Nei primi tempi dopo la morte la nostra esistenza dipende da come abbiamo vissuto in Terra

O.O. 140 – Ricerche occulte sulla vita fra morte e nuova nascita – 15.12.1912


 

La vita tra morte e nuova nascita è stata descritta nel modo più vario; oggi vogliamo considerarla così da poter tenere conto di diverse cose delle quali, proprio nei mesi scorsi, ebbi di nuovo a occuparmi nel campo dell’indagine spirituale.

Sappiamo che, subito dopo essere passati per la porta della morte, attraversiamo il cosiddetto kamaloka, vale a dire un periodo nel quale siamo ancora più strettamente collegati con il nostro sentire, con i nostri affetti, con tutta la nostra vita animica dell’ultima incarnazione terrena. Un po’ alla volta ci liberiamo da questo legame.

Certo, dopo la morte non abbiamo più il corpo fisico, ma pur avendo deposto il corpo fisico e quello eterico, il nostro corpo astrale ha tutte le caratteristiche che aveva qui sulla terra; e queste peculiarità, che esso possiede per aver operato in un corpo fisico, se le deve levare. Allo scopo gli occorre un certo tempo, e questo è il periodo del kamaloka.

 

Dopo il kamaloka l’uomo vive attraversando quel che abbiamo chiamato mondo spirituale, o Devachan.

Nei nostri scritti lo abbiamo caratterizzato, si potrebbe dire, piuttosto secondo quel che l’uomo sperimenta ad opera dei diversi elementi che si dispiegano attorno a lui. Adesso vogliamo osservare il periodo tra morte e nuova nascita da un altro lato, e precisamente, per una volta, vogliamo anzitutto caratterizzarlo in generale.

 

• Quando l’uomo è passato per la porta della morte sperimenta quanto segue.

Mentre ci troviamo qui sulla terra possiamo dire di essere chiusi entro un luogo determinato,

cioè nella nostra pelle, e che al di fuori c’ è lo spazio con le altre cose e gli altri esseri.

Però non è così dopo la morte; anzitutto noi ci espandiamo con la nostra intera essenza, così che nel nostro sentirci diventiamo sempre più grandi. Questo sentimento: “io sono dentro la mia pelle e là fuori c’è lo spazio con le cose”, è un’esperienza che dopo la morte non abbiamo.

Dopo la morte noi siamo dentro le cose e dentro gli esseri,

ci espandiamo oltre lo spazio che ci riguarda.

 

• Durante il periodo del kamaloka noi continuiamo a espanderci e, quando il kamaloka giunge al termine, siamo grandi come lo spazio che sta all’interno dell’orbita lunare. Dunque noi cresciamo davvero, ci estendiamo nello spazio. L’essere-nello-spazio, l’esistenza nello spazio ha dopo la morte tutt’altro significato che qui nel mondo fisico.

Nel periodo del kamaloka è davvero così: noi siamo nello spazio che la luna percorre orbitando. Ogni singola anima è lì, così che tutte le anime che si trovano in contemporanea nel kamaloka riempiono lo spazio che l’orbita lunare delimita. Esse stanno tutte l’una dentro l’altra. E tuttavia questo stare l’una nell’altra non è in alcun modo uno stare insieme; il sentirsi-insieme, l’essere l’uno con l’altro dipende invece da tutt’altra cosa che dall’occupare uno spazio comune.

Perciò, dopo la morte, due anime possono trovarsi nello stesso spazio ed essere infinitamente lontane l’una dall’altra, vale a dire che il loro vissuto è tale per cui possono non sapere proprio nulla l’una dell’altra; mentre altre anime si trovano anch’esse nello stesso spazio ma sentono dimestichezza, si sentono insieme, sperimentano di essere l’una con l’altra. Tutto dipende quindi dai rapporti interiori, non dalle connessioni spaziali esteriori.

 

Nei periodi successivi, quando il kamaloka si conclude,

l’uomo si ambienta in spazi ancora più grandi. Si espande sempre più ampiamente.

Quando si è esteso così lontano che il kamaloka volge al termine ed egli è per così dire espanso su uno spazio del cielo tanto grande che l’orbita lunare lo delimiterebbe, allora qui – entro questo spazio dilatato che si ha da attraversare dopo la morte nel periodo del kamaloka – è rimasto indietro come abbandonato dall’uomo tutto ciò che un giorno, durante la sua vita terrena, egli ha compiuto in un modo tale per cui esso manifesta la sua vera inclinazione verso la vita terrena, la sua nostalgia, la sua passione per la vita terrena. L’uomo deve passarsi tutto questo, ma lo deve anche lasciare indietro nella sfera della Luna, nel kamaloka.

Quando dunque continua a vivere dopo la morte e più tardi torna al ricordo di questa sfera lunare, vi troverà inscritto tutto quello che qui ebbe come affetti e passioni dei sensi, tutto ciò che si esplica nella vita dell’anima e a causa del quale egli si sente attratto con simpatia verso la corporeità. Tutto questo egli lo lascia indietro nella sfera della Luna e lì resta; l’uomo non può cancellarlo alla svelta. Lo prende anch’esso con sé sotto forma di forza, tuttavia ciò rimane inscritto nella sfera lunare. Così che il nostro conto delle colpe, diciamo, il conto dei debiti di ogni essere umano resta registrato nella sfera della Luna.

 

Poi noi ci espandiamo oltre. Ampliandoci ancora, giungiamo in una seconda regione che l’occultismo chiama sfera di Mercurio. Ora non è possibile illustrare più esattamente queste cose, vogliamo però anzitutto osservarle per una volta senza illustrarle.

La sfera di Mercurio è più grande di quella lunare.

Quando dopo la morte vogliamo ambientarci in questa sfera, come esseri umani lo facciamo nei modi più diversi. Una persona che sia stata immorale o abbia avuto una disposizione animica moralmente bassa, si ambienta nella sfera di Mercurio molto diversamente rispetto a un’altra avente una disposizione morale – questo si può indagare con precisione tramite gli opportuni mezzi della scienza dello spirito.

Nella sfera di Mercurio, cioè nel periodo che giunge, nel modo che si è detto, dopo il kamaloka, la prima persona non può trovare quegli uomini che hanno abbandonato anch’essi il piano fisico insieme a lei, o prima o appena dopo di lei, e che pure stanno nel mondo spirituale. Vive dunque entro il mondo spirituale così da non poter proprio trovare quelli che le furono cari, insieme ai quali desidera essere.

 

L’uomo che qui sulla terra ebbe una disposizione animica immorale

diviene un eremita nel mondo spirituale, nella sfera di Mercurio.

• Invece l’uomo avente una disposizione animica morale diviene quel che si può chiamare un essere socievole.

• Là egli ritrova anzitutto quegli esseri umani che sulla terra gli sono stati vicini come anime.

 

Da questo dipende il nostro essere insieme a qualcuno, non da fattori spaziali, poiché occupiamo tutti il medesimo spazio; dipende invece da come siamo disposti animicamente. Diveniamo eremiti, pur occupando insieme agli altri lo stesso spazio, e tali restiamo, perché non troviamo la via verso gli altri, pur stando nel medesimo spazio.

 

Diveniamo eremiti quando portiamo lì dentro una disposizione immorale,

• e diveniamo esseri socievoli se vi portiamo un’intonazione animica morale.

 

Nel kamaloka, nella sfera della Luna, troviamo altre difficoltà riguardo all’elemento della socievolezza; ma in generale ci si può figurare che anche lì l’uomo possa divenire solitario, oppure socievole, a seconda delle caratteristiche della sua anima.

• Chi sulla terra fu palesemente egoista, chi di fatto conosce solo l’appagamento delle proprie brame e passioni, nella sfera lunare non riuscirà a trovare facilmente gli esseri che sulla terra gli sono stati vicini.

Ma l’uomo che abbia amato appassionatamente, per quanto con passione sensuale, anche qualcosa che si trova al di fuori di lui, nel periodo del kamaloka sarà pur sempre non del tutto isolato, troverà comunque altri esseri che gli erano stati vicini.

 

In generale, però, in queste due sfere non è possibile trovare altri esseri umani se non quelli che già sulla terra ebbero stretti rapporti con noi. Gli altri ci rimangono sconosciuti. Perciò la condizione affinché noi ci incontriamo con altri uomini, è l’essere stati insieme a loro sulla terra. L’ incontrarci dipende da un elemento morale, ma nemmeno gli slanci morali possono portarci molto al di là dell’ambito che approda agli uomini cui fummo già vicini sulla terra. Le relazioni con questi esseri umani che incontriamo dopo la morte hanno la caratteristica di non poter venir allora modificate.

Dobbiamo rappresentarci che qui nella vita abbiamo la possibilità di cambiare le situazioni e le relazioni in qualsiasi momento. Supponiamo che per un certo periodo di tempo non abbiamo amato una persona come avrebbe meritato. Nell’istante in cui ce ne rendiamo conto, quando torniamo in noi stessi, se siamo forti abbastanza possiamo far sì che il giusto amore si adempia. Dopo la morte questa possibilità viene a mancare.

 

Se dopo la morte incontriamo un essere umano al quale sulla terra abbiamo portato incontro troppo poco amore, oppure un amore ingiustificato, lo vediamo certamente, percepiamo la cosa con molta più precisione che qui sulla terra, ma non possiamo cambiare nulla. Deve restare così. Questo è appunto l’elemento caratteristico, il fatto che le relazioni della vita possiedono una certa persistenza.

Per il fatto che divengono qualcosa di duraturo, si sviluppa nella nostra anima la forza tramite la quale si pone ordine nel karma. Se dunque per quindici anni abbiamo amato troppo poco una persona, riconosciamo questo e, nel viverlo, sviluppiamo la forza per fare diversamente quando saremo di nuovo incarnati sulla terra. Attraverso ciò noi sviluppiamo la forza e la volontà per il pareggio karmico. Questa è la tecnica del karma.

 

Prima di tutto dobbiamo aver chiara una cosa: nei primi tempi dopo la morte, perciò durante il periodo di Luna e Mercurio, e anche nel periodo successivo che verrà presto caratterizzato, noi viviamo nel mondo spirituale in modo che la nostra esistenza dipende da come abbiamo vissuto in terra, qui nel mondo fisico; ma in modo tale che non si deve tener conto solo della nostra coscienza, come la possediamo sulla terra, bensì si ha da osservare anche il nostro subconscio.

 

Normalmente quaggiù, nello stato di veglia, viviamo nel nostro io.

Al di sotto della nostra coscienza dell’io c’è la nostra coscienza astrale, il subconscio.

Ed esso alle volte sulla terra agisce in tutt’altro modo, senza che l’uomo lo sappia,

rispetto al conscio, alla coscienza dell’io.

 

Prendiamo l’esempio seguente. Due persone vivono qui nel migliore rapporto di amicizia. Succede allora di frequente che una delle due giunga a un certo apprezzamento nei confronti della scienza dello spirito e l’altra, che vive con lei, mentre prima la scienza dello spirito le era indifferente, sviluppa ora un particolare odio al riguardo. Non occorre che quest’odio esista in tutta l’anima, può senz’altro darsi che esista solo nella coscienza dell’io, non in quella astrale. La persona che sempre più cerca di convincersi dell’odio furente, può in realtà amare la scienza dello spirito nella coscienza astrale, e averne desiderio senza saperlo. Questo è del tutto possibile, nella natura umana ci sono contraddizioni simili.

Se si va a indagare la sua coscienza astrale, il suo subconscio, proprio lì vive forse una simpatia, celata alla persona stessa, nei confronti della cosa che nel suo conscio odia. Dopo la morte questo si mostra in modo particolarmente significativo, perché, sotto questo aspetto, l’uomo dopo la morte diviene vero. Una persona che qui sulla terra si sia convinta di odiare così tanto la scienza dello spirito, ma che nel subconscio la ami, e che in tutta la sua vita abbia respinto quel che vi è collegato, prova spesso l’amore più ardente verso questa scienza dello spirito.

Ciò può significare un profondo dolore per la sua vita nel kamaloka, dato che non sa nulla e quindi non ha pensieri di ricordo. Infatti nel primo periodo dopo la morte si vive soprattutto di ricordi. Sicché l’uomo, nel post-mortem, non dipende soltanto da quello che gli dà pena o anche da quello che gli arreca gioia, da quello che vive nella sua coscienza dell’io, bensì dipende anche da ciò che si è sviluppato nel suo subconscio. L’uomo diviene allora completamente vero sotto questo aspetto.

 

Qui abbiamo uno degli elementi nei quali ci è possibile vedere come la scienza dello spirito sia realmente chiamata, quando venga giustamente compresa, a intervenire in modo fruttuoso nell’intera vita umana. Vedete, l’uomo che è passato per la porta della morte non può cambiare nulla delle relazioni con gli esseri che lo attorniano e nemmeno essi possono cambiare nulla. Lì è subentrata l’immutabilità delle relazioni.

Invece le cose si possono ancora modificare nell’ambito delle relazioni fra i defunti e coloro che sono ancora vivi. Quelli che vivono ancora sul piano fisico, i vivi – se in qualche modo erano in rapporto quando sono stati qui entrambi, loro e chi ora è defunto -, sono gli unici che possono un po’ lenire il dolore, che possono placare un poco la pena di coloro che sono passati per la porta della morte. E in un gran numero di occasioni è risultato fecondo ciò che in questo caso si può proprio chiamare il leggere ai defunti.

 

Si è davvero avuta una riprova di quanto segue.

Qualcuno è morto, qui in vita non si è occupato di scienza dello spirito, per il motivo di cui si è detto o per altri motivi; chi è rimasto in terra è in grado di sapere dalla scienza dello spirito che il defunto può avere per essa un ardente interesse e, se ora chi è rimasto si fa dei pensieri insieme a lui, interiormente, come se il defunto gli stesse di fronte, col pensiero che egli si trovi davanti a lui, allora questo è un grande beneficio per il defunto.

Noi possiamo effettivamente leggere dinnanzi al defunto. Ciò getta un ponte, diciamo, sull’abisso che esiste tra i vivi e i morti.

Pensate ai due mondi, che a causa dell’attitudine materialistica degli uomini sono così separati – il mondo del piano fisico e il mondo spirituale che l’uomo percorre tra morte e nuova nascita -, pensate a come farebbe immediatamente presa nella vita, se questi due mondi venissero riuniti! Se la scienza dello spirito non rimane teoria, bensì diventa immediato impulso di vita come ha proprio da essere, allora non c’è più alcuna separazione, ma comunicazione diretta.

 

Il leggere ai defunti è uno dei casi nei quali possiamo entrare in diretto rapporto con essi, possiamo aiutarli. Chi ha rifuggito la scienza dello spirito resta sempre nel tormento di bramarla, se noi qui non lo aiutiamo. Ma noi possiamo aiutarlo anche da qui, sempre che egli abbia un tale desiderio ardente. Così il vivo può aiutare il defunto.

È però d’altro canto anche possibile che il defunto divenga percepibile per chi è vivo, sebbene oggi i vivi facciano poco per mettersi in rapporto con i defunti. Ma laddove la scienza dello spirito afferrerà direttamente la vita umana, diventerà un vero elisir di vita. Se si vuole apprendere come i morti possano influire sui vivi dobbiamo forse cominciare dalla considerazione che segue.

 

Del mondo, l’uomo cosa mai conosce? Sappiamo molto poco quando, qui sul piano fisico, osserviamo le cose semplicemente nello stato di veglia. L’uomo conosce ciò che si svolge dinnanzi ai suoi sensi e quello che con il suo intelletto sa fare partendo da quanto lì avviene. Tutto il resto non lo sa. Perlopiù egli crede che non potrebbe darsi nulla di diverso da ciò che può osservare con i sensi fisici. C’è moltissimo, però, che non accade, eppure è straordinariamente importante. E questo cosa significa?

Supponiamo di essere abituati ad andare al lavoro ogni mattina alle otto. Un giorno, però, ritardiamo appena cinque minuti. Non succede nient’altro se non che giungiamo cinque minuti più tardi. Ma, valutando più precisamente, se guardiamo a tutte le circostanze, potremmo forse venire a sapere che proprio quel giorno, se fossimo usciti puntuali, avremmo dovuto essere investiti; vale a dire che, se fossimo usciti all’ora giusta, non saremmo più vivi.

Oppure, cosa che è anche possibile e che è accaduta, supponiamo che qualcuno sia stato dissuaso da un amico dal fare un viaggio sul Titanic. Costui può ben dire che, se fosse partito, sarebbe colato a picco! Che così fosse karmicamente stabilito è un’altra faccenda. Ma pensate a quanto conoscete della vita, se la osservate in questo modo. Se non è accaduto nulla di quello che sarebbe potuto accadere, voi semplicemente non lo sapete.

Alle infinite possibilità che esistono nel mondo dei fatti realizzati, l’uomo non presta attenzione. Potete dire che non è certo questo l’importante. Non lo è per le circostanze esteriori; è più significativo il fatto che non siamo colati a picco. Vorrei però far notare che avremmo potuto sapere questo: c’era una grande probabilità che potessimo perire, se ad esempio non avessimo perso un treno coinvolto in un disastro ferroviario. Ci si potrebbe fare l’elenco di tutte le eventualità possibili che, in piccolo, accadono comunque sempre.

 

Certamente per il corso esteriore delle cose ci basta conoscere quello che possiamo osservare. Supponiamo però di sapere esattamente che qualcosa sarebbe potuto accadere se non avessimo perso il treno. In tal caso una simile esperienza impressiona il nostro animo e noi diciamo: “Sono stato preservato, grazie a una buona sorte, in modo ben singolare!”. Immaginatevi tutte queste cose che si avvicinano all’uomo in base alle possibilità. La vita dell’anima sarebbe infinitamente più ricca – ora egli abbraccia con lo sguardo soltanto la misera vita di quanto è accaduto, ma come sarebbe ricca se l’uomo potesse conoscere tutto ciò che nella vita entra in gioco, senza accadere veramente.

È come quando volgiamo lo sguardo al campo di grano e vi osserviamo le spighe, i tanti chicchi di grano, dei quali quelli che vengono nuovamente seminati costituiscono una quantità relativamente piccola, mentre moltissimi non divengono nuovi steli con spighe, ma prendono un’altra strada. Quello che riguardo a noi è possibile, sta in rapporto a quanto s’avvera, come i tanti chicchi di grano che non ridiventeranno spighe stanno in rapporto a quelli che lo diverranno. Così è nella realtà; poiché è immensamente abbondante quello che nella vita è possibile. E i momenti in cui in rapporto a noi avvengono cose particolarmente importanti nel mondo del possibile, sono quelli più opportuni a che i defunti ci si possano avvicinare.

 

Supponiamo che qualcuno esca cinque minuti in anticipo e venga, in tal modo, preservato dal cader morto nel momento in cui sarebbe stato raggiunto da una sventura, oppure nel momento in cui sarebbe stato raggiunto da qualcosa di lieto, al quale si è così sottratto. È in questo momento che può spirare nella vita, come in un’immagine di sogno, ciò che i defunti comunicano proprio a noi.

L’uomo però vive “a spanne”. Si cura solo di quanto è grossolano, non delle finezze della vita, che in questa vita entrano in gioco e si verificano. Sotto questo aspetto, i sentimenti e le sensazioni verranno affinati grazie alla scienza dello spirito. Allora l’uomo sentirà affacciarsi nella vita coloro che sono morti e avrà relazione con loro. La frattura tra vivi e morti verrà superata tramite la scienza dello spirito, che veramente diviene un elisir di vita.

 

• La sfera successiva, quindi l’ulteriore fase dopo la morte, è la cosiddetta sfera di Venere.

In essa noi diveniamo eremiti se sulla terra abbiamo avuto una disposizione animica irreligiosa. Diveniamo spiriti socievoli portando con noi un’intonazione animica religiosa. A seconda che qui nel mondo fisico fossimo in grado di sentire la nostra dedizione al sacro spirito, noi troviamo tutti quelli che hanno la stessa intonazione d’anima nei confronti del divino-spirituale.

 

Nella sfera di Venere gli uomini sono raggruppati in base ai rapporti con le religioni e con le visioni del mondo. Qui sulla terra è ancora così, sono decisivi tanto l’anelito religioso quanto l’esperienza religiosa.

• Nella sfera di Venere il raggruppamento avviene unicamente

sulla base del credo religioso e della visione del mondo;

• quelli che hanno la stessa concezione del mondo

si trovano in grandi, poderose comunità, non sono dei solitari su Venere.

• Sono solitari quelli che non riescono a sviluppare proprio alcun sentimento e impulso religioso.

 

Dunque, coloro che nel nostro tempo chiamiamo monisti, materialisti, non diverranno esseri socievoli, ma esseri isolati; su Venere ognuno trascorrerà il tempo in una sua gabbia: in questa sfera è del tutto impossibile una lega dei monisti, perché l’uomo a causa del credo monistico viene condannato alla solitudine.

Non è un’invenzione, è una realtà il fatto che ognuno sta rinchiuso nella propria gabbia. Ciò esiste allo scopo di educare l’anima alla realtà, di contro alla fantasticheria del monismo che qui essa ha fatto propria. Nel complesso, si può dire: ci si potrà incontrare con quelli che hanno la nostra stessa concezione del mondo, la stessa fede. Confessioni diverse sono per noi difficilmente comprensibili nella sfera di Venere.