Pensare e sentire rispetto a corpo eterico e corpo astrale, volere e percepire rispetto a io e corpo fisico.

O.O. 208 – Cosmosofia II – 21.10.1921


 

Oggi vogliamo considerare qualcosa del contesto umano in relazione corporea, animica e spirituale con il mondo. Abbiamo già visto come quel che l’uomo sperimenta tra la morte e una nuova nascita in rapporto all’intero universo, all’intero cosmo, in un certo qual modo penetri nella sua interiorità. Abbiamo visto che l’esperienza esterna che egli ha prima della nascita o del concepimento esplichi poi un’azione sui suoi organi, sul suo interno organico. Oggi vogliamo considerare l’essere umano nel suo rapporto con il mondo dall’altro lato, e per la precisione come quel che egli sperimenta tra la nascita e la morte vada con lui oltre la soglia di questa e si trasformi, fra la morte e una nuova nascita, in esperienze di una vita rinnovata.

 

Anzitutto dobbiamo distinguere in noi

• la vita interiore che abbiamo nel corso dell’esistenza terrena

• da quel che da noi si distacca come una sorta di vita esterna.

 

Che cosa si intende per vita interiore? Possiamo accennare in primo luogo ai sentimenti, al contenuto interiore di sensazioni che sperimentiamo tra la nascita e la morte. Questa è la nostra vera vita interiore. Quel che sentiamo delle impressioni del mondo esterno su di noi, in merito alla nostra vita interiore, quel che sentiamo anche sotto forma di approvazione o di rimproveri per le nostre manifestazioni volitive, per le nostre azioni, tutto ciò è qualcosa che nel corso della nostra esistenza terrena disponiamo, in misura minore o maggiore, con noi stessi, in cui possiamo sì far gettare agli altri uno sguardo, ma l’essenziale in tutto ciò è tuttavia il modo di disporlo con noi stessi.

 

Quel che sperimentiamo nella percezione, come già sappiamo grazie alle considerazioni già fatte, non è esperienza reale, ma mondo di parvenza che si stende intorno a noi.

È il mondo che in sostanza non è né interiore, né esteriore, al quale prendiamo parte, che rendiamo mondo interiore solo formando su di esso pensieri, sviluppando sentimenti nei suoi confronti, che ci stimola a fare questo o quello.

Il modo in cui ci comportiamo verso di esso è essenzialmente il risultato delle capacità che attraverso la nascita portiamo nell’esistenza. Pertanto il modo in cui ci comportiamo verso il mondo esterno, anche il luogo dove stiamo, il popolo nel quale siamo nati e così via, tutto ciò è condizionato dalle precedenti vite terrene e spirituali. Ci rinvia piuttosto all’indietro prima di indirizzarci in avanti.

 

Tuttavia dobbiamo considerare qualcosa d’altro che ci lega al mondo esterno: ciò che ha origine nella nostra volontà e si traduce nelle nostre azioni diventa un pezzo di mondo esterno. Tutto quel che accade tramite il nostro agire muta il mondo esterno.

La più piccola delle nostre azioni conferisce al mondo esterno qualcosa che lo muta.

Insomma possiamo dire: il mondo esterno che noi stessi prepariamo con il nostro agire ha origine nella nostra volontà. Si rapporta dunque a noi come gli eventi che hanno luogo nel corso nel sonno.

 

Con la coscienza abituale vediamo nelle profondità del nostro mondo di volontà altrettanto poco quanto poco vediamo negli stati del sonno. Quel che realmente accade nel mondo della volontà rimane al di fuori della coscienza.

Spesso l’ho espresso: quando moviamo un braccio, una mano, l’intero processo volitivo, lo spiegamento di forze che agiscono nel braccio e nella mano che si muovono, si sottraggono alla coscienza. Tuttavia vediamo la nostra mano mossa. Vediamo il mutamento che produciamo. Se spostiamo soltanto un oggetto da un luogo a un altro, con le percezioni accogliamo in noi il mutamento.

Possiamo pertanto dire: grazie al nostro mondo di percezione veniamo a conoscenza delle nostre manifestazioni volitive. In certo qual modo la nostra volontà e i suoi effetti fluiscono nel nostro mondo di percezione.

 

Ricordiamoci di che cosa avevamo detto nell’ultimo tempo. Avevamo detto che anzitutto c’è il corpo fìsico (vedi disegno, chiaro); e poi il corpo eterico (rosso). Tra l’uno e l’altro c’è il mobile mondo del pensiero, nella misura in cui è inserito nel nostro organismo. Tra il corpo eterico e il corpo astrale (verde) si trova il mondo di sentimento, e tra il corpo astrale e l’involucro dell’io (blu) si trova il mondo di volontà.

 

Testo alternativo generato dal computer: c. fisico c. eterico mondo del sentimento c. astrale mondo della volontà involucro dell'io

 

Nella coscienza abituale il mondo della volontà non può in realtà essere distinto dall’io. Si congiunge all’io in modo totale. Tuttavia tutto quel che accade nell’io quando vuole e agisce, tutto ciò non entra direttamente nella coscienza abituale. Come ho detto, è al di sotto della coscienza abituale, come gli eventi dello stato di sonno.

Nel corpo fisico abbiamo gli organi di senso, e questi hanno le percezioni. Tramite le percezioni percepiamo anche le manifestazioni della nostra volontà. Nel corpo fisico abbiamo dunque occhi e orecchie, e quel che in esso si sviluppa dall’io e dal mondo di volontà viene in effetti percepito con i sensi. Quindi, quel che è più esterno in noi, la percezione, si congiunge a ciò che sperimentiamo grazie alla nostra volontà e all’io (freccia grande).

 

Poniamo di fare un paio di passi attraverso il nostro io: quel che vive nella volontà, il modo in cui accade qualcosa nelle profondità dell’organismo umano, quel che spinge avanti le nostre gambe, tutto ciò si sottrae alla coscienza.

Tuttavia, avanzando un pochino, vediamo un altro ambiente, o almeno vediamo l’ambiente in un’altra prospettiva. In tale diversa prospettiva abbiamo nella percezione sensoria quel che nella coscienza abituale ci procura la rappresentazione, quel che ci fornisce un’immagine di ciò che altrimenti in realtà è nelle profondità di un sonno vigile. Predisponendo il nostro io al volere e trasformando gli impulsi volitivi in azioni (non importa se siano causate dall’andare, dal prendere, dal camminare, o da una qualsiasi altra attività), sperimentiamo tutto ciò attraverso la percezione. Di fatto con la nostra volontà apparteniamo al mondo esterno della percezione.

 

Restiamo senz’altro a questo: con la nostra volontà apparteniamo al mondo esterno della percezione. Sviluppando e osservando le espressioni volitive, le manifestazioni della nostra volontà, non giungiamo nella nostra vera interiorità. Benché la volontà fluisca dall’interiorità più profonda, con ciò compiamo un processo in realtà esterno per la nostra coscienza, o per meglio dire una somma di processi esterni al corpo.

Ora prendiamo invece l’interiorità.

• Qui abbiamo anzitutto il fluttuante mondo del pensiero.

Come esso agisca verso l’esterno, può in realtà in tal nesso non interessarci.

Il mondo del pensiero vive verso l’esterno portando nelle percezioni una certa concatenazione logica, regolare.

 

Classifichiamo la natura. Vediamo piante simili tra loro e le poniamo in una classe; vediamo animali simili tra loro e li poniamo in una classe. Cerchiamo ulteriori leggi naturali. Tutto quel che elaboriamo in questo modo, di fatto non fa parte alla nostra reale vita interiore. È quel che in qualità di scienza è comune a tutti gli uomini. Non fa parte della nostra vita interiore.

Tuttavia non possiamo dire senz’altro che tutto quanto è relativo al pensiero non faccia parte della nostra vita interiore. Basti pensare a come, una volta che abbiamo accolto in noi in virtù di una percezione esterna diciamo un magnifico paesaggio e su di esso ci siamo formati pensieri, possiamo di nuovo evocarlo dal ricordo, sia pure sbiadito. Pertanto i pensieri che si basano sull’esterno formano una parte del nostro mondo interiore.

Allo stesso modo avviene con altre cose che vengono sperimentate a partire dal mondo esterno, che si trasformano in pensieri e formano una parte del mondo interiore.

 

I pensieri compenetrano anzitutto il corpo eterico.

Tuttavia in seguito si congiungono anche con il sentimento, fino al corpo astrale.

Tutto questo è qualcosa che avviene nell’interiorità.

Il lato interiore della vita di pensiero, insieme con il mondo di sentimento,

è il reale mondo interiore umano.

 

Non possiamo proprio cercare nulla nel mondo esterno di quel che sperimentiamo nell’aspetto interiore del nostro mondo di pensiero, che sperimentiamo nel nostro sentimento. Se lo vogliamo conoscere dobbiamo guardare sempre nella nostra interiorità.

Poco fa ho già detto che possiamo parlare con persone, possiamo di proposito far sì che altri si facciano un’idea di noi, ma poi la sostanza di questo è la vita interiore. Adesso siamo in grado di distinguere con precisione che cosa in un certo senso sia vita esteriore, quando si riversa in continuazione la propria interiorità nel mondo esterno, e che cosa sia mondo interiore.

Se una notte ci facciamo portare da un treno dalla Svizzera occidentale a quella orientale, al mattino ci troveremo in un ambiente di volontà del tutto diverso e lo accoglieremo in noi tramite la nostra percezione. Avremo portato con noi la nostra interiorità; è la stessa che avevamo in un luogo e che avremo nel luogo successivo, ma modificata tutt’al più da quel che a sua volta dai pensieri si è mosso verso l’interno, per poi diventare interiorità.

 

Se vogliamo, possiamo quindi distinguere con precisione

• fra quel che è la nostra reale interiorità,

dal punto di vista animico intessuta di pensieri e sentimenti,

dal punto di vista corporeo intessuta dei ritmi intrecciati di corpo eterico e corpo astrale,

• e quel che in un certo senso è mondo esterno,

dal punto di vista animico intessuto di contenuto volitivo e contenuto percettivo,

dal punto di vista corporeo intessuto di io e corpo fisico.

 

Infatti portiamo con noi il nostro corpo fisico, lo osserviamo; esso si rapporta in modi diversi col mondo circostante. Possiamo distinguere l’interno e l’esterno nel modo di cui ho appena parlato.

Questa distinzione è peraltro molto importante se si vuole considerare la vita che portiamo oltre la soglia della morte.

Possiamo esporre molto a grandi linee come si comporterà dopo la morte ciò che abbiamo caratterizzato come interno e esterno, e possiamo dire:

• l’esterno diventa interno     • l’interno diventa esterno.

Questo è in effetti l’enorme mutamento che avviene con la morte.

L’esterno diventa interno.

 

Proprio come adesso sentiamo l’interiorità della nostra anima (possiamo richiamare alla mente come l’interiorità animica sia intrecciata di pensieri e sentimenti), come la chiamiamo io, così dopo la morte tutto quel che sotto forma di percezioni abbiamo sperimentato delle nostre azioni diventa il nostro interno.

Direi però che quel che dopo la morte sperimentiamo come interno, cioè la visione di ciò che abbiamo fatto sulla terra, è come concentrato in un punto, o meglio, in una sfera.

Quel che abbiamo fatto, le immagini di tutta la nostra esistenza terrena che portiamo oltre la morte come ricordo interiore, è allora il nostro interno.

È dunque un totale capovolgimento: ciò che era esteriore, che potevamo percepire solo attraverso la visione di quel che facevamo, diventa la nostra interiorità.

 

• Come ora viviamo nelle sensazioni, nei sentimenti delle impressioni esterne,

• così poi vivremo nelle nostre azioni.

Le nostre azioni saranno allora nientemeno che la nostra interiorità.

 

Chi dunque ha fatto qualcosa di buono o di cattivo a qualcuno, è allora egli stesso il bene e il male che ha fatto. Dopo la morte è davvero lui stesso.

Non ci si deve immaginare queste cose in modo astratto, come se un certo io indeterminato passasse oltre la morte e poi fosse qualcosa di diverso, o un pochino diverso; in realtà siamo quello che abbiamo fatto, fin nei particolari.

 

Dopo la morte siamo ognuna delle nostre azioni.

Siamo ognuna delle nostre esperienze e chiamiamo tutto ciò io.

•Per contro l’interiorità diventa qualcosa di esterno.

Tutti i pensieri, il mondo di pensiero e di sentimento, diventa qualcosa di esterno.

 

Come ora intorno a noi vi è il sole splendente con le nuvole, oppure di notte vi è il cielo stellato con i suoi movimenti, così dopo la morte i nostri pensieri e le nostre sensazioni sono intorno a noi come mondo esterno. Dunque quel che portiamo intimamente in noi, dopo la morte si incorpora nel mondo esterno, ci appare sotto forma di potenti immagini nel mondo esterno. Dopo la morte vediamo un cielo nel quale per noi splende il nostro attuale essere interiore, così come nel cielo di adesso splende il sole.

 

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Se devo descriverlo in modo particolareggiato, è così: ho detto poco fa che sentiamo le nostre azioni come una sfera, come la nostra interiorità. Rivediamo in continuazione quel che abbiamo elaborato nel mondo; come siamo andati, così andiamo di nuovo. In un certo senso dopo la morte siamo qualcosa che in misura sempre maggiore sperimenta le proprie azioni in una sfera (vedi disegno, blu), guardando sempre all’indietro, verso la terra (verde).

 

Come ora guardiamo nello spazio cosmico nella direzione delle stelle, del sole, così dopo guardiamo indietro verso la terra (frecce), e questa è circondata dalle immagini del nostro precedente mondo interiore. Non è però come se sperimentassimo la mera parvenza del nostro mondo interiore; sperimentiamo piuttosto, risplendenti verso di noi dal luogo che abbiamo abbandonato, le cose che prima erano il nostro mondo interiore, come formazioni nuvolose, anche come formazioni stellari e così via, emananti da quel luogo. Ci sentiamo immersi nel precedente mondo periferico e sentiamo come nostro centrale, mondo esterno, il precedente mondo della terra sulla quale stavamo. Ad esso guardiamo. Noi stessi siamo allora quelli che ruotano, e la terra situata nel centro è ciò cui guardiamo e che nel suo svolgersi srotola tutta la nostra vita interiore in immagini potenti.

 

L’esterno diventa interno.

L’interno diventa esterno.

Questo accade fin nei particolari.

 

Se poi dalla sfera che si allarga sempre di più si guarda indietro alla terra, da essa si vedono riflessi tutti i sentimenti, e anche le sensazioni, avuti per altre persone. Quel che si è sperimentato interiormente, non in relazione a persone, appare più come formazione nuvolosa, mentre le sensazioni avute nei riguardi del prossimo appaiono sotto forma di stelle. Invece le persone che nella vita tra nascita e morte si vedono come figure, le persone che si sperimentano in questo modo come esperienze procurate dalle azioni, diventano un mondo. Pertanto tutte le persone con le quali siamo stati in relazione diventano partecipi del nostro mondo interiore.

 

Naturalmente questo è del tutto reciproco. Come adesso ognuno di noi porta in sé i suoi sentimenti o anche il cuore e lo stomaco, così tra la morte e una nuova nascita portiamo in noi tutto ciò che si è svolto all’esterno nello spazio fra noi e gli altri, insieme con la loro figura. Di due che sono stati reciprocamente vicini, la persona A porta in sé l’immagine della B, e la B quella della A, quale proprio contenuto interiore. L’esteriore diventa interiore; l’interiore, i sentimenti che abbiamo sperimentato diventano qualcosa di esteriore, diventano contenuto cosmico. Quel che abbiamo sentito per le persone, tutto quel che dalle persone abbiamo ricevuto, irradia dalla terra verso di noi.

 

In questo modo l’uomo diventa l’effettivo creatore di ciò che dopo la morte è intorno a lui. Nel corso della vita accade che siamo comunque sempre in un dato punto del mondo (e con questo intendo non solo il banale stare solito a Basilea o a Dornach) ma piuttosto quel certo punto d’osservazione che nel mondo abbiamo sia sotto l’aspetto fisico sia morale. Da esso poi vediamo il mondo, così che possiamo dire: stiamo in un determinato punto e da esso vediamo il mondo in prospettiva. È qualcosa di soggettivo. Ognuno ha il suo punto di osservazione diverso.

 

Dopo la morte tutto cambia. Gli uomini hanno ora qualcosa in comune e cioè la sfera. Tuttavia ognuno ha avuto una vita interiore diversa, per cui la terra irradia intorno a lui in modi diversi, con nuvole diverse, con formazioni stellari diverse.

È come se tutti stessimo in un unico punto sulla terra, ma per ognuno di noi fossero presenti immagini diverse. Posso rappresentare press’a poco in questo modo le condizioni dopo la morte.

 

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Con la morte si depone il proprio corpo fisico. Come ho già esposto in precedenti descrizioni delle ultime settimane, esso viene dissolto dal regno terrestre stesso. Tuttavia quel che rimane è l’intreccio che risulta dalla percezione delle nostre azioni, delle manifestazioni della nostra volontà. Immaginiamoci tutti i percorsi fatti sulla terra: da bambini andavamo in giro carponi, poi abbiamo camminato, poi abbiamo fatto un lungo viaggio e ogni altra cosa possibile; insomma, tutto ciò diventa poi vita interiore. Questa tuttavia è soltanto la struttura più esterna.

 

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Ora, tutto quel che nei particolari abbiamo fatto si intreccia in un tessuto che si amplia, diventa sfera, diventa vita interiore. Che diventi vita interiore ci viene garantito dal nostro io nel corso dell’esistenza terrena. Infatti dalla terra o per mezzo della terra abbiamo il nostro io. Che dopo la morte conserviamo tutto ciò che facciamo sulla terra, intessuto in questa immagine mnemonico-percettiva, fa sì che appunto portiamo il nostro io oltre la morte.

Per contro le vere esperienze interiori già poco dopo la morte vengono risperimentate, poiché il corpo eterico si dissolve solo un po’ più tardi. Esso però si dissolve nello spazio cosmico, fornendo il presupposto affinché tutto ciò che è intessuto di pensieri e sentimenti dal corpo eterico, ma anche con l’impronta astrale, tutto ciò si muti in formazione nuvolosa oppure, come ho accennato, in formazione stellare che circonda la terra. Quel che si separa da noi in due direzioni, verso la terra e per così dire verso lo spazio aeriforme, è ciò che costituisce il nostro interno e il nostro esterno mentre attraversiamo la vita fra la morte e una nuova nascita.

 

Immaginiamoci un po’ con grande vivezza

quale mondo circostante abbiamo tra la morte e una nuova nascita.

• Il nostro agire,

nella misura in cui emana dalla volontà, costituisce la nostra vita interiore.

• La vita di pensiero e di sentimento costituisce il cosmo, il mondo esterno,

solo che non guardiamo nello spazio cosmico, ma dallo spazio cosmico guardiamo alla terra

che ci irradia all’indietro gli aspetti interiori del nostro pensiero.

 

Quando viviamo qui tra nascita e morte, abbiamo da un lato la vita solare.

Fuori c’è il sole; noi stiamo sulla terra e guardiamo il sole.

Dopo la morte il sole scompare subito.

 

Noi stessi siamo infatti il sole e non vediamo quel che noi stessi siamo.

Diventiamo semplicemente vita solare,

e quel che ho descritto poco fa è appunto la transizione alla vita solare.

Che le nostre azioni diventino noi stessi comporta il passaggio alla vita solare.

 

Mentre ci allontaniamo dalla terra quel che abbiamo sperimentato grazie alla terra diventa ciò cui guardiamo.

Qui stiamo sulla terra e guardiamo verso il sole. Vediamo la terra sotto di noi.

Questo accade a causa della particolare natura materiale della terra.