Nascita e sviluppo dell’amore sulla Terra

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 20.05.1908


 

Che cosa è necessario perché si abbia amore,

perché un essere possa amarne un altro?

 

• Occorre che esso abbia la piena autocoscienza, ch’esso sia interamente indipendente.

• Nessun essere può amarne un altro, nel pieno senso della parola,

se quell’amore non è un libero dono offerto all’altro essere.

 

La mia mano non ama il mio organismo.

Solo chi è indipendente, staccato da un altro essere, può amare quest’ultimo.

A questo fine l’uomo dovette diventare un essere dotato dell’io:

l’io dovette venire inserito nella triplice corporeità umana

perché si potesse compiere per mezzo dell’uomo la missione della Terra.

 

Perciò comprenderete questo insegnamento dell’esoterismo cristiano: come sulla Luna fluirono da parte della divinità altre forze, e ultima la saggezza, così durante l’esistenza terrestre in questa fluisce l’amore; e portatore dell’amore può essere solo l’io indipendente che si sviluppa a grado a grado durante l’evoluzione terrestre.

Ma l’uomo deve venir preparato gradualmente a ogni cosa, anche al suo attuale stato di coscienza.

 

Poniamo il caso che l’uomo fosse stato immerso ad un tratto, fin dall’antica epoca lemurica, entro il suo corpo fisico, che avesse percepito già allora la piena realtà esteriore: se le cose fossero andate così rapidamente, l’uomo non avrebbe potuto incorporare in sé l’amore. Egli dovette venir guidato per gradi alla sua missione terrestre; prima di conseguire la sua piena autocoscienza, prima di saper scorgere distintamente gli oggetti nella chiara coscienza diurna, gli fu impartito nella sua coscienza crepuscolare il primo insegnamento dell’amore.

Vediamo cioè che per tutto il tempo in cui l’uomo aveva ancora un’atavica, sognante coscienza chiaroveggente, quando l’anima dimorava a lungo fuori del corpo, l’amore venne coltivato entro l’uomo in uno stato crepuscolare, non ancora autocosciente.

 

Osserviamo un po’ più attentamente l’anima umana di quel tempo remoto, non ancora giunta alla piena autocoscienza.

L’uomo si addormentava la sera, ma non si aveva un brusco trapasso dalla veglia al sonno. Sorgevano delle immagini, delle vive figure di sogno, che stavano però in un rapporto vivente e reale col mondo spirituale. L’uomo penetrava cioè, nell’atto di addormentarsi, nel mondo spirituale; e in quelle condizioni lo spirito divino gli instillava entro la coscienza crepuscolare i primi germi di ogni azione d’amore.

Ciò che dovrà manifestarsi nel corso dell’evoluzione terrestre attraverso l’amore, cominciò a fluire entro l’uomo durante la notte. Quel Dio che reca sulla Terra l’essenziale missione della Terra stessa si manifestò di nottetempo all’antica ottusa coscienza chiaroveggente, prima di potersi manifestare alla chiara coscienza diurna.

In seguito, lentamente e gradualmente il tempo che l’uomo trascorre nello stato di chiaroveggenza crepuscolare diventa sempre più breve, sempre più prolungata la coscienza diurna, sempre meno ampi gli aloni aurici intorno agli oggetti, e questi ultimi sempre meglio delimitati.

 

Prima l’uomo scorgeva il Sole, la Luna circondati da un ampio alone, come fossero avvolti nella nebbia; a poco a poco tutta la vista si rischiara e intorno agli oggetti appaiono limiti netti.

E tutto quanto l’uomo così percepiva esteriormente, mentre il Sole illuminava la Terra, mostrandogli tutti i regni della natura rischiarati dalla luce visibile, l’uomo lo sentiva come manifestazione esterna del divino.

 

Che cos’è, per l’esoterismo cristiano, ciò che si rende visibile alla chiara coscienza del giorno, ciò di cui la Terra è per la massima parte costituita?

È una manifestazione delle forze divine, una manifestazione materiale esteriore di un’intima realtà spirituale.

Questo elemento divino-spirituale, nella sua forma odierna, che sta alla base d’ogni cosa che appare alla chiara coscienza diurna, quel mondo invisibile che sta dietro a tutto questo visibile mondo diurno, l’esoterismo cristiano lo chiama il Logos, o il Verbo poiché come l’uomo da ultimo è in grado di pronunciare in se stesso la parola, così dapprincipio ogni cosa, il regno animale, il vegetale e il minerale, sono scaturiti dal Logos.

 

Tutto è un’incarnazione del Logos;

come la nostra anima opera invisibile nel nostro intimo e si è creata un corpo esteriore,

così ogni elemento animico nel mondo si è creato un corpo esteriore idoneo

e si manifesta in questo o quell’elemento fisico.

 

• Dov’è allora il corpo fisico del Logos di cui parla il vangelo di Giovanni

e che oggi vogliamo sempre più chiaramente portarci alla coscienza?

• Nel modo più puro questo corpo fisico del Logos appare nella luce esteriore del Sole;

la luce solare non è solo luce materiale:

• per la visione spirituale essa è altrettanto la veste del Logos,

• quanto il nostro corpo fisico è la veste della nostra anima.

 

Chi ha col prossimo un rapporto, quale la maggioranza degli uomini lo ha oggi col Sole, non potrebbe imparare a conoscere quel prossimo; questo significherebbe avvicinare ogni persona che ha un’anima che pensa, sente e vuole, come se la si concepisse priva di anima e di spirito e se ci si limitasse a percepirne a tastoni il corpo fisico… e magari credere che questo potrebbe anche essere di cartapesta! Ma se si vuol penetrare fino allo spirituale della luce solare, occorre considerarla come quando dall’aspetto fisico d’un uomo s’impara a conoscerne l’interiorità.

 

• Come il corpo umano sta all’anima,     •   così la luce solare sta al Logos;

e con la luce solare fluisce sulla Terra un elemento spirituale.

Questo elemento spirituale

(se siamo in grado di comprendere non solo il corpo, ma anche lo spirito del Sole)

è l’amore che fluisce giù sulla Terra.

 

• Non solo la luce solare fisica desta e tiene in vita le piante,

ma con la luce fisica del Sole fluisce sulla Terra il caldo amore della divinità;

e gli uomini esistono per accogliere in sé il caldo amore divino, per svilupparlo e ricambiarlo.

• Ma non avrebbero potuto ricambiare quell’amore, se non fossero diventati esseri autocoscienti dotati dell’io.

 

Quando gli uomini cominciarono a vivere la loro vita diurna, dapprima limitata a breve tempo, non erano ancora in grado di percepire nulla della luce che accendeva al contempo l’amore. La luce splendeva nelle tenebre, ma le tenebre non potevano ancora comprenderne nulla; e se quella luce, ch’è al tempo stesso l’amore del Logos, fosse stata manifestata all’uomo solo nelle brevi ore del giorno, l’uomo non avrebbe potuto comprendere questa luce d’amore.

Ma nell’ottusa coscienza di sogno chiaroveggente di quei tempi remoti

l’amore fluiva pur sempre negli uomini.

 

Ed ora gettiamo lo sguardo, dietro alle parvenze dell’esistenza, a un grande, importante mistero del mondo.

• Rendiamoci ben conto che la nostra Terra, per così dire, fu guidata in modo da far fluire, per un certo tempo incoscientemente, l’amore nell’uomo attraverso una coscienza chiaroveggente crepuscolare, per prepararlo ad accogliere l’amore nella piena e chiara coscienza diurna.

 

Abbiamo veduto che la nostra Terra è diventata a poco a poco il cosmo cui è devoluta la missione dell’amore.

La Terra viene irradiata dal Sole attuale.

 

• Come l’uomo abita la Terra e si appropria gradualmente l’amore,

• così il Sole è abitato da altre entità superiori, perché ha raggiunto un grado superiore dell’esistenza.

L’uomo è abitante della Terra; cioè un essere che deve appropriarsi l’amore durante l’esistenza terrestre.

 

• Un abitante del Sole, al tempo nostro, significa un essere capace di accendere l’amore, di effonderlo.

• Gli abitanti della Terra non saprebbero sviluppare amore, né accoglierlo,

se gli abitanti del Sole non inviassero loro la matura saggezza, insieme ai raggi della luce.

 

In quanto la luce solare affluisce sulla Terra, qui si sviluppa l’amore: questa è una verità del tutto reale.

• Le entità tanto elevate da poter irradiare l’amore hanno eletto il Sole a loro dimora.

• Quando fu compiuta l’evoluzione lunare, esistevano sette entità siffatte evolute al punto da saper irradiare amore;

e qui sfioriamo un profondo mistero che la scienza dello spirito ci svela.

 

All’inizio dell’evoluzione terrestre esisteva l’uomo ancora bambino, che doveva accogliere l’amore ed era pronto ad accogliere l’io; d’altra parte, nello stesso momento, abbiamo il Sole che si era scisso dalla Terra per salire a un’esistenza superiore.

Sul Sole potevano svolgere la loro attività sette spiriti di luce principali, ch’erano al tempo stesso gli spiriti donatori dell’amore.

 

Solo sei di loro presero dimora sul Sole; e ciò che affluisce nella luce solare fisica contiene in sé le forze spirituali d’amore appunto di quei sei spiriti di luce: i sei Elohim che troviamo menzionati nella bibbia (Genesi, cap. I).

Uno dei sette, invece, si separò dagli altri per il bene dell’umanità, ed elesse a propria dimora non il Sole, ma la Luna; e quest’uno degli spiriti di luce, che rinunciò volontariamente all’esistenza solare e si prescelse la Luna, non è altri che colui che l’Antico Testamento chiama Jahvé o Geova.

Quell’uno che prese dimora sulla Luna fece fluire appunto dalla Luna sulla Terra la saggezza matura, preparando così l’avvento dell’amore.

E ora fate attenzione a questo mistero che sta dietro le cose.

 

La notte appartiene alla Luna e molto più le apparteneva in quel tempo antico,

quando l’uomo non poteva ancora ricevere dal Sole la forza dell’amore,

quando non era ancora in grado di riceverla nella luce diretta.

• Allora riceveva nella luce lunare la forza riflessa della matura saggezza.

• Questa affluiva con la luce lunare, durante la coscienza notturna.

 

Jahvé vien perciò chiamato il Reggente della notte;

egli preparava l’uomo all’amore che doveva più tardi sbocciare alla piena coscienza diurna.

• Vediamo così in quella remota antichità compiersi spiritualmente

quel processo che i corpi celesti non fanno che simboleggiare, col Sole da una parte e la Luna dall’altra (v. figura).

 

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La Luna ci riflette di notte la forza del Sole; la sua luce è la stessa che promana dal Sole.

Così nel tempo antico

Jahvé rifletteva la forza della saggezza matura, la forza dei sei Elohim,

infondendola nottetempo negli uomini addormentati

e preparandoli a saper sviluppare più tardi, a poco a poco,

la forza dell’amore anche durante la coscienza diurna di veglia.

 

La figura che precede vuole accennare simbolicamente alla condizione dell’uomo desto, di giorno: il corpo fisico e l’eterico dipendono dal divino, l’io e il corpo astrale sono presenti sul piano fisico nel corpo fisico e in quello eterico; in queste condizioni, l’intero sistema dell’uomo viene irradiato dal Sole.

Della notte avete appreso ora ch’essa era assai più lunga e più attiva per l’uomo d’un remotissimo passato. Durante la notte il corpo astrale e l’io sono fuori del corpo fisico e dell’eterico; l’io si trova interamente nel mondo astrale, mentre il corpo astrale è appena immerso da fuori entro il corpo fisico, ma in modo che essenzialmente si trova tuttavia adagiato nell’elemento divino-spirituale. In queste condizioni il Sole non può agire direttamente sul corpo astrale dell’uomo per accendere in esso la forza dell’amore; agisce invece la Luna che riflette la luce solare per mezzo di Jahvé.

 

• La Luna è il simbolo di Jahvé,

• e il Sole non è altro che il simbolo del Logos, il quale è la somma degli altri sei Elohim.

 

Questa figura, sulla quale potrete studiare e meditare, vuole soltanto alludere simbolicamente a questi rapporti.

Se vi concentrerete i vostri pensieri, scorgerete i profondi misteri che vi sono rappresentati: come cioè per lungo tempo Jahvé abbia coltivato l’amore entro la coscienza notturna dell’uomo, a insaputa di questi.

 

Così l’uomo è stato preparato a poter sentire a poco a poco il Logos stesso, e la forza del suo amore.

Ma come potè questo avvenire? Giungiamo ora all’altra faccia del mistero.

 

• Abbiamo detto che l’uomo era chiamato a sviluppare sulla Terra l’amore che abbia coscienza di sé.

• Doveva quindi avere durante la chiara coscienza di veglia una guida, un maestro ch’egli fosse in grado di percepire.

 

L’amore potè sì venirgli inoculato dapprima solo di notte, durante la coscienza crepuscolare;

ma gradualmente dovette pure avvenir qualcosa in piena realtà che rendesse possibile all’uomo

di scorgere esteriormente, fisicamente, l’essenza stessa dell’amore.

Come potè questo verificarsi?

• Solo così: che l’essenza dell’amore divino, del Logos, divenisse un essere fisico sulla Terra,

e che l’uomo potesse percepirlo in Terra con i suoi sensi.

 

• Poiché l’uomo andava evolvendosi verso la capacità di percepire coi sensi esteriori,

il Dio, il Logos stesso dovette farsi percepibile ai sensi, dovette mostrarsi in un corpo di carne.

Ciò avvenne per mezzo del Cristo Gesù.

 

• L’apparizione storica del Cristo Gesù non significa se non questo:

che le forze dei sei Elohim, o del Logos, si sono incarnate agli inizi della nostra èra in Gesù di Nazaret,

che sono state presenti in lui, con piena realtà, nel mondo visibile. Di questo si tratta!

 

La forza interiore del Sole, la forza d’amore del Logos, assunse forma fisica umana nel corpo di Gesù di Nazaret,

poiché l’uomo doveva incontrare sulla Terra, per la sua coscienza fondata sui sensi, Dio in figura corporea,

come un oggetto esterno, come un altro essere qualsiasi.

 

Che cosa è dunque mai l’entità che ci si presenta come Cristo Gesù, all’inizio della nostra èra?

Non è altro che l’incarnazione del Logos, dei sei Elohim, ch’erano stati preceduti dal settimo, dal dio Jahvé.

 

• La figura unica di Gesù di Nazaret, in cui era incarnato il Cristo, o il Logos,

porta dunque entro la vita umana, entro la storia umana,

ciò che prima era fluito sulla Terra sempre e solo dal Sole, ch’era contenuto nella luce del Sole.

• « Il Logos si fece carne »: ecco ciò a cui il vangelo di Giovanni attribuisce la massima importanza.

 

E l’autore di questo vangelo doveva attribuire il massimo valore proprio a questo fatto, poiché è proprio vero che mentre alcuni dei discepoli iniziati del Cristo avevano compreso di che cosa si trattasse, altri invece non potevano comprenderlo appieno.

Questi ultimi erano bensì perfettamente consapevoli che qualcosa di animico-spirituale stava alla base di ogni esistenza materiale, ma non riuscivano a concepire che il Logos stesso si fosse una volta incarnato in un singolo uomo, in modo fisicamente visibile per il mondo fisico.

Questo non potevano comprenderlo; ed è questo il punto in cui la gnosi dei primi secoli cristiani si distingue dal vero cristianesimo esoterico.

 

L’autore del vangelo di Giovanni sottolinea con forti parole questo: no, non dovete considerare il Cristo come un essere soprasensibile, che rimane invisibile, pur costituendo il fondamento di ogni cosa materiale; dovete al contrario attribuire la massima importanza al fatto che il Verbo si è fatto carne e che ha abitato fra noi!

Questa è la sottile differenza fra il cristianesimo esoterico e la gnosi originaria.

 

La gnosi non conosce il Cristo come lo conosce il cristianesimo esoterico, ma solo come un’entità spirituale; e in Gesù di Nazaret essa scorge tutt’al più un annunciatore umano, più o meno strettamente legato a quell’entità spirituale.

La gnosi non vuol rinunciare al Cristo che rimane invisibile; il cristianesimo esoterico, invece, è sempre stato consono al vangelo di Giovanni, fondato solidamente sulle parole: «E il Logos si è fatto carne ed ha abitato fra noi».

 

Colui che è apparso nel mondo visibile è una reale incarnazione dei sei Elohim, del Logos.

Con ciò, la missione della Terra è realmente penetrata nella Terra: prima, tutto era stato solo preparazione.

 

Come doveva dunque soprattutto qualificare se stesso, il Cristo che dimorava nel corpo di Gesù di Nazaret?

Doveva qualificarsi essenzialmente come il grande apportatore e vivificatore dell’entità umana,

libera e cosciente di sé.

 

Se vogliamo racchiudere in brevi, paradigmatiche sentenze questa vivente dottrina del Cristo, dobbiamo dire:

la Terra esiste per conferire all’uomo la piena coscienza di sé, l’«io sono».

 

Prima, tutto era stato soltanto preparazione di questa coscienza di sé, di questo «io sono»; e il Cristo fu colui che dette l’impulso a che tutti gli uomini – ciascuno come essere singolo – potessero sentire l’«io sono».

Solo ora vien dato quell’impulso formidabile che porta avanti d’un balzo gli uomini sulla Terra.

Possiamo constatarlo, se confrontiamo il cristianesimo con la dottrina dell’Antico Testamento, in cui l’uomo non sentiva ancora appieno l’«io sono» nella propria persona.

 

Egli era ancora dotato di residui del tempo antico, della coscienza sognante, quando l’uomo non si sentiva come un individuo, ma come parte dell’entità divina, come ancor oggi l’animale si sente parte dell’anima di gruppo.

Dall’anima di gruppo sono partiti anche gli uomini, per progredire verso l’esistenza individuale indipendente, che sente in ogni singolo l’« io sono »; e Cristo è la forza che ha portato gli uomini a questa libera coscienza dell’« io sono ».

 

Contempliamo questa realtà nel suo pieno, intimo significato.

Il seguace dell’Antico Testamento

non si sentiva ancora così segregato nella propria singola personalità, come quello del Nuovo Testamento;

egli non diceva ancora in se stesso: « Io sono un io ».

Si sentiva parte dell’antico popolo ebreo e si sentiva partecipe dell’io di gruppo del popolo.

 

Cerchiamo di trasferirci con vivezza nella coscienza di un seguace dell’Antico Testamento: egli non sentiva « l’io sono » come lo sente un vero cristiano, come sempre più imparerà a sentirlo un vero cristiano.

Si sentiva come un elemento di tutto il popolo, e innalzando lo sguardo all’anima di gruppo così poteva esprimersi: « La mia coscienza risale fino ad Abramo, fino al padre dell’intero popolo; noi – io e Abramo – siamo uno.

Un io comune ci abbraccia tutti; e mi sento accolto nella sostanzialità spirituale del mondo solo quando mi sento riposare in seno all’intera sostanza del popolo ».

 

Così il seguace dell’Antico Testamento guardava indietro fino al padre Abramo, dicendo:

«Io e il padre Abramo siamo uno! nelle mie vene fluisce lo stesso sangue del padre Abramo».

Sentiva il padre Abramo come la radice dalla quale scaturiva come un rampollo ogni singolo abramita.

 

Ma venne il Cristo Gesù e disse ai suoi iniziati più vicini, più intimi:

• «Finora gli uomini hanno giudicato secondo la carne, secondo l’affinità del sangue,

che conferiva loro la coscienza di riposare entro un nesso superiore invisibile.

• Ma voi dovete credere a una connessione assai più spirituale,

a quella connessione che va oltre l’affinità del sangue;

dovete credere a un fondamento, a un padre spirituale, nel quale ha radice l’io,

e che è più spirituale del fondamento comune che cementa il popolo ebraico come anima di gruppo;

dovete credere a ciò che riposa in me e in ogni uomo,

e questo è uno non solo col padre Abramo, ma con il fondamento divino del cosmo».

 

Perciò il Cristo Gesù affermava, secondo il senso del vangelo di Giovanni:

«Prima che fosse il padre Abramo, era l’ “io sono” (Giov. 8, 58)»,

il mio io primordiale non risale soltanto al principio-padre che arriva fino ad Abramo;

anzi, l’io è identico a ciò che pulsa attraverso il cosmo intero, e la mia spiritualità risale fino a quello.

«Io e il Padre siamo uno» (Giov. 10, 30).

 

Questa è la sentenza piena di significato che occorre sentire fino in fondo;

si sentirà allora la spinta possente che afferrò gli uomini,

facendone progredire l’evoluzione, grazie all’impulso donato dall’apparizione del Cristo Gesù.

Cristo fu il grande animatore dell’«io».

 

Cerchiamo ora di ascoltare ciò che dicevano i suoi intimi iniziati e come essi esprimevano quanto si era loro rivelato.

• Dicevano: finora non è mai esistito un singolo uomo di carne al quale si potesse attribuire il nome dell’« io sono »,

nel senso di colui che per primo abbia portato nel mondo l’intero significato dell’« io sono ».

 

• Perciò essi definivano l’« io sono » come il nome del Cristo.

• Nel nome « io sono » si sentivano uniti gli iniziati più intimi del Cristo, nel nome che essi intendevano così.

• E questo è il modo in cui dovete immergervi nei capitoli più importanti del vangelo di Giovanni.

 

Se ad esempio prendete il capitolo in cui sta scritto: « Io sono la luce del mondo » (Giov. 8, 12),

dovete prendere queste parole nel senso più rigorosamente letterale.

 

• Che cos’era l’« io sono » che apparve allora per la prima volta nella carne?

• Era la stessa sostanza che fluisce sulla Terra come forza del Logos nella luce solare.

 

In tutto l’ottavo capitolo, a partire dal 12° versetto, che di solito viene intitolato « Gesù, luce del mondo »,

troviamo la parafrasi di questa profonda verità che riguarda il significato dell’« io sono ».

Leggete quel capitolo in modo da accentuare sempre le parole « io » o « io sono »,

e tenendo conto del fatto che « io sono » era il nome nel quale gli iniziati si sentivano uniti.

 

Allora comprenderete quel capitolo, come se lo leggeste formulato a un dipresso così:

• « E Gesù parlò ai suoi discepoli e disse:

Ciò che può dire « io sono » a se stesso è la forza della luce del mondo;

e chi mi segue, vedrà nella chiara, luminosa coscienza diurna

quanto non scorgono coloro che camminano nelle tenebre ».

 

Ma quelli che seguivano l’antica fede che la luce dell’amore potesse venire inculcata nell’uomo solo nel modo notturno, e che venivano chiamati i Farisei, rispondevano: tu ti richiami al tuo «io sono»; noi invece ci richiamiamo al padre Abramo. E in questa connessione sentiamo la forza che ci autorizza a presentarci come esseri coscienti di sé; e ci sentiamo forti, immergendoci in quel fondamento d’un io comune che risale fino al padre Abramo.

 

Gesù replicava: se si parla dell’« io » nel senso in cui ne parlo, la testimonianza è vera,

poiché so che quell’« io » proviene dal Padre,

dal fondamento primordiale comune a tutto l’universo, e so anche dove va.

 

Ed ora segue il passo importante (8, 15) che dovrete tradurre letteralmente così:

• «Voi giudicate tutto secondo la carne. Io invece non giudico il niente ch’è nella carne.

E se giudico, il mio giudizio è vero, poiché allora l’io non sta solo per se stesso,

ma è congiunto col Padre dal quale esso proviene».

 

Questo è il senso di quel passo. E potete scorgere ovunque il richiamo al Padre comune;

sul concetto del Padre avremo modo di tornare anche con maggior precisione.

 

• Vedete dunque che nelle parole: « Prima che il Padre Abramo fosse, era l’ “io sono”»

è contenuta, vivente, la quintessenza della dottrina cristiana.