Nesso dell’antica umanità con il Cristo, essere solare

O.O. 220 – Conoscenza vivente della natura – 05.01.1923


 

Sommario: Nesso dell’antica umanità con il Cristo, essere solare. Fino al quarto secolo si ha l’esperienza della sua «immagine» nel sole cosmico. Emancipazione dell’anima dal corpo eterico. Inizio del «bisogno del Cristo». I secoli intermedi fino a Copernico, Galileo e Keplero. La possibilità di trovare nel Cristo vivente l’appoggio per l’io.

 

Oggi, collegandomi alle conferenze, tenute il novembre scorso nel Goetheanum prima della sua distruzione, in merito alla connessione dell’uomo con il corso dell’anno e alle conoscenze relative, vorrei ritornare ancora a un’epoca che abbiamo spesso considerato e che va compresa appieno, ove si intenda conoscere giustamente il momento presente dell’evoluzione dell’umanità. Avevamo parlato della possibilità che in modo esatto nell’uomo avvengano processi che è possibile riconoscere nei fatti che si ripetono nel corso dell’anno. Avevo anche accennato a come l’antica scienza dei misteri, la scienza dell’iniziazione, avesse cominciato a diffondere queste conoscenze fra gli uomini che potevano riceverle. Come conseguenza della diffusione di tali conoscenze si dovevano rafforzare il pensare, il sentire e il volere umani e l’intero porsi dell’uomo nel mondo.

 

Ora possiamo chiederci:

da che cosa dipende che nei tempi più antichi gli uomini comprendessero la relazione fra l’uomo, il microcosmo,

e il grande mondo, il macrocosmo, relazione che si manifesta nel corso dell’anno?

Le persone avevano infatti tale comprensione.

 

L’avevano perché in quei tempi antichi

l’interiorità animica umana era più strettamente legata al corpo eterico,

al corpo delle forze formative, di quanto non sia oggi.

 

Come dissi nella breve esposizione durante il Corso francese,

l’essere umano, quando ha attraversato la vita soprasensibile fra morte e nuova nascita,

e dopo aver inviato sulla terra il germe spirituale del suo corpo fisico,

pur senza essere ancora disceso con il concepimento quale essere animico-spirituale,

raccoglie dal cosmo le forze dell’etere universale per formare il suo corpo eterico

che egli dunque ha, prima di legarlo al corpo fisico.

 

L’essere umano dunque discende dai mondi spirituali soprasensibili

in modo che la sua parte spirituale-animica sia in un primo tempo rivestita dal corpo eterico.

Poi si unisce al corpo fisico che gli viene trasmesso attraverso il padre e la madre,

attraverso la corrente fisica dell’ereditarietà.

 

Nei tempi più antichi dell’evoluzione dell’umanità il legame che l’uomo aveva prima della vita terrena col corpo eterico era molto più stretto di quanto non fu più tardi e di quanto è ora. Tale legame più stretto faceva sì che l’umanità antica comprendesse che cosa si intendeva quando nei misteri si annunziava: quel che si vede come sole fisico è la manifestazione fisica di qualcosa di spirituale. Si comprendeva quando si parlava dello Spirito solare.

 

Lo si comprendeva perché, a causa della stretta unione fra l’entità umana spirituale-animica e il corpo eterico, o corpo delle forze formative, sarebbe apparso del tutto folle dover credere che in qualche posto nell’universo si librasse la palla fisica di fuoco di cui ci racconta l’astrofisica odierna.

All’umanità antica appariva naturale che alla parte fisica fosse collegato un elemento spirituale che era appunto quello conosciuto e onorato quale Spirito del Sole negli antichi misteri.

 

Naturalmente tutte queste cose sono più o meno esatte, ma in sostanza sono appunto così,

e si può indicare il quarto secolo dell’era cristiana come il tempo in cui

gli esseri umani che discendevano dal mondo spirituale soprasensibile

non avevano più quello stretto legame col corpo eterico, o corpo delle forze formative.

• Di conseguenza fu sempre più frequente che anche gli uomini nella vita fisica terrena

si potessero servire ormai solo del corpo fisico, se così posso esprimermi, quando guardavano su verso il cielo.

 

In tempi antichi, quando si guardava su verso il cielo, si vedeva sì il sole,

ma dall’interiorità umana saliva l’impulso a non vedere nel sole soltanto qualcosa di fisico;

si sapeva che vi era legato un elemento spirituale-animico.

Dopo il quarto secolo cristiano,

per vedere il sole ci si poteva servire soltanto del corpo fisico, degli occhi fisici,

con i quali, vagando con lo sguardo verso l’esterno,

non si era più aiutati dalla forza del corpo eterico, del corpo delle forze formative.

Si vedeva quindi sempre più soltanto il sole fisico.

 

Era possibile solo insegnare che vi era uno Spirito del Sole, perché gli antichi lo sapevano e perché ne esisteva la tradizione. Così ad esempio Giuliano l’Apostata apprese dai suoi maestri che esisteva uno Spirito del Sole, come ebbi occasione di dire.

 

Come sappiamo lo Spirito del Sole discese sulla terra con il mistero del Golgota.

Egli abbandonò la sua evoluzione celeste e la trasformò in un’evoluzione terrestre

orientando la sua futura attività, dal mistero del Golgota in poi,

per guidare l’evoluzione dell’umanità appunto entro l’attività terrestre.

 

Va notato che i due momenti non coincidono. Come ci appare il momento del mistero del Golgota, se oggi vi risaliamo? Dobbiamo dire che in quel momento il Cristo, l’alto Spirito solare discende col mistero del Golgota e si unisce all’esistenza terrestre. In altre parole, da quel momento il Cristo è sulla terra.

 

Fu possibile agli uomini vedere lo Spirito del Sole fino al quarto secolo cristiano

perché sino ad allora essi erano legati strettamente al corpo eterico o corpo delle forze formative.

Anche se il Cristo stesso era già sulla terra, fino al quarto secolo si vedeva il sole

in modo da scorgervi ancora la Sua immagine riflessa attraverso il corpo eterico.

 

Come sul piano fisico, quando si fissa qualcosa e poi si chiudono gli occhi rimane l’immagine dell’oggetto, così il corpo eterico umano vedendo il sole aveva l’immagine dello Spirito solare, naturalmente se chi guardava nel cosmo ne era ancora capace.

Avvenne cioè che persone che erano legate al loro corpo eterico (e nell’Europa meridionale, nell’Africa settentrionale e nell’Asia minore il caso era frequente) potessero dire in base alla loro esperienza: guardando nelle vastità del cielo si vede lo Spirito del Sole.

 

Come ho ricordato durante il Corso francese, essi non capivano che cosa significasse quel che dicevano i maestri e le guide dei nuovi misteri, che cioè il Cristo era sulla terra.

Teniamo presente che dal mistero del Golgota erano trascorsi già quasi quattro secoli nei quali molte persone, con la giusta costituzione come ho appunto detto, non potevano collegare alcun giusto concetto alla frase: il Cristo è apparso sulla terra.

 

Per loro, quel che era avvenuto in Palestina era un avvenimento insignificante, del tutto insignificante, come in effetti lo fu per gli scrittori romani che ne parlarono solo incidentalmente. Era una personalità irrilevante che trovò la morte in circostanze strane, perché tutto il profondo mistero non fu compreso da quegli scrittori. In sostanza si può dire che tutti costoro non avevano bisogno del Cristo sulla terra, perché lo avevano ancora al modo antico in cielo. Per loro era ancora lo spirito universale che operava nella luce, era lo spirito luminoso dell’umanità. Non avevano ancora alcun bisogno di guardare nell’uomo e cercarlo nell’io.

 

Uno che proprio non capiva perché si dovesse cercare il Cristo in un uomo sulla terra, dato che appunto era da cercare nel cielo dove viveva nella luce che tutti i giorni appariva sulla terra al levarsi del sole e scompariva al tramonto, era Giuliano l’Apostata.

Per tutti costoro quel che era avvenuto in Palestina era un avvenimento come altri avvenimenti storici, e anche molto poco importante. Era in effetti un avvenimento comune, anzi non importante, perché in loro non viveva ancora il bisogno del Cristo. Quando poteva infatti cominciare a vivere negli uomini il bisogno del Cristo?

 

Oggi vogliamo pensare a quando in generale potè nascere nell’umanità il bisogno del Cristo.

Considerando i periodi susseguentisi dell’evoluzione dell’umanità

dopo la grande catastrofe atlantica, abbiamo dunque,

risalendo all’ottavo, nono millennio, la catastrofe atlantica che spesso descrissi.

 

• Abbiamo poi il primo periodo di civiltà, in merito al quale si può leggere nella mia Scienza occulta,

e che ho chiamato paleoindiano .

• In questo periodo l’uomo privilegiava il suo corpo eterico o corpo delle forze formative.

Allora il legame era talmente intenso da poter dire in genere:

l’essere umano vive nel suo corpo eterico o corpo delle forze formative.

• Vive in modo che in sostanza il corpo fisico è per lui ancora come una specie di vestito, qualcosa di esteriore.

• Vede meglio nel mondo esterno più col suo occhio eterico che non con quelli fisici.

 

• Il secondo periodo è quello paleopersiano.

Ora l’uomo vede il mondo esterno di preferenza con quello che possiamo chiamare corpo senziente.

 

• Nel terzo periodo, l’egizio-caldaico, l’uomo guarda nel mondo con l’aiuto dell’anima senziente,

• e infine nel quarto periodo, il greco-latino, l’uomo guarda nel mondo con l’anima razionale o affettiva.

 

Dal secolo quindicesimo, nel periodo che possiamo chiamare il nostro presente storico,

guardiamo nel mondo con l’anima cosciente.

Il vedere con l’anima cosciente determina tutto lo svolgimento storico che ho esposto nel corso scientifico.

 

Catastrofe atlantica

1° periodo: paleoindiano corpo eterico

2° periodo: paleopersiano corpo senziente

3° periodo: egizio-caldaico anima senziente

4° periodo: greco-latino anima razionale o affettiva

5° periodo: attuale anima cosciente

 

Cerchiamo ora di chiarire come tutto questo avvenga. È in effetti molto difficile, ma volendo rendere schematicamente la realtà si potrebbe dire:

•  abbiamo il corpo fisico e quello eterico

in quest’ultimo opera anzitutto l’elemento animico,

ma in modo che all’inizio l’uomo privilegi ancora il corpo eterico

e in seguito il corpo senziente che in realtà è ancora tutto corpo eterico.

 

 

• Solo nel periodo egizio-caldaico l’uomo vive nell’anima,

ma l’anima vive ancora completamente nel corpo eterico.

Potrei quindi disegnare ora l’anima

 

 

Mentre l’uomo si sente interiormente come anima,

per metà si sente ancora nel corpo eterico.

 

• Nel periodo greco-latino avviene poi he l’uomo esce dal corpo eterico con la sua parte animica.

Ha ancora il corpo eterico in sé fino circa all’anno 333 d.C.

 

 

 

 

Poi egli cresce talmente al di là del corpo eterico

che l’anima rimane legata col corpo eterico in modo molto labile e non ha più uno stretto legame ;

l’anima si sente come abbandonata al mondo esterno,

in cui è costretta a muoversi senza l’appoggio del corpo eterico.

 

Ora nasce il bisogno del Cristo,

perché, non essendo più intimamente legata con il corpo eterico,

non vede più nulla dello Spirito solare, neppure la sua immagine, quando guarda il cielo.

 

Nell’evoluzione del mondo avviene però che tutto si svolge gradualmente in lunghi periodi di tempo.

Solo dal quarto secolo l’anima è in certo modo interiormente emancipata dal corpo eterico,

ma non si sente ancora forte, è ancora debole in sé.

 

Se ora seguiamo il corso dei secoli, dal quinto, sesto fino al quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo

e anche fino ai nostri giorni (ma per il momento fermiamoci al quindicesimo secolo)

abbiamo un’anima interiormente emancipata, ma debole, che sente sì il bisogno di qualcosa,

ma non è ancora abbastanza forte da rispondervi con un impulso interiore

e da cercare ora il Cristo nel mistero del Golgota invece che nel sole,

nel corso del tempo invece che nello spazio esterno.

 

L’anima doveva prima rafforzarsi interiormente per formare in sé le forze.

In tutti i secoli fino al quindicesimo non si era vigorosi abbastanza per formare interiormente forze

e arrivare in generale a una conoscenza del mondo attraverso l’anima.

• Di conseguenza ci si limitò a ricavare le conoscenze dai libri che gli antichi avevano lasciato,

a prendere come conoscenza quanto era stato conservato dalla storia.

È qualcosa del quale va tenuto conto. L’anima deve rafforzarsi interiormente.

 

 

Nel secolo quindicesimo era giunta a sperimentare come proprio, non più traendolo dal corpo eterico o dal corpo fisico attraverso l’eterico, ciò che prima era matematica e che ora sperimentava in astrazioni pensate nello spazio astratto. In questa esperienza l’umanità non era molto progredita, ma come si nota è un’esperienza diversa da prima. È un impulso a giungere, partendo dall’intimità dell’anima, a qualcosa cui l’umanità era in grado di arrivare in tempi antichi, quando ancora si poteva servire del corpo eterico col quale l’anima era intimamente legata.

 

Gli uomini dovevano ora fortificarsi interiormente tanto da giungere al Cristo,

mentre in precedenza il corpo eterico era servito loro per vedere il Cristo nel sole.

Possiamo così dire che fino al quarto secolo proprio l’umanità più civile

non sapeva che farsene delle notizie relative al Cristo, al mistero del Golgota.

 

È interessante osservare che né la conversione dell’imperatore Costantino al cristianesimo, né l’allontanamento dal Cristo di Giuliano l’Apostata sono in qualche modo su un terreno solido.

Lo storico Zosimos afferma persino che Costantino si sarebbe convertito al cristianesimo per suo personale interesse, perché aveva commesso talmente tanti delitti contro i suoi familiari che gli antichi sacerdoti non lo perdonavano più. Si era quindi allontanato dall’antico paganesimo e dai suoi sacerdoti, perché i sacerdoti cristiani avevano promesso di perdonarlo. In sostanza era una ragione ben poco motivata. Va detto che si convertì al Cristo non certo per bisogno del Cristo.

 

Per Giuliano fu solo l’iniziazione nei misteri eleusini, ormai molto superficiale, a entusiasmarlo per lo Spirito del Sole nella antica forma di conoscenza. Anche in lui non vi era un motivo molto profondo, anche se aveva notevoli conoscenze grazie alla sua iniziazione nei misteri eleusini. In ogni caso i pro e i contro non erano allora qualcosa di forte e di intenso in merito al problema del Cristo, perché appunto la gente non sapeva proprio che cosa significasse l’affermazione che il Cristo dovesse essere cercato storicamente in un corpo umano.

 

Cominciando dal quarto secolo avvenne invece

che gli uomini, nell’anima emancipata interiormente ma ancora debole,

non trovavano altra via al Cristo e in genere a una spiegazione del mondo

(perché ne doveva essere costruita una nuova) che la tradizione storica scritta, o anche orale,

vale a dire che soltanto alcune persone avevano la tradizione scritta e trasmettevano agli altri un’interpretazione orale.

 

La situazione rimase così per molti secoli,

e per la comprensione del Cristo è in sostanza rimasta uguale fino ad oggi,

ma è molto significativo che ora l’anima è diventata interiormente libera.

 

Se come si è detto anche nella storia ogni cosa ha prodromi e conseguenze,

pure si può indicare l’anno 333 come quello in cui si ebbe per le personalità più avanzate l’emancipazione dell’anima,

anche se l’anima stessa era troppo debole soprattutto per acquisire conoscenze interiori.

 

Poiché allora erano ancora conservate notizie di tempi precedenti,

avveniva che se qualcuno rifletteva giustamente era in grado di dire:

ancora poco tempo fa vi erano persone che vedevano nel sole qualcosa di divino-spirituale; io non vedo più nulla.

Ma chi vedeva nel sole qualcosa di divino-spirituale

attingeva dall’interiorità altre conoscenze, ad esempio quelle matematiche.

La mia anima è certo tale da sentirsi un essere indipendente, ma non riesce ad avere in sé forze per conoscere qualcosa.

 

Significativo fu poi che nei secoli quindicesimo e sedicesimo

la gente cominciasse a concepire nell’anima conoscenze matematico-meccaniche.

Copernico per primo indirizzò alla costruzione celeste

quel che aveva sperimentato in tal modo nell’anima emancipata.

 

I precedenti sistemi cosmici erano appunto stati acquisiti con l’aiuto delle anime che non erano ancora emancipate dal corpo eterico, che erano ancora anima razionale o affettiva, ma che come tali avevano per così dire ancora la forza del corpo eterico per poter guardare nell’universo.

 

Fino al secolo quindicesimo vi era ancora l’anima razionale o affettiva,

ma ci si poteva servire solo del corpo fisico, degli occhi fisici, per guardare nell’universo.

Sono queste le ragioni per cui lungo tutti i secoli e fino ad oggi

fu possibile trasmettere l’annuncio del Cristo e del mistero del Golgota

solo attraverso gli scritti o la tradizione orale.

 

Che cosa abbiamo dunque in sostanza acquisito

grazie all’anima rafforzata lungo i secoli a partire dal quarto e dal quinto?

Esteriormente conoscenze meccaniche, le conoscenze fisiche che ho caratterizzato nel corso scientifico.

 

Ora è però giunto il tempo in cui l’anima si deve rafforzare tanto

da guardare interiormente nell’io, da sentire l’io e il Cristo dietro di esso,

come prima, con l’aiuto del corpo eterico, vedeva il sole spirituale assieme a quello fisico guardando nel cielo.

 

 

Se in un disegno vediamo la cosa non in modo schematico ma molto reale abbiamo per i tempi antichi che

• con lo sguardo fisico si vede il sole (fisico)

• e con l’aiuto del corpo eterico il sole spirituale,

• il Cristo dietro il sole.

 

Oggi invece, se l’uomo guarda in sé ha il suo io, sente l’io, ha il sentimento dell’io.

 

 

Lo sente molto oscuro, perché il sentimento dell’io è nato da poco nell’anima emancipata. Prima l’uomo guardava fuori nel mondo, ora deve guardare in se stesso. Guardare nel mondo lo univa con il sole e con il Cristo. Guardare in sé lo ha in un primo tempo unito solo con l’io, ma deve arrivare a trovare dietro all’io quel che prima trovava sul sole; ciò che sperimentava nella luce, dall’alba al tramonto del sole, cioè il Cristo che illuminava il suo personale sapere, deve ora arrivare a sentirlo irraggiare dal proprio io, così da trovare nel Cristo il forte sostegno del suo io individuale.

 

Va quindi detto: prima si guardava verso il sole e si trovava la luce cristianizzata;

ora si sente in sé e si impara a conoscere l’io cristianizzato (rosso-viola nel disegno).

 

Siamo però del tutto all’inizio del processo, e l’antroposofia intende dire appunto all’umanità:

i secoli dal quarto secolo post-cristiano sono da considerare intermedi.

• Nel tempo precedente vi era un’umanità che poteva guardare nel cielo

e trovava il Cristo come Spirito del Sole fuori nello spazio;

dopo i secoli intermedi deve nascere un’umanità che sente nella propria interiorità

e che sulla via verso di essa ritrova il sole interiore, il Cristo;

• ora Egli appare con l’io come prima appariva con il sole;

• ora è il portatore dell’io, come prima era lo Spirito del Sole.

 

Col quarto secolo sorge nell’umanità, che a poco a poco si era evoluta dalle razze greco-latine,

il bisogno del Cristo, bisogno che però poteva esser soddisfatto solo dalla tradizione scritta o orale.

Oggi avviene però che quelle tradizioni

hanno perso forza e capacità di convincimento proprio per gli spiriti più avanzati,

e che gli uomini devono imparare a trovare il Cristo movendo dall’interiorità,

come l’umanità antica lo aveva trovato nel sole e attraverso la sua luce.

• Dobbiamo intendere i secoli intermedi in modo giusto,

nel senso che allora l’anima era sì autonoma, ma in certo modo vuota.

 

Quando l’anima guardava nel mondo con l’aiuto del corpo eterico, non riusciva a vedere nei fenomeni celesti quel sistema meccanico-matematico che in seguito sarebbe diventato il sistema copernicano. Le cose venivano considerate molto più legate agli uomini, e non si ebbe un sistema planetario qualsiasi ricavato dall’uomo, ma appunto il sistema tolemaico, sia pure in decadenza.

 

Ma quando l’anima cominciò a non essere più radicata nell’etere col proprio corpo eterico, si preparò a poco a poco l’atmosfera che in seguito diede origine a una scienza stellare, un’astronomia alla quale era indifferente che l’uomo appartenesse al mondo celeste o no.

L’unico contributo che l’uomo trasformato del tempo antico apportò fu quello di trasportare il punto di partenza per il suo sistema meccanico là dove prima il Cristo era visto, vale a dire sul sole.

 

Copernico mise il sole al centro dell’universo, non però di quello spirituale, ma di quello fisico. Vive in ciò ancora un oscuro sentimento di come fortemente l’umanità sentisse il sole con il Cristo quale punto centrale del mondo. Vanno considerati non soltanto gli eventi della storia, come oggi è diventato uso, ma va anche tenuto presente il modificarsi delle sensazioni.

 

Per capire veramente Copernico nei curiosi elementi di sensazione che in lui ci si presentano, occorre notare che egli non calcolava soltanto, ma aveva la sensazione interiore di restituire al sole qualcosa dell’antico. Quella sua sensazione interiore lo portò a trovare tre leggi delle quali la terza in sostanza metteva in dubbio quel che aveva detto nelle prime due. È di Copernico infatti una terza legge che l’astronomia successiva semplicemente ignorò, avendo tutto meccanizzato.

 

Formulò una legge secondo la quale il movimento della terra attorno al sole non viene presentato in modo così assoluto come oggi lo si considera. Oggi, come ho spesso ricordato, si presenta la cosa come un fatto che risulterebbe all’osservazione se si ponesse una sedia nell’ampio universo, e anche piuttosto lontano, e da là si vedesse dove è il sole e come la terra gli gira intorno. La sedia dovrebbe essere ben lontana e dovrebbe occuparla l’osservatore che vede da lontano il sistema planetario. Questo non è però il risultato di un’osservazione. Direi che Copernico non aveva ancora in questo una coscienza tanto netta, come l’avevano i suoi successori nel meccanicizzare la costruzione dell’universo.

 

Aveva anche esposto i fenomeni che in effetti dicono che non è così sicuro il movimento della terra attorno al sole; come però ho detto questa terza legge venne semplicemente ignorata, celata, dalla scienza successiva. Si rimase alle due prime leggi: rotazione della terra su se stessa e rivoluzione attorno al sole; si ebbe così un sistema molto semplice che a poco a poco venne insegnato nelle scuole in quel suo semplice aspetto. Naturalmente qui non intendo dire nulla contro il sistema copernicano: era necessario nel corso dell’evoluzione dell’umanità.

 

Oggi è però giunto il tempo in cui occorre parlare in modo diverso di queste cose, come cercai di fare in uno dei corsi scientifici di Stoccarda, parlando di problemi astronomici. Mostrai come di queste cose è lecito pensare in modo del tutto diverso da come è possibile nel senso dell’odierna costruzione materialistico-meccanica.

 

In Copernico, in tutta la concezione del suo sistema, vi è senz’altro ancora una sensazione che, come ho appunto detto, si può caratterizzare così: in un certo senso non voleva creare solo un sistema matematico di assi coordinati per il nostro sistema solare ponendo il sole nel punto centrale del sistema, ma voleva ridare al sole ciò che gli era stato tolto perché gli uomini non riuscivano più a percepire in esso il Cristo.

 

Sono cose che devono mostrare come nello svolgersi della storia non vadano seguiti solo i fatti esterni e il modificarsi dei pensieri umani, ma anche la trasformazione dei sentimenti. Avvenne poi che il meccanismo si presentò nella sua completezza. In Copernico, poi in Keplero, e persino molto fortemente in Newton si avvertono appunto sensazioni.

 

Già nel corso scientifico avevo detto che Newton divenne in seguito un po’ critico verso la sua filosofia matematica della natura. Dopo aver considerato lo spazio compenetrandolo di tutte le forze matematiche e meccaniche, e dopo aver in seguito riconsiderato tutto, la cosa gli divenne soffocante e disse che quanto aveva stabilito come spazio astratto con le tre astratte dimensioni era in effetti il sensorium Dei. Così dunque per un Newton invecchiato, la cui coscienza si risvegliava di fronte alle idee matematiche e meccaniche, lo spazio che lui aveva in gran parte matematizzato era la parte più importante del cervello di Dio, vale a dire il sensorium.

 

Solo più tardi si arrivò a esaminare l’uomo conoscente, limitato solo ai suoi pensieri e non più anche alle sue sensazioni. Newton va ancora visto in base alle sue sensazioni, ancora più Leibniz e in genere gli scienziati di quel tempo. Anche chi studia la vita di Galileo trova, direi in ogni pagina, che in lui è attivo l’essere umano nel suo complesso.

L’uomo solo strumento pensante che in quanto tale si nutre dei risultati dell’osservazione e dell’esperimento, come si alimenta una macchina a vapore col carbone, compare solo più tardi e solo più tardi diviene la guida autoritaria di una scienza senza presupposti.

 

La scienza è tale in sostanza solo perché le manca ogni presupposto per una vera conoscenza.

Quel che deve aggiungersi alle conquiste dell’anima rafforzata,

ora non più vuota come lo era nel quarto secolo,

ma che si è da parte sua riempita con molte idee matematiche e meccaniche,

è che appunto nell’io viene trovata la luce interiore che forse adesso non si dovrebbe più chiamare solo «io»,

per parlare non soltanto in senso figurato o simbolico, ma piuttosto entità che sostiene l’anima.

 

Apprendiamo così a conoscere qualcosa che nel corso dei secoli è sempre più emerso, che oggi è forte,

ma che da parte di chi desidera ignorarlo viene respinto nei sostrati inconsci dell’anima: il bisogno del Cristo.

• Soltanto una conoscenza spirituale, una conoscenza dell’universo spirituale

è in grado di venire incontro al bisogno del Cristo.

 

Di tutto quanto appare come momento caratteristico del nostro secolo fa anche parte il bisogno del Cristo

e l’interiore aspirazione dell’anima verso la forza per trovare il Cristo nell’io, dietro l’io,

come in precedenza veniva trovato nel sole.

 

Il modo in cui gli uomini si ponevano di fronte allo Spirito del Sole nel periodo greco-latino era crepuscolare,

perché direi che chiarissimo, chiaro nell’anima e nello spirito,

vedeva lo Spirito del Sole soltanto il periodo paleoindiano.

Ora viviamo in un tempo in cui dovremmo sentire un’aurora,

l’aurora della vera conoscenza del Cristo, conquistata grazie alla forza dell’uomo.

 

L’antica conoscenza dello Spirito del Sole, che ancora Giuliano l’Apostata intendeva rivitalizzare, non riesce più in alcun modo a soddisfare l’umanità. Già il tentativo di Giuliano fu vano rispetto al divenire storico. Dopo i primi quattro secoli cristiani in cui in effetti non si sapeva come comportarsi rispetto al Cristo, dopo il periodo successivo in cui si aveva il bisogno del Cristo, ma lo si poteva soddisfare soltanto nella tradizione scritta o orale, deve ora arrivare il tempo che comprenda il passo del Vangelo:

• «Avrei ancora molto da dirvi, ma ora non potreste sopportarlo».

 

Deve venire un tempo che comprenda che cosa intendeva il Cristo quando disse: «Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo», perché il Cristo non è morto, ma è vivente. Egli non parla solo attraverso i Vangeli, parla per l’occhio spirituale se questo si apre per i segreti dell’esistenza umana. È presente ogni giorno, parla e si manifesta.

 

L’umanità è però debole e non desidera affatto che venga il tempo in cui sarà detto quel che allora non venne espresso perché gli uomini non potevano sopportarlo, perché avevano una disposizione d’anima che in sostanza non permetteva di comprendere che cosa il Cristo offriva loro.

 

Certo chi gli era vicino riusciva a comprenderne qualcosa, ma il Vangelo è detto per tutti e il suo annuncio si diffonde naturalmente nelle vastità del mondo. Si deve tendere ad avere un’umanità che ponga il Cristo vivente al posto della semplice tradizione del Cristo, ed è anzi non cristiano, anche nel senso della tradizione, voler sempre considerare valido soltanto quel che è scritto e non ciò che ogni giorno parla dal mondo spirituale, quale manifestazione del Cristo, al nostro pensare che tende all’illuminazione, ai nostri cuori che sentono, a tutto il nostro volere.