Nessuno conseguirà la facoltà di lavorare al suo corpo fisico, se prima non sarà passato attraverso il principio del Cristo

O.O. 104 – L’Apocalisse – 17.06.1908


 

Quando il periodo terrestre sarà giunto alla sua fine,

l’uomo avrà conseguito delle facoltà che vengono simboleggiate dalla costruzione della « nuova Gerusalemme »;

allora l’uomo potrà già guardare nel mondo immaginativo di Giove; il Sé spirituale sarà allora formato in lui.

Questa è la mèta dell’evoluzione terrestre.

 

Che cosa deve dunque conseguire l’uomo nel corso dell’evoluzione terrestre?

Quale è la prima mèta? La trasformazione del corpo astrale.

 

Il corpo astrale, che oggi si libera ogni notte dal corpo fìsico e da quello eterico,

apparirà in avvenire quale parte trasformata dell’entità umana.

L’uomo porta là quanto gli è stato dato sulla Terra.

Ma ciò non basterebbe ancora per l’evoluzione terrestre.

 

Immaginiamo cioè che l’uomo esca ogni notte dai suoi corpi, fìsico e eterico, e che egli compenetri ogni notte il suo corpo astrale con quanto egli ha assorbito durante il giorno, senza che peraltro il suo corpo fìsico e quello eterico ne vengano minimamente toccati: in tal caso l’uomo non raggiungerebbe la mèta terrestre.

 

Deve avvenire qualcosa d’altro; deve essere possibile che, durante l’evoluzione terrestre,

l’uomo imprima sempre più almeno nel corpo eterico quanto egli ha così accolto.

 

È necessario che il corpo eterico possa anche ricevere gli effetti

di quello che l’uomo forma nel corpo astrale.

L’uomo da solo non può ancora agire sul corpo eterico.

 

Su Giove, quando l’uomo avrà trasformato il suo corpo astrale,

egli diverrà capace di agire anche sul corpo eterico;

oggi non lo può, oggi egli ha bisogno, per così dire, di chi lo aiuti.

Su Giove l’uomo diverrà capace di iniziare il vero e proprio lavoro sul corpo eterico.

 

Su Venere egli lavorerà sul corpo fìsico, sulla parte più difficile da superare.

 

Oggi però l’uomo, di notte,deve ancora lasciare nel letto entrambi i corpi, il fisico e l’eterico, ed uscirne.

• Affinché ugualmente il corpo eterico venga influenzato,

e l’uomo possa così imparare a poco a poco a lavorare sul corpo eterico, gli occorre un aiuto.

• Chi di nuovo gli rende possibile questo non è altri che l’entità del Cristo,

mentre l’entità che aiuta l’uomo a lavorare sul corpo fìsico viene indicata come il « Padre ».

 

Ma prima che non sia arrivato l’aiuto che gli rende possibile lavorare sul corpo eterico,

l’uomo non può lavorare al suo corpo fisico: « Nessuno giungerà al Padre, se non attraverso di me ».

Nessuno conseguirà la facoltà di lavorare al suo corpo fisico,

se prima non sarà passato attraverso il principio del Cristo.

 

Così, quando sarà giunto alla mèta dell’evoluzione terrestre,

mediante la facoltà di trasformare per forza propria il suo corpo astrale,

l’uomo avrà pure la facoltà di agire fin giù sul corpo eterico.

• Egli è debitore di questo alla vivente assistenza del principio del Cristo sulla terra.

• Se questi non si fosse unito come qualcosa di vivente con la terra, se non fosse entrato nell’aura della terra,

allora quanto si forma nel corpo astrale non si sarebbe impresso in quello eterico.

 

Vediamo quindi che chi si chiude, allontanandosene, al principio del Cristo,

si toglie la possibilità di lavorare sul suo corpo eterico,

come è necessario avvenga già durante l’evoluzione terrestre.

 

Possiamo così avere un altro modo di caratterizzare

i due tipi di uomini che si avranno alla fine dell’evoluzione terrestre.

 

• Avremo cioè gli uomini che avranno accolto in sé il principio del Cristo,

che in tal modo avranno trasformato il loro corpo astrale

e che avranno ottenuto dal Cristo l’aiuto per trasformare anche il corpo eterico.

 

• E ne avremo altri che non saranno pervenuti al principio del Cristo

e che non saranno in grado di trasformare alcunché nel corpo eterico,

perché non avranno potuto trovare l’aiuto, il Cristo.