Modo in cui l’occultista può trovare gli Angeli

O.O. 136 – Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura – 05.04.1912


 

Abbiamo dunque sopra di noi una classe di entità che per loro natura

debbono vivere nel regno dell’assoluta verità e veridicità, a prezzo di rinnegare la loro natura.

 

Qualunque deviazione dalla veridicità stordirebbe quegli esseri, ne attenuerebbe la coscienza. Volendo osservare con lo sguardo occulto quelle entità, l’occultista deve prima trovare le giuste vie per poterle incontrare. Cercherò di caratterizzare il modo in cui l’occultista può trovare questi esseri spirituali.

 

La prima esperienza interiore che deve fare chi percorra uno sviluppo occulto è appunto quella di tendere a superare in certo modo il tipo di vita interiore, proprio dell’ordinaria coscienza normale. Noi consideriamo infatti la nostra esperienza interiore egoistica come quella parte del mondo che, per così dire, vogliamo riservare solo a noi stessi.

 

• Quanto più una persona che percorre uno sviluppo occulto

riesce a farsi spassionata, nei confronti della propria esperienza egoistica o personale,

tanto più vicina si trova all’ingresso dei mondi superiori.

 

Prendiamo un caso abbastanza ovvio: tutti sappiamo che certe verità o certe cose ci piacciono o ci dispiacciono, ci attirano o ci respingono soltanto per motivi nostri personali.

 

Chiunque voglia progredire sul piano occulto

dovrà estirpare dal suo cuore questi sentimenti che hanno ragioni esclusivamente personali:

dovrà in certo modo liberarsi da tutto ciò che riguarda lui solo.

 

Questa è una verità citata spesso, ma in fondo più difficile a osservarsi di quanto generalmente si crede: infatti nella coscienza ordinaria l’uomo ha ben pochi punti d’appoggio per liberarsi di se stesso, per superare ciò che riguarda lui solo. Basta riflettere un momento che cosa significa liberarsi di se stesso. Può darsi che non sia poi tanto difficile liberarsi di quelli che abitualmente si chiamano i moventi egoistici.

 

Dobbiamo però considerare che nella singola incarnazione, in cui stiamo vivendo, noi siamo nati in un certo momento, in un certo luogo, e che osservando quello che ci circonda, il nostro sguardo cade su oggetti del tutto diversi da quelli che si presentano a chi si trovi in un diverso punto della Terra. Costui dovrà necessariamente interessarsi di cose del tutto diverse.

 

Per il solo fatto dunque di essere incarnati fisicamente in un certo tempo e in un certo luogo, noi siamo circondati dalle cose più diverse che attirano il nostro interesse, la nostra attenzione, che in fondo ci riguardano in modo speciale e che per altre persone sono diverse.

 

Per il fatto di trovarci distribuiti sul nostro pianeta in modo differenziato,

ciascuno di noi è in certo senso costretto ad avere i propri interessi e una propria patria.

• Perciò non potremo mai apprendere dal nostro ambiente

quello che ci rende liberi, nel senso più alto, dai nostri interessi umani particolari.

• Siccome siamo uomini in un corpo fisico, e in quanto lo siamo, a causa delle nostre percezioni esterne

non possiamo quindi affatto raggiungere la porta d’ingresso a un mondo superiore.

 

A questo fine noi dobbiamo prescindere da tutto quello che i nostri sensi possono percepire

e dalle combinazioni che il nostro intelletto ne può ricavare; tutto ciò appartiene ai nostri interessi particolari.

Se poi guardiamo al contenuto abituale della nostra interiorità,

ai nostri dolori e alle nostre gioie, alle preoccupazioni e alle speranze,

ci accorgeremo ben presto che il nostro mondo interiore dipende da quel che sperimentiamo del mondo esterno,

e che da queste esperienze risulta colorata la nostra vita interiore.

Tuttavia c’è una certa differenza.

 

Certo, si deve senz’altro ammettere che ognuno di noi porta al suo interno un proprio mondo;

il mondo interiore personale è segnato dalle circostanze di tempo e di luogo nelle quali ognuno vive.

Però possiamo apprendere anche qualcosa d’altro sul nostro mondo interiore,

che pure è proprio speciale per ogni individuo, un mondo interiore differenziato.

 

Ammettiamo di allontanarci di molto dal luogo nel quale siamo abituati a vivere e a percepire coi nostri sensi; ammettiamo di incontrare una persona che abbia fatto esperienze esteriori tutte diverse dalle nostre. Ebbene, con quella persona potremo ugualmente intenderci benissimo, perché avrà sofferto di dispiaceri simili ai nostri, e perché sarà capace di rallegrarsi come noi di cose che anche a noi fanno piacere.

Chi non ha fatto l’esperienza che potrà anche riuscire difficile intendersi con chi vive in un paese lontano, su cose relative al mondo esterno, ma che ci si intenderà invece facilmente quello che prova il nostro cuore?

 

Col loro mondo interiore gli uomini sono assai più vicini gli uni agli altri che col loro mondo esteriore;

del resto, potremmo avere ben poca speranza di riuscire a portare a tutta l’umanità la scienza dello spirito,

se non avessimo coscienza che in ogni uomo, in qualunque parte della Terra si trovi,

vive qualcosa che può intendersi con noi!

 

Tuttavia, per liberarsi interamente della sfumatura particolare, egoistica, della propria interiorità,

l’uomo dovrà deporre anche quella coloritura della sua esperienza interiore che ancora è influenzata dal mondo esterno.

Ciò potrà realizzarsi solo sperimentando nella propria interiorità

qualcosa che non ci giunge per niente dal mondo esterno: qualcosa che corrisponde a quelle che potremmo qualificare

come ispirazioni interiori, e che cresce e prospera solo nella propria interiorità.

 

• L’uomo può sollevarsi al di sopra della propria vita interiore particolare, in modo da sentire che gli si manifesta qualcosa di indipendente dalla sua esistenza particolare, egoistica.

 

La gente si rende ben conto che in qualunque parte del mondo si può trovare comprensione per certi ideali morali, o per certi ideali logici che nessuno può mettere in dubbio, che riescono persuasivi a chiunque, in quanto essi si comunicano all’uomo partendo dal suo mondo interiore, e non da quello esterno.

 

Esiste un ambito di tali rivelazioni interiori, che senza alcun dubbio tutti gli uomini possiedono in comune (anche se si tratta di una sfera piuttosto arida): è quello che si riferisce ai numeri, al far di conto, in breve alla matematica.

 

Non si potrà mai apprendere dal mondo esterno che tre per tre fa nove: dovrà rivelarcelo la nostra interiorità, il nostro pensiero. Perciò non sarà mai possibile disputare, su tale punto, in nessuna parte del globo terrestre. Si potrà disputare all’infinito e in ogni parte del mondo se qualcosa sia bello o brutto; ma se qualcuno avrà riconosciuto interiormente che tre per tre fa nove, o che il tutto è uguale alla somma delle parti, o che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180°, quel tale lo sa, perché nulla del mondo esterno può rivelarglielo, ma solo la sua interiorità, il suo pensiero.

 

Quella che possiamo chiamare ispirazione ha inizio già con la sobria e arida matematica!

La gente però di solito non si accorge che l’ispirazione comincia già con l’arida matematica, perché per i più la matematica è qualcosa di estremamente noioso, da cui non gradiscono farsi rivelare un bel niente! Le cose poi non stanno diversamente neppure per le verità morali, per quanto riguarda la rivelazione interiore.

 

Se si è riconosciuto qualcosa come giusto e come ingiusto il suo contrario, non esiste potere al mondo, sul piano fisico, che possa convincerci che quanto ci si manifesta come giusto sia invece ingiusto. Anche le verità morali, nel senso più alto, si rivelano nell’interiorità.

Se si rivolge lo sguardo spirituale con profondo sentimento a questa esperienza della rivelazione interiore, ne scaturisce la possibilità di un’autoeducazione.

 

Del resto, è ottima cosa l’educarsi con la matematica,

riflettendo per esempio che ognuno è libero di avere la propria opinione sulla bontà di una certa pietanza,

ma non è altrettanto arbitraria la posizione della matematica o degli impegni morali.

Di questi due campi io so che essi mi rivelano qualcosa

di fronte a cui mi rivelerei indegno di essere uomo, qualora volessi negarne la verità.

 

Tale riconoscimento di una rivelazione dall’interno, intesa come sentimento, come impulso interiore,

rappresenta una cospicua forza educativa nell’interiorità umana, se la si affronta meditativamente.

L’uomo può cominciare col dirsi: nel mondo sensibile vi sono molte cose delle quali posso disporre a mio arbitrio,

ma dallo spirito mi si rivelano altre cose sulle quali il mio arbitrio non ha alcun potere,

ma che pure mi riguardano e delle quali, in quanto uomo, debbo mostrarmi degno.

 

Rafforzando sempre più questo pensiero, sì da rendersi soggetto alla propria interiorità, l’uomo supera il suo egoismo:

un sé superiore (lo si può chiamare anche così)

che si riconosce identico allo spirito del mondo vince allora l’ordinario sé arbitrario.

Bisogna proprio sviluppare uno stato d’animo di questo genere,

se si vuol pervenire alla porta che conduce nel mondo spirituale.

 

• Atteggiamenti siffatti si dimostrano fecondi, purché vengano adottati di frequente:

saranno fecondi soprattutto se i nostri pensieri ne saranno compenetrati nel modo più concreto possibile,

e soprattutto ancora se concepiremo pensieri che ci si impongano come veri

sebbene contraddicano il mondo sensibile esterno.

Pensieri di questo genere saranno in un primo tempo soltanto immagini,

che però risulteranno utilissime per lo sviluppo occulto.

 

Vorrei mostrare con un esempio come un’immagine del genere possa innalzare l’anima umana al disopra di se stessa. Si prendano due bicchieri, uno dei quali riempito a metà di acqua, mentre l’altro non ne contiene affatto: li si osservino nel mondo esterno. Si verserà poi una parte dell’acqua dal primo bicchiere nell’altro: quest’ultimo conterrà allora una parte di acqua, mentre il primo ne conterrà meno.

 

Se si verserà una seconda volta dell’acqua dal primo bicchiere nell’altro, e poi un’altra volta ancora, l’acqua andrà sempre più diminuendo nel primo bicchiere che all’inizio era riempito a metà. Questi sono pensieri che per il mondo fisico-sensibile rispondono a verità.

 

Ora proviamo a rappresentarci qualcosa del tutto diverso. Si immagini di volersi rappresentare, quasi per prova, il pensiero opposto: che cioè versando dell’acqua dal bicchiere riempito per metà nell’altro, vuoto, e ripetendo poi questo parziale travaso, l’acqua vada sì aumentando nel secondo bicchiere, ma al tempo stesso vada aumentando anche nel primo. Pur continuando a versare acqua dal primo al secondo bicchiere, quello ne conterrebbe sempre di più!

 

Immaginiamo dunque di concepire questo pensiero. Qualunque persona del nostro tempo, che si consideri del tutto ragionevole, dirà che si tratta di un pensiero assolutamente pazzesco. Non è lecito pensare che vuotando a poco a poco un bicchiere, questo si riempia sempre più! Certo, se si applica questa rappresentazione al mondo fisico, essa va considerata pazzesca: però, stranamente, la si può applicare al mondo spirituale. La si può applicare in un modo singolare.

 

Ammettiamo che una persona abbia un cuore ricco d’amore e che per questa ragione compia un’azione amorevole a favore di un’altra persona che di amore sia bisognosa. In questo caso la prima persona darà qualcosa alla seconda, senza però risultarne più «vuota», o meno ricca; anzi, compiendo delle azioni amorevoli ne ricaverà più di prima, sarà più «piena», e tanto più quanto più si ripeteranno le donazioni fatte per amore.

 

Compiendo azioni amorevoli non ci si impoverisce dunque, non ci si «vuota»,

ma al contrario si «accumula», si diventa più ricchi.

Si riversa in un’altra persona qualcosa che riempie anche noi stessi.

Se dunque applichiamo questa immagine (che per il mondo fisico è assurda, pazzesca) alla effusione dell’amore,

essa risulta valida: potremo considerarla un simbolo adeguato per certe azioni spirituali.

 

L’amore è cosa tanto complessa, che nessuno dovrebbe essere tanto presuntuoso da credere di saperlo definire, di conoscerne l’essenza. L’amore è davvero qualcosa di complicato: noi ne avvertiamo l’esistenza, ma nessuna formula può definirlo. Eppure un semplice simbolo, quello di un bicchiere d’acqua che mentre lo si va svuotando si riempie sempre più vale ad esprimere una delle qualità dell’amore.

 

Cercando di rappresentarci in tal modo il carattere complicato delle azioni compiute per amore, noi non facciamo che quello che fa il matematico nella sua arida scienza. In nessun luogo esiste un vero cerchio, né un vero triangolo: siamo costretti a immaginarceli!

 

Se disegniamo un cerchio e poi lo esaminiamo appena un poco al microscopio, non vedremo altro che dei puntini di gesso o di altro materiale: mai un tale cerchio possiederà la regolarità di un vero cerchio. Se vogliamo rappresentarci il cerchio o il triangolo, dobbiamo ricorrere alla nostra rappresentazione, alla nostra vita interiore. Similmente dobbiamo ricorrere all’immagine, e attenerci a una sola qualità, per rappresentarci un’azione spirituale, per esempio l’amore.

 

Questo genere di immagini è utile ai fini dello sviluppo occulto: esse ci indicano il superamento delle rappresentazioni abituali e mostrano che per ascendere allo spirito dobbiamo proprio formarci rappresentazioni opposte a quelle che sono applicabili al mondo sensibile.

 

Perciò si trova che l’elaborazione di tali rappresentazioni simboliche è un mezzo importante per innalzarsi al mondo spirituale: lo si potrà trovare nel mio libro L’iniziazione. In questo modo si giunge a riconoscere un mondo che sta al di sopra di noi, un mondo che ci ispira, che non è possibile percepire nel mondo esteriore, ma che penetra in noi. Se l’uomo coltiva sempre più questo tipo di rappresentazioni, egli perviene a riconoscere che per suo tramite, per tramite di ogni essere umano, vive una sostanza spirituale più alta di lui, più alta del singolo uomo nella sua incarnazione presente, con il suo egoismo.

 

Se si comincia a realizzare che sopra di noi uomini qualunque vi è una specie di essere-guida,

questa è la prima forma nella serie delle entità della terza gerarchia: quelle che sono chiamate gli Angeli.

Sollevandosi al di sopra di sé nel modo ora descritto,

l’uomo sperimenta per prima cosa l’azione che un essere angelico esplica entro la sua entità umana.

 

Si dovrà poi concepire l’essere che ci ispira come divenuto autonomo, dotato cioè delle qualità che ho descritte:

la capacità di manifestarsi, di rivelarsi, e di essere colmo di spiritualità:

si giungerà così al concetto degli esseri della terza gerarchia che stanno di un grado al di sopra dell’uomo.

Potremo così riconoscere le prime entità spirituali superiori all’uomo

come quelle che reggono e guidano ogni singolo individuo umano.

 

In questo modo ho descritto la via per la quale l’uomo

può cominciare a innalzarsi fino ai primi esseri spirituali a lui sovrastanti e farsene un’idea.

Il singolo uomo ha dunque la sua guida spirituale

e superando i nostri interessi egoistici lo sguardo occulto può appunto mostrarci questa realtà.