Occorre intendere la morte come una forza che agisce nell’organismo

O.O. 178 – Il mistero del doppio – 15.11.1917


 

La morte non è affatto soltanto un evento

che conclude le forme delle percezioni sensibili, come di solito le si intende,

ma qualcosa che partecipa all’esistenza come vi partecipano le forze entrate nella vita con la nascita.

 

Incontriamo la morte non solo quando essa ci afferra in quanto evento singolo,

ma portiamo in noi le forze distruttive, perpetuamente distruttive della morte,

come portiamo in noi le forze costruttive della nascita, che ci sono date alla nascita.

 

Per rendersene conto occorre davvero poter fare indagini in una sfera al limite fra la scienza ufficiale e la scienza dello spirito. Di molte cose oggi posso naturalmente dare soltanto i risultati, ma mi propongo anche solo di far riflettere; se dovessi esporre nei particolari ciò che qui vuol esser solo uno stimolo, dovrei tenere molte conferenze.

 

Volendo dunque seguire ciò cui sopra ho accennato, occorre giungere a una sfera limite fra la scienza ufficiale e quella dello spirito. Oggi la scienza ha per lo più superato queste posizioni, ma le correnti culturali popolari sono ancora ferme al punto che la scienza ha già abbandonato da alcuni decenni; spesso si crede e si credeva che il sistema nervoso umano, che l’apparato nervoso, fosse semplicemente uno strumento per il pensare, il sentire, il volere, in breve per le esperienze dell’anima.

 

Chi conosce la vita dell’anima con gli organi animici,

con gli occhi e gli orecchi spirituali ai quali ho accennato a grandi linee,

chi davvero scopre la vita dell’anima sa che

affermare che il cervello è lo strumento per il pensiero sarebbe come dire:

io cammino per una strada un po’ fangosa e vi lascio le impronte dei miei piedi;

un altro poi le trova e cerca di spiegarle. Come lo fa?

 

Le spiega dicendo che sotto terra ci sono diverse forze che si sollevano e si abbassano,

e che appunto così facendo producono le impronte…

Ma le impronte non si possono affatto far risalire alle forze della Terra, perché le ho lasciate io!

Sono dunque spiegabili.

 

Così oggi i fisiologi credono che quanto si svolge nel cervello provenga dal cervello stesso,

perché ad ogni pensiero, rappresentazione, sentimento, corrisponde qualcosa nel sistema nervoso.

Proprio come le mie impronte corrispondono ai miei passi,

così nel cervello qualcosa corrisponde realmente alle impressioni dell’anima;

è però l’anima ad averle impresse nel cervello.

 

• Come la Terra non è l’organo, la causa del mio incedere, come non produce le mie impronte,

così il cervello non è l’organo per i vari processi del pensare.

• Come non posso camminare senza terreno

(non riesco cioè a camminare per aria e mi occorre il terreno se voglio camminare),

così mi è necessario il cervello; non perché il cervello produca la vita animica,

ma perché essa ha bisogno di una base e di un terreno per esprimersi, fin che viviamo in un corpo fra nascita e morte.

• Il cervello nulla ha a che fare con tutto ciò.

 

La scienza, oggi così splendidamente apprezzata, potrà essere compresa appieno se nel pensiero subirà il cambiamento cui ho accennato qui; esso è più radicale di quanto non sia stato quello fra la concezione copernicana del mondo e la concezione che si aveva prima; è però altrettanto giustificato, quanto lo era la concezione copernicana rispetto alla precedente.

 

Se poi si procede sulla via dell’indagine spirituale, si vede

che anche i processi nel cervello e quelli nel sistema nervoso,

corrispondenti alla vita dell’anima, non sono costruttivi, non si manifestano come attività produttiva,

come attività del crescere e prosperare nel sistema nervoso come nelle altre parti dell’organismo. No!

 

L’attività dell’anima nel sistema nervoso è un’attività demolitrice,

durante la nostra coscienza di veglia.

Solo perché il sistema nervoso è disposto in noi

in modo da essere di continuo rinfrescato e rinnovato dal restante organismo,

l’attività demolitrice, dissolvente e distruttiva, che col pensare penetra nel nostro sistema nervoso,

può essere sempre di nuovo compensata.

 

L’attività distruttiva è sempre presente ed è qualitativamente uguale

a quella che si sperimenta in una sola volta, quando si muore, quando l’organismo si dissolve del tutto.

In quanto pensiamo, la morte vive di continuo in noi.

 

Si potrebbe dire: la morte vive in noi di continuo, distribuita in tutti i nostri atomi,

e quella che ci prende in un’unica volta è soltanto la somma di quanto continua in noi a produrre demolizioni;

d’altra parte viene poi pareggiato, ma i pareggi sono tali che alla fine si ha appunto la morte spontanea.

 

Occorre intendere la morte come una forza che agisce nell’organismo, come si intendono le forze vitali.

Se tuttavia oggi si guarda alla scienza ufficiale, senz’altro giustificata nel suo campo,

si trova che essa cerca soltanto forze costruttive. Le sfugge ciò che demolisce.

 

Di conseguenza, quel che risorge a nuovo dalla demolizione,

che di continuo si riedifica non nel corpo, perché esso viene appunto demolito,

ma nello spirito e nell’anima, non viene osservato dalla scienza, perché sfugge sempre alla sua osservazione

ed è accessibile soltanto al genere di osservazione che procede nel modo da me prima descritto.

 

Allora risulta davvero che durante il corso della vita

la nostra complessiva attività animica non è correlata soltanto al terreno,

al suolo su cui deve svolgersi e che persino distrugge in quanto pensa, in quanto è attiva,

ma che l’attività animica complessiva fa anche parte di un mondo spirituale che ci circonda sempre,

entro il quale siamo con la nostra parte animico-spirituale, come col corpo fisico siamo nel mondo fisico-sensibile.

 

Con la scienza dello spirito si aspira dunque a un rapporto reale dell’uomo

col mondo spirituale che compenetra tutto quanto è fisico,

si aspira a un rapporto col vero, concreto e reale mondo spirituale.

• Così di certo si acquista la possibilità di osservare

come in un tutto omogeneo l’anima agisca e operi in noi da un lato,

e come dall’altro demolisca entro i limiti da me descritti.