo soltanto un giudizio ideale asserente che noi valiamo meno, bensì noi sentiamo che,

quando in rapporto ad una nostra manchevolezza, ad una nostra infamia,

si posa su di noi lo sguardo delle entità spirituali, è come se questo sguardo ci spegnesse nella nostra esistenza.

• Per tutto quanto di prezioso abbiamo eseguito, lo sguardo ci colpisce

come se solo per questo guadagnassimo la nostra realtà di vero essere spirituale-animico.

 

La nostra realtà dipende dal nostro valore.

È come se l’oscurità ci togliesse esistenza,

se abbiamo trattenuto il corso dell’evoluzione prevista nel mondo spirituale.

E come se la luce ci richiamasse ad una fresca esistenza spirituale,

se abbiamo fatto qualcosa che opera nel senso dell’evoluzione del mondo spirituale.

 

Percorriamo tutto questo che ho descritto, ed entriamo nel mondo delle entità spirituali;

ciò innalza nel mondo spirituale la nostra coscienza; ci mantiene desti nel mondo spirituale.

Attraverso quello che noi sperimentiamo qui come esigenza,

constatiamo di avere acquistato qualcosa nell’universo in rapporto alla nostra propria realtà.

 

Supponiamo di avere compiuto qualcosa che trattenga l’evoluzione del mondo

e che possa soltanto suscitare le antipatie delle entità spirituali nella cui sfera entriamo:

ne consegue, come ho descritto, che sentiamo la nostra coscienza oscurarsi:

ha luogo un intorpidimento, alle volte fino alla completa estinzione.

Dobbiamo uscire da questa condizione, di nuovo risvegliarci.

 

E quando ci svegliamo sentiamo, in rapporto alla nostra esistenza spirituale,

come sentiremmo se nel mondo fisico venissimo tagliati nella carne,

ma in modo ancora più reale, e non è a dire che questo fatto non sia già abbastanza reale nel mondo fisico;

così ci sentiamo di fronte alla nostra esistenza spirituale.

In breve, quello che siamo nel mondo spirituale si dimostra essere

la conseguenza di quanto noi stessi abbiamo fatto, abbiamo causato.

 

Come vedete, ce n’è abbastanza per suscitare nell’uomo il movente a ritornare nell’esistenza terrena.

Ritornare, perché?

Ebbene, l’uomo ha potuto sperimentare, di fronte a ciò che è inscritto nel mondo spirituale,

quanto nell’esistenza terrena egli abbia effettuato in senso buono o cattivo.

Ma quanto a pareggiare quello che unicamente mediante questa esperienza ha potuto conoscere,

lo potrà fare solo quando sarà ritornato nell’esistenza terrena.

 

E veramente quando l’uomo (parlando per similitudine)

percepisce sul volto degli esseri spirituali quale è il suo valore per l’universo,

riceve da questa percezione un sufficiente impulso a ritornare di nuovo nel mondo fisico,

non appena sarà diventato capace di vivere la vita in maniera diversa da come l’ha ultimamente vissuta.

 

Con tutto ciò gli rimangono diverse incapacità a rispondere all’assunto,

e solo dopo diverse vite terrene può compiersi veramente il pareggio.

• Se durante la vita terrena guardiamo in noi stessi ci imbattiamo anzitutto nei ricordi, in quei ricordi

sui quali inizialmente, appena ci appartiamo dal mondo esteriore, costruiamo la nostra esistenza animica,

quei ricordi dai quali trae le proprie creazioni anche la fantasia creatrice artistica.

Questa è la prima forma della memoria.

 

Dietro a questa memoria stanno quelle possenti figure che ci diventano visibili

immediatamente dopo il nostro passaggio per la porta della morte.

Esse poi ci vengono tolte, esse si dileguano nelle lontananze del cosmo.

Possiamo dire, quando riflettiamo alle nostre rappresentazioni mnemoniche:

• “dietro a loro sta ciò che, appena ci è tolto il nostro corpo fisico, prende la via delle lontananze cosmiche;

mediante il nostro corpo teniamo insieme ciò che propriamente vuol diventare ideale nell’universo”.

 

Ma durante il nostro pellegrinaggio terreno, mentre di tutto ci rimanevano ricordi, abbiamo abbandonato nel mondo qualcosa che sta ancora oltre, dietro i ricordi, ora però in ordine di tempo; e noi lo dobbiamo rivivere a ritroso.

 

Quale terza figura, ciò sta dietro il ricordo.

Prima abbiamo a che fare col velo dei ricordi;

dietro a ciò che noi abbiamo avvolto in una possente immagine cosmica sta poi ciò che è inscritto nel mondo.

E dopo che abbiamo attraversato tutto questo, soltanto allora vi troviamo dietro noi stessi:

spiritualmente nudi davanti al mondo spirituale,che ci riveste col suo manto non appena vi entriamo.

 

Dobbiamo pur guardare ai ricordi, se vogliamo gradualmente liberarci dalla vita umana transitoria.

I ricordi che abbiamo durante la vita terrena sono effimeri, si dileguano nell’universo.

Ma dietro i ricordi sta il nostro sé, sta quanto ci viene ulteriormente dato dal mondo spirituale

per poter trovare la via che conduce dal tempo all’eternità.