Portiamo in noi tre stati di coscienza anche quando siamo svegli

O.O. 194 – La Missione di Michele – 28.11.1919


 

Ho spesso spiegato:

• nella vita comune tra il destarci e l’addormentarci noi uomini siamo veramente svegli solo per la nostra vita di rappresentazione. (L’autore inizia sulla lavagna la parte superiore dello schema che segue).

La vita di rappresentazione significa veglia completa.

 

Non siamo invece del tutto svegli, anche durante la veglia, per la nostra vita di sentimento.

I nostri sentimenti, anche quando siamo del tutto svegli per i nostri pensieri e le nostre rappresentazioni, sono infatti nella nostra coscienza allo stesso grado di esistenza dei sogni. Chi è capace di far ricerche in questo campo, sa per esperienza diretta che i sentimenti non sono viventi nella nostra coscienza, anche se la rappresentazione che ci facciamo dei sentimenti fa apparire diverso il fatto. La vita di sentimento come tale emerge dal fondo della coscienza in modo da ondeggiare alla stessa maniera dei sogni.

 

La volontà poi, per sua essenza, è in noi un elemento dormiente, anche se per il resto siamo svegli.

Noi dormiamo con la volontà.

 

Portiamo così in noi tre stati di coscienza anche quando siamo svegli: durante il giorno andiamo in giro vegliando nella vita di rappresentazione, e ci illudiamo di essere svegli anche nella volontà, perché abbiamo delle rappresentazioni di quello che esegue la volontà. Ma l’esperienza della volontà non emerge nella nostra coscienza, vi emerge solo l’immagine rappresentata.

 

Noi sogniamo i nostri sentimenti ed eseguiamo dormendo le nostre volizioni.

Ma quando con la conoscenza immaginativa si richiamano quelli che di solito sono i sogni dei sentimenti, per portarli a chiara e completa conoscenza del mondo, si osserva che non solo nelle nostre rappresentazioni e nei nostri pensieri sta la saggezza, se posso chiamarla così (la possiamo chiamare così in senso tecnico, anche se in molti uomini è stoltezza).

Saggezza è nei nostri pensieri, ma saggezza è anche nei nostri sentimenti,

e saggezza è anche nella nostra volontà.

 

A questo punto vien scritto tre volte « saggezza » nello schema:

Vita di rappresentazione: completo vegliare: saggezza

Sentimenti: sognare: saggezza

Volontà: dormire: saggezza

 

Per l’esistenza umana attuale possiamo parlare con chiarezza di quanto vi è nella nostra vita rappresentativa. Su quanto vive nel mondo di sentimento l’umanità ha oggi generalmente solo le idee che ha sulla vita di sogno, e tuttavia anche qui vi è saggezza.

Per chi esegue seriamente con la propria anima gli esercizi descritti nel mio libro L’iniziazione, è possibile fare al più presto la conoscenza di un certo fluttuare interiore dal decorso un po’ sognante (per la maggior parte degli uomini è solo sognante); un decorso che non ha una regolarità molto maggiore di quella del sognare abituale.

 

Ma per quanto relativamente presto possa esser portato ordine in tale esperienza interiore, si arriva a osservare che non è la solita logica a dominare in essa (spesso vi domina una logica molto grottesca, i più diversi brandelli di pensiero vi si combinano, vi si svolgono fantasticamente, e vi regna talvolta una strana logica).

Che pure qualcosa vi si svolga, come ho detto, può essere una prima esperienza interiore, tuttavia molto primitiva, conosciuta da chi anche solo un poco applica alla propria anima quanto è descritto nel mio libro L’iniziazione.

 

Quando l’uomo si immerge in questo ondeggiare di sogni desti, emerge di fatto una nuova realtà a confronto della solita realtà della vita usuale. Allora egli può osservare relativamente presto che una nuova realtà emerge, e può anche presto osservare che in tutto questo vi è saggezza, ma una saggezza che non può afferrare, per la quale non si sente ancora abbastanza maturo da portarla a piena coscienza. Torna sempre a sfuggirgli e non sa a che serva.

 

Così l’uomo osserva, o può almeno osservare, che la saggezza non solo muove lo strato superiore della sua coscienza, che la penetra nell’abituale vita desta di giorno, ma che sotto di essa vi è un altro strato della sua coscienza che gli sembra illogico solo perché lo definisce così, perché non può ancora afferrarne la saggezza.

 

Si può affermare che nell’attimo in cui si acquisisce completamente il conoscere immaginativo,

i sogni desti cessano di apparire così grotteschi come appaiono nella vita abituale,

si compenetrano di una saggezza che riconduce a un altro contenuto di realtà,

a un mondo diverso da quello del mondo dei sensi, quello che noi scorgiamo con la saggezza abituale.

 

Da questo substrato della coscienza nella vita abituale

affiora alla coscienza quotidiana solo il mondo del sentimento,

e da uno strato ancor più profondo che sottostà a quello affiora il mondo della volontà,

che è però anche lui assolutamente permeato di saggezza.

Con quella saggezza siamo pure uniti, ma non la facciamo affiorare al livello della nostra coscienza abituale.

 

Possiamo dunque affermare che come uomini siamo dominati da tre strati di coscienza: la prima è la nostra coscienza di rappresentazione, entro la quale viviamo tutti i giorni; la seconda è una coscienza immaginativa e la terza è una coscienza ispirata, che però rimane molto nel profondo, che agisce in noi e agisce bene, ma nella vita abituale non ne riconosciamo le particolarità.

 

Abbiamo dunque:

I – Coscienza rappresentativa            II – Coscienza immaginativa               III – Coscienza ispirativa

 

Se l’attuale filosofia non fosse tanto ottusa, si accorgerebbe, (non dico chi con la filosofia non ha nulla a che fare, però i filosofi almeno dovrebbero arrivare a capirlo, ma non lo fanno) si accorgerebbe dunque, e in maniera molto marcata, della grande differenza che corre tra le verità basate sulla osservazione della natura e le altre che si trovano nelle scienze come la matematica e la geometria, con le quali pure si cerca di comprendere la natura esterna.

 

Si può affermare con un certo diritto che

• per le verità che l’uomo fa proprie mediante l’osservazione esterna non possiamo mai parlare veramente di sicurezza.

(Ciò è stato già così spesso ripetuto nella storia della filosofia che almeno per i filosofi dovrebbe esser superfluo spiegare queste cose tanto esattamente).

 

Kant oppure Hume ne hanno trattato con particolare chiarezza, tanto da dire, andando nel grottesco: noi osserviamo invero che il sole sorge, ma non per questo abbiamo il diritto di presumere che anche domani esso sorgerà; deduciamo solo dal fatto che il sole sinora è sempre sorto, che anche domani sorgerà.

 

Così è per le verità che prendiamo in prestito dalla osservazione esterna, ma così non avviene ad esempio per le verità matematiche: una volta che le abbiamo comprese sappiamo pure che saranno valide per tutto l’avvenire. Chi sa e sa dimostrare con argomentazioni intrinseche che il quadrato dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei due cateti, sa pure che nessuno potrà disegnare un triangolo rettangolo per il quale ciò non valga.

 

Per le verità matematiche è diverso che per quelle che si conoscono per osservazione esterna: queste ultime si sanno, ma non si è in grado di comprenderne le ragioni servendosi dei mezzi dell’attuale ricerca.

 

La ragione ne è

• che le verità matematiche emergono dal profondo dell’interiorità umana,

• che la verità matematica proviene dalla terza coscienza,

dallo strato inferiore della coscienza e, senza che l’uomo lo sospetti,

colpisce la sua coscienza superiore, dove egli la vede interiormente.

 

• Noi abbiamo le verità matematiche per il fatto che ci comportiamo noi stessi matematicamente nel mondo: andando, fermandoci e così via, descriviamo delle linee, e mediante tale rapporto di volontà con il mondo esterno acquistiamo veramente la visione interiore della matematica. La matematica nasce nella terza coscienza (vedi lo schema precedente) e colpisce in alto.

 

In sostanza, anche se l’origine non risulta alla coscienza, abbiamo per lo meno delle rappresentazioni assai chiare di una parte di tale coscienza sotterranea: da essa emergono in noi le rappresentazioni matematiche e quelle geometriche. Confuso e come in sogno diventa solo lo strato mediano. Lo strato mediano ha un carattere sognante e confuso.

 

Là sopra nello strato superiore, dove si trova l’abituale veglia diurna nella vita rappresentativa, siamo di nuovo chiari; inoltre è chiaro in noi quello che si presenta salendo dal terzo strato della coscienza. Ciò che sta in mezzo raggiunge la maggior parte degli uomini come un confuso sogno ad occhi aperti.

• È di grande importanza chiarire questo fatto, poiché questa è la coscienza con la quale erano particolarmente congiunti i greci in quei quattro secoli e mezzo.

 

La coscienza I, da loro accolta come residuo della saggezza dei misteri,

è un elemento luciferico puro, ne ho parlato di recente, è la cultura intellettualistica.

 

Nel nostro capo vi è grande chiarezza; esso è permeato di saggezza, di saggezza universalmente valida, ma è tuttavia un elemento luciferico in noi (vengono ripresi e completati i due schemi precedenti, aggiungendo ora « luciferica »).

Quel che poi sta sotto, che è tanto amato dagli scienziati moderni, che pure Kant molto amava, tanto da affermare: di fronte alla natura vi è tanta scienza per quanta matematica vi è in essa, è un elemento arimanico puro che emerge attraverso il nostro essere umano. È la parte arimanica. (Viene aggiunto « arimanica » e così lo schema è completo).

 

Vita di rappresentazione: completa veglia: saggezza     Sentimenti: sognare: saggezza    Volontà: dormire: saggezza

I – Coscienza rappresentativa luciferica   II – Coscienza immaginativa      III – Coscienza ispirativa arimanica

 

• Non è sufficiente che noi sappiamo, di una qualunque cosa, che essa è giusta.

• Noi sappiamo che le cose che comprendiamo intellettualmente mediante la nostra testa sono giuste, ma sono un dono dell’elemento luciferico.

• Sappiamo pure che la matematica è giusta, ma dobbiamo questa potente esattezza della matematica ad Arimane che ha preso dimora in noi.

• L’elemento più incerto sta nel mezzo: non sono in apparenza che sogni ondeggianti illogicamente.

 

Voglio citare un altro connotato perché si possa comprendere per intero l’importanza della cosa.

In sostanza tutta la comprensione matematica del mondo, quella che è sorta con Galileo Galilei e Giordano Bruno,

proviene dallo strato più profondo della coscienza.

Sono passati quattro secoli e mezzo da quando abbiamo cominciato a farla nostra,

da quando ci adoperiamo per introdurre questo elemento arimanico nel nostro pensare e sentire.

 

Mentre con il pensiero greco

risplendette nella più chiara limpidezza della coscienza l’ultima eco della saggezza dei misteri,

nello strato più basso e più oscuro della nostra coscienza fa il suo ingresso

l’elemento che raggiungerà il suo culmine solo in futuro: da lì deve sorgere.

 

                                                                      

• La vita animica di noi uomini è come un giogo di bilancia, in cerca dell’equilibrio

tra l’elemento luciferico da un lato, e l’elemento arimanico dall’altro lato.

• L’elemento luciferico si trova nella chiarezza del nostro capo,

• l’elemento arimanico si trova sotto, nella saggezza che permea la nostra volontà.

• Tra i due dobbiamo cercare l’equilibrio in un punto che sulle prime non ci sembra permeato da qualcosa.

 

Come entra la saggezza in questa parte mediana dell’uomo? Come l’uomo si trova nel mondo, secondo la sua testa egli è retto da Lucifero, secondo la saggezza del suo ricambio e delle sue membra è retto da Arimane.

Ma com’è secondo il cuore? Infatti la posizione mediana della coscienza che ho descritta è appunto dipendente dalla nostra organizzazione del cuore, dal ritmo umano; si può trovare nel mio libro Enigmi dell’anima come la nostra intellettualità sia connessa al nostro capo.

 

Ebbene, nella sfera mediana della nostra esistenza deve essere portato gradualmente un ordine così grande

come quello che è stato portato nella saggezza del capo mediante la logica

e come quello che viene portato nella nostra sapienza arimanica,

mediante la matematica, la geometria, in generale mediante l’osservazione esteriormente razionale della natura.

 

Da dove può venire nella parte mediana del nostro essere,

la logica interiore, la saggezza interiore, la capacità di orientamento?

• Dall’impulso del Cristo, mediante quanto è trapassato nella civiltà terrena con il mistero del Golgota.

 

Esiste un’anatomia scientifico-spirituale che ci mostra che cosa sia la sfera del capo, che cosa sia la sfera del ricambio, che ci mostra pure la sfera organizzativa che sta tra le due, e ci indica ciò che a questa occorre. Noi uomini dobbiamo compenetrarci con l’impulso del Cristo.

 

• Possiamo allora affermare: supponiamo ipoteticamente che il mistero del Golgota non sia entrato nell’evoluzione della Terra; ciononostante l’uomo avrebbe avuto la saggezza del capo e avrebbe pure avuto l’elemento che è entrato in lui a partire dal secolo quindicesimo, ma nella sua entità centrale sarebbe stato vuoto e deserto. Avrebbe sempre più sentito il dissidio tra le due suddette sfere interiori, senza potervi portare l’equilibrio.

 

Potremo realizzare lo stato di equilibrio solo compenetrandoci sempre di più con l’impulso del Cristo,

che produce appunto l’equilibrio tra l’elemento luciferico e quello arimanico.

Da tutto questo ci si potrà convincere del fatto che nei quattro secoli e mezzo prima di Cristo

all’uomo è toccato in sorte, come preparazione al mistero del Golgota, l’ultimo retaggio dell’antica sapienza dei misteri

che si è fissato nel capo dell’uomo come ricordo di quella antica sapienza.

 

Nell’evo moderno, per altri quattro secoli e mezzo,

attraverso l’essere umano vi è la preparazione a un nuovo indirizzo spirituale, a un nuovo tipo di sapienza dei misteri.

• Ma affinché entrambi potessero congiungersi anche nell’evoluzione storica dell’umanità,

nell’evoluzione stessa doveva inserirsi obiettivamente il mistero del Golgota.

 

Considerandola da fuori, l’evoluzione umana procede

in modo che il mistero del Golgota vi si inserisce come un dato di fatto obiettivo,

ma interiormente l’evoluzione umana procede in modo che nel frattempo gli uomini crescono, f

inché a partire dal secolo quindicesimo ricevono quel nuovo innesto

che ho testé caratterizzato come arimanico

e mediante il quale essi cominciano a sentire la necessità di costruire un ponte tra i due fatti.