Nei tempi antichi gli uomini avevano piuttosto anime di gruppo

O.O. 183 – Il divenire dell’uomo – 26.08.1918


 

Ripercorrendo a ritroso l’evoluzione dell’umanità, si scopre che nei tempi antichi

gli uomini avevano piuttosto anime di gruppo,

e solo in seguito le anime individuali si inserirono nell’esistenza delle anime di gruppo.

• Potete leggerlo in diversi cicli di conferenze.

 

Si potrebbe allora descrivere schematicamente l’evoluzione dell’umanità dicendo

che nei tempi antichi vi erano anime di gruppo;

ciascuna di queste anime di gruppo si scisse ulteriormente – così almeno per una visione puramente animica;

per una visione spirituale le cose sarebbero un po’ diverse -,

ma ogni anima derivata da questa scissione si rivestì di un corpo, che nella figura seguente distinguo con un tratto rosso.

 

 

Fino ancora alla scuola pitagorica, si è sempre ricorsi a questo disegno, o a qualcosa di simile a questo disegno, dicendo: “Osservate i corpi, quanto ai corpi gli uomini sono separati, ognuno ha un corpo a sé stante – perciò i tratti rossi qui sono isolati -, ma quanto alle anime riscontriamo un’unità dell’umanità, e possiamo risalire, per quanto remota sia, fino all’anima di gruppo”. C’è dunque un’unità. Se non considerate il rosso, tutto il resto forma una figura unitaria.

 

Ma parlare di questa figura ha un senso soltanto se prima si è parlato, come abbiamo fatto oggi, della realtà spirituale, perché allora ci si rende conto di tutto ciò che è all’opera nelle anime, di come le gerarchie superiori cooperino a questa realtà animica. Non ha senso parlare di questa figura se non se ne parla con riferimento alle Gerarchie.

Così infatti se n’è parlato fino ancora alla scuola pitagorica, e dalla scuola pitagorica Apollonio ha appreso a sua volta ciò di cui ho parlato ieri, e di cui tornerò a parlare la prossima settimana.

 

A un certo punto però, a partire dall’ottavo secolo avanti Cristo – già le scuole pitagoriche erano in ritardo sui tempi – la possibilità di parlare così è venuta meno.

E quei concetti che sono concreti, che sono reali in quanto si riferiscano alle gerarchie superiori, per la gente sono diventati sempre più confusi, sempre più nebulosi. E così per essa il mondo degli Angeli, degli Arcangeli, delle forze primordiali, delle forme, dei movimenti, delle saggezze, dei Troni, tutto questo concreto tessuto spirituale, è stato soppiantato da un concetto che già nella visione greca ha una parte di qualche rilievo: il concetto di pneuma, in cui tutto si confonde.

 

Il pneuma, lo spirito universale – questo concetto nebuloso che è tuttora caro ai panteisti: spirito, spirito, spirito, spirito!

Ho parlato a più riprese dei panteisti che ficcano lo spirito dappertutto. Ma il fenomeno compare già nel mondo greco.

Qui si disegnava ancora questa figura; ma voi vedete: quello che prima era concreto – la moltitudine delle divinità – si è trasformato in un concetto astratto, è diventato il pneuma.

Quando si vuol descrivere l’evoluzione dell’uomo, il chiaro (celeste) diventa il pneuma, il rosso la materia fisica.

 

Ma i Greci almeno avevano ancora una visione di questo pneuma, perché erano pur sempre capaci di vedere qualcosa di aurico; per loro, dunque, questi rami chiari rappresentavano ancora un che di aurico, e pertanto qualcosa di realmente visibile.

 

Qui sta il significato decisivo del passaggio dalla grecità alla romanità: nel fatto che i Greci, con la loro visione, coglievano ancora nel pneuma un’effettiva realtà spirituale, mentre per i Romani non è stato più così.

Presso i Romani, il pneuma è già diventato una cosa del tutto astratta, si è trasformato in un’astrazione assoluta, si è tradotto in mero concetto. I Romani sono il popolo dei concetti astratti.