Nel fare filosofia, deve essere impegnato l’uomo intero

O.O. 215 – Filosofia, Cosmologia e Religione – 06-09.1922


 

Nei tempi più antichi dell’umanità

la filosofia era la conoscenza universale che illuminava ogni singolo campo dell’esistenza.

• Non era una scienza particolare; era la scienza universale,

e tutte le altre scienze che noi coltiviamo oggi

derivano in fondo dalla sostanza della filosofia, quale esisteva ancora nella Grecia antica.

 

A fianco di quella, in tempi più recenti è nata una filosofia particolare, a sé, che si esplica in una certa somma di idee. Il curioso è che questa filosofia, che in fondo ha dato origine a tutte le scienze particolari, adesso è costretta a giustificare la propria esistenza nei confronti delle altre scienze. Queste ultime, pur scaturite in origine dalla filosofia, si occupano dei diversi domìni dell’esistenza riconosciuti come realtà: e ciascuno di questi campi esiste per i sensi, o per l’osservazione o per l’esperimento.

 

È innegabilmente giustificato l’occuparsi in modo scientifico della conoscenza dei diversi campi. Sebbene essi siano tutti scaturiti dalla filosofia, quest’ultima è oggi costretta a giustificare la propria esistenza, a dire per quali ragioni sostiene certe idee, e discutere se tali idee non siano per caso del tutto irreali, nate soltanto da elucubrazioni umane.

 

Quanto lavoro mentale viene dedicato alla giustificazione delle idee (del resto quanto mai astratte) che oggi costituiscono il contenuto della filosofia, per conferir loro in certo senso una considerazione agli occhi del mondo! Da quelle idee, nel passato, sono nate le scienze: e queste sono, si potrebbe dire, bene accreditate nei loro rispettivi campi di attività.

 

La filosofia invece oggi non è accreditata:

essa è costretta a giustificare la propria esistenza.

• Ciò sarebbe stato impensabile nella Grecia antica;

l’uomo che allora giungeva anche solo fino alla filosofia

ne sentiva la realtà, come qualsiasi persona sana sente la realtà del respirare.

 

Chi oggi fa della filosofia cercando di coglierne il carattere, sente l’astrazione, la freddezza, la scarsa vitalità delle idee che vi si sviluppano. Egli sente che in quel suo campo non si trova ben saldo entro la realtà.

Si vorrebbe dire: solo chi lavora in un laboratorio chimico o fisico, o in una clinica ha veramente qualcosa fra le mani. Chi oggi pensa ed espone idee filosofiche, si sente spesso lontano le mille miglia dalla realtà.

A questo si aggiunge qualcosa d’altro.

 

Il nome «filosofia» non indica solo una conoscenza teorica;

ben a ragione esso significa l’amore per la saggezza.

Ora, l’amore è qualcosa che non ha le sue radici solo nell’intelletto o nella ragione, ma nell’intero animo umano.

La filosofia ha ricevuto il suo nome da un’esperienza profonda dell’anima intera, dall’esperienza di un amore.

Nel fare filosofia, deve essere impegnato l’uomo intero:

e in fondo non è possibile amare, nel vero senso della parola, ciò che è soltanto teorico, arido e freddo.

 

Se la filosofia è amore della saggezza, ciò presuppone in coloro che l’hanno coltivata in questo modo la certezza che questa «sofia», questa saggezza sia pure qualcosa di degno d’amore, qualcosa di reale, di sostanziale, la cui esistenza non ha bisogno di venir dimostrata.

Pensiamo infatti quanto sarebbe assurda l’idea che, per amare qualcuno, occorresse prima dimostrarne l’esistenza! Questa è però la condizione in cui si trova oggi la filosofia. Essa era stata per così dire un essere caldamente amato dall’uomo, accolto con tutto il cuore, riconosciuto completamente nella sua realtà: è diventato qualcosa di astratto, freddo, teorico. A che cosa è dovuto questo cambiamento?

Vogliamo rispondere a questa domanda, non con i dati della storia esteriore, ma risalendo all’origine della vita filosofica con una conoscenza della storia, vissuta e sentita intimamente.

 

Ebbene, la filosofia non viveva originariamente nell’uomo come vive oggi.

Oggi in fondo, quando si pensa scientificamente, si riconosce come valido soltanto ciò che si acquista mediante l’osservazione sensibile o mediante l’esperimento fatto sul piano materiale; poi i dati vengono elaborati con l’intelletto. Quello che si acquista in tal modo viene acquistato dall’uomo fisico: i sensi sono organi fisici, inseriti nell’organismo umano fisico. Oggi si riconosce scientificamente solo quanto il corpo fisico umano acquista per la conoscenza: ma con questi dati si perviene solamente fino all’uomo fisico stesso, e in questo non può venir trovato ciò che gli antichi consideravano filosofia.

 

Ho già detto che qui mi propongo ora solo di introdurre l’argomento e nei prossimi giorni dovrò spiegarlo più a fondo. Devo però sin d’ora accennare al fatto che ciò che ancora al culmine della filosofia greca veniva chiamato filosofìa (cioè una sostanza spirituale sperimentata nell’intimo dell’anima) non veniva vissuta entro il corpo umano fisico, ma in un organismo umano eterico che compenetra il corpo fisico.

 

Nella nostra scienza moderna si conosce in realtà solo l’uomo fisico.

Non si conosce il tenue corpo eterico che compenetra quello fisico

e nel quale il filosofo greco sperimentava la sua filosofia.

 

Nel corpo fisico noi sperimentiamo il respiro, o il processo visivo.

Ma come esiste l’organizzazione fisica dell’uomo, così vi è presente anche un corpo eterico, un uomo eterico.

• Se guardiamo al corpo fisico, possiamo osservare il processo respiratorio

e possiamo spiegare fisicamente o biologicamente il processo visivo.

 

• Se invece guardiamo all’uomo soprasensibile eterico,

consideriamo quella componente dell’essere umano nella quale si filosofava, nel senso dei Greci.

La costituzione umana greca era ancora tale

che l’uomo sperimentava se stesso nel proprio organismo eterico.

 

Mettendo in attività, esercitando uno sforzo nell’organismo eterico, analogamente a come si mette in attività l’organismo fisico nella respirazione o nell’atto di vedere, a quei tempi nell’uomo eterico nasceva la filosofia.

Come noi non possiamo mai dubitare della realtà del nostro processo respiratorio, poiché siamo coscienti del nostro corpo fisico, così il greco antico non poteva dubitare che quel che egli sperimentava come filosofia avesse le sue radici nella realtà, in quanto era cosciente del proprio corpo eterico. Egli aveva coscienza che ciò che filosofava, operava nel suo corpo eterico: questo gli era perfettamente chiaro.

 

L’uomo moderno ha perduto il suo corpo eterico per la propria conoscenza:

egli non sa di possedere un corpo eterico.

 

La filosofia tradizionale è una somma di idee astratte

in quanto può riconoscere come realtà solo ciò che come realtà si sperimenta, e in cui ci si esplica filosoficamente.

• Se quindi si è perduto per la conoscenza l’uomo eterico, si è perduta anche la realtà della filosofia;

la si sente come cosa astratta, si sente la necessità di dimostrare la sua esistenza.

 

Immaginiamo che l’uomo acquisti un organismo ancora più denso e più materiale del suo corpo fisico; in tal caso il nostro processo respiratorio, ad esempio, diverrebbe a poco a poco un’esperienza molto più tenue, e alla fine l’uomo verrebbe a perdere del tutto la conoscenza di ciò che è il nostro attuale corpo fisico, come oggi non si sa più nulla del proprio corpo eterico.

In quelle condizioni il respirare diventerebbe una teoria, una somma di idee, e bisognerebbe cominciare col «dimostrarne» la realtà, come oggi bisogna dimostrare che la filosofia ha radici in una realtà.

 

Il dubbio sulla realtà di ciò che bisogna amare nella filosofia

cominciò in seguito alla perdita della conoscenza del corpo eterico umano.

La realtà della filosofia viene infatti sperimentata nel corpo eterico e non nel corpo fisico.

 

• Perché la filosofia torni ad essere vissuta come una realtà,

occorre che prima nasca la conoscenza dell’uomo eterico;

• dalla conoscenza dell’uomo eterico potrà poi scaturire di nuovo una giusta esperienza filosofica.

 

Il primo passo dell’antroposofia consiste appunto nel trasmettere una tale conoscenza dell’uomo eterico.