Pensare materialisticamente

O.O. 155 – Cristo e l’anima umana – 30.5.12


 

Si pensa materialisticamente se si afferma che, quando l’uomo ha questo o quel pensiero, si verifica un movimento delle molecole o degli atomi del suo cervello che producono tali pensieri; e che il pensiero esce dal cervello come un sottile fumo, come la fiamma esce dalla candela; questa è la concezione materialistica.

 

Ma la concezione antroposofica è diametralmente opposta: sono i pensieri, le esperienze dell’anima a mettere in movimento il cervello, il sistema nervoso. Il modo in cui il nostro cervello si muove dipende dal tipo e dalla qualità dei pensieri che abbiamo. Ma questo è proprio il rovescio di ciò che pensa il materialismo. Per sapere come è fatto il cervello di un uomo bisogna indagare quali pensieri egli ha pensato; perché, come la scrittura è la conseguenza dei pensieri, così anche i movimenti del cervello non sono altro che la conseguenza dei pensieri.

 

Noi dobbiamo dunque concluderne che i nostri cervelli saranno elaborati, in questo momento in cui viviamo dei pensieri antroposofici, diversamente da quelli di uomini appartenenti ad un club in cui si gioca a carte. Nelle vostre anime si svolgono processi diversi se seguite pensieri antroposofici oppure se vi trovate in una compagnia dove si gioca a carte o se assistete ad una rappresentazione cinematografica.

 

Ma nell’organismo umano non vi è nulla che sia isolato in se stesso, tutto è in collegamento, una cosa agisce sull’altra. I pensieri agiscono sul cervello e sul sistema nervoso; questo è in collegamento con l’intero nostro organismo.

 

Anche se è ancora celato per molti uomini, quando un giorno le qualità ereditate, che oggi ancora si trovano nei corpi, saranno state superate, accadrà quanto, segue: i pensieri, partendo dal cervello, si trasmetteranno allo stomaco, e la conseguenza di ciò sarà che le cose che oggi sono ancora gradite al palato, domani non piaceranno più a quelli che avranno accolto pensieri antroposofici. Poiché i pensieri che gli antroposofi accolgono in sé sono pensieri divini. Questi elaborano l’intero organismo in modo che esso arriva a gustare soltanto ciò che è giusto e a percepire come sgradevoli sapori e odori non adatti per esso.

 

Questa è una strana prospettiva; la si potrebbe anche forse chiamare materialistica, ma in realtà è il contrario. Questo genere di simpatia per un cibo o di antipatia per un altro si presenterà come una conseguenza del lavoro scientifico spirituale. Ognuno può constatare, del resto, che forse oggi, di fronte a certe cose, può provare un disgusto che non provava prima di dedicarsi all’antroposofia.

 

Questo si diffonderà sempre più, se l’uomo, in modo disinteressato, lavorerà alla sua evoluzione superiore, così che il mondo possa avere da lui ciò che è giusto.

 

Solo non bisogna giocare a rimpiattino con le parole «egoismo» o «non egoismo».

Infatti si può molto facilmente adoperare male queste parole.

Non è affatto privo di egoismo un uomo che dica: « Io voglio soltanto essere attivo nel mondo o per il mondo.

A che serve la mia evoluzione spirituale? Io voglio solo lavorare e non sforzarmi egoisticamente… ».

 

Non è egoismo curare la propria evoluzione superiore, perché essa rende l’uomo più adatto a collaborare attivamente all’ulteriore evoluzione del mondo; mentre, trascurando la propria evoluzione, ci si rende inadatti per il mondo, si toglie al mondo il contributo della propria forza. Anche per ciò in particolare deve essere fatto quello che è giusto per portare in noi stessi a evoluzione ciò che la divinità si è proposta di fare con noi.

 

Così, mediante l’antroposofia, sì svilupperà un genere umano, o per meglio dire un nocciolo di umanità, che non sentirà in modo puramente istintivo la temperanza come un ideale da seguire, ma che avrà anche coscientemente simpatia per ciò che fa dell’uomo, in modo degno, una pietra costruttiva dell’ordine universale divino ed a sentire un’avversione cosciente per tutto ciò che vuol distruggere l’uomo come pietra costruttiva del mondo.