Missione dell’epoca atlantica: imprimere nell’uomo l’io

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 30.05.1908


 

Richiamiamoci alla mente come nel corso dell’evoluzione si sviluppino i diversi elementi costitutivi della natura umana; e precisamente come stavano le cose verso la fine dell’epoca atlantica.

Abbiamo avuto modo di spiegare come la testa eterica si sia immersa entro il corpo fisico e come per effetto di questo mutamento l’uomo ricevette la prima disposizione a poter dire un giorno « io sono ».

Quando avvenne la catastrofe finale dell’Atlantide, il corpo fisico dell’uomo era già compenetrato dalla potenza di questo « io sono »: vale a dire che l’uomo era al punto di aver preparato lo strumento fisico per l’autocoscienza.

 

Per intenderci perfettamente: verso la metà dell’epoca atlantica nessun uomo sarebbe stato in grado di sviluppare un’autocoscienza, di poter cioè dire di se stesso: « io sono ».

Questo potè verificarsi solo mediante l’unione di quella parte della testa eterica, che abbiamo menzionata, con la testa fisica. In quei tempi, fino alla catastrofe atlantica finale, l’uomo andò sviluppando ciò che occorreva perché più tardi potesse esplicarsi l’autocoscienza: cioè l’abbozzo del cervello fisico e la struttura generale del corpo.

Così dunque il corpo fisico, prima del diluvio atlantico, divenne maturo per farsi portatore dell’io.

 

Se quindi ci domandiamo quale sia stata la missione della civiltà atlantica, risponderemo che fu quella di imprimere nell’uomo l’io; e questa missione si estende poi oltre la catastrofe ch’è nota col nome di diluvio universale, fino al tempo nostro.