Nell’era precristiana la forza dell’io esorbitante dalla corporeità umana ledeva l’involucro destinato all’io

O.O. 139 – Il Vangelo di Marco – 21.09.1912


 

Prima del mistero del Golgota,

l’uomo non poteva congiungersi con i mondi spirituali

mediante tutte le forze che appartengono all’io.

 

Il segreto che il battesimo operato da Giovanni doveva rivelare alla gente

era che adesso era giunto il tempo in cui i regni dei cieli

dovevano penetrare fin dentro l’io, fino all’io terrestre dell’uomo.

 

Sempre di nuovo era stato accennato nei tempi antichi che con la sua vita psichica personale l’uomo non poteva ascendere ai mondi superiori. C’era una specie di disarmonia, nei tempi antichi, fra l’esperienza della vera patria dell’uomo nel mondo spirituale e quello che si sperimentava nella propria anima (che solo impropriamente si può definire per quel tempo come un io).

 

L’interiorità umana era separata dal mondo spirituale

al quale sapeva congiungersi solo in condizioni eccezionali.

 

E che cosa accadeva quando talvolta tutta la forza di quello che più tardi doveva diventare l’io, quando tutti gli impulsi dell’io colmavano gli uomini, per esempio grazie alla iniziazione, oppure al ricordo di una iniziazione avvenuta in un’incarnazione precedente, quando la potenza dell’io, non ancora maturo per occupare realmente la corporeità umana, penetrava violentemente in essa?

 

Quello che accadeva in tali condizioni ci viene spesso accennato:

nell’era precristiana la forza dell’io esorbitante dalla corporeità umana,

non trovando posto nel corpo, ledeva l’involucro destinato all’io.

 

Perciò gli uomini che portavano in sé, già nei tempi precristiani, dei contenuti del mondo spirituale esorbitanti, qualcosa che già assomigliava a ciò che l’io avrebbe dovuto diventare più tardi, con tale forza dell’io spezzavano il proprio corpo, perché quella forza dell’io era eccessiva per il tempo precristiano. Questo ci viene additato dal racconto che nelle incarnazioni di certe individualità, dotate appunto di quella esorbitante forza dell’io, l’io poteva vivere in loro solo in quanto il corpo presentava una lesione, o era vulnerabile e sarebbe stato di fatto vulnerato in una sua parte facilmente vulnerabile.

 

In quel punto l’uomo era cioè maggiormente esposto alle azioni del mondo esterno di quanto lo fosse nel resto del suo corpo. Basta ricordarsi della vulnerabilità del tallone di Achille, del dorso di Sigfrido, delle ferite di Edipo; tutti esempi che mostrano la potenza dell’io che lede la corporeità. La presenza della parte vulnerabile o della ferita allude al fatto che lì solo un corpo leso si adattava alla grandezza eccessiva dell’io.

 

Forse la cosa di cui sto parlando potrà apparire ancora più chiara formulata diversamente. Immaginiamo che nell’era precristiana un uomo fosse ricolmo (anche senza esserne cosciente) di tutti gli impulsi, di tutte le forze destinate a compenetrare più tardi l’io, e che s’immergesse nel proprio corpo con tale forza esorbitante dell’io: in tal caso egli avrebbe leso, spezzato il suo corpo, non lo avrebbe più visto come quando il corpo è occupato da un io debole, da un’interiorità debole.

 

Un uomo precristiano che avesse avuto in sé tutta quella forza esorbitante, avrebbe veduto il proprio corpo come infranto sotto l’urto del super-io, lo avrebbe scorto come ferito in vari modi, perché in quei tempi antichi il corpo sapeva resistere solo a un io, o a un’interiorità ancora debole.

 

Questo si può trovare espresso in un passo del libro del profeta Zaccaria (12,10) dove si dice press’a poco così: l’uomo che riunisce in sé tutta la forza dell’io, si ritrova davanti al corpo umano vedendolo come trafitto, ferito, forato. Infatti la forza superiore dell’io nei tempi antichi non poteva ancora dimorare nell’interiorità umana: essa provocava nel corpo ferite, lesioni, trafitture.

 

Si tratta di un impulso presente nella storia dell’evoluzione umana,

legato al fatto che per effetto dell’influsso luciferico e arimanico

non era possibile nel passato precristiano dotare l’uomo della pienezza del suo io.

Poiché a quei tempi il corpo era atto a sopportare solamente una parte ridotta della forza dell’io,

esso non poteva resistervi.

 

E poiché nel Cristo Gesù la pienezza dell’io

penetrò per la prima volta in un corpo umano, nella misura massima possibile,

quel corpo dovette presentarsi a un certo punto non già con una sola lesione

(come nelle individualità dotate anticamente di un super-io), ma con cinque piaghe.

• Quelle cinque piaghe erano rese necessarie dall’esorbitare dell’entità del Cristo,

cioè dell’io umano nella sua pienezza, al di fuori dei limiti della forma corporea umana.

 

La croce dovette essere eretta sul piano fisico e storico, a causa di quella esuberanza dell’io:

sulla croce il corpo del Cristo dovette presentarsi come sarebbe il corpo umano,

se in un momento qualsiasi fosse presente in un uomo tutta la somma dell’umanità,

una gran parte della quale l’uomo ha invece perduto, per effetto dell’azione luciferica ed arimanica.

• Si tratta di un profondo mistero, per il quale la scienza occulta ci presenta esattamente l’immagine del Golgota.

 

Chi comprende veramente l’uomo e l’umanità, e che cosa sia l’io della Terra, quale sia il suo rapporto con la forma del corpo umano, sa pure che la compenetrazione totale del corpo umano da parte dell’io della Terra non può equivalere alla normale presenza dell’io. Se un uomo fosse capace di uscire fuori da se stesso e di osservarsi spiritualmente dall’esterno, chiedendosi inoltre: come dovrebbe essere questo corpo, qualora lo riempisse la pienezza dell’egoità, egli lo scorgerebbe con cinque ferite.

 

L’aspetto della croce del Golgota, con il Cristo e le sue ferite, risulta dalla natura umana stessa e dall’entità stessa della Terra. Il mistero del Golgota può risultare fin nella precisione dell’immagine, da una considerazione della natura umana, approfondita spiritualmente.

 

Il fatto singolare è proprio questo: che esiste la possibilità (e non solo nella chiaroveggenza, dove questo è un fatto naturale), di vedere la croce innalzata sul Golgota e la crocefissione e la verità di quell’evento storico.

 

Esiste la possibilità che grazie alle forze scaturite dal mistero del Golgota, la ragione umana si accosti talmente ad esso, purché essa si sia sufficientemente affinata ed acuita, da potersi essa trasformare in immagine, in forza immaginativa, pregna però di verità.

 

Per cui, se l’uomo comprende che cosa sia il Cristo e quale il suo rapporto con la forma del corpo umano, la sua fantasia può venire guidata in modo che l’immagine del Golgota sorga da sola.

 

In tal modo furono spesso guidati gli antichi pittori cristiani: non erano certo tutti chiaroveggenti, ma dalla forza della conoscenza del mistero del Golgota venivano portati fino a quella immagine, che poi raffiguravano.

 

Si tratta proprio di questo:

• in quel grande punto di svolta dell’evoluzione dell’umanità,

attraverso la chiaroveggenza è stata donata all’anima, all’io dell’uomo

la comprensione dell’entità del Cristo, cioè dell’io originario dell’uomo.