Natura e quadruplice entità umana

O.O. 129 – Meraviglie del creato – 20.08.1911


 

È noto a tutti un concetto molto comune, un’idea che oggi non solo è in uso nel patrimonio di ogni lingua, ma che è fluita anche nelle designazioni di una certa direzione scientifica. È la parola natura.

Quando viene pronunciata, sorge subito una gran quantità di rappresentazioni che l’anima odierna percepisce in relazione appunto a quanto viene così designato. Contrapponiamo poi la natura all’anima o allo spirito.

Ora, tutto quel che oggi si intende con l’espressione natura, quel che si designa come tale, per l’antico pensare greco semplicemente non c’era.

 

Per entrare nel modo di pensare dell’antica Grecia, si deve del tutto cancellare quel che oggi si indica con l’espressione natura. Il Greco antico non conosceva il contrasto, la dualità tra natura e spirito quale noi lo sentiamo oggi.

Dirigendo il suo sguardo sui processi del mondo, così come si svolgono nei boschi e nei campi, nel sole e nella luna, nel mondo stellare, egli non percepiva ancora un’esistenza svuotata di spirito; tutto quanto accadeva nel mondo era per lui l’azione di esseri spirituali, così come ad esempio un movimento della mano è per noi espressione della nostra attività animica.

Movendo la mano da sinistra a destra, sappiamo che un’attività animica sta alla base del movimento e non parliamo di un contrasto tra il semplice moto della mano e il nostro volere; sappiamo che la mano che si muove e l’impulso di movimento presentato dalla nostra volontà sono una realtà unitaria.

Compiendo un gesto che la nostra anima esegue, avvertiamo ancora questa unità. Rivolgendo però lo sguardo al corso del sole e della luna, vedendo le nuvole che si muovono, percependo il movimento dell’aria nel vento, non vediamo più quel che il Greco vedeva, cioè per così dire movimenti, gesti esteriori di entità divino-spirituali; vediamo invece qualcosa che osserviamo secondo leggi esteriori, astratte, puramente matematiche e meccaniche.

Il Greco non conosceva una natura osservata solo secondo leggi esteriori, matematiche, meccaniche che non fosse la semplice fisionomia esteriore dell’agire divino-spirituale.

Vedremo come è sorto il concetto di natura quale oggi lo conosciamo.

 

Nei tempi antichi spirito e natura erano dunque in pieno accordo tra loro.

Di conseguenza neppure quello che nel presente si dice un prodigio veniva sentito dall’antico Greco così come lo si sente oggi.

Prescindendo da differenze più sottili, possiamo dire che ora si vede un prodigio quando nel mondo esterno si percepisce un processo che non è spiegabile secondo le leggi di natura già note o affini, ma che presuppone un intervento diretto dello spirito.

Dove si percepisce una realtà spirituale diretta che non si è in grado di afferrare con le sole leggi matematiche e meccaniche, si parla di qualcosa di miracoloso.

In questo senso il Greco non parlava di prodigi; per lui era infatti chiaro che lo spirito compie tutto ciò che avviene nella natura, indifferente che si tratti di avvenimenti quotidiani, inseriti nell’ordine naturale, o di più rari eventi naturali.

In un caso era qualcosa di più raro, nell’altro erano cose comuni, ma lo spirito, l’attività e l’operosità divino-spirituale agivano secondo lui in ogni avvenimento naturale. Si vede così come questi concetti si siano modificati.

Fa quindi parte in modo essenziale del presente il sentire l’intervento dello spirito negli eventi esterni del piano fisico come qualcosa di miracoloso che esce dal corso ordinario degli avvenimenti. È tipico del nostro sentire moderno tirare un confine netto tra quel che si crede sia governato da leggi naturali e quello in cui si deve davvero riconoscere un intervento diretto dei mondi spirituali.

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Superare e armonizzare il contrasto tra spirito e natura fa parte della missione e dell’attività della scienza dello spirito.

Dobbiamo lavorare partendo da nuove fonti della concezione scientifico-spirituale, metterci di nuovo nella condizione di poter vedere nel mondo circostante più di quanto vi scorga l’occhio del fisico o del chimico, dell’anatomista, del fisiologo o del biologo.

A tal fine dobbiamo davvero partire dall’uomo stesso che richiede con energia lo studio non solo delle leggi chimiche e fisiche attive nel corpo fisico, ma la ricerca dell’interazione tra fisico, animico e spirituale, quale proprio nell’essere umano può presentarsi in una forma non appariscente agli occhi di chiunque voglia guardare con attenzione.

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Guardiamo nel macrocosmo, nel grande mondo: da esso nasce l’arcobaleno.

Ora rivolgiamo un poco lo sguardo entro di noi. Nella nostra interiorità possiamo notare (ed è un’osservazione quotidiana che va solo posta nella luce giusta) che per esempio dal rimuginare senza pensieri si formano determinati pensieri che sono in relazione con qualcosa; in altre parole il pensiero balena nella nostra anima.

Prendiamo queste due cose: quella del macrocosmo, cioè il nascere dell’arcobaleno dal grembo dell’universo, e l’altra, cioè il nascere in noi stessi del pensiero dalla nostra restante vita animica. Sono due fenomeni già in parte conosciuti dai saggi dell’antica Grecia, fenomeni che gli uomini conosceranno di nuovo attraverso la scienza dello spirito.

Le forze che fanno balenare il pensiero nel nostro microcosmo sono le stesse che all’esterno fanno sorgere l’arcobaleno nel grembo dell’universo.

Come le forze di Demetra si trasferiscono dall’esterno nell’interiorità umana e ivi divengono attive, così fanno le forze che formano l’arcobaleno con gli elementi della natura (dove agiscono diffusi nello spazio); essi operano dentro di noi in modo microcosmico, nel nostro piccolo mondo, facendo balenare il pensiero da una sfera indeterminata. L’odierna fisica non sfiora comunque tali verità, per quanto sia una verità.

Tutto quello che si trova nello spazio esterno è dentro di noi.

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Se le forze animiche sono nell’interiorità e vi fanno balenare il pensiero, che cosa fa sorgere d’improvviso l’arcobaleno, l’aurora e il tramonto, lo splendore e la luminosità delle nubi, che cosa vi è nello spazio esterno?

Per l’antico Greco vi era un essere spirituale che dall’etere universale generava tutti i fenomeni: l’arcobaleno, l’aurora e il tramonto, lo splendore luminoso delle nubi, il lampo e il tuono.

Da questo sentimento elementare, non divenuto conoscenza intellettuale, sorgeva la visione: Zeus.

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Oggi però, stando sul terreno dell’antroposofia, guardiamo nell’uomo e, volendo informarci sulle forze che fanno sorgere in noi il pensiero, la rappresentazione e tutto quanto risplende e balena nella nostra coscienza, ci diciamo che ciò abbraccia quel che chiamiamo corpo astrale.

In esso abbiamo l’elemento sostanziale del microcosmo, e ora possiamo riproporre la domanda, appena posta in forma di immagine, in una forma più scientifico-spirituale e dire che il corpo astrale in noi è di natura microcosmica.

Che cosa gli corrisponde nelle ampiezze dello spazio esterno?

Che cosa riempie lo spazio a destra, a sinistra, davanti e dietro, in alto e in basso?

 

Proprio come il corpo astrale è diffuso nel nostro microcosmo, così le vastità spaziali, l’etere universale è attraversato dalla controimmagine macrocosmica del nostro corpo astrale.

Si può anche dire che l’antico Greco vedeva in Zeus la controimmagine macrocosmica del nostro corpo astrale.

Esso in noi causa il risplendere dei fenomeni della coscienza.

Fuori di noi è diffusa l’astralità che da se stessa, come dal grembo dell’universo, genera l’arcobaleno, l’aurora, il tramonto, il lampo, il tuono, le nubi, la neve e così via.

L’uomo di oggi non ha neppure un termine per designare che cosa il Greco pensava di Zeus, e che cosa è la controimmagine macrocosmica del nostro corpo astrale.

 

Poniamoci altre domande. Oltre al pensiero, alla rappresentazione e al sentimento che risplendono nell’interiorità per la durata di un attimo o per breve tempo, abbiamo anche la nostra continua vita animica, con le sue passioni, gli affetti, la vita di sentimento che ondeggia verso l’alto e il basso; tutto ciò è permanente e diviene abitudine e memoria.

• Grazie alla vita animica distinguiamo le differenze tra i caratteri umani.

Qui ci sta davanti qualcuno con passioni impetuose e che afferra focosamente tutto quanto gli viene incontro; là un altro che si pone di fronte al mondo in modo apatico. È qualcosa di diverso rispetto al pensiero che sorge nello spazio di un attimo, è qualcosa che costituisce la configurazione permanente della nostra vita animica e il fondamento della nostra fortuna e del nostro destino.

Chi abbia un temperamento focoso, passioni, simpatie e antipatie molto vivaci, determina di volta in volta qualcosa per la propria fortuna o sventura, grazie agli oscillanti sentimenti di simpatia e antipatia.

Le forze che in noi indicano questo elemento più durevole e regolare, che divengono memoria e abitudine, sono diverse da quelle del corpo astrale.Sono già legate al corpo eterico o vitale, come è noto da altre conferenze.

 

Conformemente alla sensibilità greca, ora chiederemmo di nuovo se nell’universo vi sia qualcosa che corrisponda alle forze che agiscono nelle nostre abitudini, nelle passioni e nei moti animici permanenti.

Anche per questo, senza portarlo a coscienza in modo intellettualistico e schematico, il Greco sentiva che nel mare ondeggiante, nella bufera, nell’uragano che infuria sulla terra, agiscono le stesse forze che sono in noi quando pulsano le passioni e i moti animici permanenti, le abitudini, la memoria.

Noi riassumiamo le forze animiche microcosmiche interne a noi con il concetto di corpo eterico che produce i moti animici duraturi e così via. In forma macrocosmica sono le forze legate alla terra più strettamente di quelle di Zeus che si muovono nelle ampiezze dello spazio; sono le forze che producono il vento, il temporale, la bufera e l’assenza di vento, il mare calmo o infuriato.

In questi fenomeni l’uomo odierno vede solo natura e l’attuale meteorologia è una scienza puramente oggettiva e fisica, concepita in un modo che ancora non esisteva per l’antico Greco. Per lui sarebbe stato insensato parlare della nostra meteorologia, quanto lo sarebbe per noi esaminare solo quali forze fisiche muovono i muscoli quando ridiamo e non sapessimo che nei movimenti muscolari si riversano le forze proprie dell’anima.

 

Bufera e uragano, vento e temporale erano attività spirituali, gesti solo estesi nel mondo, ma corrispondenti alla stessa azione spirituale mostrantesi nel microcosmo, in noi, sotto forma di moti e passioni durevoli, memoria.

L’antico Greco, che in sostanza aveva ancora coscienza della figura vista grazie alla chiaroveggenza, dava il nome di Poseidone  al reggente del potere centrale di queste forze macrocosmiche.

Oggi parliamo anche del corpo fisico come della parte costitutiva più densa dell’entità umana. Vi ravvisiamo in forma microcosmica quanto appartiene alla sfera di cui non si è parlato per gli altri due corpi indicati.

 

• Al corpo astrale sono legati le rappresentazioni e i pensieri transitori presenti in noi, così come sorgono e scompaiono;

• al corpo eterico è legato quanto sorge nella natura umana come moti abitudinari, durevoli, quanto non è solo pensiero, quanto non conduce nell’anima una chiusa esistenza di pensiero.

• Per tutto quel che non è soltanto moto dell’anima, ma trapassa nell’impulso volitivo a compiere qualcosa, è necessario il corpo fisico che abbiamo nell’esistenza terrena fra nascita e morte.

 

Il corpo fisico eleva il solo pensiero o il solo moto dell’anima a impulso volitivo che è anzitutto alla base dell’azione nel mondo fisico.

Se parliamo di impulsi volitivi, delle forze animiche in noi che sono alla loro base, e ci chiediamo che cosa esprima esteriormente tali forze di volontà, lo abbiamo nella fisionomia del corpo fisico.

Esso è l’espressione degli impulsi volitivi, come il corpo astrale lo è dei soli pensieri e l’eterico dei moti e delle abitudini durevoli.

Affinché la volontà possa agire attraverso l’uomo nel mondo fisico, dobbiamo avere il corpo fisico.

 

Nei mondi superiori l’azione volitiva è tutt’altra cosa che nel mondo fisico.

Nel microcosmo abbiamo così di nuovo in noi le forze animiche che causano prevalentemente gli impulsi volitivi a noi necessari perché ci si possa rivolgere soprattutto all’io come alla potenza centrale delle nostre forze animiche.

Se non avessimo una volontà, non potremmo infatti mai parlare di una coscienza dell’io.

 

• Da un punto di vista diverso da quello di ieri, possiamo ora chiedere che cosa sentisse il Greco quando domandava che cosa fosse diffuso nel macrocosmo della stessa natura delle forze generanti in noi l’impulso volitivo, l’intero mondo della volontà. Che cosa vi era fuori di lui?

Il Greco rispondeva con il nome di Plutone, la potenza centrale nello spazio macrocosmico legata strettamente all’addensato pianeta; per il Greco Plutone era la controimmagine macrocosmica degli impulsi volitivi che spinsero la vita di Persefone anche nei sostrati della vita animica.

 

Per una coscienza chiaroveggente che guarda nel reale mondo spirituale, l’autoconoscenza dell’uomo è tale da distinguere la triplice natura della propria entità secondo

• corpo astrale,        • corpo eterico        • e corpo fisico.

 

L’antico Greco non prendeva affatto in considerazione il microcosmo come facciamo noi oggi.

In fondo, solo all’inizio del quinto periodo postatlantico di civiltà si cominciò a dirigere lo sguardo sul microcosmo.

L’antico Greco guardava piuttosto fuori alle forze di Plutone, di Poseidone, di Zeus e trovava naturale che esse agissero in lui. Viveva molto di più nel macrocosmo che nel microcosmo.

L’antichità si differenzia dall’epoca moderna proprio perché il Greco percepiva molto di più la realtà macrocosmica, e quindi popolava il mondo delle figure divine che erano per lui le potenze centrali delle corrispondenti forze macrocosmiche; l’uomo moderno è invece molto più volto a considerare il microcosmo, l’essere che è il punto centrale del nostro mondo, l’uomo; cerca perciò soprattutto nella sua interiorità le caratteristiche del mondo conformato in modo triplice.

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• Si può indicare qualcosa che dia in modo preciso le quantità e i valori delle forze interiori presenti nel corpo fisico, nel corpo eterico e nel corpo astrale, nonché la loro reciproca relazione.

Desidero cominciare disegnando alla lavagna tale rapporto, dato che lo si può esprimere solo con una figura geometrica e nelle sue relazioni di grandezza. Quel che disegno alla lavagna è tale da dirne: approfondendosi in questa figura, quanto vi è contenuto (come un segno della scrittura occulta per la meditazione) dà i rapporti di grandezza e di valore tra le forze dei tre corpi: fisico, eterico e astrale.

Questo è il segno della scrittura occulta:

 

 

Come si vede, disegno il pentagramma.

A un primo esame esso è un segno per il corpo eterico, considerandolo nel suo lato esteriore.

Tuttavia, come ho già detto, il corpo eterico contiene anche le forze centrali per il corpo astrale e per il corpo fisico; da esso provengono le forze che ci fanno diventare vecchi o giovani.

Ora, poiché nel corpo eterico vi è il centro di tutte queste forze, è anche possibile mostrare nella figura, nel sigillo del corpo eterico, in quali rapporti di forza siano nell’uomo le forze del corpo fisico rispetto a quelle del corpo eterico e a quelle del corpo astrale.

Si ricavano poi i precisi rapporti di grandezza dicendosi anzitutto che all’interno del pentagramma si forma un pentagono con un vertice verso il basso. (Lo riempio tutto con il gesso.)

Qui si ha così una prima figura parziale del pentagramma.

 

Un’altra parte del pentagramma risulta considerando i triangoli aggiunti al pentagono: li tratteggio con linee orizzontali.

Ho così smembrato il pentagramma

۰ in un pentagono centrale con un vertice verso il basso, riempito con il gesso,

۰ e in cinque triangoli tratteggiati con linee orizzontali.

 

Mettendo in relazione la superficie del pentagono con quella dei triangoli, cioè con la somma delle superfici dei singoli triangoli, rapportando quindi la grandezza del pentagono alla somma dei singoli triangoli, si vede in che modo agiscono nell’uomo le forze del corpo fisico rispetto a quelle del corpo eterico.

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• Il valore delle forze del corpo fisico sta a quello delle forze del corpo eterico

• come nel pentagramma la superficie del pentagono sta alla somma delle superfici dei triangoli.

 

Disegno ora un pentagono col vertice verso l’alto unendo le punte del pentagramma.

Non si devono ora considerare i triangoli che si formano fra le braccia del pentagramma, ma l’intero pentagono grande, compresa la superficie del pentagramma, quindi tutto quanto tratteggio a linee verticali. Si consideri cioè il pentagono che circoscrive il pentagramma.

Come la superficie, la grandezza del pentagono piccolo con la punta verso il basso si rapporta alla superficie del pentagono tratteggiato a linee verticali e col vertice verso l’alto, così stanno le forze del corpo fisico rispetto a quelle del corpo astrale.

Allo stesso modo, come la somma dei triangoli tratteggiati a linee orizzontali sta alla grandezza del pentagono col vertice rivolto verso l’alto, così si rapporta il valore delle forze del corpo eterico a quello del corpo astrale.

 

In breve, in questa figura è indicato compiutamente il rapporto reciproco tra le forze del corpo fisico, quelle del corpo eterico e quelle del corpo astrale. Non di tutto questo si è coscienti.

• Il pentagono con la punta rivolta verso l’alto comprende tutto l’astrale nell’uomo, anche quello di cui oggi ancora non si ha conoscenza e che si forma quando l’io lavora a trasformare il corpo astrale sempre più in sé spirituale o manas.

 

Può ora sorgere la domanda sul rapporto tra i tre involucri e l’io vero e proprio. In genere oggi si sa ancora molto poco dell’io, di cui dissi che è il «baby», la meno sviluppata tra le parti costitutive della natura umana. Tuttavia la totalità delle forze dell’io già è presente nell’uomo.

 

Considerando il complesso delle forze dell’io per esaminare il loro rapporto con le forze di corpo fisico, corpo eterico e corpo astrale, occorre tracciare un cerchio intorno all’intera figura. Ora non voglio troppo scarabocchiarla. Se tratteggiassi l’intera superficie del cerchio, in rapporto alla grandezza della superficie del pentagono con la punta verso l’alto, in rapporto alla somma delle superfici dei triangoli del pentagramma tratteggiati a linee orizzontali, in rapporto al pentagono piccolo rivolto verso il basso, la superficie del cerchio esterno indicherebbe il rapporto delle forze dell’io (rappresentate dalla superficie del cerchio) con le forze del corpo astrale (rappresentate dalla superficie del pentagono grande), con le forze del corpo eterico (rappresentate dalla somma dei triangoli del pentagramma) con le forze del corpo fisico (rappresentate dalla superficie del pentagono piccolo).

 

• Meditando questo simbolo occulto, si sente interiormente un rapporto tra le quattro superfici, e si ha un’impressione della reciproca relazione tra corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e io.

Si deve quindi immaginare nella stessa luce il cerchio grande e considerarlo oggetto della meditazione.

Gli si ponga poi accanto il pentagono rivolto verso l’alto: essendo questo un po’ più piccolo del cerchio grande, più piccolo delle parti esterne al pentagono, questo farà un’impressione più debole del cerchio.

Di tanto più debole rispetto all’impressione prodotta dal cerchio, di quanto lo sono anche le forze del corpo astrale rispetto a quelle dell’io.

Ponendosi poi davanti come terza figura, senza il pentagono centrale, i cinque triangoli tratteggiati a linee orizzontali, si avrà un’impressione ancora più debole, se si pensa il tutto visto nella stessa luce.

Di quanto quest’impressione è più debole rispetto alle due precedenti, di tanto sono più deboli le forze del corpo eterico rispetto a quelle del corpo astrale e dell’io.

Considerando il pentagono piccolo, sempre visto nella stessa luce, se ne riceve l’impressione più debole.

Sviluppando un sentimento dei reciproci gradi di forza di tali impressioni e tenendole tutte presenti (come ad esempio si pensano insieme i suoni di una melodia) pensando queste quattro impressioni tutte insieme in relazione alla loro grandezza, si ottiene l’armonia delle forze che esiste tra le forze dell’io, del corpo astrale, del corpo eterico e del corpo fisico.

Questo è un segno occulto che propongo come segno della scrittura occulta, e su di esso si può meditare; ho cercato di descrivere come farlo.

 

Ci si forma l’impressione dei differenti valori che le superfici, viste nella stessa luce, suscitano attraverso le loro diverse grandezze. Si riceve cioè un’impressione dei rapporti reciproci tra le forze delle quattro parti costitutive dell’entità umana. Questo è come un segno della scrittura occulta che scaturisce dall’essenza delle cose.

 

Meditare su questa scrittura vuol dire leggere i grandi segni prodigiosi del mondo che ci introducono ai grandiosi segreti dell’universo.

Ci procuriamo così pian piano una comprensione d’insieme delle meraviglie che operano nel creato, consistenti nel riversarsi dello spirito nella materia in determinati rapporti.

Ho così richiamato quel che nell’antica scuola pitagorica veniva esercitato come la cosa più elementare.

Per tal via, l’uomo comincia a percepire, grazie all’udito spirituale, le armonie e le melodie delle forze del mondo

e movendo dai segni della scrittura occulta, li comprende e si accorge di aver guardato il creato e le sue meraviglie nella loro verità.