Monologo di Cristo Gesù

O.O. 139 – Il Vangelo di Marco – 20.09.1912


 

(Prima Parte)

 

Adesso vorrei attirare l’attenzione sopra un altro fatto, cioè sopra una scena che può essere compresa soltanto grazie all’indagine scientifico-spirituale. Essa segue di poco quella ora citata.

 

• «Poi Gesù coi suoi discepoli se ne andò nei sobborghi di Cesarea di Filippo. Strada facendo, egli interrogò i suoi discepoli: Chi dice la gente che io sia? Essi gli risposero: alcuni dicono che sei Giovanni Battista, altri Elia, altri ancora che sei uno dei profeti. Ma voi altri – domandò loro – chi dite che io sia? Gli rispose Pietro, dicendo: Tu sei il Cristo.

Egli allora ingiunse loro di non parlare ad alcuno di lui. E cominciò a spiegar loro che il Figliuol dell’uomo avrebbe dovuto soffrire molto e sarebbe stato riprovato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dai dottori della legge, che sarebbe stato ucciso e sarebbe poi risorto dopo tre giorni. E ne parlava del tutto apertamente.

Pietro allora lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma Gesù, voltatosi e vedendo i discepoli, rimproverò Pietro, dicendo: Va indietro, Satana! Perché tu non capisci ciò che è di Dio, ma solo quel che è degli uomini» (8,27-33).

 

Proprio un osso duro per gli interpreti dei vangeli! Infatti questo passo è veramente incomprensibile, se non si vuole ricorrere all’indagine spirituale. Il Cristo interroga i discepoli: «Chi dice la gente che io sia?»

Essi rispondono: «qualcuno dice che tu sei Giovanni Battista». Sennonché il Battista era stato decapitato poco prima, e d’altra parte il Cristo aveva dato inizio al proprio insegnamento quando Giovanni era ancora in vita. Che la gente dica proprio un’insensatezza, quando prende il Cristo per Giovanni, mentre il Battista è ancora vivo? Passi per coloro che dicono di lui «è Elia, o uno dei profeti».

 

Ecco poi che Pietro dice: «Tu sei il Cristo», annunciando così qualcosa di veramente grandioso e che solo la parte più sacra della sua persona può essere in grado di esprimere.

Poche righe più avanti però il Cristo lo apostrofa con le parole: «Vattene indietro, Satana! Tu non capisci ciò che è di Dio, ma solo quel che è degli uomini».

 

Come si fa a credere che Gesù lo possa ingiuriare chiamandolo Satana, dopo che Pietro ha pronunciato parole tanto grandi? O è forse più facile comprendere che il Cristo abbia ingiunto ai discepoli di «non parlarne ad alcuno», cioè di non dire che Pietro lo riconosce per il Cristo?

Subito dopo leggiamo: «E cominciò a spiegar loro che il Figlio dell’uomo avrebbe dovuto soffrire molto e sarebbe stato riprovato… e ucciso e sarebbe poi risorto dopo tre giorni. E ne parlava del tutto apertamente». E rimproverandolo Pietro per questo, lo chiamò «Satana». Infine, la cosa più curiosa: sta scritto «E Gesù coi suoi discepoli se ne andò nei sobborghi di Cesarea di Filippo», ecc.; ci viene ripetuto più volte che essi gli parlano, e che «egli cominciò a spiegar loro», ecc.

Alla fine poi (8,33) leggiamo le parole: «Ma Gesù, voltatosi e vedendo i discepoli, rimproverò Pietro…». Dunque, prima vien detto che egli parlava loro, che li ammaestrava: ma lo aveva forse fatto voltando loro le spalle? Infatti leggiamo proprio le parole: «… voltatosi e vedendo i suoi discepoli…». Aveva forse parlato all’aria, volgendo loro le spalle?

 

Come si vede, questo passo è veramente una matassa ingarbugliata. Vien fatto solo di stupirsi che cose come queste vengano accettate, senza che se ne cerchi seriamente una vera spiegazione. Basta però consultare i commenti dei vangeli per convincersi che su passi come questo o si sorvola, o se ne propongono le spiegazioni più strane. Vi sono state in proposito anche dispute e discussioni, ma pochi vorranno dire di averne ricavato qualche cosa. Limitiamoci a considerare attentamente la principale delle cose che abbiamo trovato scritte.

 

Si è detto che dopo la morte di Giovanni Battista, quando l’anima di Elia-Giovanni si è trasferita come anima di gruppo nei discepoli, si compie il primo vero «miracolo» (del quale dovremo però ancora vedere sempre meglio come si debba intendere). Poi ci si trova davanti a un passo del tutto incomprensibile, nel quale il Cristo Gesù chiede ai suoi discepoli: «Che cosa crede la gente che stia succedendo adesso?»

 

È lecito infatti formulare anche così la domanda: perché alla gente importava soprattutto di conoscere a che cosa attribuire i fatti che stavano accadendo. I discepoli rispondono (lo voglio rendere con parole alla buona): «La gente crede che vada in giro Giovanni Battista, o Elia o un altro dei profeti; e che i fatti che stanno accadendo siano dovuti a questo».

 

Ma il Cristo Gesù chiede a chi o a che cosa i discepoli stessi pensano che quei fatti siano da attribuirsi. Pietro allora replica: «Dipendono dal fatto che tu sei il Cristo». Con questo suo riconoscimento, secondo il vangelo di Marco, Pietro si è posto come nel punto cruciale dell’evoluzione dell’umanità. Che cosa ha detto infatti, con quelle parole? Cerchiamo di rappresentarcelo chiaramente.

 

Le grandi guide dell’umanità precristiana erano stati gli iniziati pervenuti, nei sacri misteri, fino all’ultimo atto dell’iniziazione. Guidavano l’umanità coloro che erano giunti fino alla soglia della morte, che si erano sommersi negli elementi, che avevano dimorato per tre giorni e mezzo fuori del loro corpo, e durante quei tre giorni e mezzo erano stati nei mondi soprasensibili.

 

Poi, dopo il loro risveglio, erano divenuti gli annunciatori, i messaggeri dei mondi soprasensibili. Guide dell’umanità erano sempre stati appunto coloro che erano stati iniziati a quel modo. Ed ecco ora che Pietro dice: «Tu sei il Cristo», vale a dire tu sei una guida che non ha conosciuto l’iniziazione nei misteri, ma sei venuto dal cosmo, e ora sei guida dell’umanità.

 

Doveva avverarsi una volta sul piano storico, sul piano terrestre, quel che di solito si era svolto durante le iniziazioni. L’affermazione di Pietro aveva veramente una portata straordinaria.

Che cosa bisognava replicargli? Bisognava dirgli: questo è qualcosa che non è lecito portare tra la folla; le più antiche e sacre leggi dicono che è cosa che deve rimanere un mistero. E dei misteri non bisogna parlare. In quel momento questo era ciò che doveva venir detto a Pietro.

 

Sennonché tutto il senso dell’evoluzione ulteriore dell’umanità sta in questo:

col mistero del Golgota, ciò che prima si era svolto solo nel profondo dei misteri

è stato posto in luce sul piano della storia universale.

 

Con gli eventi compiutisi sul Golgota, ossia con la permanenza per tre giorni nel sepolcro e con la risurrezione, è stato trasferito sul piano storico terrestre quello che di solito era avvenuto nel segreto e nell’oscurità dei misteri. In altre parole: era giunto adesso il tempo in cui doveva venire infranta l’antica sacra legge del segreto intorno a questo mistero.

Nel passato gli uomini avevano stabilito che dei misteri si doveva tacere; adesso però, grazie al mistero del Golgota, i misteri dovevano essere rivelati. È una decisione presa dall’anima del Cristo, la massima decisione della storia del mondo: quello che finora secondo leggi umane aveva sempre dovuto restar segreto, ora deve venir mostrato agli occhi di tutti, esposto alla luce della storia.

 

Immaginiamoci questo momento di riflessione universale del Cristo, questo momento di meditazione storica: Ecco, io guardo a tutta l’evoluzione dell’umanità; le sue leggi mi vietano di parlare della morte e della risurrezione, del sacro mistero iniziatico del risveglio. No! Io sono stato mandato dagli dèi sulla Terra proprio per svelare questo mistero. Non posso farmi guidare da ciò che dicono gli uomini, debbo regolarmi secondo quanto mi dicono gli dèi.

In quel momento si va preparando la decisione di svelare i misteri: il Cristo deve allontanare dall’anima sua l’indecisione che potrebbe forse derivare dal voler egli conservare nella evoluzione le leggi date dagli uomini. Sia lungi da me l’indecisione, e si rafforzi invece la decisione di mettere dinanzi agli occhi di tutta l’umanità quello che finora era stato conservato nelle profondità dei misteri!

 

Il Cristo prende la sua decisione, e dice «Vattene via da me!» a ciò che avrebbe potuto farla vacillare; in quel momento egli si propone di compiere ciò per cui è stato mandato sulla Terra da Dio.

Ci troviamo qui di fronte al più alto monologo che mai sia stato pronunciato nella storia dell’evoluzione terrestre: il monologo divino sulla decisione di svelare i misteri.

Non è quindi da stupirsi che a tutta prima quel monologo divino non risulti comprensibile all’intelletto umano, e che si debba attingere a grandi profondità per diventare almeno in parte degni di comprendere il monologo divino grazie al quale l’azione del Dio procede di un passo. Ne parleremo ancora domani.

 

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(Seconda Parte)

 

Sarebbe senza dubbio meglio se nello studio di uno dei vangeli si potesse sempre prescindere del tutto da quanto si trova in un vangelo diverso; infatti, procedendo in questo modo, si raggiungerebbe la comprensione più pura e rigorosa del tono fondamentale del vangelo in esame.

 

È tuttavia evidente che questo metodo, con cui si rinuncerebbe del tutto a illuminare un dato vangelo con il contenuto di uno degli altri; rischia di provocare facilmente qualche malinteso. Per esempio, proprio quello che alla fine della conferenza precedente ho chiamato il più alto monologo della storia del mondo, potrebbe dar luogo a un malinteso, se si volessero confrontare un po’ superficialmente le mie parole (non dunque con precisione) con quanto andrebbe detto ed effettivamente è stato da me riferito sull’analogo passo del vangelo di Matteo nelle conferenze tenute a Berna.

 

Secondo una logica più profonda, un’obiezione di quel genere equivarrebbe alla situazione seguente: ammettiamo che si leggesse in una relazione su questa odierna conferenza che un giorno su questo podio si trovava un conferenziere che aveva un mazzo di rose alla sua sinistra.

 

Appare poi un’altra cronaca, in cui si dice che il conferenziere presente oggi su questo podio aveva un mazzo di rose alla sua destra. Uno che non fosse stato testimone oculare potrebbe obiettare: qui c’è un’inesattezza, perché una volta si afferma che i fiori stavano a sinistra, e l’altra che stavano a destra. Ma quel che importa è evidentemente la posizione in cui si trovava l’osservatore; se si tien conto di questa, entrambe le versioni possono essere esatte. Allo stesso modo vanno letti i vangeli; essi infatti non sono astratte biografie del Cristo Gesù, ma descrivono un ricco mondo di eventi esteriori e di fatti occulti.

 

Prendiamo ora in esame da questo punto di vista quello che abbiamo chiamato il più alto monologo della storia, il monologo di un Dio. Dobbiamo anzitutto tener fermo che tutto quell’episodio si è svolto in modo particolare fra il Cristo Gesù e i suoi discepoli intimi. Inoltre va tenuto ben presente (per la comprensione di quell’importante episodio) quanto si è detto sul fatto che lo spirito di Elia, liberatosi dal corpo fisico di Giovanni Battista, operava ormai come una specie di anima di gruppo degli apostoli. Ciò che avvenne in quella circostanza non è cosa che si possa raccontare così semplicemente, in modo esteriore, ma è un fatto assai complicato.

 

Fra l’anima del Cristo e l’anima dei dodici esisteva in certo modo un intimo e profondo rapporto reciproco. Tutto quanto si svolgeva nell’anima del Cristo era un insieme di processi estremamente significativi per quell’epoca, di processi ricchi e molteplici. D’altra parte, tutto quanto si svolgeva nell’anima del Cristo si ripeteva per così dire in una specie di immagini riflesse nelle anime dei discepoli: si ripeteva però suddiviso in dodici aspetti, sì che in ognuno dei dodici apostoli viveva un riflesso parziale di quanto si svolgeva nell’anima del Cristo Gesù, e un riflesso leggermente diverso da un apostolo all’altro.

 

Nell’anima del Cristo Gesù si svolgeva qualcosa di simile a una grande armonia, a una grande sinfonia, e questa si ripercuoteva nell’anima di ognuno dei dodici press’a poco come il suono di uno fra dodici diversi strumenti musicali.

Perciò ogni evento che riguardi particolarmente uno o più discepoli può venire descritto da due diversi punti di vista. Si può descrivere quell’evento come si presenta nell’anima del Cristo, per esempio a proposito del grandioso «monologo» di cui ho parlato in precedenza; si può cioè descrivere il modo in cui esso avvenne e fu vissuto nell’anima di Cristo. E questo corrisponde alla descrizione da me fatta nella conferenza precedente. D’altra parte esso si rispecchia in certo modo nell’anima di Pietro, si ripete in essa.

 

Mentre però nel Cristo Gesù esso abbraccia tutta intera la sua umanità, in Pietro esso si svolge in modo da coinvolgerne solo una dodicesima parte: per così dire solo uno dei dodici segni zodiacali dell’intero spirito del Cristo. Bisogna quindi descriverlo in modo diverso, se lo si riferisce al Cristo Gesù stesso.

Questo è il modo di esporre l’episodio secondo lo spirito del vangelo di Marco, poiché in esso sono descritti i fatti più significativi, e in particolare quel che si compie nell’anima del Cristo Gesù stesso.

 

Il vangelo di Matteo invece ci mostra piuttosto quello che si svolge nell’anima di Pietro, nonché il contributo che il Cristo può offrire alla comprensione di quanto si compie nell’anima di Pietro. Leggendo accuratamente il testo di Matteo, si scopre che vi sono altre speciali parole, atte a mettere in luce la situazione appunto dalla parte di Pietro. Qual è infatti il senso delle parole: «Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato queste cose, ma il Padre mio che è nei cieli?» (Matt. 16, 17).

 

In altre parole: l’anima di Pietro sente anche una parte di quello che ha sentito l’anima del Cristo Gesù. Sennonché la cosa va interpretata così: l’anima di Pietro, in quanto sente che il suo maestro è il Cristo, è stata sollevata per un momento a un’esperienza fatta nell’io superiore e da questa esperienza essa viene sopraffatta, per poi ricadere alla sua condizione abituale.

 

Tuttavia gli è stato possibile penetrare fino al livello della conoscenza che si effettua, con altra intenzione, nell’anima del Cristo. E al fatto che gli sia stato possibile conseguire momentaneamente quel grado di conoscenza, è dovuta la «consegna delle chiavi» menzionata da Matteo (16,19) e della quale ho parlato, appunto spiegando quel vangelo.

 

Nel vangelo di Marco troviamo invece messe in grande evidenza soltanto le parole che mostrano che quell’evento si è svolto (prescindendo da quanto avveniva nell’anima di Pietro) contemporaneamente e parallelamente, come il monologo del Dio.

 

Questo dunque è il modo di intendere tali cose; allora però si giunge anche a sentire come il Cristo proceda nei confronti dei suoi discepoli, come egli li conduca di grado in grado, dopo che lo spirito di Elia-Giovanni è penetrato in loro, facendo progredire la loro comprensione dei segreti spirituali al di là di quanto potesse fare in precedenza.

 

Solo così possiamo poi comprendere il significato del fatto che dopo il monologo divino, menzionato alla fine della conferenza precedente, si trovi la scena della trasfigurazione (cap. 9). Questo è un altro elemento importante della drammatica composizione del vangelo di Marco.