Nel dopo-morte si è effusi nel cosmo e si ricostruiscono le forze per una nuova vita terrena.

O.O. 141 – Vita da morte a nuova nascita – 10.12.1912


 

Sommario: Nel dopo-morte si è effusi nel cosmo e si ricostruiscono le forze per una nuova vita terrena. Il sonno è simile alla morte. Posizione delle parti costitutive umane durante il sonno. Diversa conoscenza del cielo nel periodo egizio, e ricordo della stessa in quello greco-latino, ora andato del tutto perduto. È compito dell’antroposofia ridestare le antiche conoscenze.

 

Nelle precedenti considerazioni sopra la vita tra la morte e la nuova nascita, abbiamo visto che quella parte dell’entità umana che, nel passaggio attraverso la porta della morte, abbandona il corpo fisico e in gran parte anche il corpo eterico, in altre parole la parte imperitura dell’entità umana, trascorre una vita per la quale essa trae le sue forze dal mondo stellare; abbiamo pure fatto rilevare il modo in cui l’entità umana, tra morte e nuova nascita, tragga le sue forze dal mondo stellare.

 

Abbiamo messo in rilievo come l’uomo sia più o meno capace di trarre in modo giusto le sue forze dal mondo stellare, a seconda di come egli abbia sviluppato certi atteggiamenti morali o religiosi qui nella vita terrena. Potemmo così indicare come per esempio l’uomo, mediante un corrispondente atteggiamento morale formato durante la vita prima della morte, tragga le sue giuste forze dalla sfera che ha le proprie forze radianti nel pianeta che occultamente si chiama Mercurio; e come egli, mediante una corrispondente esperienza religiosa prima della morte, possa trarre dalla sfera di Venere le relative forze, a lui poi necessarie per la vita ulteriore e inoltre per la successiva vita sulla terra.

 

Se riassumiamo questi diversi pensieri che fino ad ora potemmo far passare davanti alla nostra anima, possiamo quindi dire: « Come l’uomo, finché si serve dei suoi sensi, finché si lascia dirigere e guidare dall’intelletto che è legato al cervello come ad uno strumento, in altre parole fino a che l’uomo, durante la sua vita terrena, è legato alle forze appunto della nostra terra, così, nella vita fra morte e nuova nascita, egli è legato alle forze che irradiano dai mondi stellari ».

Esiste però una certa differenza per l’uomo attuale fra la relazione del suo essere verso le forze terrene durante la vita fisica, e la sua relazione verso le forze stellari fra la morte e la nuova nascita.

 

Le forze che l’uomo accoglie nella sua coscienza durante la vita terrena,

vale a dire le forze che egli sperimenta coscientemente durante la vita terrena,

non contribuiscono con nulla di essenziale

a tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno per costruire e ravvivare il suo proprio essere.

Si tratta invece di processi di distruzione.

 

Che sia così lo vediamo semplicemente dal fatto che l’uomo, durante il sonno, non ha coscienza alcuna. E perché? Semplicemente non sviluppa alcuna coscienza per la ragione che egli non deve essere testimonio di quello che avviene di lui durante il sonno. Durante il sonno, infatti, vengono ricostituite le forze logorate nella vita diurna. L’uomo non deve vedere durante il sonno la ricostruzione delle sue forze logorate. Tutto questo processo, opposto a quello di veglia, viene per così dire nascosto alla coscienza umana.

 

La Bibbia ha una notevole e profonda espressione per questo fatto. È questo uno di quei detti della Bibbia che vengono compresi molto poco, come lo sono tutte le basi occulte dei documenti religiosi. A proposito della vita nel paradiso terrestre, viene detto che lo spirito divino decise che l’uomo non dovesse conseguire anche conoscenza delle forze della vita dopo essersi appropriato di diverse facoltà, per esempio della facoltà di giudizio del bene e del male.

Questo è il passo nel quale la Bibbia fa rilevare che l’uomo non deve vedere la rivivificazione del suo essere durante il sonno, che in generale non deve vedere la rivivificazione del suo essere durante la sua vita fisica terrena. Non deve esserne testimonio.

 

Quando l’uomo è sveglio,

tutto il processo vitale è in sostanza un processo di distruzione, un processo di logoramento.

Allora nell’uomo nulla viene in realtà prodotto.

 

Quando ancora vi è propriamente una vivificazione, un accrescimento, vale a dire nella prima infanzia, allora anche la coscienza è ancora ottusa, e l’intero processo di costruzione viene in seguito nascosto all’uomo, in quanto egli non risale con la memoria ai tempi della sua prima infanzia.

 

Possiamo cioè dire che per la vita cosciente sulla terra rimangono occultati all’uomo

quelli che si possono chiamare processi di vita e di costruzione.

• Quelli che riempiono la coscienza dell’uomo sono processi di percezione e di conoscenza, ma non processi di vita.

• Ora, questo cambia nella vita tra la morte e la nuova nascita.

• Tutta la vita tra morte e nuova nascita ha appunto lo scopo di far confluire nell’entità umana

le forze che possono servire alla costruzione della prossima vita,

quasi per convogliare tali forze nell’entità umana succhiandole da tutto il mondo stellare.

 

In questo processo, però, non è come sulla terra dove, per così dire, non ci si conosce per nulla come uomini. Sulla terra infatti non ci si conosce. Che sa l’uomo dei processi che si verificano nel suo organismo? Nulla egli ne sa per immediata conoscenza; e ciò che si è conquistato grazie all’anatomia, alla biologia e ad altre scienze non è una vera conoscenza dell’entità umana, ma qualcosa di diversissimo. Invece nella vita tra morte e nuova nascita l’uomo guarda come le forze del mondo stellare agiscono su di lui, sulla sua entità, come esse lo ricostituiscono a poco a poco.

 

Da questo potete dedurre come, fra morte e nuova nascita, la facoltà di percepire sia diversa da quella esistente qui sulla terra. Qui l’uomo si trova in un punto della terra, dirige i suoi sensi verso l’esterno, e allora lo sguardo o l’udito si dirigono lontano. Egli vede cioè negli spazi dal punto centrale nel quale si trova. Proprio il contrario avviene nella vita dopo la morte. Allora l’uomo si sente come se fosse esteso con tutto il suo essere; quello che vede è proprio il punto centrale. Egli guarda verso un punto.

 

Per l’uomo fra la morte e la nuova nascita giunge il momento in cui egli descrive un cerchio che passa attraverso tutto lo zodiaco. Egli allora guarda da ogni punto dello zodiaco, vale a dire dai diversi punti di vista, verso la sua propria entità, e sente come se prendesse dalle singole parti dello zodiaco le forze che egli riversa sulla sua entità affinché essa abbia ciò di cui abbisogna per la prossima incarnazione. Si guarda cioè da una periferia ad un punto centrale.

 

Avviene come se qui sulla terra ci si potesse sdoppiare, si potesse uscire da noi stessi, ci si ponesse nel centro e si girasse intorno per assorbire continuamente le forze del cosmo, il ravvivante soma; questo peraltro, poiché assume un carattere diverso a seconda dei diversi punti, si riversa anche in modo differente nell’entità che abbiamo lasciato nel centro. Così accade in realtà, trasposto nello spirituale, nella vita tra morte e nuova nascita.

 

Se vogliamo metterci davanti agli occhi la differenza esistente fra uno stato che in realtà è abbastanza simile all’esperienza fra la morte e la nuova nascita, e cioè fra lo stato di sonno e appunto la vita fra morte e nuova nascita, possiamo propriamente e facilmente caratterizzare tale differenza, anche se chi non è abituato a simili rappresentazioni non possa figurarsene un gran che. La si può comunque caratterizzare semplicemente nel modo seguente.

 

Quando l’uomo dorme nel corso della sua esistenza terrena, quando cioè ha abbandonato il suo corpo fisico e il corpo eterico, e vive nel suo io e nel corpo astrale, che a loro volta sono nel mondo stellare, egli è allora fuori, in tutta la sfera stellare. Avviene in realtà che obiettivamente il nostro stato, nel sonno, è molto più simile allo stato fra morte e nuova nascita di quanto in genere non si creda.

Obiettivamente entrambi questi stati sono molto simili fra di loro. Essi sono soltanto diversi per il fatto che, nella vita normale, l’uomo nel sonno non ha coscienza alcuna del mondo in cui si trova durante il sonno, mentre fra la morte e la nuova nascita egli è cosciente, sa cioè quello che avviene di lui. Questa è la differenza essenziale.

 

Se l’uomo semplicemente si svegliasse nel suo io e nel suo corpo astrale, quando questi sono nel sonno al di fuori del corpo fisico e del corpo eterico, egli sarebbe nel medesimo stadio nel quale si trova fra la morte e la nuova nascita. La differenza è davvero soltanto uno stato di coscienza. Per le ragioni già indicate questa circostanza è importantissima. È importante perché, fino a che si trova sulla terra e quindi anche durante il sonno, l’uomo è legato al suo corpo fisico; nello stato di sonno egli non è libero dal corpo fisico.

Se ne libera quando il corpo fisico passa ad uno stato senza vita, quando subisce una trasformazione; il che avviene quando l’uomo attraversa la porta della morte. Fino a quando il corpo fisico è atto alla vita, si conserva un legame fra il vero e proprio uomo spirituale, io e corpo astrale, ed i corpi fisico ed eterico.

 

Di solito però ci si immagina lo stato del sonno in modo troppo semplice. Questo è senz’altro comprensibile perché, data la complessità delle cose che si verificano nell’istante dell’ingresso nei mondi superiori, si possono per così dire caratterizzare le cose sempre soltanto da un certo aspetto. Si raggiunge soltanto una caratterizzazione completa delle vere relazioni se con pazienza, a poco a poco, si procede nella scienza dello spirito e si imparano a conoscere le cose da tutti i lati.

 

Si caratterizza a buon diritto lo stato di sonno dell’uomo dicendo che nel letto rimangono coricati il corpo fisico e il corpo eterico; se ne allontanano e si uniscono alle forze stellari quelli che noi denominiamo io e corpo astrale. Ora però questa caratterizzazione, per quanto esatta essa sia da un certo lato, è appunto esposta soltanto unilateralmente. Ci si può quasi fare un’idea di come questa caratterizzazione sia esposta soltanto unilateralmente, considerando il sonno di un uomo dal punto di vista della scienza dello spirito, se per così dire il sonno avviene in un tempo, più o meno normale.

 

In verità, considerato obiettivamente, un sonnellino pomeridiano è cosa del tutto diversa di un normale sonno notturno. Ciò che ora ho detto non va considerato tanto per lo stato di salute dell’uomo o per altre cose riguardanti l’uomo stesso, ma piuttosto per tutto il suo rapporto verso il mondo. Di conseguenza non considereremo un sonnellino pomeridiano, ma un sonno che coglie l’uomo press’a poco alla mezzanotte, vale a dire il sonno di una persona sana attorno alla mezzanotte. Vogliamo cioè esaminare questo stato di sonno, considerato dal punto di vista della coscienza chiaroveggente.

 

Possiamo dire che, quando ci troviamo nello stato di veglia diurno, nell’essere umano le quattro parti costitutive della natura umana: corpo fìsico, corpo eterico, corpo astrale ed io, sono in una certa connessione regolata. Cogliamo bene come si estrinseca il giusto collegamento fra le quattro parti costitutive della natura umana, se disegniamo quella che la coscienza chiaroveggente vede come la cosiddetta aura dell’uomo. Naturalmente quello che posso ora disegnare è soltanto abbozzato.

 

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Se cioè consideriamo l’abituale stato di veglia dell’uomo, noi dobbiamo disegnare press’a poco nel modo seguente la figura dell’aura dell’uomo: il corpo fisico è indicato dalla linea più forte; il corpo eterico è compreso entro la linea punteggiata; il corpo astrale è rappresentato dal tratteggio traversale più fitto; e l’aura dell‘io sarebbe press’a poco da disegnare in modo da compenetrare tutto l’uomo, ma io la disegno in forma di raggi che lo avvolgono verso l’alto e verso il basso, senza veri e propri limiti.

 

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Accanto disegno ora la diversità nella connessione dell’aura durante lo stato di sonno di un uomo che stia dormendo, press’a poco intorno alla mezzanotte, e più precisamente l’immagine della sua aura: il corpo fisico e il corpo eterico sono come nel primo disegno; il tratteggio scuro sarebbe il corpo astrale, la cui continuazione indeterminata verso il basso si alzerebbe, rimanendo pur sempre in posizione verticale.

Avrei poi da disegnare l’aura dell’io a forma di raggi e nel modo che qui si vede. Nella regione del collo l’aura dell’io rimane interrotta e ricomincia di nuovo nella regione della testa, ma in modo da essere indirizzata verso l’esterno, sempre in forma di raggi, e da andare nell’indeterminato verso l’alto, quando l’uomo si trovi in posizione orizzontale; indirizzata però verso l’alto, dalla testa verso l’alto. In sostanza l’aspetto dell’aura dell’uomo addormentato sarebbe tale che il corpo astrale appare essenzialmente condensato e scuro (nel disegno il tratteggio fitto e scuro), mentre nelle parti superiori è più tenue che non durante il giorno. Nella regione del collo l’aura dell’io è interrotta, in basso è a forma di raggi, e si disperde nell’indeterminato.

 

• L’essenziale è che nello stato di sonno

quella che si può denominare immagine dell’aura dell’io si divide effettivamente in due parti.

 

Durante lo stato di veglia l’aura dell’io risulta unita in una forma ovale,

mentre durante lo stato di sonno si divide nel mezzo e nel sonno consiste appunto di due parti,

delle quali una, a seguito di una specie di pesantezza, si rivolge verso il basso e verso il basso si dilata;

non si ha quindi a che fare con un’aura dell’io che si chiude in sé, ma con un’aura che si allarga verso il basso.

 

Questa parte dell’aura dell’io, in relazione al suo aspetto, risulta alla coscienza chiaroveggente come una parte essenzialmente molto scura, provvista di filamenti scuri e colorata con sfumature scure, per esempio in rosso scuro. La parte che si distacca verso l’alto si comporta in modo da scorrere sottile dalla regione della testa per allargarsi poi nell’indeterminato; per così dire si allarga in alto nel mondo stellare.

L’aura astrale non si divide in modo uguale nel mezzo; non si può quindi parlare di una sua vera divisione, mentre l’aura dell’io viene suddivisa almeno all’aspetto.

 

Anche nell’aspetto occulto abbiamo così una specie di espressione visiva del fatto che l’uomo si spinge nello spazio cosmico, con le forze dell’io che lo compenetrano durante lo stato di veglia diurna, al fine di avere contatto col mondo stellare, di succhiare forze dal mondo stellare.

Ora la parte dell’aura dell’io, che si strozza verso il basso e che diventa scura, appare più o meno opaca, mentre la parte che va verso l’alto è luminosa, brillante e raggia in chiara luce; la prima è del pari quella che è maggiormente esposta all’influsso delle potenze arimaniche.

 

La parte adiacente dell’aura astrale è invece maggiormente esposta alle forze luciferiche. Possiamo quindi dire: il fatto caratteristico, che da un certo punto di vista giustamente esiste, e cioè che l’io e il corpo astrale abbandonano l’uomo, è assolutamente esatto per le parti superiori dell’aura dell’io e dell’astrale; non è invece propriamente giusto per le parti dell’aura dell’io e dell’astrale che più corrispondono alle partì inferiori della figura umana, specialmente alla parte inferiore del tronco. Per queste parti si verifica invece che durante il sonno l’aura dell’io e del corpo astrale sono più inserite, più legate con il corpo fisico e il corpo eterico di quanto non avvenga nello stato di veglia, che esse, verso il basso, sono più dense, più compatte. Infatti si vede anche come, nel risvegliarsi, la parte di aura che ho disegnato così marcata esca di nuovo dalla parte inferiore dell’entità umana. Proprio come nell’addormentarsi esce la parte superiore, così nel risvegliarsi esce in certo senso la parte inferiore dell’aura dell’io e dell’astrale; rimane dentro soltanto una specie di pezzetto di entrambe queste aure, come ho disegnato nella prima figura.

 

Ora è appunto così straordinariamente importante sapere che, attraverso l’evoluzione della nostra terra, attraverso tutte le forze che vi hanno contribuito e che potete conoscere dalla mia Scienza occulta, è stato disposto affinché l’uomo non partecipi a questo attivo lavoro della nostra aura, vale a dire che non vi partecipi come testimonio. Infatti, da queste parti dell’aura inferiore dell’io e dell’aura inferiore del corpo astrale vengono sollecitate le forze vivificanti di cui l’uomo ha bisogno per poter migliorare di nuovo ciò che viene logorato durante lo stato di veglia. Le forze di ricostruzione devono muovere da queste parti dell’aura. Che esse agiscano verso l’alto e ricostruiscano tutto l’uomo, dipende dal fatto che la parte dell’aura, uscente verso l’alto, sviluppa forze di attrazione che essa assorbe dal mondo stellare; in tal modo essa può attrarre le forze che vengono dal basso, per agire sull’uomo, rigenerandolo. Questo è il processo obiettivo.

 

La comprensione per questi fatti ci dà in certo qual modo anche la migliore comprensione per determinate comunicazioni che l’uomo riceve, se egli segue i diversi documenti occulti o basati sull’occultismo. Avete sempre udito (e come appunto dicevo è una caratteristica senz’altro giustificata da un certo punto di vista) che il sonno consiste nel fatto che l’uomo lasci a giacere nel letto il suo corpo fisico e il suo corpo eterico, e che ne esca col suo corpo astrale e con l’io; cosa che in un certo senso è senz’altro esatta per le parti superiori dell’aura dell’io e del corpo astrale, e specialmente per l’aura dell’io. Se però studiate delle opere orientali, non trovate questa caratteristica, ma proprio quella contraria. Vi trovate detto che durante lo stato di sonno ciò che d’abitudine vive nella coscienza umana si ritrae più profondamente nel corpo. Vi trovate cioè la caratteristica opposta del sonno. Proprio in certe opere vedanta potete trovare il fatto descritto in modo che ciò di cui noi diciamo che esce dal corpo fisico e dal corpo eterico, durante il sonno si immerge più profondamente nella corporeità fisica ed eterica, che ciò che d’abitudine determina la vista si ritira nelle più profonde parti dell’occhio, e così il vedere non può più verificarsi. Perché questo fenomeno viene caratterizzato così nelle opere dell’oriente? Avviene così perché l’orientale vede le cose proprio da un altro punto di vista.

 

Attraverso il suo tipo di chiaroveggenza egli vede di più quello che avviene nell’interiorità dell’uomo, quello che si verifica nella sua interiorità. Bada meno al processo dell’uscita dell’aura superiore, e più al fatto di venire compenetrato durante il sonno dall’aura inferiore. Di conseguenza, dal suo punto di vista, egli ha naturalmente ragione.

Si può dire che i processi che hanno luogo nell’uomo nel corso della sua evoluzione sono molto complicati, e che all’uomo stesso sarà sempre maggiormente possibile, nel corso dell’evoluzione, di aver per così dire presente tutto il complesso di quei processi. Ma l’evoluzione consiste nel fatto che gli uomini, nelle loro concezioni, ne imparino a conoscere a poco a poco singole parti. Si ebbero così le singole comunicazioni che vennero fatte nel corso delle diverse epoche. Anche se in apparenza non suonano uguali, non per questo esse sono false; si riferiscono piuttosto a qualcosa di unilaterale che pure sempre si verifica. Comunque tutto il processo dell’evoluzione risulta chiaro soltanto quando si afferri tutto il fenomeno. Questo è l’importante.

 

Siamo ora arrivati al punto in cui potremo comprendere benissimo una certa parte dell’evoluzione. Si ha veramente una notevolissima differenza in tutto l’atteggiamento animico, in tutta l’atmosfera animica dell’uomo, se noi consideriamo l’evoluzione animica umana, per esempio nelle incarnazioni che ebbero luogo nel periodo egizio-caldaico, poi ancora nel periodo greco-romano, ed infine nel nostro tempo.

Già esteriormente possiamo benissimo seguire quello che l’anima sperimenta. Io credo che anche qui, in questa cerchia di persone colte, ve ne è un gran numero che, di fronte ad un cielo punteggiato di stelle, oggi non riconosce esattamente dove siano le singole costellazioni e come esse modifichino le loro posizioni durante la notte. In generale possiamo dire che diventano sempre più rare le persone che conoscono ancora bene il cielo stellato. Vi sarà perfino della gente, per esempio gli abitanti delle città, alla quale si potrebbe chiedere inutilmente se ora la luna è in fase crescente o decrescente. Questo non deve essere un rimprovero, fa parte dell’evoluzione naturale.

 

Ma ciò che ora ha valore per l’anima, sarebbe stato assolutamente impossibile nell’epoca egizio-caldaica, specialmente nei tempi più antichi di quell’epoca. Allora gli uomini conoscevano veramente il cielo. Gli uomini del presente hanno invece un altro vantaggio in confronto a quelli dell’epoca egizio-caldaica nel pensare logico; il modo in cui oggi gli uomini potrebbero usare il pensare, quando se ne dessero la pena, gli uomini dell’epoca egizio-caldaica neppure se lo sognavano. Durante il giorno essi vivevano, e facevano piuttosto istintivamente quello di cui avevano bisogno per le loro necessità giornaliere. Sbaglierebbe completamente chi pensasse che allora una costruzione o una conduttura d’acqua venissero eseguite facendo prima riunire degli ingegneri in un ufficio per progettare tutto il lavoro con i mezzi oggi usati per fare progetti o cose simili. Allora gli ingegneri facevano altrettanto poco in quel modo, come oggi il castoro traccia il progetto della sua costruzione, che egli esegue del tutto a regola d’arte.

 

Non vi era dunque un pensare così logico e scientifico quale noi oggi abbiamo, ma quello che gli uomini eseguivano nello stato di veglia veniva fatto istintivamente.

Avevano ciò che sapevano, e ci è ben noto che si è conservato un grande, poderoso sapere dall’epoca egizio-caldaica, conseguito però in tutt’altro modo dall’attuale. Essi conoscevano il cielo stellato, il cielo notturno; conoscevano il cielo, ma non avevano una astronomia quale noi oggi abbiamo. Si abbandonavano al cielo stellato, avevano le immagini susseguentisi nei diversi momenti della notte, e su di loro non agiva soltanto quello che lasciava un’impronta sui sensi, non soltanto l’immagine sensoria, ma su di loro agiva il complesso delle forze astrali che sono diffuse nello spazio. Ed essi vivevano con quelle forze.

 

Così per loro, ad esempio, era un’esperienza il cammino dell’Orsa maggiore, di quelle sette stelle; era un’esperienza che durava anche quando si addormentavano, perché essi erano ricettivi, sensibili per ciò che si muoveva spiritualmente con l’Orsa maggiore per le vie del cielo. Essi accoglievano tutto ciò. Con la percezione dei sensi essi accoglievano ciò che vi è di spirituale nello spazio cosmico. Nella loro coscienza penetrava ancora qualcosa di quello che la coscienza attuale è del tutto inadatta ad accogliere, perché oggi l’uomo accoglie soltanto l’immagine sensoria del cielo stellato. E poiché è molto intelligente, egli prende ora la carta del cielo, dove sono segnate tutte le costellazioni e dice: « Prima gli uomini segnavano qui dei simboli, indicavano le stelle in questo modo; ma ora l’uomo è progredito al punto da vedere la realtà come essa è ». L’uomo del presente non sa però che gli antichi vedevano anche quello che disegnavano; che erano forme reali quelle che essi tracciavano in base all’immediata visione che loro si offriva. Uno poteva disegnare meglio, un altro peggio, ma entrambi ritraevano comunque la realtà, la vedevano.

 

Essi non vedevano però come si vede nella vita dei sensi, ma per esempio, quando sperimentavano l’Orsa maggiore che si sposta nel cielo notturno, vedevano le stelle fisiche soltanto inserite in una poderosa entità spirituale che essi veramente percepivano. E non era che a quel posto essi vedessero un animale vagante nel cielo, come si vede un animale fìsico sulla terra (perché questa sarebbe un’idea puerile), ma l’esperienza del muoversi di quelle sette stelle era intimamente legata con la loro natura. La gente sentiva come le stelle agissero sui loro corpi astrali, suscitandovi delle modificazioni.

Potete farvi un’idea di come potesse essere quell’esperienza, se immaginate che qui vi sia una rosa, che però voi non guardate, ma soltanto afferrate; per il fatto di afferrarla, voi sperimentate in verità sempre il vostro contatto con la rosa. Non guardereste cioè la rosa, ma ne sperimentereste il contatto soltanto afferrandola e facendovi così una rappresentazione della rosa. Così quegli uomini « toccavano » in realtà con il loro corpo astrale ciò che essi potevano sperimentare in relazione all’Orsa maggiore; « sentivano » cioè l’astralità, e sperimentavano così il loro contatto con essa. Tale contatto suscitava in loro stessi delle modificazioni che ancor oggi vengono sempre suscitate, ma che non sono più percepite.

 

In un certo senso l’evoluzione della nostra epoca moderna e scientifica, della nostra epoca razionalistica, consiste nel fatto che è cessata l’immediata esperienza dei processi spirituali, e che è rimasto il mondo dei sensi con l’intelletto legato al cervello.

Corrisponde così alla verità immediatamente sperimentata il fatto che nell’epoca egizio-caldaica si parla di entità spirituali nello spazio e si disegnano anche tali entità, segnando le stelle fisiche, quali punti di appoggio. Nell’epoca egizio-caldaica esisteva così una percezione degli uomini che era molto più simile alla vita fra morte e nuova nascita di quanto la nostra odierna vita fisica sia simile appunto alla vita fra morte e nuova nascita. Se infatti si percepisce effettivamente come il corpo astrale e l’io sperimentano gli avvenimenti del cielo, allora si sa pure quanto segue: « Come tu vivi là col cielo stellato, così vivi al di fuori del tuo corpo fisico e del tuo corpo eterico; né esiste la minima ragione per credere che tu non viva allo stesso modo col cielo stellato, una volta che i corpi fisico ed eterico non siano più con te ».

 

Vi era cioè un’immediata conoscenza dello sperimentare i processi stellari nella vita fra morte e nuova nascita. Chi viveva nell’epoca egizio-caldaica avrebbe per esempio trovato ridicolo che qualcuno gli volesse dimostrare l’immortalità dell’anima, perché gli avrebbe detto che non occorreva dimostrarla. Né avrebbe capito, nel senso nostro, che cosa è una dimostrazione perché non esisteva il pensare logico. Ma se avesse imparato in una scuola occulta che cosa in avvenire sarebbe stato considerata una dimostrazione, l’uomo di allora avrebbe asserito che non occorreva dimostrare l’immortalità dell’anima, perché quando si sperimenta il cielo stellato notturno, si sperimenta ciò che è indipendente dalla corporeità. Per lui l’immortalità era quindi un’esperienza immediata; quegli uomini sapevano molte cose che noi oggi descriviamo a proposito della percezione indipendente dal corpo. Le sapevano in modo immediato.

 

Se infatti supponiamo di guardare da quei lontani mondi stellari ai nostri pianeti, per quegli uomini Saturno era per esempio qualcosa che essi percepivano spiritualmente. Vale a dire, essi percepivano quello che del mondo spirituale era legato a Saturno. Percepivano cioè realmente quello che dell’uomo vive su Saturno fra morte e nuova nascita, e ciò vale specialmente per i più antichi tempi dell’epoca egizio-caldaica.

Ad un uomo di allora sarebbe apparso molto strano se gli avessimo detto che si sarebbe aspirato ad avere una « corrispondenza » con Marte, quale oggi in vari modi si pensa; per la sua coscienza infatti, esisteva senz’altro un legame con quei mondi. Se però si conosce e si vuol seguire Saturno o Marte, o un qualsiasi altro pianeta, quale oggi si manifesta entro il nostro sistema planetario, allora ciò può condurci anche alla conoscenza di quegli stati planetari, precedenti la Terra, che per esempio nella Scienza occulta sono descritti come stati di Saturno, Sole e Luna. Ciò è stato dunque sperimentato allora. Non sarebbe stato necessario tenerne delle conferenze; allora lo si sarebbe semplicemente dovuto portare alla coscienza degli uomini in modo da condurre la gente, che non poteva più percepirlo immediatamente, in uno stato nel quale lo potesse percepire. Diversamente non sarebbe stato possibile.

 

Già nell’epoca greco-latina la situazione era diversa. Allora la sensibilità degli uomini, per tutto ciò che ora ho raccontato, era già andata perduta, e ne era rimasto soltanto il ricordo. Nell’epoca greco-latina, cioè, nei popoli che determinavano la civiltà, per esempio in quelli del meridione europeo, non esisteva più nella stessa misura la possibilità di vedere le entità spirituali del cielo stellato; ne esisteva però il ricordo.

 

Di conseguenza un’anima che fosse nata nel seno della civiltà greca o latina non avrebbe più avuto la possibilità di guardare nel mondo stellare per scorgervi l’elemento spirituale; non si vedevano più nella stessa misura, come nell’epoca egizio-caldaica, gli esseri spirituali che facevano parte dei mondi spirituali. Ma come oggi l’uomo si ricorda di quanto ha sperimentato ieri, così le anime ricordavano quello che avevano sperimentato in precedenti incarnazioni in merito all’universo. Negli uomini raggiava qualcosa di cui essi sapevano che viveva nelle loro anime. Platone ne parla come di un ricordo. Gli altri uomini però non lo indicavano nemmeno come ricordo. In questo consiste appunto il progresso nell’evoluzione, che cioè questa percezione immediata venne smorzata, mentre in compenso, durante l’epoca greco-latina, si andava formando il giudizio, il mondo dei concetti che sorse allora per la prima volta. L’altra facoltà doveva invece retrocedere, poteva vivere soltanto nel ricordo. Lo si può vedere nel modo più bello in Aristotele, vissuto nel secolo IV a.C., appunto il fondatore della logica, dell’arte del giudizio; egli stesso non poteva percepire più nulla di ciò che di spirituale vi è nei mondi stellari, e nei suoi scritti egli ridà tutte le antiche teorie, ma non parla di qualcosa che oggi conosciamo come corpi celesti fisici, bensì parla di « spiriti delle sfere », di entità spirituali.

 

Una gran parte degli scritti di Aristotele è così dedicata all’enumerazione dei singoli spiriti planetari, degli spiriti delle stelle fisse e così via, fino al dio cosmico unico. In Aristotele gli spiriti delle sfere hanno ancora una grande parte.

Ma anche il ricordo, esistente nell’epoca greco-latina, delle entità spirituali del mondo andò a poco a poco perduto per l’umanità; ed è interessante vedere come, per così dire, l’antica conoscenza vada perduta pezzo per pezzo mentre si va verso l’epoca moderna. Le nature più dotate spiritualmente traevano ancor sempre dai loro ricordi la coscienza che entità spirituali fossero legate con tutti i corpi celesti fisicamente disseminati nello spazio, così come oggi è di nuovo sostenuto nella scienza antroposofica. A questo proposito si trova così ancora molto in Keplero, direi quasi esposto in modo grandioso per il suo tempo. Più andiamo incontro ai tempi moderni, più sparisce anche questa possibilità, di avere cioè ancora il ricordo di quello che l’anima sperimentava nell’epoca egizio-caldaica in presenza del cielo stellato.

 

Sparisce anche il ricordo, ancora esistente nell’epoca greco-latina, e sempre più si approssima il tempo del copernicanesimo, nel quale si vedono soltanto le sfere cosmiche fisiche, correnti nello spazio. Come ho detto, solo a volte balugina ancora, in qualche spirito moderno, mentre qualcosa avviene nella coscienza, balugina ancora la possibilità di seguire qualcosa delle connessioni spirituali, dei processi spirituali, traendolo dalla disposizione del mondo stellare, come quando per esempio Keplero si impegnò a calcolare dal mondo delle stelle, ancora in modo autonomo, il periodo della nascita di Gesù di Nazareth. Era questo un calcolo che in Keplero ancora proveniva dall’essere compenetrato di spirito; allo stesso modo come per Keplero fu anche chiaro che da una determinata disposizione di stelle nell’anno 1604 derivò di nuovo il sommergersi degli antichi ricordi. Più ci avviciniamo all’epoca moderna, più l’umanità è rivolta alle facoltà esterne dei sensi e all’intelletto legato al cervello, perché in strati profondi della coscienza si era sommerso quello che le anime avevano sperimentato nell’epoca precedente.

 

In tutte le vostre anime esisteva un tempo quello che le anime avevano sperimentato quando erano in grado di percepire negli spazi cosmici quella vita spirituale vivente. Ciò è dappertutto inserito nelle profondità delle vostre anime. Ma oggi non esiste la possibilità di guidare le anime durante la notte e indirizzare il loro sguardo per esempio all’Orsa maggiore, ed anche di rendere visibili le forze che provengono dall’Orsa maggiore e che sono dunque forze spirituali. Questo non è possibile, così, in modo immediato, perché le forze di veggenza, le forze di percezione, dimorano nel più profondo dell’anima.

 

Nello stato di sonno notturno l’uomo sperimenta quelle forze con la parte dell’aura che esce verso l’alto, ma non è presente con la coscienza. Per le anime del presente è quindi giusto tirar fuori in modo scientifico le impressioni dimenticate dei tempi antichi. E come avviene questo tirar fuori? Proprio come noi facciamo nell’antroposofia! Nulla di nuovo si apporta alle anime, ma si tira fuori ciò che le anime stesse avevano sperimentato in tempi precedenti, ciò che nell’epoca greco-latina esse più non potevano percepire pur non avendolo del tutto dimenticato, ciò che ora è invece completamente dimenticato, ma che può di nuovo venir appunto tirato fuori.

 

In tal senso l’antroposofia non è altro

che lo stimolo a tirar fuori le forze di conoscenza 

giacenti nelle profondità delle anime.

 

Tutti gli uomini che hanno partecipato all’evoluzione fino alla civiltà occidentale, nelle profondità della loro anima hanno le rappresentazioni che devono venir sollecitate mediante l’antroposofia; d’altra parte i metodi antroposofici sono dei mezzi di sollecitazione per estrarre queste rappresentazioni che riposano nelle profondità dell’anima.

Ora vogliamo mettere in evidenza la differenza esistente fra due modi di comportarsi verso il mondo: quello di una anima umana incarnata nell’epoca greco-latina, e quello di un’anima che sia incarnata oggi.

 

Abbiamo visto che nell’epoca greco-latina, anche nella vita terrena, l’anima aveva un certo rapporto, una possibilità di percezione, per quello che allora essa sperimentava tra morte e nuova nascita. Allora ciò non era ancora penetrato in strati così profondi dell’anima, e quindi la diversità fra la coscienza sulla terra e quella fra la morte e una nuova nascita, in quegli antichi tempi, non era così grande come essa è oggi. Però, poiché i Greci potevano ancora soltanto ricordarsi di quanto avevano sperimentato, la differenza era già grandissima. Oggi la cosa è andata talmente avanti che tra morte e nuova nascita l’uomo può sviluppare una coscienza grazie ad un atteggiamento animico morale, un atteggiamento religioso, ma soltanto fino a tutta la sfera di Venere.

Quando però egli giunge nella sfera del Sole, e soprattutto quando arriva al di là della sfera del Sole, allora gli manca la possibilità di risvegliare la sua coscienza se qui sulla terra non ha fatto in modo da portare nella sua coscienza di veglia le rappresentazioni giacenti nelle profondità dell’anima.

 

Qui nella vita terrena l’antroposofia sembra una teoria,

sembra una concezione del mondo che si studia perché interessa.

Dopo la morte essa è una fiaccola che, fra morte e nuova nascita,

illumina al singolo il mondo spirituale da un certo momento in avanti.

 

Se la si sdegna qui nel mondo, manca poi quella fiaccola

e interviene allora, fra morte e nuova nascita, un ottenebramento della coscienza.

Occuparsi di scienza dello spirito non è soltanto qualcosa di teorico, ma qualcosa di vivente.

La scienza dello spirito è una fiaccola di vita.

 

Il contenuto dell’insegnamento spirituale è rappresentato qui da concetti ed idee;

dopo la morte essi sono forze viventi. Ma questo vale proprio solo per la nostra coscienza.

 

Da quello che ho detto all’inizio della conferenza di oggi vi sarà infatti chiaro che, già nella vita terrena, le idee spirituali che noi accogliamo sono forze vivificanti. Soltanto che l’uomo non è testimonio delle forze vivificanti perché gli rimane chiusa la conoscenza delle potenze vivificanti. Dopo la morte egli invece le guarda, ne è testimone. Sulla terra l’antroposofia è per così dire una specie di teoria e, per la coscienza dello stato di veglia, si sottrae all’uomo ciò che spiritualmente vivifica e che però esiste obiettivamente.

Dopo la morte l’uomo è diretto testimone di come le forze, che egli accoglie attraverso gli insegnamenti spirituali durante la vita sulla terra, agiscano effettivamente organizzando, vivificando, rafforzando nella sua entità ciò che poi potrà esservi quando egli si accingerà di nuovo a scendere sulla terra in una nuova incarnazione.

 

Così viene accolto dall’evoluzione dell’umanità l’insegnamento spirituale. Ora è sufficiente che pochi lo accettino, ma un numero sempre maggiore di persone dovranno accoglierlo in avvenire; se però questo insegnamento spirituale non venisse accolto, a poco a poco gli uomini non avrebbero le necessarie forze vivificanti di cui poi avranno bisogno quando ritorneranno ad una nuova incarnazione terrena. Nella prossima incarnazione si verificherebbe una decadenza, un’atrofia. Gli uomini appassirebbero presto, avrebbero rughe precoci, e così via. Si verificherebbe una decadenza, un appassire dell’umanità fisica, se non venissero accolte le forze spirituali.

 

Infatti le forze che gli uomini un tempo accoglievano dal mondo stellare

devono esser di nuovo estratte dalle profondità delle anime ed impiegate per l’evoluzione di tutta la umanità.

 

Se vedete ciò, potrete venir giustamente compenetrati dal pensiero di come abbia un’enorme importanza l’essere sulla terra. Doveva infatti avvenire che, in un certo senso, l’uomo interiorizzasse talmente il suo legame con i mondi stellari che la medesima forza, che egli altrimenti sempre aveva succhiato dai mondi stellari, divenisse intima forza della sua anima e scaturisse di nuovo dalla sua anima. Questo può però avvenire soltanto sulla terra.

 

Si potrebbe dire:

il succo del soma pioveva nei tempi antichissimi dagli spazi celesti nelle singole anime,

quivi esso si conservò e ora deve di nuovo sgorgare dalle singole anime.

 

In questo modo riceviamo di nuovo, in una maniera specialissima,

una rappresentazione della missione terrestre;

e dopo aver introdotto oggi questa idea,

considereremo con ancora maggior precisione la vita fra la morte e la successiva nascita.