Non è possibile una retta connessione con il Cristo senza una visione unitaria del micro e del macro-cosmo

O.O. 131 – Da Gesù a Cristo – 13.10.1911


 

Quale nesso con il Cristo può trovare

chi non segua alcuna via esoterica, ma rimanga soltanto nel campo exoterico?

 

Finché si è dell’idea, propria anche ad alcuni teologi del secolo diciannovesimo,

che l’evoluzione umana è qualcosa

• che può svolgersi puramente nell’interiorità dell’uomo

• e che per così dire nulla ha da fare con il mondo esteriore del macrocosmo,

non si può in genere arrivare a nessun apprezzamento obiettivo del Cristo Gesù.

 

Si arriva a ogni specie di idea grottesca, mai però ad un nesso con l’evento del Cristo.

Se l’uomo crede di poter arrivare all’ideale umano più elevato, adatto all’evoluzione terrestre,

per semplice via animica interiore, per mezzo di una specie di autoredenzione,

non sarà possibile un nesso col Cristo obiettivo.

 

Si potrebbe anche dire:

non appena il pensiero della redenzione è per l’uomo qualcosa a cui si può rispondere per via psicologica,

non vi è nesso con il Cristo.

 

• Chi però penetra più profondamente nei segreti del mondo troverà ben presto

che, se l’uomo crede di poter arrivare all’ideale più alto della sua esistenza terrestre

soltanto per mezzo di se stesso, soltanto per mezzo dell’evoluzione interiore,

egli spezza del tutto il proprio nesso col macrocosmo;

egli avrà allora il macrocosmo dinanzi a sé come una specie di natura,

avrà l’evoluzione animica interiore accanto al macrocosmo come qualcosa che scorre parallelo ad esso,

ma non potrà trovare un rapporto fra i due.

 

Questo è appunto l’aspetto terribilmente grottesco dell’evoluzione nel secolo diciannovesimo,

e cioè che vengono separati, divisi in due microcosmo e macrocosmo

che invece richiedono di conservare un nesso fra loro.

• Se questo non fosse avvenuto, non sarebbero potuti nascere tutti i malintesi che sono legati

ai nomi di « materialismo teoretico » da un canto, e di « idealismo astratto » dall’altro.

 

Si pensi che la scissione fra microcosmo e macrocosmo

fece sì che gli uomini, poco attenti alla vita interiore dell’anima,

arrivassero ad attribuire la vita interiore dell’anima e la corporeità esteriore al macrocosmo,

facendo scorrere tutto in processi materiali.

• Gli altri, resisi conto che vi è una vita interiore, caddero a poco a poco in astrazioni

riguardo a tutto ciò che in conclusione ha significato soltanto per l’anima umana.

 

Se ci si vuol rendere chiaramente conto di questo difficile problema, occorre ricordare qualcosa di molto importante che gli uomini imparavano nei misteri.

Chiediamoci quanti uomini credono oggi, nell’intimo della loro coscienza, che se pensano a qualcosa, se hanno per esempio un cattivo pensiero riguardo a un’altra persona, ciò non ha in fondo alcuna importanza per il mondo esteriore; il pensiero è soltanto in loro.

 

Sarebbe diversa l’importanza se si desse uno schiaffo: allora sarebbe un fatto del piano fisico; l’altro è un semplice sentimento, o un semplice pensiero.

Oppure, procedendo, quanti uomini vi sono che, mentendo oppure cadendo in peccato o in errore, dicono: « È qualcosa che si svolge nell’anima umana », mentre se per esempio una pietra cade dal tetto affermano: « È qualcosa che si svolge fuori ».

 

Sulla base di una comprensione superficiale sarà facile di far capire che, quando una pietra cade dal tetto oppure cade magari nell’acqua, provoca nell’acqua delle onde che si allargano; ogni cosa ha cioè delle conseguenze che si estendono segretamente, ma quel che si svolge nell’anima di un uomo è isolato da tutto il resto.

Gli uomini hanno perciò potuto credere che sia soltanto una questione riguardante l’anima, per esempio il peccare, l’errare e poi il rimediarvi.

 

Su di una tale coscienza dovrebbe agire in modo grottesco quello che è stato presentato negli ultimi due anni, almeno davanti a una gran parte di noi. Intendo ricordare la scena del dramma rosicruciano La porta dell’iniziazione dove Capesius e Strader entrano nel mondo astrale e viene mostrato come ciò che essi pensano, dicono e sentono non sia senza importanza per il mondo obiettivo, per il macrocosmo, ma come vengano invece sprigionate delle tempeste negli elementi.

 

Agli uomini odierni sembra follia pensare che l’effetto di un pensiero sbagliato

possa scatenare anche l’azione di forze distruttrici nel macrocosmo.

Nei misteri veniva però chiaramente mostrato che se, per esempio, qualcuno mente o cade in errore,

si ha un vero processo reale che non riguarda noi soli.

 

Esiste perfino un proverbio: « I pensieri non pagano dazio », perché appunto non si vede la barriera daziaria quando nascono i pensieri. Essi appartengono però al mondo obiettivo, non sono semplicemente vicende dell’anima.

 

Il discepolo dei misteri vedeva

• che quando si dice una menzogna,si ha nel mondo soprasensibile l’oscuramento di una determinata luce,

• che quando si compie un atto poco amorevole

il fuoco della propria insensibilità brucia qualcosa nel mondo spirituale,

• che, con gli errori, si spegne della luce nel macrocosmo.

 

Questo era l’effetto che veniva mostrato al discepolo attraverso l’evento obiettivo:

• come mediante l’errore venisse spento qualcosa sul piano astrale e sorgesse la tenebra,

• e come un’azione non amorevole agisse come un fuoco che consuma e distrugge.

 

Nella vita exoterica l’uomo non sa che cosa si svolge attorno a lui.

Egli è veramente come lo struzzo e deve conficcare il capo nella sabbia,

poiché non vede gli effetti che tuttavia esistono.

Gli effetti dei sentimenti esistono, e diventavano visibili per gli occhi soprasensibili,

quando per esempio l’uomo veniva condotto nei misteri.

 

Ma davvero soltanto nel secolo diciannovesimo poteva accadere che si dicesse:

• « Tutti i peccati commessi dall’uomo, tutte le debolezze esistenti in lui, sono soltanto sue vicende personali;

la redenzione deve verificarsi attraverso un evento nell’anima.

Perciò il Cristo può essere soltanto un evento interiore dell’anima ».

 

Ciò che è necessario perché non solo l’uomo trovi la sua via verso il Cristo,

ma soprattutto perché non spezzi il suo nesso: con il macrocosmo, è la conoscenza

che, se si cade in errore o in peccato, si hanno degli eventi oggettivi e non soggettivi,

si verifica qualcosa fuori nel mondo.

 

Dal momento in cui l’uomo diventa cosciente che con il suo peccato e il suo errore accade qualcosa di oggettivo;

dal momento in cui sa che quanto egli fa e muove da lui esercita un’azione che non è più in relazione con lui,

ma che è collegata con l’intero corso obiettivo dell’evoluzione del mondo,

egli abbraccia con lo sguardo l’intero corso dell’evoluzione del mondo,

e non potrà più dire che rimediare a quel che egli ha provocato sia soltanto una vicenda interiore che riguarda l’anima.

 

Vi sarebbe una possibilità che avrebbe perfino un buon significato,

ed è quella di considerare ciò che porta l’uomo all’errore e alla debolezza,

e che ve lo ha portato attraverso le successive vite terrene,

non come una vicenda interiore di una singola vita, ma come una vicenda del karma.

 

Ma non è possibile che un evento, che non è storico e non appartiene all’umanità,

come per esempio l’influenza luciferica nell’antica epoca lemurica,

possa venir nuovamente eliminato dal mondo per virtù di un evento umano.

Attraverso l’influsso luciferico venne dato all’uomo il grande beneficio di poter diventare uomo libero;

ma d’altro canto egli è rimasto esposto all’errore,

alla possibilità di allontanarsi dalla via del bene e del giusto, anche dalla via del vero.

 

Quel che si è verificato nel corso delle incarnazioni riguarda il karma.

Ma tutto ciò che dal macrocosmo si insinua nel microcosmo, ciò che le forze luciferiche diedero all’uomo

è qualcosa di cui l’uomo, da solo, non può venire a capo.

Per pareggiarlo occorre un fatto oggettivo.

 

In breve, poiché l’errore o il peccato commessi non sono soltanto soggettivi,

l’uomo deve sentire che un fatto semplicemente soggettivo nell’anima non è sufficiente per attuare la redenzione.

• Chi è perciò convinto della obiettività dell’errore, capirà, pure immediatamente l’obiettività dell’atto di redenzione.

Non si può affatto presentare l’influsso luciferico come un fatto obiettivo

senza contrapporvi al contempo l’atto che lo ha compensato: l’evento del Golgota.

 

In ultima analisi, come antroposofi si ha la scelta soltanto fra due possibilità.

• Si può basare tutto sul karma: allora naturalmente,

per tutto ciò che l’uomo stesso ha procurato, si ha senz’altro ragione;

ci si trova però costretti a prolungare arbitrariamente la ripetizione delle vite tanto nel futuro quanto nel passato,

e non si arriva a una fine, né nel futuro, né nel passato. Tutto gira sempre come una ruota.

 

• L’altra idea dell’evoluzione invece, ed è l’aspetto che dobbiamo afferrare,

ritiene che vi siano state le varie evoluzioni di Saturno, Sole e Luna,

del tutto differenti dall’esistenza terrestre,

che per la prima volta nell’esistenza terrestre si sia verificato

quel genere di ripetizione di vite terrene che conosciamo,

e che l’influsso luciferico si sia verificato come un evento unico;

tutto questo dà un vero contenuto a quella che si chiama concezione antroposofica.

Ma essa non è concepibile senza l’obiettività dell’evento del Golgota.

 

Se consideriamo i tempi precristiani, e da un altro aspetto questo è già stato detto, gli uomini erano in certo senso diversi. Quando discesero dai mondi spirituali nelle incarnazioni terrene, gli uomini portarono seco una determinata quantità di elementi della sostanza divina. Questa sostanzialità divina si andò esaurendo gradatamente mentre l’uomo penetrava nelle incarnazioni terrene, ed era esaurita al tempo degli eventi di Palestina.

 

Nei tempi precristiani, riflettendo per così dire sulle proprie debolezze, gli uomini avevano perciò sempre sentito che quanto di meglio essi avevano proveniva veramente dalla sfera divina dalla quale erano discesi. Essi ancora sentivano gli ultimi effetti dell’elemento divino.

 

Questo era però esaurito quando Giovanni Battista diceva:

« Trasformate la vostra concezione del mondo perché i tempi sono cambiati;

ora non potrete più innalzarvi allo spirito come nel passato, perché non è più possibile vedere nell’antica spiritualità.

Cambiate il vostro modo di vedere e accogliete l’Entità divina che vuol dare nuovamente agli uomini

ciò che essi dovettero perdere a seguito della loro discesa ».

 

Si potrà cercare di negarlo se si vuol pensare in modo astratto,

ma non lo si potrà negare se molto concretamente si vuol considerare la storia esteriore, perché

• l’intero modo di sentire degli uomini si è trasformato nel tempo che segna la svolta dall’evo antico al nuovo,

e il confine è segnato dall’evento di Palestina.

Gli uomini cominciarono a sentirsi abbandonati dopo che l’evento di Palestina si era verificato.

 

Essi si sentirono abbandonati quando si accostavano ai problemi più importanti ché si riferivano alla parte intima e più concreta dell’anima; per esempio quando si chiedevano che cosa sarebbe avvenuto di loro nell’insieme dell’universo se avessero varcato la soglia della morte con una quantità di azioni non compensate.

 

Si affacciò allora a quegli uomini un pensiero che indubbiamente poteva esser sorto dall’aspirazione dell’anima, ma che poteva essere soddisfatto soltanto se l’anima umana arrivava alla concezione che era vissuto un Essere entrato nell’evoluzione dell’umanità, che a lui ci si poteva appoggiare, che nel mondo esteriore, dove non era possibile andare, operava per il pareggio delle azioni umane, che egli aiutava a portar rimedio a quanto era stato guastato dall’influsso luciferico.

 

Il senso di abbandono e il senso di trovarsi protetti da una forza obiettiva penetrò nell’umanità,

assieme al sentimento che il peccato è una forza reale, un fatto obiettivo.

E vi penetrò anche l’altro sentimento che vi è legato: che la redenzione è un fatto obiettivo,

qualcosa che il singolo uomo non può provocare, perché non egli ha evocato l’influsso luciferico,

e che la può procurare soltanto chi agisce nei mondi in cui Lucifero opera coscientemente.

 

Tutto ciò che qui ho descritto con parole tratte dalla scienza dello spirito non esisteva come concetto, come conoscenza,

ma era nei sentimenti e nelle sensazioni; esisteva nei sentimenti la necessità di volgersi verso il Cristo.

C’era poi naturalmente per quegli uomini la possibilità

di trovare nelle comunità cristiane la via per approfondire tutti quei sentimenti.

 

In ultima analisi, nel tempo in cui aveva perduto il suo nesso originario con gli dèi,

che cosa trovava l’uomo quando guardava la materia?

In seguito alla discesa dell’uomo nella materia,

sempre più andò perduta la vista dello spirituale e di ciò che è fisicamente divino nell’universo.

 

I residui dell’antica chiaroveggenza ancora esistenti andarono gradatamente perduti,

e in certo modo la natura venne sdivinizzata.

Un mondo semplicemente materiale si stendeva davanti agli uomini, e

di fronte a tale mondo materiale l’uomo non poteva conservare la fede

che un Principio-Cristo fosse in esso obiettivamente operante.

 

Così sarebbe indubbiamente un’assurdità pensare che il Cristo abbia un posto nell’immagine del mondo dei pensatori materialistici, nell’idea formatasi per esempio nel secolo diciannovesimo secondo cui l’universo che all’origine della nostra terra sia un agglomerato dalla nebulosa primordiale di Kant-Laplace, e che poi la vita sia sorta sui singoli pianeti; il che ha condotto da ultimo ad immaginare l’intero mondo come una collaborazione di atomi.

 

Di fronte a una tale immagine del mondo l’entità del Cristo non si può sostenere; di fronte a una tale immagine del mondo non si può in genere sostenere niente di spirituale. Dobbiamo anzi capire che qualcuno sostenga quel che ho letto la volta scorsa: che credere alla risurrezione costringerebbe a distruggere tutta l’immagine che ci si fa del mondo.

 

Questa immagine del mondo che a poco a poco si è andata formando mostra soltanto che,

per lo studio esteriore della natura e con quel modo di pensare sulla natura esteriore,

è sparita la possibilità di immedesimarsi nell’essere vivente dei fatti naturali.

 

Se parlo in questo modo, non è per fare della critica negativa. Doveva succedere che una volta la natura venisse sdivinizzata e spogliata di spiritualità, perché l’uomo potesse concepire l’assieme di idee astratte necessarie per comprendere la natura esteriore, come è divenuto possibile nelle concezioni di Copernico, Keplero e Galileo.

 

L’umanità doveva afferrare la trama delle idee che ha condotto alla nostra epoca delle macchine. Ma d’altra parte era necessario che il nostro tempo avesse un compenso per quel che non poteva esservi nella vita exoterica, un compenso per il fatto della sopravvenuta impossibilità di trovare direttamente dalla terra la via alla spiritualità. Se infatti gli uomini avessero potuto trovare la via alla spiritualità, avrebbero dovuto trovare la via al Cristo, come la si troverà nei prossimi secoli. Vi doveva essere un compenso.