Nell’epoca Atlantica

O.O. 107 – Antropologia Scientifico-Spirituale Vol. I – 23.10.1908


 

Nell’epoca atlantica – ne abbiamo parlato più volte – non esistevano né l’alternarsi di veglia e sonno né lo stato notturno di incoscienza così come li conosciamo oggi.

Mentre si assopiva e la cognizione degli oggetti fìsici circostanti si ritraeva dalla coscienza, l’uomo entrava in un mondo di spiritualità, dove gli comparivano dinnanzi entità spirituali.

 

Come di qua l’uomo, durante il giorno, si ritrovava insieme con piante, animali, uomini e via dicendo, allo stesso modo, di là, anche nella coscienza dello stato di sonno prendeva forma, tanto più distintamente quanto più ci si assopiva, tutto un mondo di entità spirituali, inferiori e superiori.

E, in questo mondo, l’uomo dell’Atlantide si immedesimava.

 

Quando poi, con la morte, egli passava nell’al di là, il mondo delle entità e degli eventi spirituali si stagliava tanto più chiaro.

Con tutta la propria coscienza, l’uomo dell’epoca atlantica si sentiva molto più di casa in questi mondi superiori, in questi mondi costituiti di eventi ed entità spirituali, che non nel mondo fisico.

 

E basta riandare ai primi tempi dell’Atlantide per scoprire che gli uomini concepivano l’esistenza fisica – così facevano tutte le vostre anime – come un soggiorno temporaneo entro un mondo dove ci si trattiene bensì per un certo periodo, ma che è diverso dalla vera patria.

La vera patria non si identificava con la sfera terrena.

La vita compresa fra morte e nuova nascita aveva tuttavia, nell’epoca atlantica, una caratteristica particolare della quale l’uomo d’oggi può difficilmente farsi un’idea, perché l’ha smarrita del tutto.

 

La facoltà di dirsi “io”, di avvertirsi come un essere autocosciente, quella facoltà di percepirsi come un “io” che nell’uomo odierno costituisce l’essenziale, per l’uomo dell’Atlantide andava totalmente perduta con l’abbandono del mondo fisico.

Quando egli ascendeva al mondo spirituale, che fosse durante il sonno o, più ancora, durante la sua vita fra la morte e la nuova nascita, alla coscienza dell’io – “io sono un essere autocosciente”, “io sono in me” – subentrava una coscienza diversa: “io sono celato entro le entità superiori”, “io sono come immerso entro la vita stessa di queste entità superiori”.

 

L’uomo si sentiva un tutt’uno con le entità superiori, e nel sentirsi un tutt’uno con esse provava, in questo al di là, una sconfinata beatitudine.

E così la sua beatitudine cresceva sempre di più, a mano a mano ch’egli si estraniava dalla coscienza dell’esistenza fisico-sensibile.

Era una vita beatificante, che ci si mostra come tale quanto più andiamo indietro nel tempo.

E infatti ci siamo detti spesso in che consista il senso dell’evoluzione dell’umanità in rapporto all’esistenza terrena.

Consiste in ciò, che il legame dell’uomo con l’esistenza fisica sulla Terra si fa sempre più stretto.

 

Se nella coscienza dello stato di sonno l’uomo dell’epoca atlantica si sentiva perfettamente a casa propria nell’al di là, se vi percepiva un mondo luminoso, sereno e familiare, bisogna anche dire che, nell’al di qua, la sua era ancora una coscienza in parte onirica.

Non era ancora giunto a una vera e propria presa di possesso del corpo fisico.

Quando si destava, dimenticava in un certo senso gli dèi e gli spiriti che aveva frequentati nel sonno, ma ciò nonostante non si immedesimava nella coscienza fìsica come succede oggi, quando al mattino ci si risveglia.

Gli oggetti non avevano ancora dei contorni chiaramente definiti.

 

Per l’uomo dell’Atlantide era sempre come quando a noi capita di uscire in una sera di nebbia e di vedere la luce dei lampioni che si confonde in un alone, in un’aura multicolore.

Tutti gli oggetti del piano fisico avevano proprio questa indeterminatezza.

La coscienza del piano fisico cominciava appena a sorgere.

Nell’uomo non s’era ancora instaurata la robusta coscienza dell’“io sono”.

 

L’autocoscienza umana, la coscienza della personalità, prese a svilupparsi sempre di più solamente verso la fine dell’epoca atlantica, nella misura in cui si veniva smarrendo la coscienza beatificante dello stato di sonno.

L’uomo si impadroniva a poco a poco del mondo fisico, imparava sempre meglio a usare i sensi, e con ciò gli oggetti stessi del mondo fisico acquistavano contorni sempre più definiti e precisi.

Tuttavia, proprio nella misura in cui l’uomo si impadroniva del mondo fisico, veniva modificandosi anche la condizione della coscienza nell’al di là, nel mondo spirituale.

 

Abbiamo già ripercorso i vari periodi dell’epoca postatlantica.

Abbiamo affondato lo sguardo nella civiltà indiana dei primordi.

Abbiamo visto come allora, nella sua conquista del mondo esteriore, l’uomo si fosse spinto abbastanza avanti da percepire questo mondo come maya, da agognare il ritorno ai lidi dell’antica patria spirituale.

Abbiamo visto come, nell’epoca di civiltà della Persia, la conquista del piano fisico fosse già talmente avanzata che l’uomo voleva associarsi alle forze buone di Ormuzd, per riconvertire le forze del mondo fisico.

Poi abbiamo visto come, nel periodo egizio-babilonese-caldeo-assiro, i mezzi utili a proseguire nella conquista del mondo esteriore gli uomini li abbiano trovati nell’agrimensura, che facilitava la lavorazione della terra, o anche nelle conoscenze astronomiche.

 

E abbiamo visto, infine, come l’età greco-romana sia andata ancora più avanti: come in Grecia, nell’organizzazione delle città e nelle creazioni dell’arte, si sia realizzato fra l’uomo e il mondo fisico lo splendido connubio che conosciamo, e come nell’antico diritto romano sia emerso l’elemento personale, che si affermava così per la prima volta in questo quarto periodo di civiltà.

Mentre prima l’uomo si sentiva celato in un tutto che era ancora il riverbero di antiche entità spirituali, il romano cominciò a sentirsi cittadino della Terra.

Sorse allora il concetto stesso di cittadino.

 

Il mondo fisico è stato conquistato pezzo per pezzo. E proprio per questo, d’altra parte, è divenuto caro all’uomo.

Questi ha legato le proprie inclinazioni e le proprie simpatie al mondo fisico e, nella misura in cui la sua simpatia per il mondo fisico aumentava, anche la sua coscienza si legava alle cose fìsiche.

In eguale misura tuttavia, nell’al di là, nel periodo fra la morte e la nuova nascita, la coscienza dell’uomo si offuscava.

Egli tanto più perdeva, nell’al di là, la sensazione beatificante di essere celato nell’esistenza di entità spirituali superiori, quanto più si accresceva, a mano a mano che nella storia si susseguivano le conquiste del mondo fisico, il suo attaccamento all’al di qua.

 

Di gradino in gradino, la conquista del mondo fisico da parte dell’uomo progrediva continuamente: si scoprivano sempre nuove forze naturali, si inventavano sempre nuovi strumenti.

E l’uomo sempre più aveva cara questa vita, la vita fra nascita e morte.

Di pari passo, tuttavia, nel mondo al di là la sua antica coscienza crepuscolare di chiaroveggente veniva offuscandosi.

Non scomparve mai del tutto, ma si oscurò.

E, via via che l’uomo conquistava il mondo fisico, nella storia del mondo al di là noi assistiamo a un declino.

 

Questo declino è in correlazione con l’ascesa della civiltà, con quell’ascesa che noi ricostruiamo storicamente osservando come, ai primissimi albori della civiltà, gli uomini triturino ancora il frumento tra due mole, e poi vedendo come salgano in alto di gradino in gradino, come facciano le prime scoperte, come si fabbrichino degli attrezzi e imparino a usarli, e come questo processo vada continuamente avanti nel corso del tempo.

La vita sul piano fisico si fa sempre più ricca. L’uomo impara a costruire edifici giganteschi.

 

Ma in questa descrizione della storia, che attraverso l’epoca egizio-babilonese-caldeo-assira e quella greco-romana arriva fino ai giorni nostri, bisogna che inseriamo anche un altro elemento, se vogliamo descrivere un processo che abbracci veramente tutta la storia della civiltà.

Dovremmo descrivere cioè, allo stesso titolo, il progressivo declino dell’intimo rapporto esistente fra gli dèi superiori e quella che poteva essere la prestazione dell’uomo nei loro confronti, quello che l’uomo faceva in accordo col mondo spirituale e in mezzo ad esso.

Vedremmo allora come, nel corso del tempo, l’uomo perda sempre più il suo legame con i mondi spirituali e le facoltà spirituali.

 

• Riguardo agli uomini dovremmo scrivere, per l’al di là, una storia di declino,

• così come, per l’al di qua, possiamo scrivere una storia di ascesa, di conquista ininterrotta del mondo fisico.

Ecco dunque come si integrano, per così dire, il mondo spirituale e il mondo fisico, o, più precisamente, come si condizionano.